24/01/20

Cranio misterioso a Roma: potrebbe essere di Plinio il Vecchio


E' avvincente come un giallo la storia che, un indizio dopo l'altro, indica che potrebbe essere di Plinio il Vecchio il misterioso cranio conservato nel museo dell'Accademia di Arte Sanitaria di Roma. 

"Finora non abbiamo reliquie di grandi personaggi dell'antica Roma, il cranio potrebbe essere la prima", ha detto il giornalista e storico dell'arte Andrea Cionci, che ha promosso e coordinato due anni di ricerche grazie a donazioni private e alla collaborazione di esperti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e delle universita' Sapienza di Roma, di Firenze e di Macerata.

"Le probabilita' che sia il cranio di Plinio il Vecchio sono molto molto alte, anche se in archeologia non ci sono mai certezze assolute", ha rilevato Cionci, che a Roma ha presentato i nuovi dati nel convegno sui 100 anni dell' Accademia. 

L'unica certezza, ha aggiunto, e' che "dagli studi condotti finora non e' emerso nulla che possa contraddire l'attribuzione a Plinio"

 L'indagine e' stata suggerita a Cionci dagli elementi riportati nel libro di Flavio Russo "79 d.C., Rotta su Pompei", edito dallo Stato Maggiore della Difesa. 

I primi esami, eseguiti da Mauro Brilli, dell'Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Cnr (Cnr-Igag), sono stati quelli relativi agli atomi radioattivi, che restano imprigionati e cristallizzati nello smalto dei denti permanenti non appena questi compaiono: sono indicatori importanti perché gli elementi cui appartengono e le loro quantita' variano a seconda delle zone geografiche. "I risultati sono stati incoraggianti - ha detto Cionci - perche' indicavano un soggetto vissuto in alcune zone dell'Appennino centrale e della Pianura Padana, compresa la citta' natale di Plinio il Vecchio, Como".

Un po' di delusione e' arrivata dopo gli esami condotti da Roberto Cameriere, dell'Universita' di Macerata, che indicavano che il cranio apparteneva a un individuo di 37 anni, mentre Plinio ne aveva 56 al momento della morte. 

Tuttavia molto presto gli esami antropologici hanno indicato alcune differenze fra calotta cranica e mandibola. Sulla base di questo nuovo indizio sono entrati in campo i genetisti: analizzando il Dna esterno al nucleo e che si eredita solo per via materna (Dna mitocondriale), David Caramelli dell'Universita' di Firenze e Teresa Rinaldi dell'Universita' Sapienza hanno scoperto che mandibola e calotta cranica appartenevano a due individui diversi. 

Si e' superato cosi' anche il problema dell'eta': la mandibola apparteneva a un individuo di 37 anni forse di origine africana ma nato in Italia, mentre la calotta cranica a un uomo all'incirca dell'eta' di Plinio il Vecchio. 

"Una pura ipotesi - ha detto Cionci - potrebbe essere che l'individuo piu' giovane fosse uno degli schiavi che avevano sorretto Plinio il Vecchio al momento della morte". 

Ulteriori dettagli, come la posizione in cui era stato trovato lo scheletro e gli ornamenti militari d'oro che aveva indosso lo scheletro stringono ulteriormente il cerchio intorno all'identita' del cranio. La ricerca, in via di pubblicazione da parte dell'Accademia, e' stata possibile grazie al finanziamento di cittadini privati: "hanno fatto delle donazioni attraverso la onlus dell'Accademia, che si trova in uno stato di poverta' assoluta, nonostante gli straordinali reperti che conserva". 

Fonte Enrica Battifoglia per ANSA

23/01/20

La sopravvalutazione - tutta italiana - della politica




In questo anno in cui si celebrano i 100 anni (dalla morte) di Modigliani, i 100 (dalla nascita) di Fellini, i 500 (dalla morte) di Raffaello Sanzio, i 100 (dalla nascita) di Benedetti Michelangeli, l'Italia preferisce crogiolarsi nella Craxitudine.

Il che conferma quello che ho sempre pensato: che in questo paese c'è da sempre una super-eccessiva importanza data alla politica, che da noi è spesso - e oggi più che mai - farsa, commedia, intrattenimento, chiacchiera becera, operetta. Eppure la politica - specie quella italica - conta molto poco alla fine.

Nella economia di una vita contano o conterebbero molto molto di più le felicità, le ricchezze, le consapevolezze donate alle nostre anime e all'anima complessiva del paese che abitiamo, dagli spiriti illuminati che nei più diversi settori hanno dimostrato cosa può dare e fare l'indole umana creativa.

Invece preferiamo arrotolarci nel piccolo nostro cortile di torti e ragioni, di battaglie perse sugli scranni e vendette o riscatti. Che, dico io, lasceranno flebilissima, impalpabile traccia nella storia collettiva e ancor di più individuale.

Fabrizio Falconi
gennaio 2020 

22/01/20

Roma non è una città come le altre



Roma non è una città come le altre.
3000 anni di storia vivono, come in nessun altro posto del mondo, innervando l’intero tessuto urbano odierno, per una estensione incredibile, da nord a sud, per decine e decine di chilometri, dalla villa di Livia a Prima porta alle estreme propaggini dell’Appia Antica.
Ciascuno delle migliaia di siti archeologico/artistico/storico presente nell’attuale recinto urbano di Roma basterebbe da solo ad alimentare un museo permanente a Vancouver come a Canberra.
Quasi nessuno di quelli che vivono oggi a Roma (che è assai inesatto definire “romani”) hanno la minima consapevolezza di cosa hanno intorno o sotto i piedi quando camminano.
In primis quelli che, indebitamente, occupano gli scranni sul colle del Campidoglio.
Roma è un patrimonio dell’umanità. E ancora prima, un patrimonio delle anime degli uomini della terra.
Il rispetto per Roma vuol dire prima di tutto questo: farsi da parte quando non si è capaci di assicurare la minima decenza a una città come questa.
Poi Roma ha mille e centouno risorse. È sopravvissuta a Vandali, Goti, Lanzichenecchi, Normanni, Napoleonici, Nazisti.
Sopravviverà anche al bivacco dei politicanti da strapazzo, ai mortadellari e ai camorristi che ogni giorno la infestano.
Perché lo spirito di grandezza e del genio dei progenitori che nutrivano gli alti ideali sopravvive a ogni istanza distruttiva.
L’uomo è distruttore, lo Spirito non lo puoi fermare.


Fabrizio Falconi
gennaio 2020

20/01/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 52. Picnic ad Hanging Rock (Picnic at Hanging Rock) di Peter Weir (1975)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 52. Picnic ad Hanging Rock (Picnic at Hanging Rock) di Peter Weir (1975)


Picnic at Hanging Rock è il film che Peter Weir - all'epoca ventinovenne - girò nel 1975, adattandolo all'omonimo romanzo di Joan Lindsay e che alla sua uscita lanciò in orbita il nome del suo autore, e fece scoprire in occidente una cinematografia, quella dell'Oceania, di cui si sapeva pochissimo o niente. 

Un film divenuto un classico, ancora così attuale che di recente una serie televisiva è stata tratta - piuttosto fedelmente - dal film e distribuita con successo in tutto il mondo. 

Weir, sviluppò su una storia semplicissima, con una trama davvero esile, un film elegantissimo, pieno di riferimenti simbolici e di implicazioni nascoste. 

La vicenda è ambientata in Australia nell'anno 1900, in piena epoca vittoriana: le allieve di una scuola privata per ragazze vanno a fare un picnic ai piedi di Hanging Rock, un'enorme formazione rocciosa nello stato di Victoria , un tempo luogo di culto aborigeno. 

Mentre il sole è al suo apice e le ragazze si arrendono al torpore del pomeriggio, quattro di loro si avventurano in uno stretto passaggio roccioso, come irresistibilmente chiamate dalla roccia. 

Fatta eccezione per una ragazza ingenua che scappa, in preda al panico, le altre tre entrano in una cavità e scompaiono, insieme a uno dei loro insegnanti. 

Ricerche e ricerche sono organizzate per trovarle. Solo uno dei tre sarà trovato vivo ma completamente amnesico.

Il film dunque è volutamente enigmatico e incompleto per quanto riguarda la scomparsa delle ragazze e la soluzione del mistero. 

La prima scritta del film è una versione modificata di una frase di Edgar Allan Poe tratta da Un sogno dentro un sogno: " Quello che vediamo o quello che ci proponiamo sono un sogno, un sogno dentro un sogno " . 

Ad un certo punto del film, una delle ragazze recita le prime due righe del poema Casabianca di Felicia Hemans di cui ha dimenticato il resto (questa frase può essere una metafora di ciò che accade alle ragazze): “ Il ragazzo si trovava sul ponte in fiamme; da dove erano fuggiti tutti tranne lui ... " 

Lo stile di Peter Weir - che in seguito lavorò parecchio anche in America e ha diretto un notevole numero di film importanti (basti pensare L'attimo fuggente, Gli anni spezzati, The Truman Show, ecc..) - ha influenzato notevolmente le nuove generazioni. E Picnic resta una pietra miliare. 



19/01/20

Poesia della Domenica: "Era di maggio. Il pomeriggio afoso" di Rabindranath Tagore



Era di maggio. Il pomeriggio afoso
sembrava interminabile. La terra riarsa
si spaccava nel gran caldo, assetata.
Dalla riva del fiume udii una voce
che gridava: "Vieni, tesoro mio".
Chiusi il mio libro e aprii la finestra
per guardare fuori.
Vidi preso il fiume un grande bufalo, coperto di fango,
che guardava in giro con occhi placidi e pazienti;
un ragazzo nell'acqua fino al ginocchio, lo chiamava
per farlo bagnare.
Sorrisi compiacente ed ebbi un senso di dolcezza,
che m'invase il cuore.



Rabindranath Tagore, da Il giardiniere, tratta da Il canto della vita, Guanda Poeti della Fenice, 1989, pag. 39

18/01/20

Sabato d'Arte: "Le coin de table" di Henri Fantin-Latour, 1872


Le Coin de Table (L'angolo del Tavolo) è un celebre dipinto dipinto ad olio di Henri Fantin-Latour , presentato al Salon nel 1872 

Questo dipinto è il terzo di una serie di quattro "ritratti di gruppo": i primi due, Hommage à Delacroix (1864) e Un atelier aux Batignolles (1870), riuniscono i pittori che l'autore ammira; il quarto, Around the Piano (1885), riunisce musicisti.

Il progetto iniziale di Fantin-Latour era di rendere a Baudelaire un tributo simile a quello che aveva fatto a Delacroix in un famoso dipinto nel 1864 

Progettò così di riunire diverse personalità del mondo letterario attorno a un ritratto del poeta di Les Fleurs du Mal, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua nascita (1821-1867). 

Fu il suo amico Edmond Maître ad aiutare Fantin a mettersi in contatto con diversi poeti che frequentarono gli uffici della prefettura della Senna, tra cui Albert Mérat , Paul Verlaine e Arthur Rimbaud

Redattore di Baudelaire, Poulet-Malassis, poi menzionò l'idea di far posare Leconte de Lisle, Théodore de Banville e persino Victor Hugo , tuttavia queste personalità si rifiutarono di posare. 

Ci sono due schizzi di questo dipinto che Fantin-Latour aveva intitolato: Le Repas 

Questo quarto ritratto di gruppo rappresenta quindi i poeti presenti alle Cene dei Vilains Bonshommes (gli autochiamatisi Uomini Cattivi) che Edmond Maître aveva presentato a Fantin.

Si nota l'assenza di Albert Mérat che ha rifiutato di posare con Arthur Rimbaud dopo l'incidente alla cena del 2 marzo 1872 : Rimbaud aveva interrotto una lettura di Jean Aicard e aveva costretto i poeti a portarlo fuori con la forza 

Il gruppo è rappresentato alla fine di un pasto attorno a un tavolo, vediamo: seduto, da sinistra a destra: Paul Verlaine , Arthur Rimbaud , Léon Valade , Ernest d'Hervilly , Camille Pelletan . in piedi, da sinistra a destra: Pierre Elzéar , Émile Blémont , Jean Aicard .

Un vaso pieno di fiori, in primo piano, è il simbolo del poeta assente, Albert Mérat.

In primo piano, possiamo vedere, su una tovaglia bianca sul bordo di un tavolo, una ciotola di frutta, una caraffa piena di vino e un mazzo di fiori a destra, un'altra caraffa quasi vuota a sinistra, piccoli frutti colorati sparsi, una tazza di caffè, un piattino e un cucchiaio.

Sullo sfondo, il gruppo di figure - cinque delle quali sedute e tre in piedi -  si distingue nettamente con gli abiti neri e le facce molto somiglianti.

I personaggi adottano varie pose: una lunga pipa con una mano, l'altra con un libro aperto; mano nel panciotto, sopra un orologio da tasca; di profilo, indossa un cappello a cilindro; mento appoggiato con una mano all'estremità di un braccio pendente; capelli arruffati, mano destra con in mano un bicchiere vuoto; braccia incrociate ... Tutte le persone rappresentate sul dipinto sono vestite di nero ad eccezione di Camille Pelletan che è in grigio.

Il ritratto da parte di Fantin-Latour del giovane poeta di Charleville, Rimbaud, è, con la famosa foto fatta da Étienne Carjat, la rappresentazione di Rimbaud più conosciuta e riprodotta. 

Il dipinto fu venduto "agli inglesi", poi acquistato da Émile Blémont che lo donò al Louvre nel 1910. 

È una delle "105 opere decisive della pittura occidentale " che costituisce il museo immaginario di Michel Butor.

Attualmente si trova nel Museo D'Orsay, a Parigi dove è uno dei dipinti più ricercati dai visitatori.

 

17/01/20

Centenari di Fellini e Tonino Guerra: "Cento anni di sogni" al Maxxi di Roma domenica 19 gennaio



In occasione del centenario della nascita di Federico Fellini (20 gennaio 1920 - 31 ottobre 1993) e di Tonino Guerra (16 marzo 1920 - 21 marzo 2012), Fondazione Cinema per Roma e MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo celebreranno i due grandi artisti con un evento speciale a cura di Mario Sesti che si svolgera' domenica 19 gennaio a partire dalle ore 17.30 presso l'Auditorium del MAXXI (via Guido Reni 4a). 

"Legati dall'incanto delle fantasie infantili dei borghi romagnoli e successivamente dal cinema e dall'invenzione di realta' visionarie, Fellini e Guerra avrebbero compiuto, nel 2020, cento anni - dice Mario Sesti - Insieme hanno marcato a fuoco la storia del cinema e l'identita' italiana con opere come Amarcord, E la nave va, e Ginger e Fred".

L'evento, a ingresso gratuito, prendera' il via con la proiezione de Il lungo viaggio (Dolgoe putescestvie) di Andreij Khrzhanovskij. 

Nel film, Tonino Guerra trasforma in animazioni i disegni di Fellini: donne dalle grandi forme, vitelloni e personaggi malinconici e Gelsomina che suona la tromba per chiamare a raccolta tutti sul Rex. 

"Ho fatto un sogno - racconta Guerra che, come l'avvocato di Amarcord e' la voce narrante - con gli schizzi di Federico si imbarcano alla ricerca di un'isola lontana, fatata. Ma quando la raggiungono, il Maestro e Giulietta li lasciano, continuando da soli il lungo viaggio".

A seguire, si proietterà il documentario Fellini Fine Mai di Eugenio Cappuccio, applaudito alla 76a Mostra del Cinema di Venezia. 

Dopo aver incontrato, da adolescente, il regista a Rimini ed esserne diventato assistente, l'autore ne ricostruisce il percorso scavando nel ricchissimo repertorio televisivo della e Rai raccogliendo numerose testimonianze originali, fino a inoltrarsi nell'area segreta dei "fantasmi" di Fellini, i film che non riusci' a realizzare: Il viaggio di G. Mastorna e Viaggio a Tulum, imbattendosi, per la prima volta, in nuove scoperte, affascinanti misteri e inquietanti rivelazioni. 

16/01/20

"The Coldest Day of the Year" di Fabrizio Falconi - traduzione di Susan Stewart



The Coldest Day of the Year


If only it weren’t there
this cold rigid as an
open umbella, breathless
cutting short the nights
and the infinite; who do i speak for?

this impression left
at the bottom of an occasional coffee
doesn’t predict anything good,
the mistake cleared up is wet
like a maple leaf
that falls in the morning
you don’t recognize yourself in the mirror
and not even in missing footsteps
something or someone
said that he lost you;
the child; perhaps, or perhaps
that child is your salvation
in the January flowers
and when Jupiter comes back to shine.

A sign of defeat was
on the horizon, the commander
from the north didn’t want
to see it,
the Indians were ready to take the scalp
everything would get wrapped up

according to plans
and techniques
of abandonment would not
have worked, the damage
would remain like a run-down
alarm clock
or a banner
for other battles
fought by others.


Traduzione dall'italiano di Susan Stewart 
 riproduzione riservata - 2019


il giorno più freddo dell'anno

se almeno non ci fosse
questo freddo rigido come un
ombrello aperto, a non far respirare
a troncare le notti
e l'infinito; per chi parlo ?
questa influenza depositata
nel fondo di caffè delle circostanze
non prevede nulla di buono,
lo sbaglio acclarato è umido
come una foglia d'acero
caduta al mattino
allo specchio non ti riconosci
e nemmeno nei passi
mancanti,  qualcosa o qualcuno
ha detto che ti ha perduto;
il bambino: forse, o forse
quel bambino è la tua salvezza
nei fiori di gennaio
e quando Giove tornerà a risplendere.
c'era un segnale di sconfitta
all'orizzonte, il comandante
nordista non voleva
vederlo,
gli indiani erano pronti per lo scalpo
tutto si sarebbe svolto

secondo piani
e tecniche
di abbandono non avrebbero
funzionato, il danno
sarebbe rimasto come una sveglia
scarica
o un'insegna
per altre battaglie,
combattute da altri.


14/01/20

Cinema: "Un sacco bello" compie 40 anni. Verdone ricorda Sergio Leone


"'Un sacco bello' compie 40 anni: usciva 40 anni fa di questi tempi. Leggendo della ricorrenza, nelle belle parole scritte dal critico Filippo Mazzarella, sono tornati a galla tante emozioni, tanti ricordi, su quel mio primo debutto, per il quale devo tutto a Sergio Leone, che punto' su un giovane e disse 'vediamo che sa fa". E anche grazie alla sua protezione ci sono riuscito".

Con queste parole inizia l'emozionato ed emozionante ricordo che Carlo Verdone affida alla sua pagina Facebook in occasione dei 40 anni del film che segno' il suo debutto cinematografico, e l'inizio della carriera di uno degli attori piu' importanti del panorama cinematografico italiano.

Tutto comincio' con i tre personaggi di Enzo, Leo e Ruggero (ma nella pellicola Verdone ne interpretava anche altri) e le loro peripezie tragicomiche in una Roma semideserta, in piena estate. Una Roma "poetica", come la definisce lo stesso Verdone.

"Credo che in quel film - sottolinea - ci sia una mia forte componente caratteriale, un po' malinconica, quella che conoscete, la grande solitudine di questa bella citta' che allora, all'epoca, aveva una grande anima. Nella gente, nel popolo, nelle atmosfere, nei rumori, nei suoni. E aveva tanta poesia, c'era una grande poesia. Poi l'aver ambientato il film a Roma d'estate, deserta, e' stata una bella intuizione. Una citta' dove non ci sono tanti rumori come oggi. Si sentiva il rumore dell'acqua di qualche fontana, qualche campana, qualche macchina che passava, qualche motorino smarmittato. Quella era Roma d'estate, una Roma vuota, quasi tombale, pero' con un gran fascino. E questi tre personaggi, queste tre anime, sole, pero' comiche nel loro modo di parlare, nella loro gestualita', sono stati tre intuizioni veramente notevoli".


L'attore pone l'accento sul fatto che quelle atmosfere, di una capitale piena di sogni e speranze all'inizio degli anni '80, non torneranno piu': "Vi ho consegnato un bel film, e vi ho consegnato un periodo, che purtroppo non tornera' piu'. Pero' non deve essere triste questo, perche' fortunatamente il cinema ha questa magia: quella di rendere immortali certi attori, certe immagini, certi scorci, certe atmosfere. Ce li ripropone. Magari piano piano col tempo diventano sempre piu' in bianco e nero, sempre meno a colori, pero' stanno li', e diventano come una carezza per l'anima. Tutto qua".


"Un pensiero - conclude Verdone - su un gran bel film, poetico, molto poetico. E un grazie, a tutti quelli che mi hanno aiutato a farlo. Mario Brega, Sergio Leone, Ennio Morricone per le musiche, Ennio Guarnieri il mio direttore della fotografia. E i tanti attori, i generici, le comparse, Isabella De Bernardi, la figlia dello sceneggiatore, che fa Fiorenza. Che bei ricordi. Pero', il film sta la', lo potete vedere quando volete. Magari d'estate e vi viene una botta di nostalgia oppure di immaginazione, su una citta' che non conoscevate".

Fonte: Claudio Maddaloni per Lapresse

13/01/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 52. "C'era una volta in America (Once Upon a Time in America)" di Sergio Leone (1984)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 52. "C'era una volta in America (Once Upon a Time in America)" di Sergio Leone (1984)

Il film testamento di Sergio Leone, il lavoro a cui il regista romano dedicò - tra progettazione e realizzazione - più di dieci anni di lavoro, gli ultimi della sua vita. 

Il film è, come noto, un adattamento del romanzo The Hoods di Harry Gray pubblicato nel 1952. 

Gli attori principali sono Robert De Niro, James Woods ed Elizabeth McGovern, oltre ad una giovanissima Jennifer Connelly. 

Il film racconta, dal proibizionismo agli anni sessanta, quarantacinque anni delle drammatiche vicissitudini del mafioso David Aaronson chiamato "Noodles" e dei suoi amici, dal ghetto ebraico della loro infanzia alle sfere più alte del crimine organizzato a New York . 

C'era una volta in America fu concepito dal suo autore come la terza parte di una saga che copre diversi periodi chiave della storia americana . La prima opera, C'era una volta in Occidente , si svolge al momento della conquista dell'Occidente. Il secondo, C'era una volta,  durante la rivoluzione messicana , e infine C'era una volta in America , ripercorre il periodo di proibizione e l'avvento del gangsterismo. 

Il film è un grande, maestoso, magnifico affresco sui temi dell'amicizia infantile, dell'amore, della lussuria, dell'avidità, del tradimento e delle relazioni interrotte. 

Sergio Leone morì cinque anni dopo l'uscita di questo film, quando stava lavorando a un progetto sull'assedio di Leningrado . 

La trama del film non segue un ordine cronologico lineare, ma si alterna a livello di diegesi tra tre fasi della vita del protagonista principale: la sua adolescenza nel 1922 dove si mischiava con l'ambiente dei piccoli delinquenti del Lower East Side , quartiere ebraico di New York, dove ha vissuto con la sua famiglia, l'età adulta nel 1933 e la vecchiaia nel 1968.  

Il film vinse molti premi in tutto il mondo, ma fu snobbato agli Oscar dove racimolò soltanto 3 nominations. 
Con il passare degli anni però il film di Leone si è sempre più stabilizzato nelle primissime posizioni delle classifiche dei film migliori di sempre, compilate dalle associazione dei critici internazionali e dai sondaggi online. 





10/01/20

A Livorno trovate le pagelle di Modigliani, con la mostra dedicata al pittore per il centenario della morte.

 Modigliani nel suo studio fotografato da Paul Guillaume

 
Livorno ritrova ed espone le pagelle di un ginnasiale Amedeo Modigliani (1884-1920), mentre prosegue con grande successo la super-mostra dedicata all'artista. 

Frutto di una ricerca all'Archivio storico del Liceo Ginnasio Niccolini Guerrazzi di Livorno, dove Modigliani fu studente, e' allestita nei locali della biblioteca di via Ernesto Rossi dell'attuale Liceo Niccolini Palli, la mostra 'A scuola di Dedo', quadro d'insieme della vita del liceo negli anni in cui Modigliani lo frequento'. 

La rassegna e' stata possibile dopo il ritrovamento di documenti e materiali inediti, tra i quali il registro dei voti, i libri dei verbali e il tabellone della sessione autunnale del 1898 consentono di ricostruire la carriera scolastica dell'artista, che fu iscritto al Liceo Classico Niccolini Guerrazzi negli anni 1893-98 in I, II, III, IV, V Ginnasio.

L'esposizione sara' visitabile al pubblico (ingresso gratuito) dal 16 gennaio al 17 febbraio. 

Nel frattempo resta aperta la mostra 'Modigliani e l'avventura di Montparnasse', al Museo della Citta' fino al 16 febbraio che finora ha registrato oltre 45mila presenze

Ci sono esposte 133 opere rappresentative della Ecole de Paris: Modigliani di cui si celebra quest'anno il centenario della morte (24 gennaio) e' rappresentato dai suoi inconfondibili ritratti e da una collezione di disegni raramente esposti, opere accompagnate da capolavori di Soutine, Utrillo, Derain, Kisling. 



09/01/20

Libro del Giorno: "Anni con mio padre" di Tatiana Tolstoj



E' un libro che interessa e interesserà gli appassionati di cultura russa e in particolare dell'opera di Tolstoj, fornendo una prospettiva inedita e assi interessante della sua vita familiare e dei rapporti con la famiglia e con la moglie Sof'ja Tolstaja, sulla quale sono stati scritti fiumi di libri. 

Stavolta però, le memorie famigliari vengono raccontate dall'interno, e per questo motivo il racconto è tanto più prezioso, perché provengono dalla figlia secondogenita del grande scrittore, Tat'jana L'vovna Tolstàja, coniugata Suchotina, che nacque a Jasnaja Poljana il 4 ottobre 1864 e morì in Italia, a Roma il 21 settembre 1950).

Tatiana è stata un'attivista e memorialista. Da ragazza frequentò l'Accademia di belle arti a Mosca, dove fu allieva di celebri pittori russi tra cui Il'ja Repin. 

Come la madre e le due sorelle, aiutò il padre nel suo lavoro in qualità di copista. In proposito, Pietro Citati scrive: «il grande fantasma amoroso, che occupava la mente di Tat'jana, era il padre. Davanti a lui, era come una timida vergine, pronta a venire immolata. Lo riconosceva lei stessa: "Sì, papà è il più grande rivale di tutti i miei innamorati, e nessuno di loro ha potuto vincerlo".» 

Nel 1899, contro il volere di Tolstoj, sposò l'amico di famiglia Michail Suchotin (che morirà nel 1914), un vedovo di quindici anni più anziano, padre di sei bambini, da cui ebbe, dopo quattro aborti spontanei, la figlia Tania. 

Dal 1878 al 1919 tenne un diario; verso il 1913 iniziò le proprie memorie (Infanzia e Adolescenza, pubblicate postume); alla fine degli anni venti scrisse e pubblicò Su mio padre, a cui seguirono Lampi di memoria.

Appassionata ai problemi di pedagogia, conobbe Maria Montessori, s'interessò al suo metodo e ne portò in Russia tutte le pubblicazioni.

Dopo la Rivoluzione, fra il disordine generale, fondò insieme alla madre, alla sorella Aleksandra e al fratello Sergej, il Museo Tolstoj, dirigendolo dal 1923 al 1925, poi lasciò la Russia: fu ospite a Praga del presidente Tomáš Masaryk (vecchio amico di Tolstoj) e a Vienna dall'attore Alessandro Moissi (che aveva recitato come protagonista del Cadavere vivente di Tolstoj); quindi emigrò in Francia (a Neuilly aprì una piccola pensione dove accolse altri profughi russi) e infine in Italia.

Con modeste risorse (Tolstoj aveva rinunciato ai diritti d'autore e quindi la famiglia non poté trarre nessun vantaggio economico dalla sua sterminata eredità letteraria), trascorse gli ultimi vent'anni con la figlia a Roma, dove allestì una «camera tolstoiana», ovvero un piccolo museo dedicato al padre.

Nel dicembre del 1931, il Mahatma Gandhi sostò in Italia per tre giorni: durante quel soggiorno, la visita di Tat'jana Tolstaja fu l'episodio che gli fece più piacere.

Il 3 novembre 1949 scrisse a Jawaharlal Nehru per invocare la grazia verso gli uccisori del Mahatma: «in virtù di ciò che senza dubbio sarebbe stata la volontà della stessa loro vittima Gandhi. Gandhi, che teneva a proclamarsi discepolo di Leone Tolstoj, e mio padre, eleverebbero la loro voce, se potessero, per evitare che un atto di violenza succeda al delitto commesso dai due assassini...» 

Fu sempre una convinta vegetariana, contraria al tabacco e profondamente antimilitarista. Quando si ammalò, poiché desiderava morire in piena coscienza, rifiutò decisamente l'uso di narcotici.

Questo diario di Tatiana si legge dunque come una commovente confessione, che nelle intenzioni della figlia tende a ristabilire la verità sui difficili rapporti tra Tolstoj e sua moglie, Sof'ja, che pur amandosi molto avevano differenze di vedute fondamentali, riguardo al modo di vivere, alla religione, al patrimonio.   Fino alla romantica e tragica fuga da casa di Tolstoj, che nel 1910 ne accelerò la morte, che avvenne come è noto all'interno della minuscola stazione di Astapovo, senza che alla moglie fosse stato concesso di assisterlo. 

Il libro è anche corredato di splendide fotografie dell'epoca.

08/01/20

La versione integrale dello Speciale "Fantasmi di Roma" di Fabrizio Falconi andato in onda ieri sera



Al link sottostante la versione integrata dello speciale sui "Fantasmi di Roma" di Fabrizio Falconi andato in onda su Italia Uno ieri sera alle 18.50.

Si tratta di una cavalcata notturna sui luoghi di Roma che raccontano le millenarie storie dei fantasmi della città. 

Ispirate al libro omonimo, scritto per Newton Compton e più volte ristampato. 

Per vedere la puntata CLICCA QUI:


https://www.mediasetplay.mediaset.it/video/studioaperto/i-misteri-di-roma_F310140601014C10

06/01/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 51. Il posto delle fragole (Smultronstället), di Ingmar Bergman (1957)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 51. Il posto delle fragole (Smultronstället), di Ingmar Bergman (1957)


Ingmar Bergman aveva 39 anni quando realizzò Il posto delle fragole, da molti ritenuto uno dei suoi più grandi capolavori, oltre a essere il lavoro che lo portò al definitivo successo internazionale.

E sembra incredibile ancora oggi che un'opera di così tale complessità, di così profonda meditazione riguardo alla vita e alla sua relazione con la morte, con il senso della vita, alla luce dei passi falsi della memoria, dei consuntivi, della malinconia che ogni uomo deve scontare con il passato degli anni (e anche con la relativa gioia e/o consapevolezza) sia stata concepita e realizzata da un uomo che non aveva ancora compiuto i quaranta anni.

Il film è e fu innovativo sotto ogni punto di vista, presentandosi anche come una sorta di on the road ante-litteram e assolutamente sui generis. 
 
La trama è piuttosto nota: il giorno prima della cerimonia che deve onorare e celebrare la sua lunga carriera come medico, il professor Isak Borg ha uno strano sogno in cui si trova ad affrontare la sua stessa morte. Il giorno successivo, decide di guidare alla volta della Lund University in compagnia di Marianne, sua nuora. 

Durante il viaggio, il vecchio professore fa il punto sulla sua vita viziata dall'egoismo. Rivede la sua giovinezza con "il posto delle fragoline di bosco" dove suo cugino una volta lo ha portato. 

Quindi rivede i suoi ricordi della sua vita di medico di campagna. 

Mentre Marianne guida, Isak si addormenta e fa un sogno in cui si manifestano angosciosi sensi di colpa. Dopo essere stato dichiarato "colpevole di colpa", è accusato della sua freddezza. Poi vede l'infedeltà di sua moglie quarant'anni prima 

Dopo un ultimo rimprovero che Marianne rivolge al patrigno un figlio che le sarebbe piaciuto mantenere nonostante l'opposizione di suo marito, Isak è solennemente incoronato dall'Università di Lund . 

Prima di addormentarsi, cerca di conciliare suo figlio e sua nuora. 

Quindi sogna le scene felici della sua infanzia. 

Il cast del film vede quasi tutti gli attori cari a Bergman. Il protagonista, Victor Sjöström, è un nome illustre del cinema svedese, nonché maestro professionale di Bergman, che lo aveva già voluto per un piccolo ruolo in Verso la gioia (1950). 

Il film, girato fra gli studi della Svensk Filmindustri e la città di Lund, nello Skåne län (la parte più meridionale della Svezia), esce in patria il 26 dicembre 1957.

In Italia sono uscite due versioni in DVD del film, una nel 2002 e un'altra, rimasterizzata, nel 2005. 

Un film che rappresenta la summa del lavoro di Bergman e una meditazione potente e necessaria per ogni spettatore, ieri come oggi.