23/05/16

Il libro del giorno: "Il sosia" di Fëdor M. Dostoevskij.




Scritto da Dostoevskij a 25 anni, "Il sosia" è il racconto di un incubo: il burocrate Goljadkin, al centro di uno 'scandalo sentimentale', si imbatte nel proprio sosia - perlopiù un omonimo - che a poco a poco gli ruba il posto sul lavoro, lo umilia in società fino a farlo internare in manicomio. 

Un durissimo, agghiacciante plot, che Dostoevskij ogni tanto alleggerisce con tocchi feroci di umorismo, senza peraltro nulla togliere all'intrigo psicologico che si presta ad infinite possibilità di lettura (anche psicanalitica) del testo. 

22/05/16

Poesia della domenica - "La curva dei capelli" di Fabrizio Falconi.








Freddo trillo mattutino
d'amianto e sonno,
tutto a ritroso vento
cipigli, corse e inganni,
soffiando via, scrolli
tenera barcolli,
con la punta delle mani
risali e svolti
la curva ombrosa dei capelli.




Fabrizio Falconi, da L'ombra del ritorno, Campanotto, Udine, 1996. 

21/05/16

"Ombre" di Robert Schneider - (RECENSIONE)







Di Robert Schneider (Bregenz, 1961), avevo letto qualche anno fa, Le voci del mondo, brillantissimo romanzo d'esordio (Einaudi,1995)

Ombre (titolo originale Schatten ) è uscito invece nel 2004 tradotto da Palma Severi. 

E' un breve romanzo, ambientato in Australia, con due sole protagoniste, Florence Goldin e Kasha Markovski.   Due amiche, o ex amiche, compagne di college, emigrate giovanissime in Australia da diverse parti d'Europa (Olanda e Polonia), che si ritrovano dopo molti anni (ventisei) in un vecchio café - il Pacific - con vista sull'oceano. 

E' stata Florence ad invitare Kasha, che non vede da vent'anni, con la scusa di volerle fare una domanda (che non verrà mai pronunciata invece, esattamente, nel corso di tutta la conversazione).  

C'è di mezzo l'amore per un uomo, Collin, che Florence ha amato perdutamente per tutta la vita, e che è diventato il marito di Kasha. 

Le due donne sono ormai anziane, il loro incontro è l'occasione per un bilancio esistenziale, che diventa una confessione a cuore aperto. 

Florence racconta l'amore impossibile per l'uomo dagli occhi grigioverdi, che non ha mai smesso di provare, che è rimasto sempre purissimo come un cristallo di ghiaccio, anche dopo la morte di Collin, avvenuta quattordici anni prima di questo incontro. 

Kasha nel frattempo si è anche risposata.  E' un confronto drammatico tra due psicologie, tra due modi di essere prima ancora che di amare. Florence non sa amare che così, in modo assoluto e inestinguibile. L'amore per lei è prima di tutto un'idea alla quale essere fedele eternamente, anche al di là del rifiuto di Collin, anche al di là del suo allontamento, di ogni delusione e di ogni umiliazione. L'amore di Florence è fedele in un modo quasi disumano. 

Ed è questo che Kasha, quando è lei a prendere a parlare, rimprovera all'amica. Quella sua perfezione disumana. Lei, Kasha, è una donna molto più debole, debole e sottomessa. Non ha mai amato in fondo, veramente Collin. Si è lasciata trasportare, sposandolo, da una specie di corrente.  E l'invidia per Florence e per quel suo modo folle di amare, non l'ha mai abbandonata. 

Kasha, si potrebbe dire, è l'incapacità di amare; Florence l'incapacità di vivere (amando)

Schneider qui funziona di più nella prima parte ("Amore"), quella in cui Florence confessa il suo amore assoluto. La mancanza di una vera trama, il racconto in prima persona, lo strano e inadeguato finale, con il cameriere del locale che confessa, a sua volta, il suo amore infelice, fanno di questo libro un romanzo imperfetto, ma non privo di suggestioni. 


Rrobert Schneider
Ombre
Einaudi 2004 Supercoralli pp. 144 € 14,00 
ISBN 9788806169084 
Traduzione di Palma Severi


Fabrizio Falconi
(C) riproduzione riservata 2016.

20/05/16

L'incredibile Cappella di San Severo a Napoli.



La Cappella di San Severo a Napoli
 di Fabrizio Falconi


Dieci anni della mia vita pur d’essere lo scultore del Cristo Velato !  La celebre esclamazione, frutto di una sconfinata ammirazione unita alla irrefrenabile invidia degli artisti, suole essere attribuita nientemeno che ad Antonio Canova quando nel 1780, in visita a Napoli, alla Cappella dei principi di Sansevero, si trovò di fronte l’incredibile ritratto scolpito del Cristo morto velato, adagiato su di un giaciglio, la testa reclinata su due cuscini, ai piedi gli strumenti del supplizio. 

Lo stupore di Canova, però, come anche il nostro oggi, era pienamente giustificato: come aveva fatto un giovane scultore di soli trentadue anni, Giuseppe Sanmartino,  ancora poco conosciuto, a realizzare un’opera di tale virtuosismo ? Il Cristo, sotto il velo minutamente realizzato in ogni piega, in ogni spessore, come forse mai prima di allora, sembrava davvero appena cristallizzato dopo il supplizio e la morte, ancora palpitante, come se la vita l’avesse appena lasciato. 

Com’era possibile un tale prodigio ? 

Se lo continuarono a chiedere in tanti, anche dopo la visita di Canova, e riuscirono anche a darsi una spiegazione: quella magia, quella straordinaria esibizione di bravura, non era tutta farina del sacco del giovane scultore, non era opera sua l’invenzione di una simile tecnica di lavorazione del marmo. No, c’era di mezzo qualcuno di molto più sapiente, nello studio e nell’utilizzo delle più segrete tecniche alchemiche.  Era stato lui, era stato sicuramente il principe Raimondo de Sangro, l’erudito colto studioso misantropo, che aveva commissionato l’opera dapprima al veneziano Antonio Corradini e poi alla morte di questo proprio al Sanmartino e che a quest’ultimo aveva insegnato le segreti arti di trasformazione dei materiali, per permettergli di realizzare un’opera unica al mondo.

A questo proposito c’è da dire che le leggende a proposito del Principe Raimondo sono fiorite e hanno prosperato con il passare dei decenni a Napoli, città dove lo scambio e la tradizione orale hanno potere come in pochi altri posti al mondo, e c’è da capirlo vista la fama che circondò in vita l’artefice della Cappella.

Raimondo proveniva, per nascita, dall’alta aristocrazia dei Grandi di Spagna. La sua famiglia vantava estesi possedimenti nelle Puglie, ed è proprio qui, nel feudo di Torremaggiore che nacque Raimondo, nel 1707. (1)

I suoi genitori erano Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, membro di una delle casate patrizie più antiche d’Italia, e Antonio di Sarno, duca di Torremaggiore.

La madre Cecilia, morì pochi mesi dopo il parto.  Al suo ricordo, Raimondo rimase per sempre devoto, e nel suo Pantheon personale, che è la Cappella di cui ci stiamo occupando,  a lei dedicò la statua della Pudicizia velata, che fece realizzare da Antonio Corradini nel 1752, dove già si evidenziano i prodigi della lavorazione del velo che copre il corpo della donna, sostenuto da una lapide spezzata, a simboleggiare proprio la prematura scomparsa della madre. 
Il padre, Antonio di Sangro, era invece un nobile dal carattere vanesio e libertino. Troppo preso dalle sue tresche, pensò  bene di affidare il figlio, orfano di madre, alla cura dei nonni paterni.  Nel frattempo, invaghitosi di una giovane ragazza, ne fece uccidere il padre che si opponeva alla relazione. Il fattaccio avvenne in Puglia, nella città di Sansevero, dove i duchi avevano sempre goduto di fama e rispettabilità. Stavolta però il delitto fu talmente sfacciato da non poter essere perdonato: il sindaco di Sansevero impugnò un procedimento penale contro il principe Antonio, che fu costretto a fuggire e a rifugiarsi presso la Corte di Vienna, da dove cercò di difendersi dalle accuse grazie alla protezione dell'Imperatore. Quando il Tribunale pugliese, su pressione diplomatica, archiviò il caso, Antonio poté rientrare nei suoi feudi ma ancora non pago, decise di vendicarsi ordinando l’uccisione di quello che era stato il suo principale accusatore.  Una nuova fuga lo portò stavolta a Roma, dove però Antonio di Sangro trovò il modo di convertirsi, dopo essersi pentito dei suoi misfatti, prese i voti e si ritirò in convento.


18/05/16

Le incredibili storie delle piccole isole italiane e dei loro visitatori illustri: Un libro le raccoglie.



Avventure di piccole terre (Neri Pozza) Cinquantuno isole italiane da leggere e immaginare.


IL LIBRO – L’Italia è una terra ricca di isole e le isole italiane sono ricche di storie. Alcune raccontano amori clandestini e crimini efferati. Altre, visioni mistiche e avventure erotiche, faticose conquiste e fughe improvvise. 

Molti personaggi celebri hanno trascorso sulle isole le ore più felici della loro esistenza o, all’opposto, quelle più tragiche, l’esilio e la morte

Dopo una vita di avventure militari, politiche, sentimentali e letterarie, agli inizi dell’Ottocento Choderlos de Laclos, solo e dimenticato, lascia Parigi per una missione inutile e va a morire sulla piccola isola di San Paolo, nel golfo di Taranto

Quasi un secolo dopo, Umberto Boccioni vive sul Lago Maggiore l’ultima grande passione della sua vita, prima di partire per il fronte, da cui non farà più ritorno

Nell’agosto 1943, in una torrida estate piena di presagi funesti, Benito Mussolini viene tenuto prigioniero alla Maddalena, in una specie di castello un po’ moresco un po’ gotico fatto costruire da un eccentrico inglese. 

Negli anni Cinquanta, oramai stanco e frastornato, Ernest Hemingway si rifugia a Torcello alla ricerca di un po’ di pace. 

Qualche decennio più tardi, Marguerite Yourcenar sbarca sull’isola dei Pescatori, e Rudolf Nureyev sceglie di trascorrere i suoi ultimi anni a Gallo Lungo. 

Tra figure eccentriche – come Baron Corvo, adorabile folle che, tormentato dai suoi incubi, va alla deriva nella laguna veneta – vicende sottratte alla memoria, come il terribile massacro di nove frati tagliati a pezzi nel sedicesimo secolo sul Lago d’Iseo, e cronache della contemporaneità, Ambrogio Borsani riporta alla luce storie perse nei mari, nei laghi e nei fiumi d’Italia, dove su fondali di struggente bellezza calano a volte veli di seducenti malinconie.


AMBROGIO BORSANI – Ambrogio Borsani ha insegnato comunicazione all’Università Orientale di Napoli e alla Statale di Milano. Ha pubblicato il romanzo L’ellisse di fuoco – Premio Pisa 1980 – e i racconti Storie contro Storie. Una sua commedia La verità uccide è stata messa in scena a Milano. Ha scritto molti libri per ragazzi, tra cui La Casa Asac, Animali fenomenali, L’isola dei libri parlanti e altre fiabe tradotte in varie lingue. Per Neri Pozza ha pubblicato Addio Eden e Tropico dei sogni, racconti di viaggio alle isole Marchesi e a Mauritius.

17/05/16

Torna L'Archeo-show notturno ai Fori Imperiali, ideato da Piero Angela.



Dopo il successo degli anni scorsi, "l'archeo show" ideato da Piero Angela e Paco Lanciano per i Fori Imperiali torna nel centro di Roma dove andrà avanti fino a ottobre: una visita notturna, con ricostruzioni e animazioni luminose, che mostra i fori come erano 2000 anni fa. 

L'appuntamento per l'ingresso al Foro di Cesare (ma per chi preferisce una visita 'seduta' c'è anche il Foro di Augusto) è dalle 21 a mezzanotte, sotto la Colonna Traiana accanto a piazza Venezia, e si entra in gruppi di massimo 50, ogni 20 minuti. 

Nei gruppi ci sono tanti turisti stranieri e italiani, ma anche tanti romani di ogni età. La visita comincia e luci, suoni, voci, immagini in movimento calano tutti in una passeggiata nella Roma imperiale, tra monumenti e scene di vita quotidiana: dal Tempio di Venere genitrice, fatto costruire e inaugurato da Cesare nel 46 a.c. due anni prima che fosse assassinato; alla scuola dove gli alunni usavano tavolette di cera come quaderni, e papiri al posto dei libri di testo

Ancora pochi passi e, sui resti della Basilica argentaria, l'animazione mostra uno degli uffici interni, in quello che era il luogo di lavoro dei banchieri dell'antichità: dietro a un tavolo con sopra bilancini, documenti e monete, un argentario gestisce risparmi e investimenti dei propri clienti e cambia monete provenienti da tutto l'impero, che all'epoca si estendeva dal nord Europa all'Africa, fino alle porte dell'Asia. 

La visita dura 50 minuti, gli spettatori si muovono al buio, lungo una passerella leggermente illuminata, guardano e ascoltano la storia della Curia, dove si riunivano i senatori; i resti della Cloaca massima, l'antica condotta fognaria, mentre qualche metro più in alto, sul marcia piede di via dei Fori imperiali si formano capannelli di persone a passeggio, incuriosite dallo spettacolo di luci. 

Comune e ministero dei Beni culturali hanno potenziato, già dallo scorso anno, l'offerta serale e ne hanno creata di nuova affinché la Roma antica, dal Colosseo a Castel Sant'Angelo, dalle Terme di Caracalla ai Fori, la si possa godere sempre più, anche di notte.


fonte Lapresse

16/05/16

La meravigliosa Villa Strohl-Fern, nel cuore di Villa Borghese, "invisibile" ai romani.



Resta uno dei luoghi più invisibili di Roma, più appartati e meno conosciuti dai romani: la Villa Strohl Fern, nella sua posizione defilata, sorge su una specie di sperone di roccia, ed estende il suo possedimento su un comprensorio boschivo all’interno di Villa Borghese (poco dopo oltrepassato l’ingresso da Piazzale Flaminio, sulla sinistra) imboccando Via di Villa Ruffo, protetta da una cancellata, oggi in parte occupata dal liceo francese Chateaubriand. 

Un tempo estendeva i suoi confini per ben ottantamila metri quadrati di verde, fino a Valle Giulia e a Villa Poniatowski, in un percorso che era chiamato Via dell’Arco Oscuro e che rispecchiava già dal nome l’impressione gotica che si ricavava da questo luogo

La villa fu fatta costruire da un erudito francese – musicista, pittore, letterato, poeta, scultore – Alfred Wilhelm Strohl che comprò l’appezzamento nel 1879, per costruirsi la sua dimora

Nato a Sainte Marie-aux-Mines nei pressi del Reno, Strohl era una alsaziano, di lingua tedesca e di nazionalità francese. Un vero e proprio cittadino del mondo, che dopo averlo a lungo girato, decise di fermarsi a Roma, stregato dal fascino della capitale e di edificarvi la sua residenza, in quella splendida porzione ai limiti di Villa Borghese.

A giudicare da una persistente leggenda, a parlare di Roma e del fascino della capitale a Strohl era stato Arnold Boecklin il grande pittore, autore dell’Isola dei morti, uno dei quadri più misteriosi al mondo, il dipinto che affascinò Sigmund Freud, Dalì, D’Annunzio, Rilke, Lenin e Adolf Hitler, che ne possedeva una copia: un’opera connotata da forti significati esoterici. Il profilo della Villa fu – secondo alcuni (1) – disegnato dallo stesso Strohl sull’ispirazione delle forme dei portali sepolcrali rappresentati sull’isola nel dipinto di Boecklin, il quale era stato a Roma nel 1870

Quel che desiderava Alfred Strohl era esattamente un distacco, una sorta di ritiro dal mondo, come si intuisce anche dall’aggettivo Fern, che egli volle aggiungere al suo casato e che in lingua tedesca significa lontano (cioè lontano dal mondo, come suggerisce Antonello Trombadori (2) )

Ancora oggi, visitando la villa (che è chiusa al pubblico, ma accessibile con visite prenotate in alcuni giorni del mese) si percepisce quel clima oscuro, misterioso che fu voluto dal suo proprietario: al centro della vasta tenuta, Strohl-Fern si era fatto costruire la sua dimora come se si trattasse di una sorta di città proibita, esclusa agli occhi degli estranei e delimitata da un alto muro e tre cancelli sui quali era imposto il simbolo della casata dai connotati evidentemente esoterici: un serpente con il motto éclair ne broye e cioè fulmine non colpisca. Ma tutto il giardino, circostante la villa, era un perfetto hortus conclusus, con ogni sorta di specie botanica, fontane, grotte, statue romane, resti archeologici, serbatoi di acqua corrente, e un famoso tunnel delle rose, che fu immortalato da diversi pittori ospitati nel Novecento nella foresteria della Villa che per volere del conte Strohl-Fern comprendeva decine di studi per artisti.

 Inoltre un vero e proprio laghetto artificiale navigabile con piccole imbarcazioni che potevano accedere alle oscure grotte, dove v’erano giochi di luce e intricati labirinti

 Strohl-Fern per la sua bizzarria, il suo vivere completamente appartato, il suo studio pieno di libri, fu soprannominato dagli abitanti del luogo, Mago Merlino, anche per via della sua lunga barba bianca che è ben visibile anche nelle foto d’epoca. 

 Nella villa terminò i suoi giorni fino al 1926 e a Roma volle essere seppellito – nel cimitero acattolico alla Piramide, dove la sua tomba è ancora oggi esposta. La presenza di un personaggio così originale, in un luogo per certi versi lugubre e lussureggiante, diede adito nel tempo alla leggenda di fantasmi che popolerebbero la villa, e i giardini di essa, uno dei quali avrebbe proprio le sembianze di quel Mago Merlino che Roma ancora oggi ricorda.

1. Il primo a parlare di una corrispondenza tra il profilo della Villa Strohl Fern e l’Isola dei morti di Boecklin fu Gianni Rodari in Quel pasticciaccio di Villa Strohl-Fern. La bistrattata isola di verde sopra Piazzale Flaminio, «Paese Sera» 23 settembre 1975.

 2. A.Trombadori, Villa Strohl Fern, Strenna dei Romanisti del 21 aprile 1982.

Tratto da Fabrizio Falconi, Roma esoterica e misteriosa, Newton Compton, Roma, 2016.

12/05/16

Dopo due anni torna a splendere la 'Galleria dei Candelabri' dei Musei Vaticani.



Dopo un intervento di restauro durato oltre due anni, torna a splendere la Galleria dei Candelabri, nel cuore dei Musei Vaticani, ogni giorno attraversata dalle migliaia di persone che si recano alla Cappella Sistina. I lavori hanno riguardato non solo il degrado delle pitture ottocentesche di questo corpo architettonico edificato gia' a partire dalla seconda meta' del nel '500, ma hanno hanno affrontato e risolto la problematica costituita dall'eterogeneita' dell'esecuzione delle pitture, al fine di riconsegnare la Galleria alla sua piena integrita' estetica.

Il restauro e' stato presentato dal direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, dal curatore della Collezione d'Arte Contemporanea Micol Forti, dal responsabile del Cantiere di restauro Francesca Persegati e da Padre Mark Haydu, dei Patronsof the Arts in the Vatican Museums che hanno finanziato l'intervento. Per la precisione, i circa 700.000 euro necessari per il restauro nel suo insieme sono arrivati da Connie Frankino, dei Patrons dell'Ohio, che ha sponsorizzato l'opera in memoria del marito Sam attraverso la Fondazione di famiglia.

Il non facile intervento, ha detto Micol Forti, ha richiesto un'organizzazione in grado di portare a termine i lavori senza mai chiudere quegli ambienti sempre affollati e sopratutto la sinergia di numerose, diverse competenze. La Galleria dei Candelabri, quando venne progettata e realizzata, si presentava infatti come una loggia aperta e solo nel 1785 Pio VI la fece chiudere per preservare in modo ottimale le sculture di epoca romana li' collocate. Il corridoio, lungo oltre 70 metri, fu scandito in sei campate con l'inserimento di arcate sostenute da coppie di colonne doriche e aperture laterali, dove trovarono posto dei grandi Candelabri in marmo bianco, che diedero il nome alla Galleria. 

L'ambiente rimase invariato fino a quando papa Leone XIII (1878-1903) decise di abbellirlo con dipinti che avrebbero avuto il compito di sviluppare le linee programmatiche del suo pontificato, aperto, ha ricordato la Forti, alle trasformazioni sociali dell'epoca.

I lavori furono avviati nel 1883 con la realizzazione di un nuovo pavimento in marmo, mentre per la vasta decorazione pittorica furono chiamati artisti quali Annibale Angelini, Domenico Torti e Ludovico Seitz, che ha dipinto le splendide scene della quarta campata, la piu' grande della Galleria, nonche' i monocromi della quinta e della sesta. Sono appunto le sue pitture quelle qualitativamente piu' alte, ricche di reminiscenze raffaellesche, aggiornate pero' da un sentimento romantico e da un'accurata messa in scena. Non mancano inoltre dei veri gioielli, come il paesaggio di una Roma ideale, alle spalle delle due eleganti personificazioni dell'Arte pagana e dell'Arte cristiana. Qui, il Colosseo e il Colle Palatino, la Basilica di San Pietro e San Giovanni in Laterano, fino al Cortile della Pigna dei Musei Vaticani, sono uniti da un'atmosfera morbida e crepuscolare.

La visione del pontefice che emano' l'enciclica 'Rerum Novarum', ha spiegato Micol Forti, mirava anche a definire il ruolo della Chiesa in accordo con lo sviluppo delle scienze e dell'arte. Cosi' le pitture a secco di Seitz hanno immortalato le arti maggiori e quelle minori, fra cui compare anche la fotografia, che aveva preso piede da pochi decenni. Una decorazione indubbiamente di pregio quella voluta da Leone XIII, che pero' negli ultimi decenni ha subito un forte degrado.

Gli sbalzi climatici degli ultimi tempi, ha aggiunto Francesca Persegati, la mancata impermeabilizzazione del tetto, l'esposizione continua ai raggi solari ha determinato problemi strutturali e alle pitture. Per ripulire le ampie superfici decorate a monocromi, ha proseguito la restauratrice, sono stati sperimentati molti materiali, ma la scelta e' caduta su una spugnetta per make-up, che ha consentito di non macchiare le superfici e restiuire la Galleria dei Candelabri all'antico splendore.

11/05/16

"Fondamenta degli incurabili", di Iosif Brodskij (RECENSIONE).



Che straordinario libro che è, Fondamenta degli incurabili

Originariamente scritto su invito del Consorzio Venezia Nuova che lo pubblicò nel dicembre del 1989, in una edizione fuori commercio, fu successivamente pubblicato da Adelphi nel 1991. 

Più che di un libro, si tratta di un atto d'amore di Brodskij per Venezia, la città della bellezza definitiva. Il poeta - nello svolgersi di 51 brevi paragrafi - racconta il suo rapporto con il luogo e il suo spirito, dal primo arrivo stralunato, in pieno inverno,  con l'odore di alghe marine sottozero, e la più elegante creatura di sesso femminile, che lo introduce alla scoperta della bellezza (si trattava della Contessa Mariolina De Zuliani Doria, che all'epoca era sposata e che non viene mai nominata; di tutta la storia si occupa un sito americano qui, mentre non si trova nulla sui siti italiani). 

Brodskij esplora il mistero di Venezia, il connubio tra Acqua e Tempo, gli specchi delle camere d'albergo, le stanze senza riscaldamento (per una sorta di rito Brodskij tornerà per vent'anni a Venezia sempre d'inverno), la nebbiolina carica di rintocchi,  il grigiore, la riva a mezzanotte, il corpo diventato soltanto veicolo per l'occhio, i palazzi spettrali sul Canal Grande, i visitatori e gli ospiti illustri (come Ezra Pound e la vedova, Olga Rudge), la luce del Tiepolo e del Tintoretto, e del Giorgione e del Bellini, le facciate merlettate delle chiese, il colore porfido scuro che assume il cielo sulla Laguna, le Messe in una lingua straniera, la bellezza che è innocua, sicura, che non minaccia di ucciderti, non ti fa soffrire, ed è sempre una eccezione alla regola

Brodskij riporta la citazione di Anna Achmatova che scriveva: "L'Italia è un sogno che continua a ripresentarsi per il resto della vita." 

Così succede anche a Brodskij, che a Venezia continua a tornare  sempre, nonostante i problemi cardiaci, che in un caso lo portano vicino alla morte e lo spingono ad andarsene via di notte, su un treno. 

La prosa poetica di Brodskij è in stato di grazia. Ogni sua parola è illuminata.  Ogni parola svela e incide la realtà di un sogno: che è più reale della realtà. 

Come scrive Brodskij nell'ultima pagina, noi andiamo e la bellezza resta. Perché noi siamo diretti verso il futuro, mentre la bellezza è l'eterno presente. Lo stesso vale per l'amore, perché anche l'amore è superiore, anch'esso è più grande di chi ama. 

Fabrizio Falconi
(C) riproduzione riservata 2016


10/05/16

La bellezza è fragile (di Fabrizio Falconi).



Ieri sera passavo con la macchina per i Lungotevere. La luce declinava, la radio trasmetteva Billie Holliday, e all'altezza della Mole di Adriano, mi sono accorto che diversi alberi - i meravigliosi platani del Lungotevere - erano stati sfregiati con uno spray bianco.  Un grande simbolo insensato (di qualche gruppo neofascista o non so cosa) era vistosamente verniciato in bianco sui tronchi dei grandi alberi. 

Riflettevo quanto è fragile la bellezza. 

Riflettevo quanto tempo ci hanno messo quei meravigliosi platani a crescere, dalle nuda fondamenta di terra degli argini, a elevarsi maestosi, con chiome abbondantissime e fluenti: forse cento, forse più di cento anni.  La corteccia maculata, di senape e verde bruno, è il frutto del passaggio del tempo eterno, di mille stagioni che hanno forgiato il tronco lentamente, pazientemente. 

Il gesto del demente di turno invece, deve essere stato molto rapido. Soltanto qualche secondo per sfregiare un tronco.  E poi, come si fa a pulire ? Non si può coprire la vernice con altra vernice, non si può scrostare la superficie, perché si farebbe ancor più male all'albero.  Bisognerà aspettare il tempo necessario perché i grandi alberi facciano la loro muta, e lascino cadere in terra la corteccia verniciata. 

E' per questo che la bellezza è così rara. 

La bruttezza ha tempi rapidissimi. Il gesto di Laszlo Toth col suo martello addosso alla Pietà di Michelangelo, sarà durato solo pochi istanti.  Ma quanto tempo, quanti giorni, quante notti, quanti sforzi il divino scultore ha dovuto investire per il raggiungimento di una così compiuta bellezza ?

Brodskij scrive che la bellezza è l'eccezione alla regola. E ha ragione.  La regola non è la bellezza. La regola è la bruttezza. E proprio perché la bellezza è così rara, che è anche fragile, del tutto in balia dell'evento, dell'umore, dell'insensatezza, del caos.  La bellezza chiede (o chiederebbe) soltanto di essere conservata, preservata.  Ma l'uomo NON è la bellezza.  L'uomo è capace di bellezza, anche nei suoi rapporti, nella costruzione della sua vita, nei gesti che compie, in quello che dona, in quello che crea.   

Ma l'insidia della bruttezza è dentro l'uomo, sempre.  Anzi, l'uomo ha portato (anche) la sua bruttezza nella creazione, l'ha portata e sparsa a piene mani.  L'incongruo è l'essere incapaci di preservare e conservare la bellezza.  L'incongruo è lasciarla sfiorire, appassire. L'incongruo è deturparla con un solo gesto vendicativo, dell'uomo che non può arrivare alla Luna e che per questo, insensatamente, è fortemente tentato sempre di distruggerla, di abbatterla, di tirarla giù dal cielo. 

Fabrizio Falconi 
(C) riproduzione riservata 2016

09/05/16

Archeoboat: Finalmente in battello sul Tevere fino ai porti imperiali di Claudio e Traiano.







In battello sul Tevere, da Roma ai Porti imperiali di Claudio e Traiano, a Fiumicino. 

Dopo un viaggio di prova ha debuttato ufficialmente l'Archeoboat, il servizio di trasporto via fiume che colleghera' Roma e Fiumicino, passando attraverso Portus, il Parco archeologico dei Porti imperiali.

Ogni fine settimana, cittadini e turisti avranno la possibilita' di viaggiare in battello, sulle acque del Tevere, per raggiungere e visitare l'unico porto romano giunto intatto fino al nostro tempo, nel segno della mobilita' sostenibile. 

Promossa dall'Amministrazione Comunale di Fiumicino, l'iniziativa arricchisce la proposta di Navigare il Territorio, il progetto che, grazie alla collaborazione tra la Fondazione Benetton Studi Ricerche, Aeroporti di Roma e la Soprintendenza speciale per il Colosseo e l'Area archeologica Centrale di Roma, consente di visitare gratuitamente i Porti imperiali, ogni sabato e tutte le domeniche fino al 30 ottobre, con laboratori e tour dedicati ai bambini e alle famiglie

L'Archeoboat parte da Roma il sabato e la domenica, alle ore 9.30, dal molo di Ponte Marconi. In circa due ore portera' a Fiumicino, con approdo a soli 200 metri dai resti antichi, sulla sponda destra della Fossa Traianea. 

Dopo la fermata ai Porti imperiali e' possibile proseguire a bordo del battello fino al centro storico di Fiumicino, per una visita alla citta'; nel pomeriggio e' prevista un'escursione lungo il Tevere che consente di esplorare da vicino l'ecosistema fluviale (partenza alle ore 15 da Fiumicino centro e rientro alle ore 16.30 circa)

 Archeoboat si affianca al servizio di navetta gratuita che Aeroporti di Roma ha messo a disposizione per raggiungere in pochi minuti, nei giorni di apertura, il Parco archeologico direttamente dall'aeroporto Leonardo da Vinci.

08/05/16

Poesia della Domenica: "La Madre" di Ada Negri.



Vedova, lavorò senza riposo
per la bambina sua, per quel suo bene
unico, da lo sguardo luminoso;

per essa sopportò tutte le pene,
per darle il pan si logorò la vita,
per darle il sangue si vuotò le vene. -

La bimba crebbe, come una fiorita
di rose a maggio, come una sultana,
da la materna idolatria blandita;

e così piacque a un uom quella sovrana
beltà, che al suo desio la volle avvinta,
e sposa e amante la portò lontana!...

... Batte or la pioggia dal rovaio spinta
ai vetri de la stanza solitaria
ove la madre sta, tacita, vinta:

schiude essa i labbri, quasi in cerca d'aria;
ma pensa: "La diletta ora è felice... ".
E, bianca al par di statua funeraria,

quella sparita forma benedice.



Ada Negri

06/05/16

"Drammi quotidiani", la nuova mostra di Justin Bradshaw alla Sala Margana.

Vaso, di J. Bradshaw



Alla Sala Margana, a Roma, in Piazza Margana, è stata inaugurata ieri la mostra Drammi quotidiani, con le nuove opere di Justin Bradshaw. 

La mostra durerà fino a domenica 8 maggio con l'orario 11-19 


Qui sotto un estratto dal testo di Maria Laura Perilli per la recente mostra 'Correlazioni' alla Galleria Triphe di Cortona, pertinente anche alle opere presentati in questa mostra:

"La luce è lo strumento principale di Justin Bradshaw; i riferimenti sono prettamente Caravaggeschi e l’uso che ne fa esalta, specie nella Santa Teresa, la plasticità del panneggio rendendola impalpabile, leggero, assonante con lo stato di estasi del personaggio. L’alone di luminosità pervade la spazialità dei suoi dipinti creando un’aurea di mistero e spiritualità. La tecnica utilizzata è quella dell’olio su rame; é tecnica antica, sviluppatasi durante il periodo manierista e scelta in particolare da artisti fiamminghi e tedeschi per piccoli e raffinati dipinti. L’intento di realizzare il piccolo, il minuto, è ripreso in toto da Bradshaw; non tralasciando la particolarità del dettaglio non scade mai in una sterile descrizione. L’impianto verista è sempre superato da quella atmosfera mistica che l’artista inglese riesce ad imprimere nei suoi lavori."











L'antro della Sibilla, di J.Bradshaw in mostra a Piazza Margana

05/05/16

Il Lincoln Center di New York celebra Anna Magnani .



Istituto Luce-Cinecittà e The FilmSociety of Lincoln Center sono orgogliosi di presentare La Magnani, la retrospettiva che porterà in anteprima a New York, e poi in tutti gli Stati Uniti e Canada, un momento irripetibile della storia del cinema mondiale: l'apparizione davanti alla macchina da presa di un'attrice di nome Anna Magnani. La retrospettiva prevede 24 titoli, in gran parte provenienti dall'Archivio Internazionale di Luce Cinecittà, tutti proiettati in pellicola in formato 35 e 16 millimetri, dal 18 maggio al 1 giugno 2016 presso il Walter Reade Theater del Lincoln Center, coprendo quasi per intero l'arco cronologico della sua carriera cinematografica, dal suo terzo film Tempo massimo di Mattoli del '34, fino al simbolico addio in Roma di Fellini nel 1972.

Passando per il capolavoro di Rossellini che la proiettò nella memoria del mondo, Roma città aperta ("Ti ho sentito gridare Francesco dietro un camion e non ti ho più dimenticato", scrisse Giuseppe Ungaretti), La rosa tatuata di Daniel Mann che le valse l'Oscar® (di cui ricorre quest'anno il 60° anniversario) e Selvaggio è il vento di Cukor, con cui vinse il premio per la miglior interpretazione a Berlino, e la sua seconda nomination agli Oscar®. La retrospettiva intende riproporre negli Stati Uniti, che le hanno ufficialmente tributato i più alti onori - dall'Oscar® alla stella sulla Walk of Fame di Hollywood - l'orgogliosa passione, l'umorismo tagliente ed il naturalismo alieno dall'affettazione, che hanno reso Anna Magnani il simbolo, se non forse la più sintetica definizione dell'idea del cinema italiano.

Una forma d'arte, esplosa nell'apparizione di Roma città aperta, che mostrò al mondo qualcosa che prima le platee non avevano mai visto così apertamente: quel qualcosa che si divideva tra la nudità del realismo e la gloria, che era la vita portata sullo schermo. Parimenti portata per il dramma e la commedia, così come per il palcoscenico e lo schermo, la Magnani incarnava quella che sarebbe stata la qualità più precisa e insieme inafferrabile del nostro cinema migliore: muovere con lo stesso film il pubblico al riso e alla commozione.

Così, non per caso, la retrospettiva newyorchese dedicata ad Anna Magnani diventa anche l'occasione per riscoprire alcuni capolavori del cinema italiano: da Rossellini (oltre a Roma città aperta, L'amore), Visconti (Bellissima), Pier Paolo Pasolini (Mamma Roma), Federico Fellini (Roma), De Sica (Teresa Venerdì), Lattuada (Il bandito), Monicelli (Risate di gioia), Zampa (L'Onorevole Angelina). Consegnando la diversità di generi e umori che fanno del cinema italiano uno dei più eclettici, ancora oggi, al mondo. E non meno intensa è la visione di pellicole di maestri internazionali: da Cukor, a un film divenuto proverbiale come La carrozza d'oro di Jean Renoir, al Lumet di Pelle di serpente (accanto a un possibile analogo maschile della Magnani, per iconicità ed estensione dei limiti del vero: Marlon Brando), a un film intrecciato alla vicenda biografica con Rossellini come Vulcano di Dieterle, alla Rosa tatuata, scritto da Tennessee Williams appositamente per l'attrice.

E non mancherà per il pubblico del Lincoln Center la visione di pellicole raramente conosciute oltreoceano, come una delle sue prime prove per il cinema, il già citato Tempo Massimo di Mario Mattoli del 1934, o il suo distintivo stile vocale in La vita è bella di Carlo Lodovico Bragaglia, e una delle sue ultime interpretazioni sullo schermo: il dramma storico …Correva l'anno di grazia 1870, di Alfonso Giannetti, la sua unica pellicola a fianco di un altro grande interprete italiano: Marcello Mastroianni, nel 1971

A seguire, dal 2 fino all'8 giugno, Istituto Luce Cinecittà ed il Lincoln Center presenteranno insieme la rassegna di Cinema Contemporaneo OPEN ROADS, giunta alla sua 16a edizione

04/05/16

"I Can't get no Satisfaction" Storia di una canzone leggendaria nel nuovo libro di Dario Salvatori.



Dario Salvatori sceglie il canale edicola per il suo ultimo libro.    S’intitola Satisfaction. La ribellione del rock, l’ultimo libro del critico musicale e conduttore televisivo Dario Salvatori.

Il volume esce in edicola in questi giorni con una tiratura di 20.000 copie distribuito da Mondadori e pubblicato da Sprea Editori.

Si tratta di un cartonato di 160 pagine al prezzo di copertina di €9,90.

La scelta di pubblicazione attraverso il canale edicola – afferma Francesco Coniglio, direttore di Sprea Music, ideatore dell’operazione editoriale – è determinata dall’impossibilità di accedere al canale delle librerie, ormai prossimo al disastro totale, appesantito dai costi altissimi e ingestibili della distribuzione.

Il saggio è il racconto di un’epoca di ribellione giovanile ispirata dalla musica rock.

Il martellante riff di chitarra distorta di Keith Richards è stato infatti un incipit emotivo presto diffusosi in tutto il pianeta che ha scatenato le istanze dei giovani degli anni ’60 determinando un grande stravolgimento sociale, culminato nelle occupazioni delle università americane e francesi nel maggio del ‘68 e poi di tutta Europa alla fine dello stesso decennio.

Composto nell’estate 1965 ed inserito in un vinile formato 45 giri dei Rolling Stones, giovane gruppo inglese agli inizi, Satisfaction vende a stretto giro milioni di copie e viene rilanciato, nei rispettivi Paesi di appartenenza, da una serie di grandi artisti che annovera, tra gli altri, Marlene Dietrich in Germania, Eddy Mitchell in Francia, Quincy Jones e Chet Atkins negli Usa…

Oltre all’originale, usciranno inoltre centinaia di versioni, decretando universalmente il motto “I can’t get no Satisfaction” un vero e proprio inno musicale della ribellione giovanile che crescerà nel tempo e diventerà a tutti gli effetti la canzone bandiera dei Rolling Stones, il gruppo più importante del mondo.

 A distanza di 50 anni, Satisfaction permane una delle canzoni più popolari di tutti i tempi, ragion per cui Dario Salvatori ha deciso di dedicarle un intero saggio ricco di dettagli e curiosi aneddoti che ricostruisce la storia della canzone, dall’idea creativa alla registrazione, e analizza le numerose implicazioni sociali e culturali che ormai questa frase musicale simboleggia.

Nel volume è presente, in un inserto a colori, anche la ricostruzione della discografia italiana a 45 dei Rolling Stones, ritenuta per la varietà delle copertine e la rarità delle emissioni, la più interessante del mondo, a cura di Franco Brizi e Michele Neri.

 Il Gruppo editoriale Sprea S.p.A. di Milano, editore del progetto, sta conquistando il segmento musica delle edicola con una serie di iniziative editoriali specializzate.

Al mensile "Classic Rock", edizione italiana dell’autorevole rivista inglese, che sta superando il venduto di 12.000 copie a numero, si è affiancato da un anno il bimestrale "Prog", ad alto prezzo di copertina (€9,90) che si sta stabilizzando su 7000 copie di venduto.

03/05/16

"L'ultima famiglia felice" di Simone Giorgi (RECENSIONE).



Con questo romanzo d'esordio, Simone Giorgi, romano, classe 1981, ha avuto una menzione speciale al Premio Calvino 2014. 

Pubblicato da Stile Libero Einaudi, L'ultima famiglia felice (bel titolo), racconta pochi giorni (poche ore) di vita di una famiglia normalissima: il padre è il mite Matteo, un uomo alto e grosso che ha deciso di fare della bonomia e della tolleranza ad extremis il suo stile di vita.  E' anzi convinto che questo sia il collante necessario per mandare avanti una famiglia;   la madre è la nervosa Anna, donna in carriera, con una sua piccola agenzia pubblicitaria, e dentro un rapporto adulterino con il collega  (e sottoposto) Eugenio; i figli sono Eleonora e Stefano, i due classici adolescenti, la prima alle prese con i primi turbamenti sentimentali, pressata da uno sbruffoncello di scuola però innamorato, che si chiama Lorenzo, e Stefano, il ribelle, quello che ha attaccato un cartello sulla sua camera in cui scrive che l'ingresso è vietato al padre, e che lo manda a fare in culo regolarmente. 

Con questo povero o poverissimo materiale, quello di una famiglia assolutamente nella norma, Simone Giorgi imbastisce un romanzo di 240 pagine nel quale prova a smontare l'assunto tolstojano secondo cui le famiglie felici si somigliano tutte, mentre quelle infelici sono tutte infelici in modo diverso. 

Ma la famiglia di Matteo è felice o infelice ? Lo è - come molte famiglie - solo apparentemente: solo grazie a quella che Bergman chiamava l'arte di nascondere la polvere sotto il tappeto

E' su questo che si basa il sottile equilibrio che permette alla famiglia di restare apparentemente unita fino alla deflagrazione finale (ultime 2 pagine del racconto). 

Il centro della narrazione è ovviamente Matteo e il suo paradosso vivente: quello di non avere reazioni, di lasciar fare tutto, di mandare giù tutto, di sopportare ogni sorta di tradimento, di preoccuparsi degli altri, di fare per gli altri, di evitare ogni possibile scontro come prospettiva di unità e di felicità. Naturalmente Matteo è destinato a fallire.  E il romanzo è la costruzione minuta di questo fallimento che arriva fino al suo culmine. 

I personaggi - a parte Matteo che è lavorato meglio a tutto tondo, con un lungo monologo interiore - sono piuttosto stereotipati, il linguaggio letterario è (volutamente?) scarno. Lo stile, in levare.  Una vera sfida, insomma, anche per il lettore. 

Una certa tensione comunque monta lentamente dentro la narrazione, e la catarsi finale - fin troppo attesa - non è banale e riscatta l'attesa.

Il romanzo italiano oggi pare incastrato (o incarcerato) in queste minuti spostamenti emotivi che hanno ancora (o sempre?) al centro la famiglia, l'istituzione di cui è stato celebrato da molto tempo il funerale, ma alla quale non è stata ancora concessa o profilata alcun tipo di successione.

Fabrizio Falconi

(C) riproduzione riservata 2016

02/05/16

Da domani in libreria, "Un'assenza" di Natalia Ginzburg con i racconti brevi e tutti gli inediti.





Inediti come 'Tradimento' scritto nel 1934, undici racconti finora ignoti, una suite autobiografica e sorprendenti cronache dalle fabbriche di Torino o dalla desolazione di Matera

Arriva in libreria domani negli ETBiblioteca Einaudi 'Un'assenza' (pp 366, euro 18) che raccoglie 'Racconti, memorie, cronache 1933-1988' di Natalia Ginzburg, a cura di Domenico Scarpa con in copertina Raja di Felice Casorati

 Sono trentasette testi, per la maggior parte mai raccolti prima d'ora, apparsi in alcuni casi in riviste o antologie, che restituiscono, lungo piu' di mezzo secolo, gli itinerari di una tra le piu' belle voci del Novecento italiano

 Nella prima parte sono raccolti per la prima volta tutti i racconti brevi di Natalia Ginzburg: quindici testi dei quali undici mai radunati prima d'ora in volume

La seconda parte, 'Memorie e cronache', con 22 testi di cui 12 mai apparsi in volume, si apre con la poesia 'Memoria' dell'8 novembre 1944. E' dedicata a Leone Ginzburg, primo marito di Natalia, morto nellaprigione di Regina Coeli in seguito alle torture dei carcerierinazisti. 

Un testo conosciuto, da rileggere e custodire come il 'Discorso sulle donne'.

 Realizzato con mezzi che sembrano poverissimi, ogni racconto di Natalia Ginzburg è, come viene sottolineato nella quarta di copertina, "una rivelazione, una vicenda che scorre su piu' nastri, che imperturbabile va addizionando gesti, oggetti e battute di dialogo, che si toccano per vie segrete e non si dimenticano". 

 Nelle oltre 350 pagine si ritrova la voce ruvida, duttile, scontrosamente intonata, della Ginzburg, nata a Palermo nel 1916 e morta a Roma nel 1991, autrice di libri come 'Le piccole virtu", 'Lessico famigliare' e 'Mai devi domandarmi'. 'Un'assenza' e' la storia di questa voce nel suo lungo percorso in cui viene reso visibile il cammino di un autore che si sperimenta nella scrittura breve come primo genere di composizione. 

Nel volume anche Notizie sui testi con una grande quantità di documenti dove, nella maggioranza dei casi, e' ancora una volta l'autrice a testimoniare di se'.



01/05/16

La poesia della domenica - "Sulla vita sua" di Vittorio Alfieri.






(Sulla vita sua)


Sperar, temer, rimembrar, dolersi;
Sempre bramar, non appagarsi mai;
Dietro al ben falso sospirare assai,
Né il ver (che ognun ha in sé) giammai godersi;
Spesso da più, talor da men tenersi;
Né appien conoscer sé che in braccio a' guai;
E, giunto all'orlo del sepolcro ormai,
Della mal spesa vita ravvedersi;
Tal credo, è l'uomo, o tale almen son io:
Benché il core in ricchezze o in vili onori
Non ponga, e Gloria e Amore a me sien Dio.
L'un mi fa di me stesso viver fuori;
Dell'altra in me ritrammi il bel Desio;
Nulla ho d'ambi finor che i loro furori.


Vittorio Alfieri