20/04/21

Maurizio Quilici: "Gli Animali ci salveranno. Non togliete la gioia agli animali".


Ci siamo detti cosi' tante volte che dopo la pandemia saremmo stati migliori che oramai non ci crede piu' nessuno, eppure se c'e' una cosa che forse da tutto questo ha tratto beneficio e' il nostro rapporto con gli animali e la natura, in quello che forse era il primo momento della storia degli esseri umani in cui sembrava arrivato finalmente al nodo un conflitto che ci trasciniamo da millenni.

Insomma se in principio furono gli antichi Romani e le loro crudelta', morte e sangue di 'fere' come intrattenimento ad oggi con tutto l'amore che ci hanno dato nel chiuso delle nostre case e nella meraviglia di vederli riconquistare le strade delle citta' con la fierezza che li contraddistingue, forse potremmo cominciare a capire che bisogna lasciarli vivere in pace

Pensando agli animali, confesso, mi viene spesso in mente la storia della schiavitu', quando esseri umani ne sottomettevano altri appropriandosi della loro vita in nome di una presunta superiorita'. 

Questa e' la meravigliosa storia che racconta Maurizio Quilici, con la sua consueta capacita' di coniugare sapienza a divulgazione, in "Non togliete la gioia agli animali". 

La prima delle "colpe" che hanno condannato gli animali ad un vita di persecuzioni e sfruttamento, di morti violente ed esistenza di stenti, e' il fatto di essere privi della prima caratteristica umana, la parola. "

"Cio' che distingue l'uomo dagli animali - scrive Quilici - e' la parola non il linguaggio. E certamente l'assenza di un linguaggio fondato sulla parola non significa essenza di sentimenti ed emozioni". 

Che gli animali comunichino e non soltanto fra di loro si e' iniziato a capire solo verso la meta' del secolo scorso con certezza, e nel frattempo l'essersi distinti in modo eroico in guerra, nell'assistenza, l'essersi sacrificati con la vivisezione praticata senza pieta' da vivi per il bene della scienza, non li ha aiutati a salvarsi dalla crudelta' umana.

Leonardo, ci rammenta l'autore, che per altro era vegetariano, fu tra i pochi a comprendere la sensibilta' degli esseri viventi diversi dall'uomo e a dipingerli spesso nei suoi quadri

Del resto nemmeno San Francesco era esente dal condannare a volte quegli animali che pure rispettava come esseri viventi dopo secoli in cui la morale cattolica li aveva accomunati spesso ad esseri diabolici che per questo avevano meritato processo e condanna consumata nei modi piu' atroci come il rogo. 

Questa e' la storia insomma di un'umanita' insensibile, egoista ed incivile, che ha messo se stessa al primo posto su un pianeta popolato da un numero infinito di specie viventi piegate ai suoi momentanei bisogni, che fossero nutritivi, evolutivi o semplicemente ludici. 

Questo potrebbe essere il momento di una svolta che prima di tutto deve essere filosofica e culturale perche' da Aristotele a Cartesio a Rousseau ed oltre poche sono state le eccezioni che hanno visto gli animali conquistare il posto che gli compete nella storia del pensiero umano.

E il libro appunto non potrebbe non concludersi con l'oggi, con quella pandemia di Covid-19 che proprio dagli animali selvatici catturati nel loro habitat naturale violato e venduti vivi nei mercati sembra aver avuto origine. 

Non bastano le statue nelle piazze per celebrare l'eroismo che gli animali dimostrano da millenni serve, spiega Quilici, quel rispetto "senza estremismi" che ci aiutera' a consegnare un pianeta ancora vivo ai nostri nipoti, anche se fosse meno "umano" nel senso che fino ad oggi abbiamo dato a questa parola.




19/04/21

SuperLega: La bellissima lettera di Gary Neville, storica bandiera del Manchester UTD - "Sono disgustato".




In merito alla notizia di queste ore, della formazione di una SuperLega o Super-League di Calcio europeo destinato esclusivamente ai club "Paperoni", cioè milionari, ecco il bellissimo, storico il commento di Gary Neville, grande difensore e storica bandiera del Manchester UTD rilasciato a Sky Sports UK:

"Sono un tifoso del Manchester United da 40 anni ma sono disgustato. E sono disgustato in particolare dal mio Manchester United e dal Liverpool. Voglio dire, il Liverpool è il club del “You’ll Never Walk Alone”, il “Fans Club” o il “The People’s Club”, e poi il Manchester United, creato da gente nata e cresciuta attorno a Old Trafford più di 100 anni fa, e vogliono entrare in un torneo senza competizione, dal quale non puoi essere retrocesso. È una vergogna.
Dobbiamo rivedere il potere calcistico in questo paese, partendo dai club che dominano e comandano la Premier League, incluso il mio club, il Manchester United. Quello che stiamo vedendo è semplice avidità, nient’altro. I proprietari dello United, del Liverpool, del City o del Chelsea sono degli impostori, non hanno niente a che vedere con il calcio in Inghilterra. Questo paese ha più di 150 anni di storia calcisticamente parlando, a partire dai tifosi di questi club che per decadi hanno tifato e supportato la loro squadra in qualsiasi situazione. E sono loro che vanno protetti.
Io devo tantissimo al calcio. Ci ho guadagnato e ci guadagno ancora soldi, come anche ne ho investiti e continuo ad investirne, quindi non sono contro i soldi che girano nel calcio ma tengo tantissimo ai principi e l’etica di questo sport. Se il Leicester vince la Premier League, è giusto che vada in Champions. Questo è un esempio, ma è come dovrebbe funzionare, non che squadre come Tottenham, United o Arsenal che in Champions League nemmeno ci sono, possano partecipare a una competizione elitaria.
Se annunciano che un pre contratto o un pre accordo è stato firmato, punite quei club. Toglieteli punti, multateli, toglietegli i titoli che hanno vinto. Date la Premier League al Fulham o al Burnley. Oppure salvate il Fulham e fate retrocedere Manchester United, Liverpool e Arsenal che sono le tre squadre più storiche e hanno tradito i loro stessi tifosi.
Ne hanno tutti abbastanza, il tempo è finito. Ci vuole una commissione esterna che valuti questi proprietari e riporti ordine".

18/04/21

Poesia della Domenica - "Forse mi dimenticherai" di Allan Riger-Brown




Forse mi dimenticherai.

Lo scorrere del tempo ti aiuterà:
altri sguardi, altri sorrisi
desteranno un sussulto nel tuo cuore.
Un altro sole ti scalderà.
Altre piogge, altre lacrime bagneranno il tuo volto.
Altre brezze si confonderanno
con i tuoi sospiri
ed io non sarò più per te che un nome, un’ombra.
O forse un giorno,
quando cercando te stessa
avrai ancora affondato le mani nella vita,
quando sarai finalmente convinta
che chi sei è dentro di te,
non fuori, non nei corpi più belli,
non nei paesaggi profumi sapori più splendidi,
ma dentro di te,
forse allora mi ricorderai
e saprai che ciò che vedesti specchiato nei miei occhi
fu quel luogo recondito.
Ciò che svelammo un attimo insieme
fu noi stessi.
E fu il sussulto più dolce, più vero.

Allan Riger-Brown

17/04/21

Elsa Morante: Esce in libreria la attesissima biografia scritta da De Ceccatty: "Una vita per la Letteratura"




«La vita privata di uno scrittore è pettegolezzo; e i pettegolezzi, chiunque riguardino, mi offendono»: così Elsa Morante in un’intervista concessa a Enzo Siciliano nel 1972.

Una lapidaria affermazione, che René de Ceccatty - nato a Tunisi nel 1952, narratore e drammaturgo, è già autore di importanti saggi letterari su Moravia e Pasolini - non manca di citare nelle pagine di questo libro per mostrare quanto sia arduo il compito del biografo se ha come oggetto la vita di una scrittrice che», come scrive Sandra Petrignani nell’introduzione, «ha più di una volta depistato i curiosi, mescolando le acque su fatti e date della propria esistenza».

Ogni esperienza vissuta è, com’è noto, ben poca cosa rispetto alle ambizioni della letteratura, che non possono essere mai ricondotte ai meri fatti di un’esistenza. 

Tuttavia, se la biografia è anch’essa un genere letterario, illuminare l’esistenza di uno scrittore non ha nulla a che fare con il pettegolezzo, ma con quel punto oscuro tra la vita e la forza dell’immaginazione che è il luogo proprio della letteratura.

È quanto fa René de Ceccatty in questo libro quando, senza alcun timore, si avventura nell’infanzia di Elsa Morante per descrivere il suo ambivalente rapporto con la madre e quello complicato con i due padri, i fratelli e la sorella. 

Un’incursione che serve a svelare da quale zona d’ombra sorgerà poi una scrittura che «si insinua nei meandri della passione, del delirio, del terrore imposto o subíto», per celebrare «il trionfo dell’immaginazione» sulla deperibilità e sui compromessi triviali del mondo.

Oppure quando narra, ed è uno dei pregi maggiori di quest’opera, degli amori e delle amicizie della scrittrice. Amori per uomini impossibili, come Luchino Visconti e Bill Morrow, e amicizie grandiose e infime, prima fra tutte quella con Pier Paolo Pasolini, destinata a «spezzarsi nel risentimento e nella vendetta letteraria». 

Elsa Morante. Una vita per la letteratura, recita il titolo di questo libro, traducendo perfettamente il suo contenuto: il racconto della vita di una grande scrittrice, in cui le speranze, gli inganni e le illusioni proprie di ogni esistenza si mutano, nella trasfigurazione letteraria, in una sorgente infinita di narrazione e fascinazione.


16/04/21

Carla Gravina e Gian Maria Volonté: il racconto di un grande amore

 



Carla Gravina, una delle migliori interpreti del cinema e del teatro italiano, giunta alla soglia degli 80 anni, ritiratasi dalle scene completamente dal 1994, racconta in una bellissima intervista a Maria Laura Giovagnini a IO Donna - Il Corriere della Sera ("Sono scomparsa perché volevo vivere") che trovate integralmente qui - la sua grande storia d'amore con Gian Maria Volonté. Pubblico l'estratto dell'intervista perché davvero rappresenta una bella fetta di anni d'oro del nostro cinema e del nostro spettacolo italiano, nel quale la Gravina parla di Volonté che chiama, con un misto di ironia e venerazione, "il mostro". 

Il mostro?

Gian Maria (Gian Maria Volonté, ndr). Un mostro-mostro, che ho amato tanto! Ho ancora qua davanti la foto del primo sguardo… Eravamo a Verona nel 1960, due pischelli che – durante le prove di Romeo e Giulietta – si stanno fissando. Ci siamo tanto amati, tanto detestati, tutto: però abbiamo messo al mondo una bella figlia e ora ho un bel nipote, che magari mi renderà bisnonna. Qui di fronte ho un’altra immagine…


Quale?

Sul palco a Vienna (ci applaudirono per 45 minuti!) dopo Le baruffe chiozzotte di Giorgio Strehler. Un incontro fondamentale, un maestro. Io… Insomma, gli piacevo e lui mi piaceva, ma stavo con Gian Maria e figurati se lo tradivo, sono corretta. Corretta e scema: mi ha tradito come un pazzo! E non mi ha neppure aiutato a mantenere la bambina.


Possibile?

Quando gliel’ho chiesto, mi ha ribattuto: «No». «”No” non è una risposta. Non importa: ce la farò». E ce l’ho fatta. Avrei dovuto svergognarlo: «Guardate il compagno Volonté, non si preoccupa della figlia…». In realtà, ce l’aveva con me perché non sono voluta tornare con lui.

Ha opposto il gran rifiuto?

E certo, cavolo! Una sera mi avverte: vado alla S.A.I., il sindacato attori. Ok, allora io esco con gli amici. Siamo al ristorante, una lunga tavolata, e a un certo punto uno mi avverte: «Carla, non ti voltare: nell’altra sala c’è Gian Maria». Mi giro, ovvio: era lì con Mireille Darc. Mano nella mano, occhi negli occhi.


Che colpo.

Ah, ma mi sono vendicata! Quando si sono alzati per uscire – tutti cipcip cipcip – li ho raggiunti fuori, erano davanti alla macchina (mia, peraltro) e si stavano baciando. Pensate al mio cuore! Però in questi casi divento di una freddezza pazzesca: ho fatto il nostro fischio (io e Gian Maria avevamo questo “segnale”). Non dimenticherò mai la faccia di lui quando mi ha visto! Mi sono avvicinata a passi lenti come nel Far West (so diventare sparviera!), ho preso fra le nocche la guancia della fanciulla e l’ho girata come faceva mio padre con me: «Carina, la ragazza…».

Finita così?

Non ancora. È partito per Parigi e quando è tornato – mi ero trasferita in una casina piccola – è venuto, si è messo a piangere. Sapete, gli uomini (e, per di più, attori) sono bravissimi. C’è stato un tira molla, però ormai ero troppo ferita… Eppure – parliamoci chiaro – è stato quello che ho amato di più. L’ho amato pazzamente, sennò non avrei mai messo al mondo una figlia a neppure vent’anni con uno sposato, bloccandomi la carriera.

“Bloccandola”?

L’ho pagata cara: eravamo nel 1961, ti chiudevano le porte, non ti facevano più lavorare. Per giunta, ero “specializzata” in ruoli da ragazzina, come quello di Esterina, scritto su misura per me: Esterina ero io, semplice, ingenua, buona. Ma dopo la storia con Gian Maria, Dino De Laurentiis rompe il contratto settennale e resto senza una lira (avevo uno stipendio, ero ben pagata). Ricevevo lettere di donne che mi insultavano e mi davano della prostituta. Però ne ricevevo altrettante in cui mi ringraziavano: «Carla, il tuo gesto è importante per noi…». Non c’era eroismo, in verità, non c’erano calcoli: ero come mi veniva.



13/04/21

Salvataggio in Extremis per l' "Azzurro Scipioni", sala mitica di Silvano Agosti a Roma






Bnl (gruppo Bnp Paribas), interviene per salvare l'Azzurro Scipioni, storica sala del cinema di qualita' romano

In seguito alle difficolta' subite da tutte le sale cinematografiche italiane, per via della pandemia, Silvano Agosti, regista, sceneggiatore e fondatore del cinema Azzurro Scipioni, aveva considerato inevitabile la chiusura definitiva di questa "cattedrale" del cinema d'autore, che per 40 anni, ha permesso agli artisti di incontrare il proprio pubblico

Per preservare le attività di questo importante luogo culturale, BNL e la Capogruppo BNP Paribas hanno deciso - informa una nota dell'istituto - di intervenire per dare continuita' e nuova linfa al cinema Azzurro Scipioni attraverso una proposta di partnership per un periodo di 5 anni

Questo impegno permettera', dopo una ristrutturazione conservativa dei locali, di rinnovare la sala, darle nuova vita ed aprire nuove prospettive di sviluppo. "BNL e il Gruppo BNP Paribas sono lieti di sostenere la continuita' dell'Azzurro Scipioni, che occupa un posto importante nella vita culturale romana ed e' parte integrante della storia del grande cinema italiano.

 Sono convinto che il futuro della settima arte non sara' scritto senza i cinema. 

Piu' che mai, dobbiamo mostrare loro il nostro sostegno collettivo e tutelare questa parte del patrimonio cinematografico", ha dichiaratpo Jean-Laurent Bonnafe', Amministratore Delegato Gruppo BNP Paribas "BNL e BNP Paribas si propongono di rilanciare e rivalorizzare le attivita' dell'Azzurro Scipioni in continuita' con la filosofia del suo ideatore. 

L'arte cinematografica ha valenza universale, supera i confini e fa dialogare le diverse culture: valori che fanno parte dell'identita' multiculturale ed inclusiva del Gruppo BNP Paribas", ha dichiarato Luigi Abete, Presidente di BNL. 

La proposta - basata sul presupposto che si realizzi la continuita' del rapporto contrattuale di locazione con la proprieta' dell'immobile - punta a sviluppare una partnership che supporti le iniziative del cinema Azzurro Scipioni la cui programmazione e' curata dall'Associazione Culturale L'Immagine, presieduta da Silvano Agosti

Il cinema Azzurro Scipioni nacque nel 1983 da un'idea di Silvano Agosti, regista sceneggiatore e montatore, che lamentava l'impossibilita' per film indipendenti di essere proiettati nelle normali sale cinematografiche. Egli desiderava creare un luogo dedicato ai capolavori senza tempo, al cinema d'autore, alle pellicole recenti e a tutte le sue opere personali. 

In quasi quarant'anni di attivita', l'Azzurro Scipioni ha ospitato i grandi del cinema italiano: Antonioni, Fellini, Monicelli, Scola, Bertolucci, Bellocchio, e ancora Storaro, Piovani. 

Fedele al suo desiderio di far conoscere al pubblico opere di qualita', Agosti ha riportato sulla scena film spariti dalla programmazione, spesso dimenticati

Parallelamente a queste proiezioni, nelle sale del cinema si sono tenute numerosi eventi culturali, come i recital di poesia di primavera o i concerti estemporanei di grandi compositori per il cinema come Ennio Morricone. 

In Europa - nello specifico in Italia con BNL, ma anche in Belgio con BNP Paribas Fortis e in Francia - BNP Paribas ha forti legami con il cinema, che sostiene da oltre 100 anni. 

Il suo impegno si esprime a piu' livelli: finanziamento di film e produttori, aiuti per giovani registi, sostegno alla creazione, innovazione o persino restauro del patrimonio cinematografico. Il Gruppo e' anche uno dei principali partner di 40 diversi festival cinematografici in Europa. 

E dall'inizio della crisi sanitaria, il Gruppo - si legge nella nota - ha sempre cercato di sostenere l'intera industria cinematografica per aiutarla a superare questo periodo particolarmente difficile. Con il Cinema BNL ha un legame da oltre 80 anni durante i quali ha finanziato il settore credendo nel suo valore artistico, sociale ed economico. La Banca e' vicina al mondo cinematografico attraverso diversi strumenti creditizi e agevolativi e ne supporta tutta la filiera: dall'ideazione dei film alle fasi di realizzazione e distribuzione, fino alle innovazioni tecnologiche e alle ristrutturazioni delle sale di proiezione. Un impegno che ha permesso di realizzare in questi anni oltre 5.000 film, molti dei quali hanno fatto la storia del cinema italiano e ricevuto importanti riconoscimenti nazionali ed internazionali. 

12/04/21

Libro del Giorno: "La società senza dolore" di Byung-Chul Han

 


Come scrive Davide Sisto, Byung-Chul Han, " “Il filosofo tedesco più letto nel mondo” (El Pais), “La punta di diamante di una nuova, accessibile filosofia tedesca” (The Guardian), “Uno dei più importanti filosofi contemporanei” (Avvenire), è, senza dubbio, uno dei pensatori attualmente più apprezzati a livello internazionale. 

I suoi libri sono letti e studiati non solo dagli addetti ai lavori nel campo della filosofia, ma in ogni settore disciplinare intento a decifrare con lucidità le caratteristiche del presente. Addirittura, Der Spiegel usa il termine “gratitudine” per l’audacia con cui il filosofo sudcoreano cerca di interpretare quella complessità del reale che, quotidianamente, rischia di sopraffarci e di soffocarci. Il segreto dell’universale entusiasmo nei confronti di Han è riconducibile, soprattutto, alla sua capacità di vestire plausibilmente i panni di un Günther Anders del XXI secolo, quindi di un critico radicale, pessimista e apocalittico delle principali tendenze politiche, sociali, culturali e tecnologiche odierne, adottando però uno stile di scrittura tanto cristallino quanto fascinoso e attraente. "

La conferma arriva dal suo ultimo saggio, La società senza dolore, pubblicato in Italia da Einaudi.

Il mondo contemporaneo, sostiene Byung-Chul Han, nato in Sud Corea e docente di Filosofia a Berlino, è terrorizzato dalla sofferenza. La paura del dolore è cosí pervasiva e diffusa da spingerci a rinunciare persino alla libertà pur di non doverlo affrontare. Il rischio, secondo Han, è chiuderci in una rassicurante finta sicurezza che si trasforma in una gabbia, perché è solo attraverso il dolore che ci si apre al mondo.

E l’attuale pandemia, argomenta il filosofo tedesco-coreano, con la cautela di cui ha ammantato le nostre vite, è sintomo di una condizione che la precede: il rifiuto collettivo della nostra fragilità. 

Una rimozione che dobbiamo imparare a superare. Attingendo ai grandi del pensiero del Novecento, Han ci costringe, con questo saggio cristallino e tagliente come una scheggia di vetro, a mettere in discussione le nostre certezze. 

E nel farlo ci consegna nuovi e piú efficaci strumenti per leggere la realtà e la società che ci circondano.

09/04/21

Egitto straordinaria scoperta: ritrovata la "Città d'oro perduta" risalente a 3.000 anni fa




Un team di egittologi ha riportato alla luce quella che si ritiene essere la piu' grande citta' antica mai rinvenuta in Egitto, rimasta sepolta sotto la sabbia per millenni, una delle scoperte piu' importanti dal dissotterramento della tomba di Tutankhamon, secondo gli esperti

Il famoso egittologo Zahi Hawass ha annunciato la sensazionale scoperta della "citta' d'oro perduta", conosciuta come Aton, vicino a Luxor, sede della Valle dei Re. 

"La missione egiziana guidata da Zahi Hawass ha trovato la citta' che era perduta sotto la sabbia", ha spiegato il team di archeologi

"La citta' ha 3.000 anni, risale al regno di Amenhotep III e continuo' ad essere utilizzata da Tutankhamon e Ay". 

Secondo Betsy Bryan, professore di arte e archeologia egizia presso la Johns Hopkins University, si tratta "della seconda scoperta archeologica piu' importante dalla tomba di Tutankhamon". 

Sono stati riportati alla luce anche oggetti di gioielleria come anelli, vasi di ceramica colorata, amuleti e mattoni di fango recanti i sigilli di Amenhotep III. 

"Molte missioni straniere hanno cercato questa citta' e non l'hanno mai trovata", ha spiegato Hawass, ex ministro delle Antichita' egiziane.

Dopo sette mesi di scavi, sono stati scoperti diversi quartieri della citta', un panificio completo di forni e vasellame, oltre a distretti amministrativi e residenziali.

Amenhotep III eredito' un impero che si estendeva dall'Eufrate al Sudan, sostengono gli archeologi, e mori' intorno al 1354 a.C. Governo' per quasi quattro decenni, un regno noto per la sua opulenza e la grandiosita' dei suoi monumenti, tra cui i Colossi di Memnon, due enormi statue di pietra vicino a Luxor che rappresentano lui e la moglie. 

"Gli strati archeologici sono rimasti intatti per migliaia di anni, lasciati dagli antichi residenti come se fosse ieri", ha affermato ancora il team. La citta' "ci fornira' uno sguardo raro sulla vita degli antichi egizi nel momento in cui l'impero era al suo massimo splendore", ha affermato ancora Bryan. Il team si e' infine ha detto ottimista sul fatto che ulteriori importanti reperti sarebbero emersi, notando di aver scoperto gruppi di tombe raggiunte attraverso scale scavate nella roccia", una costruzione simile a quelle trovate nella Valle dei Re. 

"La missione prevede di scoprire tombe incontaminate piene di tesori", ha concluso il team di archeologi.

08/04/21

Spunta a Madrid un possibile Caravaggio perduto - stava per andare all'asta per 1500 euro

 

L'Ecce Homo che doveva andare in asta a Madrid, bloccato perché forse di Caravaggio

Il ministro della Cultura spagnolo, Jose' Manuel Rodríguez Uribes, ha confermato su Twitter che un quadro su quale sono state avanzate ipotesi di una possibile attribuzione a Caravaggio è stato dichiarato non esportabile. 

"Il quadro e' di valore", ha detto Uribe ai media iberici, "siamo stati rapidi". Si tratta del dipinto "La Coronación de espinas", attribuito al circolo di Jose' de Ribera (secolo XVII), ritirato dall'asta della Casa Ansorena. 

La presenza dell'opera era prevista in una vendita in programma per oggi alle 18 a Madrid, con una base d'asta di 1.500 euro

Fonti ministeriali spiegano che serve "uno studio tecnico e scientifico approfondito" per valutare se il dipinto messo all'asta a Madrid e poi ritirato e' davvero un'opera originale di Caravaggio

Le stesse fonti hanno spiegato che il ministero della cultura e' stato avvertito martedi' dal Museo del Prado dell'esistenza del quadro, messo all'asta dalla Casa Ansorena a un prezzo base di 1.500 euro. 

A questo punto, e' stata convocata una riunione d'urgenza della Giunta di qualificazione, valutazione ed esportazione dei beni del patrimonio storico spagnolo, tenutasi mercoledi'. 

Da qui, la decisione di dichiarare il dipinto non esportabile come "misura cautelare". 

Il ministero ha chiesto alla Comunita' Autonoma di Madrid di dichiarare il quadro come Bene d'Interesse Culturale, una misura che permetterebbe di proteggere l'opera mentre viene analizzata. L'amministrazione regionale non ha ancora risposto a una richiesta di informazioni a riguardo. 

Fonte ANSA 

06/04/21

Wim Wenders: "Neanche la nostalgia è più quella di una volta"

 


Wim Wenders - "Neanche la nostalgia è più quella di una volta" 

di Matteo Persivale

fonte: Corriere della Sera, Venerdì 4 dicembre 2015


"Oggi, dopo la rivoluzione della tv, della pubblicità e infine del digitale," ammette Wenders, "puoi ancora avere fiducia nelle immagini. Ma le immagini hanno bisogno di un po' d'aiuto... Helmut Newton - una volta fece il mio ritratto: che uomo interessante, che uomo ossessionato! - diceva già vent'anni fa che ci sono troppe immagini intorno a noi. Aveva intravisto i primi segnali di quello che ci circonda oggi. Le immagini che si dissolvono nei loro stessi atomi."  

"Da bambino credevo che del cinema ci si potesse fidare: i western, cowboy e indiani. Da ragazzo poi, mi sembrava che nel cinema ci fossero, in modo assoluto, verità e bellezza: i film di Bergman, di Fellini... Negli anni '70 però le immagini smisero di raccontarci il 100% di una storia. Pensavo che avrei fatto l'artista. Poi capii che le immagini, le parole, la musica - quello strano triumvirato - potevano ricostruire la verità e la bellezza che andavo cercando. Sono diventato regista per capire come mai il nostro sguardo non ci racconta tutto quello che vorremmo sapere."

Wenders non si rassegna e da giovane settantenne ha "ricominciato da zero con il 3-D, la tecnologia con la quale ha raccontato in "Pina" l'arte della coreografa Pina Bausch."

Liquida Quentin Tarantino così: "Dice che smetterà di fare film quando smetteranno di produrre pellicole perché disprezza il digitale, ma è già una discussione obsoleta. A non essere obsoleta è la questione del 3-D: quando serve a rappresentare la realtà e quando serve solo per gli effetti speciali? No, neanche la nostalgia è più quella di una volta.


05/04/21

Una Pasquetta a Roma di tanti anni fa - 1944: Il Gobbo del Quarticciolo, eroe e bandito tra realtà e leggenda

 


Il quartiere Alessandrino, alla estrema periferia est di Roma, che prende il nome dall’acquedotto fatto costruire dall’imperatore Alessandro Severo,  si è sviluppato a partire da un nucleo originario conosciuto come Quarticciolo, una borgata costruita al quarto miglio della Via Prenestina, proprio lì dove sorgeva una grande tenuta agricola di proprietà della famiglia Santini, durante gli anni trenta e quaranta del Novecento, per accogliervi soprattutto gli immigrati del sud d’Italia che in quel periodo venivano a cercare lavoro a Roma e gli sfollati delle zone del centro città interessati dai vari sventramenti urbanistici che furono attuati durante il Ventennio per la realizzazione delle vie imperiali.

Il Quarticciolo fu realizzato con criteri di architettura razionalista – gli stessi utilizzati per l’edificazione delle nuove città dell’Agro pontino – con vie lineari, edifici a quadrilateri compresi in giardini, la piazza rettangolare, con la chiesa, polo di attrazione del complesso.

Questa stessa struttura si può vedere ancora oggi, nonostante i grossi cambiamenti esteriori ed un certo degrado, causato dallo sviluppo della metropoli e dalla urbanizzazione massiccia della zona.

Il Quarticciolo, negli anni della occupazione nazista, della resistenza romana e del dopoguerra, ospitò una delle figure più note e controverse della storia recente della città: quella di Giuseppe Albano, un partigiano nato in provincia di Reggio Calabria, giunto a Roma con la sua famiglia all’età di dieci anni, nel 1936, divenuto noto per tutti con il soprannome di Gobbo del Quarticciolo:  a capo di una banda di piccoli malfattori, a partire dagli anni Quaranta, Giuseppe Albano si rese protagonista di una serie di episodi e imprese che lo fecero identificare, agli occhi della popolazione di allora, come una sorta di Robin Hood, le cui finalità erano quelle in primis di combattere gli odiati invasori tedeschi e poi quella di punire gli italiani che approfittando della situazione avevano, in tempo di guerra, malversato i loro concittadini, con il mercato nero e l’usura.

Le avventure di Giuseppe Albano e della sua banda divennero così note in quegli anni che anni dopo, nel 1960, il regista Carlo Lizzani, recentemente scomparso, pensò bene di realizzarvi un film, cui prese parte, tra i vari protagonisti, anche Pier Paolo Pasolini.

Il Quarticciolo, con le sue vie nascoste, con i suoi sentieri che sbucavano nell’aperta campagna, divenne per Albano, una sorta di Quartier Generale. All’età di sedici anni cominciò a mostrare le sue doti di coraggio nelle lotte partigiane che si svolsero dopo l’8 settembre nella zona di Porta San Paolo.

Seguirono numerose azioni di sabotaggio ai danni delle truppe naziste compiute insieme ad una piccola banda, che rispondeva principalmente agli ordini di un altro partigiano, Franco Napoli, detto Felice Se Napoli era la mente, Albano era però il braccio: in breve tempo tutta Roma cominciò a parlare delle sue imprese, che rinfrancavano il popolo soggiogato dalla occupazione tedesca.  Riusciva sempre a farla franca, dopo ogni azione di sabotaggio, durante la quale veniva ucciso uno o più soldati nemici, o veniva fatta saltare in aria una garitta o un mezzo blindato.   Albano appariva e scompariva senza lasciare traccia, nonostante la sua evidente malformazione dovesse rendergli più facile l’essere identificato dai nemici.  Eppure l’efficiente polizia tedesca non riusciva a catturarlo.  I primi mesi del 1944 registrarono una vera e propria escalation di azioni della banda del Gobbo del Quarticciolo. Centocelle e Quarticciolo, le borgate dove Albano e i suoi si nascondevano, divennero zona off-limits da parte dei nazisti che avevano timore ad entrarvi per la paura di imboscate.  Fu perfino emanato un ordine di arresto che riguardava tutti i gobbi di Roma.  E lo stesso Albano fu preso, al seguito di un sanguinoso episodio accaduto il lunedì di Pasqua del 1944, quando in una osteria del Quadraro furono uccisi a sangue freddo tre soldati tedeschi.  Herbert Kappler, al comando delle truppe di occupazione, decise che si era passato il segno e fece rastrellare Quadraro e Quarticciolo.  Albano fu preso tra gli altri, ma incredibilmente riuscì a farla franca anche stavolta, e poco dopo fu liberato.

Terminata la guerra,  Albano non rinunciò al suo ruolo di vendicatore. Con l’arrivo degli alleati, il Gobbo fu assoldato dalla questura per rintracciare i responsabili delle torture di Via Tasso. Albano andò oltre il compito che gli era stato assegnato, mettendosi personalmente alla ricerca di tutti quelli che si erano resi colpevoli, negli anni dell’occupazione di usura e borsa nera. 

Per mettere fine alle scorribande del Gobbo fu organizzata una vera e propria operazione militare che riguardò il Quarticciolo. Albano riuscì in un primo momento a fuggire,  ma poco tempo dopo, il 16 gennaio del 1945, fu rintracciato e ucciso in una casa del quartiere Prati, in Via Fornovo 12, dopo uno scontro a fuoco con i carabinieri.  Albano non aveva ancora compiuto vent’anni.

Le circostanze della sua morte non furono mai chiarite del tutto: sono state ipotizzate trame più o meno oscure e soprattutto un regolamento di conti tra diverse bande di partigiani, una delle quali sarebbe stata strumentalizzata dai servizi segreti di allora, per creare destabilizzazione e favorire il ritorno della  monarchia.

Resta il fatto che dopo la morte del Gobbo, anche il resto della banda fu presto sgominato con un’altra operazione militare concentrata nel Quarticciolo, casa per casa.

Oggi, di tutto questo nel quartiere rimane ben poca cosa. Ma la fama del Gobbo del Quarticciolo è ancora ben viva nell’immaginario popolare.

04/04/21

Pasqua insolita a Roma: Parlando di Resurrezione, la visita alle incredibili cripte dei Cappuccini in Via Veneto

 


Una visita a Roma nei giorni di Pasqua, può riservare molte sorprese

Ne è un esempio la cosiddetta Chiesa dei Cappuccini in Via Veneto – il cui nome esatto è in realtà Santa Maria dell’Immacolata - celebre soprattutto per l’antico cimitero nel sotterraneo dell’edificio: la cripta,  le cui cinque cappelle sono interamente ricoperte e decorate con parti di scheletri – omeri, femori, vertebre, teschi, scapole, clavicole -  appartenenti a frati cappuccini che vissero per secoli nell’adiacente convento: più di quattromila scheletri formano una fantasmagorica e lugubre scenografia che serviva come memento mori, come ammonimento riguardo alla caducità della vita terrena.

Oggi alle cripte si accede attraverso un modernissimo e funzionale Museo dedicato alla confraternita dei Cappuccini (adiacente alla Chiesa), molto interessante, che ricostruisce la storia dell’Ordine attraverso i suoi personaggi, le curiosità, i luoghi e  gli strumenti della predicazione, sull’esempio del Santo assisiano.

Noi eravamo quello che voi siete e quello che noi siamo voi sarete, ammonisce un cartello all’entrata, piantato direttamente nella terra delle sepolture.

Ma i cappuccini professavano la loro fede nella Resurrezione e l’ultima delle Cappelle è in questo senso, liberatoria, perché si assiste, in una tela, alla raffigurazione del miracolo della resurrezione di Lazzaro. L’intera cripta è quindi un passaggio pasquale, attraverso la morte, nella sua rappresentazione più gotica,   fino alla Resurrezione. E non è un caso che questo luogo nei secoli abbia suscitato l’interesse di illustri e diversi artisti, da Nathaniel Hawthorne e Goethe, fino al Marchese De Sade, che ne rimase fortemente impressionato.
Ma se ancora oggi la Chiesa richiama molti visitatori per questa particolarità,
molti altri sono i motivi di interesse, prima di tutto quella grande tela d’altare nella prima cappella a destra firmata dal genio di Guido Reni e raffigurante San Michele Arcangelo che schiaccia con il piede la testa di Satana. 

Questo dipinto ha una storia molto particolare, che pochi conoscono.  Il bolognese Guido Reni era quel che si dice uno spirito inquieto. Ammirato e ricercatissimo nella Roma di allora, era quello che si potrebbe definire un dandy ante-litteram. Sempre elegante e azzimato, orgoglioso e curioso, si sentiva attratto dal soprannaturale, dalla magia e dall’azzardo. 

Quando nel 1635 ricevette da Antonio Barberini, che era il fratello del Papa di allora – Urbano VIII, al secolo Maffeo Vincenzo Barberini – l’incarico di realizzare una grande pala d’altare per la Chiesa dell’Ordine al quale lo stesso Antonio apparteneva, Guido Reni pensò bene di prendersi una rivincita, a modo suo, nei confronti di uno dei personaggi più influenti della Capitale, quel Giovanni Battista Pamphilj, destinato a diventare qualche anno più tardi anch’esso Papa, succedendo ad Urbano VIII con il nome di Innocenzo X.

Barberini e Pamphilj si contendevano la scena a Roma, in quel periodo. Erano le due famiglie più facoltose, le più potenti, quelle che con più numeri ambivano alla elezione del Pontefice. 

Guido Reni era dalla parte dei Barberini. Anche per motivi personali che gli avevano reso inviso Giovanni Battista Pamphilj, brillante avvocato di curia. Non si conosce bene il motivo di questa antipatia: se si trattò di un affronto personale,  di una maldicenza o  di un danno alla reputazione del pittore.  Forse per vendicarsi di qualche torto subito, Guido Reni ritrasse nella tela della Chiesa dei Cappuccini la testa del demonio schiacciata dall’Arcangelo con i lineamenti di Giovanni Battista Pamphilj: lo stesso viso allungato, la fronte stempiata e quel pizzetto che lo rendevano un ottimo soggetto per la rappresentazione del Diavolo..

Quel che è certo è che sin da quando il quadro fu esposto, la somiglianza parve a molti innegabile.  E lo stesso Giovanni Battista, all’epoca Cardinale, ne rimase scandalizzato, chiedendo anche per vie diplomatiche che si provvedesse a nasconderlo.  Ma quella Chiesa era territorio dei Barberini e nonostante le rimostranze, furono creduti i motivi di discolpa dell’artista il quale si giustificò dicendo che si era semplicemente ispirato all’immagine del Demonio che più volte aveva segnato, nel corso dei suoi incubi notturni..

Dunque il quadro non fu mai spostato. Anche se i motivi di imbarazzo crebbero ulteriormente qualche anno più tardi quando Giovanni Battista divenne addirittura Papa. 

E qualche voce maligna, nella Roma di allora, si affrettò a constatare che “anche se in quella città si era visto di tutto, dall’epoca di Romolo e poi di Nerone, non s’era mai visto un Papa assomigliare così tanto ad un Demonio!”


Fabrizio Falconi - riproduzione riservata 2021 




03/04/21

Ufo: Entro il 1 giugno il Governo degli Stati Uniti rilascerà un rapporto declassificato, molto più dettagliato dei precedenti


Il governo degli Stati Uniti prevede di rilasciare un rapporto declassificato sugli avvistamenti Ufo. E sarà molto più dettagliato rispetto a quelli passati.

Il 19 marzo l’ex direttore dell’intelligence nazionale John Ratcliffe, ha annunciato a Maria Bartiromo – conduttrice di Fox News – che «ci sono molti più avvistamenti di quelli che sono stati resi pubblici», spiegando che avrebbe voluto che le informazioni fossero declassificate e rese pubbliche prima di lasciare l’incarico, ma che non è stato possibile in quel breve lasso di tempo.

Ratcliffe spiega anche che «alcuni di questi sono stati declassificati. E quando parliamo di avvistamenti, parliamo di oggetti che sono stati visti da piloti della Marina o dell’Air Force, o che sono stati raccolti da immagini satellitari, che francamente si impegnano in azioni difficili da spiegare. Movimenti difficili da replicare, per i quali non abbiamo la tecnologia. O viaggiano a velocità che superano la barriera del suono senza un boom sonico».

I commenti del funzionario dell’intelligence arrivano quasi un anno dopo che il Pentagono ha pubblicato tre video di «fenomeni aerei non identificati», in cui le telecamere degli aerei della US Navy mostrano oggetti che si muovono a velocità inspiegabili, lasciando confusi i piloti.



In risposta ai video del Pentagono, l’ex senatore Harry Reid (D-Nev.) che ha spinto per indagini sugli avvistamenti di Ufo, ha scritto su Twitter che i video «[graffiano, ndr] solo la superficie» di ciò che è noto al governo federale. «Sono contento che il Pentagono stia finalmente rilasciando questo filmato, ma graffia solo la superficie della ricerca e dei materiali disponibili. Gli Stati Uniti devono dare uno sguardo serio e scientifico a questo e alle potenziali implicazioni per la sicurezza nazionale. Il popolo americano merita di essere informato».

Ratcliffe continua: «Quando parliamo di avvistamenti, l’altra cosa che ti dirò è che non è solo un pilota o un satellite, o una raccolta di informazioni. Di solito abbiamo più sensori che rilevano queste cose, e quindi ancora una volta alcuni di questi sono fenomeni inspiegabili, e in realtà ce ne sono molti altri che sono stati resi pubblici».

Ratcliffe ha aggiunto che gli osservatori cercano di trovare spiegazioni scientifiche per ciò che osservano, ma a volte questo va oltre quello che è tecnologicamente possibile: «Il tempo può causare disturbi visivi. A volte ci chiedevamo se i nostri avversari disponessero o meno di tecnologie un po’ più avanti di quanto pensassimo o di cui ci rendessimo conto. Ma ci sono casi in cui non abbiamo valide spiegazioni per alcune delle cose che abbiamo visto».

Durante l’intervista Bartiromo ha detto al pubblico che il Dipartimento della Difesa rilascerà il rapporto declassificato sugli Ufo entro il 1 giugno. Il finanziamento per il rapporto è stato nascosto nel disegno di legge Covid-19 per aiuti e spese governative da 2.300 miliardi di dollari, in cui esiste una disposizione che richiede alla Task Force Uap (Unidentified Aerial Phenomena) del Pentagono, di rilasciare informazioni declassificate al Comitato di intelligence del Senato sulle loro attuali informazioni relative alle minacce aeree avanzate da Ufo o da «veicoli aerei anomali».

Fonte: Masooma Haq da Epochtimes - qui l'articolo originale


31/03/21

Arriva la biografia di Philip Roth ed è subito polemica

 


"Philip Roth" di Blake Bailey, un volume che Roth aveva immaginato in qualche forma per più di 20 anni, esce il 7 aprile. 

Sempre disposto a provocare o amplificare una discussione, l'autore di "American Pastoral", "Sabbath's Theatre" e altri romanzi aveva pensato a una biografia sin da quando la sua ex moglie, l'attrice Claire Bloom, lo aveva descritto come infedele, crudele e irrazionale nel suo libro di memorie del 1996 "Leaving a Doll's House"

Roth era determinato a far emergere la sua verità, ma voleva che qualcun altro lo facesse

Ha reclutato per primo Andrew Miller, un professore di inglese e nipote del drammaturgo Arthur Miller, ma è diventato così insoddisfatto di quello che credeva fosse l'ambito ristretto di Miller che i due hanno avuto un pesante diverbio

Così, nel 2012, Roth ha puntato su Bailey, concedendogli pieno accesso ai suoi documenti, ai suoi amici e, l'ostacolo più alto, all'autore stesso. Bailey inoltre avrebbe avuto l'ultima parola.

"Philip ha capito qual era l'accordo", ha detto Bailey all'Associated Press, "e per lo più lo ha rispettato".

Nei sei anni successivi, fino alla morte di Roth nel 2018, lui e Bailey sono stati collaboratori, amici e talvolta combattenti. 

Come scrive Bailey nei ringraziamenti del libro, il loro tempo insieme è stato anche "complicato, ma raramente infelice e mai noioso". 

A un certo momento, Roth poteva scherzare o sfogliare allegramente un album di foto di vecchie amiche - ce n'erano molte - e il momento dopo poteva ribollire per i presunti crimini di Bloom. 

L'autore britannico Edmund Gosse una volta definì una biografia come "il ritratto fedele di un'anima nelle sue avventure attraverso la vita"

Il libro di Bailey è più di 800 pagine e avrebbe potuto durare centinaia di più.

Roth ha completato più di 40 libri e ha vissuto molte vite in 85 anni

Bailey assume i ruoli di critico, confessore, psicologo e persino consulente matrimoniale. 

Traccia la vita di Roth dalla sua infanzia stabile ma inibitoria della classe media a Newark, nel New Jersey, agli anni adulti di disciplina letteraria e libertà personali, e ai suoi ultimi anni di pensionamento autoimposto. 

Il "vero" Philip Roth è stato una ricerca per innumerevoli critici - e lo stesso autore - sin dal suo bestseller "Portnoy's Complaint" del 1969 ha lasciato molti lettori a credere che Roth e il suo appassionato narratore fossero la stessa cosa. 

Così era e non era. 

"Mi aspettavo battute insipide, oscenità e così via", dice Bailey del tempo passato con Roth. "Ciò che mi ha sorpreso è stata l'essenziale benevolenza dell'uomo.

Poche biografie letterarie sono state così attese. Il libro di Bailey è un punto d'incontro tra uno degli autori più tempestosi e dibattuti del mondo e uno dei suoi biografi più celebri, le cui opere su John Cheever e Richard Yates sono state presentate come modelli di prosa elegante, critica incisiva, ricerca approfondita e un disponibilità ad affrontare il peggio nei suoi sudditi senza condannarli. 

"Pensavo che Blake avesse fatto un lavoro brillante, incredibilmente completo, intelligente e amorevole con mio padre", ha detto in una recente e-mail all'Associated Press Susan Cheever, la figlia di John Cheever. "La biografia è una strada difficile, tutti gli adattamenti del contesto e del personaggio, ma ho pensato che avesse bilanciato tutto perfettamente e penso che sia un segno del genio di Philip che abbia scelto anche Blake."

La maggior parte delle prime recensioni, da Kirkus a The Atlantic, sono state positive. Claire Bowden, scrivendo su The Sunday Times, ha elogiato Bailey per aver documentato la lotta di Roth "per essere visto come un romanziere serio e non un demone del sesso, che combatte le sue ex mogli, i critici e il suo corpo fallimentare". 

David Remnick del New Yorker, che ha conosciuto Roth, ha elogiato Bailey come "industrioso, rigoroso e senza scrupoli". 

Altri erano più critici. 

Parul Seghal del New York Times ha trovato Bailey più interessato al pettegolezzo che alla letteratura e ha definito il libro "un'apologia tentacolare per il modo in cui Roth ha trattato le donne, dentro e fuori dalla pagina". 

Anche Laura Marsh di The New Republic ha trovato Bailey troppo indulgente nei confronti dei vizi di Roth, dai suoi rapporti con le donne al suo risentimento contro i critici, e ha concluso che il risultato "non è una vittoria finale della discussione, come Roth avrebbe potuto sperare". 

Bailey dice che il suo scopo era quello di seguire il motto di Roth come autore - di "far entrare il repellente" e riconoscerlo come un "essere umano complicato e disordinato". 

È probabile che il biografo saluti "Pastorale americana" quanto biasimare opere minori come "Il grande romanzo americano" e "L'umiltà". 

Nel libro di memorie di Roth "The Facts", il suo alter ego immaginario Nathan Zuckerman lo ha rimproverato definendolo "il meno completamente interpretato di tutti i tuoi protagonisti". 

Bailey non è mai stato meno che affascinato, anche quando è atterrito. Roth "non aveva un solo osso monogamo nel suo corpo", disse, poteva serbare rancore come se fossero cimeli di famiglia ed era spesso fatalmente fuorviante nel suo giudizio sulle persone.

Ma c'era un lato di Philip che era del tutto ammirevole. Aveva una vena gigante di pietà filiale verso (Saul) Bellow e (Alfred) Kazin e vari scrittori che ammirava", ha aggiunto Bailey. "Se un amico di Philip fosse stato in difficoltà, lui si sarebbe messo al telefono e avrebbe iniziato a organizzare il supporto, assicurandosi che il suo amico potesse pagare le spese mediche".

"Era un uomo adorabile in molti modi." 

I bambini raramente crescono sognando di diventare un biografo letterario, e Bailey, nativo di Oklahoma City e laureato alla Tulane University, sperava per la prima volta di scrivere narrativa.

Ha completato una manciata di romanzi, tra cui uno intitolato "Bourbon In the Bathtub", ma alla fine si è reso conto che era più a suo agio nello scrivere saggistica e nel lasciarsi fuori dalla storia. Le sue ispirazioni includono il biografo britannico Lytton Strachey, che secondo Bailey considera l'umanità "ridicola, ma anche commovente". 

Le biografie di soggetti viventi _ almeno viventi all'inizio del progetto _ hanno una storia lunga e travagliata. 

Possono andare dalle valutazioni non autorizzate di Kitty Kelly di Frank Sinatra e Nancy Reagan a innumerevoli agiografie in cui il soggetto ha l'ultima parola sul manoscritto. 

Bailey ha contattato Roth su suggerimento di James Atlas, il cui libro su Bellow è spesso citato come un avvertimento che i biografi potrebbero arrivare a non amare i loro soggetti. 

 Alla domanda se la morte di Roth lo facesse sentire più libero di scrivere a suo piacimento, Bailey ha risposto che Roth "sapeva che il peggio (su di lui) stava arrivando" nel libro, citando le feroci molestie di Roth nei confronti di un amico della figlia di Bloom e la sua relazione extraconiugale con una donna identificato come "Inga"

Bailey ha ricordato un incontro con Roth pochi mesi prima della sua morte, nell'appartamento dell'autore a Manhattan. Roth era esausto, riusciva a malapena a stare in piedi, ed era arrabbiato. 

"Continuavo a fargli domande a cui non voleva rispondere." Non è nel mio interesse rispondere a queste domande, quindi devi cambiare argomento "," Bailey ricorda di aver detto Roth. "E nel bel mezzo di questo, ha detto, 'Sai, questo è il meglio che ho sentito da settimane, tu (imprecazione)'! E scoppiò a ridere."

30/03/21

Il pozzo segreto e il "Mikwe" di Via dell'Atleta a Trastevere

 


Il pozzo segreto e il Mikwe di Via dell’Atleta.


Nel cuore di Trastevere  fu ritrovata ai primi del secolo, durante scavi occasionali, una delle più pregevoli statue dell’antichità. Il cosiddetto Apoxyómenos, l’Atleta che si deterge il sudore, fu infatti rinvenuto nel piccolo Vicolo delle palme, che proprio a causa di quel ritrovamento e a partire da allora prese poi il nome di Vicolo dell'atleta. Unitamente alla statua furono ritrovate anche le statue del Toro frammentario e il Cavallo di bronzo.

L'Atleta che si deterge il sudore è la più famosa copia romana (in marmo pentelico proveniente dall’Attica e attribuibile all'Età Claudia) di un'opera di Lisippo e ritrae un atleta che si pulisce con l'aiuto dello strigile, il raschietto in bronzo che in epoca romana serviva a cospargersi di olio o a detergere la pelle.

Questa magnifica scultura abbelliva un tempo le Terme di Agrippa in Roma, ma non è l’unico segreto custodito da questa minuscola via di Trastevere.

A Via dell’Atleta, infatti – nei sotterranei di quello che è oggi un frequentato ristorante -   si trovano i resti  di una delle più antiche sinagoghe della capitale, forse addirittura la più antica in assoluto, eccezion fatta per quella di Ostia Antica, come è confermato dalla iscrizione in ebraico rinvenuta in una loggetta di questo edificio medievale. 

Nel sottosuolo del locale si trovano le strutture ancora perfettamente integre di un Mikwe, il bagno rituale, la vasca purificatrice, atto fondante di ogni comunità ebraica, confermato anche dalla presenza dell’acqua. Al di sotto dell’edificio infatti scorre un fiume sotterraneo e un antico e profondo pozzo segreto, protetto da una robusta grata in ferro battuto, mostra l’acqua, la stessa acqua che alimentava molti secoli fa – almeno dall’epoca medievale - il Mikwe.

Come si sa, a Roma gli ebrei vivono da oltre venti secoli (la Comunità ebraica romana è la più antica d’Europa), e la prima zona nella quale si insediarono fu proprio il Trans Tiberim, il futuro Trastevere, zona di porto e di commerci.  

Il Ponte Fabricio, che collega Trastevere al quartiere Regola, dall’altra parte del fiume, era chiamato Pons Judaeorum, il ponte degli ebrei.

E la zona con il Mikwe di Via dell’Atleta era frequentata da filosofi, cabalisti, poeti, oltre che da commercianti, prima della istituzione del Ghetto, nell’XI secolo d.C., che fu realizzato invece proprio nel quartiere della Regola, sull’altra sponda del fiume, dove oggi sorge la grande Sinagoga o  Tempio Maggiore che ospita anche il prezioso archivio storico della Comunità.


Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e Segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, Roma, 2013-2017