30/01/16

"Il quinto evangelio" di Mario Pomilio. Ritorna un grande libro.


Sono appena uscito dalla lunghissima lettura di un libro straordinario, Il Quinto Evangelio di Mario Pomilio, rieditato pochi mesi fa da L'orma, nella collana di testi italiani diretta da Andrea Cortellessa e divenuto un po' il caso letterario italiano del 2015.

Si tratta di un libro che ha avuto una storia particolarissima, e che alla sua uscita vinse numerosi premi (nel 1974 vinse il Premio Flaiano quando era ancora inedito; poi il Premio Napoli, e nel 1975 Prix pour le meilleur livre étranger di Parigi, 1978).

Il quinto evangelio è un testo ambiguo e un romanzo assolutamente sui generis. In qualche modo esso è l'antesignano di quel fortunato filone di romanzi storici, che ha trovato il massimo successo con Il nome della rosa di Umberto Eco nel 1980. 

Ed è un romanzo-mondo che contiene molti diversi generi, dall'epistolario all'antologia, dall'opera teatrale al saggio storico-biografico all'indagine filosofico-religiosa, costruito intorno alla ricerca di un fantomatico libro (Il quinto Vangelo, per l'appunto) che fa da fil rouge a molte altre storie che si intrecciano, dei vari personaggi che nei secoli hanno dedicato anni di ricerca (e in qualche caso la stessa loro vita) alla ricerca. 

In particolare il romanzo si costituisce di un carteggio, di tre lunghe lettere che contengono a loro volta tutta una serie di documenti storici sepolti dalla storia. 
Il prodigio che è riuscito a Pomilio è quella di raccontare una storia assolutamente fantastica, costruita però con tutte le rigorose sembianze di una vera ricerca storica. Ed è lo stesso autore ad avvertire nel colophon: « Occorre appena, credo, avvertire che questa è un'opera d'invenzione e che le stesse fonti che si menzionano o sono immaginarie (e la più parte sono tali), o sono adottate con la massima libertà. » 

In sostanza, su un telaio di base, Pomilio costruisce una serie di elementi di fantasia che forzano la realtà storica e inducono a riflettere sul senso della ricerca della verità e anche - quindi - della personale ricerca di Dio. 

La trama - anche se di trama è molto difficile qui parlare - parte dalle vicende di Peter Bergin, un ufficiale americano dislocato nel 1945 a Colonia, il quale si trova ad alloggiare in una canonica abbandonata nella quale, all'interno della biblioteca, tra le carte appartenute al vecchio parroco scomparso, scopre materiali riguardanti un misterioso "quinto vangelo", alla cui ricerca sembrava che il sacerdote avesse dedicato moltissimi anni della propria vita. 

L'ufficiale, che nella vita civile è docente universitario e storico di professione, viene conquistato dall'enigma e, una volta terminata la guerra si dedica a tempo pieno a quella ricerca, riunendo insieme ad altri giovani collaboratori, una serie di antichi documenti che parlano direttamente o indirettamente del libro proibito. 

Quando è ormai malato, dopo trent'anni, Bergin invia tutto il materiale a un certo monsignor "M.G.", segretario della Pontificia Commissione Biblica, insieme a una lunga lettera nella quale riassume le ragioni e le tappe della ricerca intrapresa, dando conto anche delle prove scoperte. 

In coda alla documentazione storica, Bergin unisce alcune lettere inviategli dai suoi allievi e collaboratori le quali, chiarisce il professore vuole aggiungere altri elementi alla ricerca. 

La risposta del prelato romano giunge due mesi dopo, troppo tardi per Bergin che nel frattempo è morto. Il testo è omesso da Pomilio e ci è dato di conoscerne il contenuto, solo in parte e indirettamente, dalla lettera che a sua volta la segretaria di Bergin, Anne Lee, invia a Roma. 

“Una risposta alla risposta” è appunto il titolo assegnato al Capitolo 16, che svela molte circostanze rimaste fino a quel momento nell'ombra. Anne Lee introduce nuovi e risolutivi argomenti tra cui un testo teatrale, punto d'arrivo della lunga meditazione sui Vangeli iniziata tanti anni prima da Bergin che attraverso i personaggi in gioco rivela sé stesso, e dubbi, le intuizioni e i dialoghi interiori fino all'apparire dell'elemento della "fede" che in conclusione sembra assumere un aspetto risolutivo. 

Il testo teatrale, in un crescendo drammatico svela il colpo di scena finale quando il Quinto Evangelista si leva in piedi … liberandosi nel frattempo della benda che ha attorno al volto e scoprendo un uomo che il volto stesso di Gesù. 

La riduzione in questi termini non fa certo un buon servizio al testo di Pomilio, che è multiforme, inafferrabile, e che rappresenta anche una sfida per il lettore, il quale è invitato a perdersi e abbandonarsi in una fitta ragnatela di indizi veri, falsi o verosimili, che lo riconducono semplicemente a riflettere sulla sua natura umana e sul rapporto con il divino. 

Ho pensato, leggendo questo libro, a quanto esso è distante da quell'eterno presente nel quale tutti sembriamo calati in questi primi decenni del terzo millennio.  

Anni luce separano la fredda liquidità contemporanea alla immane capacità d'introspezione filologica e filosofica che Pomilio sa condurre con mano magistrale, componendo un testo che è una sfida, e allo stesso tempo, una mappa di navigazione per un (auspicabile) ritorno a toni più umani. 

Fabrizio Falconi



Mario Pomilio

29/01/16

70. anniversario della nascita della Repubblica Italiana - La casa editrice Marlin lancia un contest collaborativo aperto a tutti.



In occasione del 70° anniversario della nascita della Repubblica Italiana, la casa editrice Marlin di Tommaso e Sante Avagliano promuove il contest collaborativo “70 anni di Repubblica Italiana. I fatti che ne precedettero la nascita”. 

Al centro del progetto, finalizzato alla pubblicazione di un apposito volume, la raccolta di foto e documenti inediti dei momenti che hanno preceduto il 2 giugno 1946  Correva l’anno 1946

Con un referendum gli italiani dovevano scegliere tra Monarchia e Repubblica. Bisognava eleggere anche i membri dell’Assemblea Costituente, che avrebbe scritto la nuova architettura dello Stato. 

Gli aventi diritto al voto erano 28 milioni: fu la prima votazione nazionale a suffragio universale. Un passaggio alle urne decisivo per la storia d’Italia. 

In occasione del 70esimo anniversario della nascita della Repubblica Italiana, che ricorrerà il 2 giugno 2016, la casa editrice Marlin  lancia il contest collaborativo “70 anni di Repubblica Italiana. I fatti che ne precedettero la nascita”, volto a raccogliere foto e memorie che contrassegnarono le fasi storiche attraverso le quali si arriverà a quella data, radicale punto di svolta per la storia d’Italia. 

Rivolto a librerie, archivi storici, gruppi di lettura, associazioni storico-politiche, scuole secondarie di primo e secondo grado, community on line, Aziende di Soggiorno e Turismo, Pro Loco, docenti e studiosi di storia, lettori, appassionati di storia e blogger tematici, il progetto è finalizzato alla realizzazione di un lavoro editoriale in cui tutti coloro che vi contribuiranno saranno allo stesso tempo autori del libro/catalogo sulla ricostruzione di un periodo storico fondamentale per il Paese. 

 «La passione per la storia e l’interesse a preservare la memoria di avvenimenti e personaggi che hanno lasciato il segno, ci hanno spinti a concentrare le energie professionali sui filoni della narrativa, della memorialistica e della saggistica storica - affermano Tommaso e Sante Avagliano, editori della casa editrice di Cava de’ Tirreni (Sa) - Questi filoni rappresentano la specializzazione della Marlin, decisa ad intraprendere un nuovo e stimolante percorso, con la convinzione di rivolgersi ad un pubblico che ama leggere belle storie e nello stesso tempo è interessato a conoscere il contesto storico-sociale in cui sono ambientate». 

Per contribuire alla raccolta, gli interessati sono invitati a postare sulla facebook page https://www.facebook.com/MarlinEditoreCava foto originali che riguardino momenti che hanno preceduto la chiamata alle urne, il clima politico e culturale di un’Italia appena uscita sconfitta dalla guerra, il ruolo che le potenze vincitrici giocarono in questa “partita”, le fasi salienti delle votazioni, l’esilio di Re Umberto. 

In alternativa, i materiali potranno essere inviati agli indirizzi di posta elettronica info@marlineditore.it o ufficiostampa@marlineditore.it entro il 31 maggio 2016

Le immagini dovranno essere accompagnate da una didascalia che illustri la situazione raffigurata (personaggi, luoghi, date…) e da una breve presentazione dell’autore del contributo inviato

Sarà cura della redazione della Marlin selezionare accuratamente i materiali ricevuti e citarne gli autori nell’appendice della pubblicazione, sia che si tratti di soggetti singoli (lettori, storici, appassionati di storia, blogger tematici), sia di organizzazioni (librerie, archivi storici, gruppi di lettura, associazioni storico-politiche, scuole, Aziende di Soggiorno e Turismo, Pro Loco). 

Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito web www.marlineditore.it, telefonare al numero 089.467774 o scrivere a info@marlineditore.it.

28/01/16

Senso di colpa e peccato, Cristianesimo e Buddhismo.





Una delle vulgate più comuni di questi nostri tempi è quella che il Cristianesimo - ma si dovrebbe dire ancor di più l'ebraismo, di cui il Cristianesimo è figlio - è una religione fondata sul peccato e (quindi) sul senso di colpa. 

Nelle chiacchiere da bar, questa è diventata una affermazione che nessuno discute più e che anzi è uno dei motivi principali per i quali tanti cristiani - sarebbe meglio dire tanti battezzati - si avvicinano al buddhismo e alla pratica buddhista, che fra proseliti anche tra gli agnostici, confortati dal fatto di avere a che fare con una pratica che non mette "il dito nella piaga", che lascia liberi, che non condanna e non spaventa con scenari catastrofici di inferni e giudizi universali. 

Tralasciando qui il discorso sul Cristianesimo e sul fatto di come esso è percepito oggi, che ci porterebbe lontano, è il caso di sottolineare che nel buddhismo, il peccato (che non si chiama peccato) cioè il vivere male, vivere contro i precetti del bene, non è affatto un elemento secondario. Tutt'altro. 

(*) Ma che succederà dopo la morte, di colui che non ha riconosciuto l'Atman (in termini occidentali potremmo dire, lo Spirito) ? Che ne sarà dei buoni, che dei cattivi ? 
Il Rig-Veda della vita dell'oltretomba ci dà qualche accenno: i buoni andranno in un luogo di eterne delizie, i malvagi di pene eterne. 

Secondo le Upanishad, solo chi ha conosciuto l'Atman, morto, si assorbirà in esso, né più tornerà in questo mondo; ma chi non è riuscito  a squarciare il velame che ricopre l'Atman e a estinguere in sé il desiderio della vita e dei piaceri, colui rinascerà in altre forme e in altri mondi, di felicità o di infelicità, a seconda che in terra avrà bene o male operato. 

Finito il periodo di espiazione o premio, ritornerà in terra dove, o conoscerà l'Atman, e morto, si assorbirà in lui, né più rinacerà, oppure, NON conosciutolo, opererà bene o male, e saranno le sue opere (Karma) le artefici del futuro destino. 

Come si vede, le buone opere non ottengono la liberazione dal circolo dell'esistenza, ma procacciano soltanto un buon avvenire dopo morto; è la conoscenza dell'Atman che libera da quel circolo. 

E perché è necessario operar bene per non incorrere in un avvenire di dolori ? Perché chi opera bene rispetta se stesso nel suo prossimo e in ogni essere vivente, l'Atman occulto in lui essendo lo stesso di quello occulto di tutte le creature;  mentre chi opera il male offende nell'altro se medesimo, nell'Atman dell'altro il suo proprio Atman. (*)

Come si vede, anche nel Buddhismo non si fanno sconti. Ma forse in tempi come questi, semplicemente il non uso della parola occidentale 'peccato' è di per sé rassicurante.



Fabrizio Falconi

26/01/16

Andrej Tarkovskij e la Meditazione Trascendentale.




Rileggendo i meravigliosi diari di Andrej Tarkovskij (*), mi sono imbattuto in un particolare che non ricordavo.  

C'è un tratto che accomuna Tarkovskij a Bergman e a Fellini: il fascino per il magico, l'inconsueto, il soprannaturale, l'inspiegabile. 

Nella sua curiosa voracità intellettuale, Tarkovskij voleva conoscere e approfondire anche temi come la parapsicologia e gli avvistamenti UFO, come risulta dagli incontri con la giornalista estone Jure Lina, residente in scandinavia, che il regista incontrò più volte nel 1976.

Tre anni più tardi, invece, durante il viaggio in Italia con Tonino Guerra, alla ricerca di locations per Nostalghia, Tarkovskij si avvicinò alla Meditazione Trascendentale, di cui abbiamo parlato spesso in questo blog.

Accadde esattamente nel luglio del 1979 quando Tarkovskij, insieme a Guerra, fu ospite di Michelangelo Antonioni, nella sua splendida villa, in Sardegna, sulla Costa Paradiso. 

Tarkovskij descrive nei diari la bellezza della villa ("Tamarindi, alberi nani, ammassi rocciosi, c'è dell'acqua tutto intorno...Una spiaggia straordinaria"); descrive i suoi ospiti (Michelangelo è molto gentile, sua moglie Enrica è piena di attenzioni, una padrona di casa perfetta); manifesta i suoi dubbi  (A sentire Tonino, questa casa costa circa 2 miliardi di lire, un milione e settecentomila dollari. La casa. Michelangelo ha troppo "buon gusto"). 

Il 31 luglio, tre giorni dopo il suo arrivo, Tarkovskij annota:

Oggi ho compiuto il mio primo esercizio di Meditazione Trascendentale, sotto la guida di Enrica.  Domani faremo l'esercizio individualmente.  Gli esercizi, o le tecniche da imparare sono quattro. Alla fine della prima lezione, l'allievo deve offrire al suo maestro (in segno di riconoscenza) un mazzo di fiori, due frutti e un pezzo quadrato di stoffa bianca (un tovagliolo oppure un fazzoletto). Domani dovrò andare a fare un po' di compere con Michelangelo. 
Prima meditazione: Mantra. 

E il giorno dopo, 1 agosto:

Meditazione al mattino. Più profonda, ma avevo la tendenza ad addormentarmi. E'un peccato che il primo giorno di digiuno coincida con il mio giorno di meditazione. Non ho avvertito le "pulsazioni blu". 
In serata la mia meditazione ha funzionato bene. Enrica ha tenuto lezione a me e a Lora (ndr la moglie russa di Tonino Guerra), Ho visto di nuovo dei lampi blu. 

poi il 3 agosto: 

La meditazione la mattina, non è andata male. La sera invece, molto male. Ho dovuto quasi smettere. Bisognava scacciare continuamente tutti i pensieri che ininterrottamente si intromettevano. Spero che domattina andrà meglio. 

Fa una certa impressione immaginare Tarkovskij, Antonioni, Guerra, in quella magica estate del 1979. Sembra moltissimo tempo fa. E sarebbe interessante scoprire come proseguì la "pratica meditativa" di Tarkovskij. 

Che ci manca sempre di più.

* I diari di Andrej Tarkovskij, con il titolo scelto dall’autore, Martirologio, sono stati pubblicati per la prima volta in Italia dalle Edizioni della Meridiana di Firenze, nel 2002, curati dal figlio del regista, Andrej A. Tarkovskij e la traduzione dal russo di Norman Mozzato. I diari coprono un intervallo di tempo che va dal 1970 all’anno della morte, il 1986.

25/01/16

"METAFORA" - Le opere di Sidival Fila all'Ambasciata del Brasile a Piazza Navona, da oggi.





Sidival Fila in mostra all'Ambasciata del Brasile a Roma.

Un dialogo fra uomo, natura e Dio. È questo ciò che suggeriscono le opere dell’artista brasiliano Sidival Fila anche in questa selezione, intitolata “Metafora”, presentata e realizzata presso la Galleria Candido Portinari di Palazzo Pamphilj in collaborazione con l’Ambasciata del Brasile in Italia. 

“Nel segno della trasformazione che opera l’uomo in relazione al Suo Creatore” – afferma la curatrice, Cinzia Fratucello – “è anche questo significativo omaggio offerto dalle rappresentanze diplomatiche brasiliane in Italia ad un figlio del Brasile. Nei musei brasiliani Sidival ha incontrato l’arte e vissuto la sua prima passione artistica; nelle città italiane, e specie a Roma, ha raffinato il suo specifico linguaggio artistico”. 

Al primo impatto, lo spettatore è attratto dall’energia espressa dai colori e dalle tessiture complesse delle tele, per lo più monocrome

A uno sguardo più attento, però, ogni opera sprigiona una varietà di tonalità e diverse alterazioni di luci e spazi. 

“Lo sguardo non si ferma all’evidenza ma va aldilà del percettibile e del materiale” – spiega Fila. “Lo spettatore è invitato ad andare oltre lo spazio e il tempo, a lasciare i bisogni e ad affacciarsi all’anelito”. 

In questa comunicazione, gioca un ruolo importante la tecnica usata per ogni installazione. Le tele a volte sperimentano l’utilizzo del lino antico, tessuto a mano cento anni prima per qualche corredo nuziale e mai usato, oppure di un ricco damasco.

 “Non è un riciclo” – commenta l’artista. “È un recupero della stoffa antica che ha subito una cristallizzazione e ora torna a vivere. Fra il momento della creazione e la nuova realtà c’è un collegamento con lo spazio lontano. Il mio intento è quello di dar nuova vita alle trame antiche. Di farle rivivere attraverso l’arte”. Fra le installazioni esposte ci saranno alcune inedite, realizzate appositamente per la mostra, “Metafore”. “ 



"Metafora" 
Opere di Sidival Fila 
a cura di Cinzia Fratucello 
Palazzo Pamphilj (Ambasciata del Brasile) | Galleria Candido Portinari 
Piazza Navona 10 | Roma Mostra dal 27 gennaio al 19 febbraio 2016 
Dal lunedì al venerdì | ore 10-17 Entrata libera 
Presentazione alla stampa: 25 gennaio ore 18


24/01/16

New York proclama il 20 gennaio "David Bowie Day".






"Blackstar", l'ultimo album di David Bowie, è entrato alla numero 1 nelle classifiche di più di 20 Paesi tra cui Usa, Uk, Australia, Belgio, Canada, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Spagna, Svezia e Svizzera. 

Il disco, il 28esimo dell'artista britannico pubblicato l'8 gennaio nel giorno del suo 69esimo compleanno, ha raggiunto la vetta su iTunes in 69 Paesi

Ieri, in occasione dell'ultima replica di "Lazarus", lo spettacolo in scena con le sue musiche, il Sindaco di New York City Bill de Blasio ha proclamato il 20 gennaio 2016 il David Bowie Day, che verrà celebrato ogni anno, in questa stessa data. 

23/01/16

Il Guggenheim di New York: il primo museo che da oggi è possibile visitare online.




Il Guggenheim Museum di New York da adesso in poi si potrà visitare da ogni angolo del mondo: nel senso che si potrà godere delle sue meraviglie stando comodamente al computer

Il Solomon R. Guggenheim Museum, l`avamposto newyorkese del circuito museale della fondazione Guggenheim (con sedi a Venezia, Bilbao e Abu Dhabi), ha deciso di permettere a chiunque lo desideri di visitare le sue sale grazie alla tecnologia di GoogleStreet View, la stessa che già consente di esplorare qualsiasi strada di qualunque città dallo schermo del proprio pc.

La fondazione ha inoltre voluto rendere disponibili in rete 120 opere della sua collezione permanente: quest`iniziativa è stata decisa insieme al Google Cultural Institute, che ha siglato partnership con oltre mille istituzioni dando una piattaforma di accesso onlune a migliaia di opere d'arte, sei milioni di foto, video, manoscritti e altri documenti culturali e storici. 

 Una piccola curiosità: la leggendaria struttura a spirale del museo, opera dell`architetto Frank Lloyd Wright, ha rappresentato una sfida non da poco persino per gli ingegneri del team di Google Street View

Per poter esplorare l'edificio dall`interno, oltre alle normali apparecchiature sono stati utilizzati dei droni. Le immagini sono state poi unite per fornire al visitatore virtuale un`esperienza a 360 gradi delle gallerie rotonde del Guggenheim

Il risultato è sorprendente: ci si può muovere da rampa a rampa e spostarsi vicino alle opere per ammirarle da vicino. Tra i pezzi in esposizione c'è anche "Daddy, Daddy" di Maurizio Cattelan, una scultura di Pinocchio che galleggia a testa in giù in una fontana al piano terra del museo. 

Questa spinta alla digitalizzazione sta contagiando sempre più i poli culturali: recentemente la New York Public Library ha reso disponibili più di 180.000 tra fotografie, cartoline, stampe e mappe dalle collezioni del suo gigantesco archivio, rendendo tutto il materiale scaricabile in alta definizione e gratuitamente (una delle maggiori operazioni di questo tipo mai realizzate).

La biblioteca di New York ha creato anche un gioco in cui si possono esplorare gli appartamenti newyorkesi di inizio '900 utilizzando le planimetrie depositate nel suo archivio. 

22/01/16

Cresce dopo tanti anni negativi il dato sulla lettura dei libri in Italia - Armando Torno (Il Sole 24 Ore)




Sale dell'1.7 per cento in più rispetto al 2014 il dato riguardante la lettura di libri nel nostro paese.   Oggi legge in media un libro cartaceo all'anno il 42% degli italiani che hanno più di 6 anni (era il 41.4 nel 2014), recuperati quindi 412 mila lettori; infine piccolo boom anche per gli ebook che sono stati letti nel 2015 da 4,687 milioni di lettori (è il 14,1% della popolazione che ha usato Internet negli ultimi tre mesi)

Armando Torno per Il Sole 24 Ore ha commentato questi dati. 

Ralph Waldo Emerson, pensatore tra i più acuti dell’Ottocento americano, meditato attentamente anche da Nietzsche, lasciò nel saggio «Società e solitudine» una raccomandazione: «Non leggete mai un libro che non sia vecchio di un anno»

Il secolo romantico poteva ancora permettersi un lusso simile; oggi, se applicassimo tale regola, crollerebbe l’industria editoriale. E, con essa, rischierebbe l’estinzione anche quella materia indefinibile, ma estremamente importante, chiamata cultura. 

Quanto valeva nel secolo di Leopardi, Nietzsche e Marx in materia di lettura oggi va preso con il beneficio d’inventario, di certo non possiamo applicarlo alle nostre abitudini. Ce ne rendiamo conto anche dinanzi a una buona notizia, come quella resa nota dal presidente dell’Aie (Associazione italiana editori) Federico Motta 




- Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/mI07JP

21/01/16

"Emozioni (Lucio Battisti via mito note) di Tullio Lauro e Leo Turrini (RECENSIONE)




E' l'esempio di un libro intelligente, ben concepito e ben scritto. 

Scrivere un libro sul mito Battisti è impresa difficile. Unico esempio di un personaggio che dal 1976 ha deciso di scomparire dal mondo, negando di sé anche la più piccola apparenza. (Mina ha fatto qualcosa di simile, ma è rimasta sempre in contatto col mondo: tutti sanno dove vive e con chi, tutti sanno cosa pensa e cosa scrive, ha perfino curato una rubrica per anni su La Stampa di Torino).

Lauro e Turrini dunque si sono dovuti barcamenare col pochissimo - quasi nullo - materiale a disposizione.  Anche prima del 1976 come è noto, Battisti ha parlato pochissimo e si è visto molto poco in pubblico. 

Ma anziché mettersi a inventare e a speculare sul nulla, negli anni fino alla morte del cantautore di Poggio Bustone, morto prematuramente a Milano nel 1998, i due autori hanno pazientemente ricostruito i documenti disponibili, il racconto dei pochi amici o compagni di avventura del nostro, la parabola quasi inspiegabile di un cantante-autore né bello né simpatico, quasi un buon selvaggio, sbucato fuori dalla Sabina più remota, e divenuto in pochissimi anni un monumento della musica popolare italiana, qualcuno che - in coppia con l'autore Mogol - ha saputo influenzare il costume e il mito popolare come nessuno prima - e forse anche dopo - di lui.  Con un manipolo nutrito di canzoni divenute immortali, fino alla fuga dal mondo, la sparizione, l'autoisolamento volontario e remoto, finito in un arrovellamento musicale-creativo personalissimo che gli ha fatto piovere addosso accuse di tutti i tipi, nell'epoca di album scarni e ostici, condivisa con l'autore-poeta Pasquale Panella.

In totale, come si riporta nel libro, Battisti ha interpretato 105 canzoni firmate con Mogol (gran parte di esse hanno un posto di grandissima rilevanza nella storia della musica leggera italiana), 12 con la moglie sotto lo pseudonimo di Velezia, 40 con Panella, e 3 di altri autori.  Più una trentina di altre canzoni scritte per altri cantanti. 

La fenomenologia di Battisti è interessante per molti motivi. E non è un caso che di lui si siano occupati nel bene e nel male i più grandi musicologi italiani - nel libro c'è un vastissimo repertorio di commenti su L.B. e sulla sua musica dei più disparati personaggi - uomini politici, intellettuali, compreso Edmondo Berselli che firma la pregevole introduzione di questo libro. 

Nel volume si ripercorre la vieta biografia - priva di eventi veramente particolari - compresa la vasta aneddotica su Lucio Battisti, tra cui la sua fantomatica (e del tutto falsa) simpatia per la destra (la leggenda metropolitana su di lui era che finanziasse organizzazioni e movimenti dell'estrema destra) cui viene dedicato un intero volume.

Ma c'è tutto quello che serve da sapere, oltre ad un nutritissimo apparato di crediti su album, realizzazioni e l'elenco di infinite cover realizzate da artisti famosi - italiani ed esteri - delle sue canzoni. 

E' anche un modo per ripercorrere quegli anni controversi (alcuni brigatisti, dopo gli arresti, confermarono di sentire nei loro covi le musiche di Battisti), di cui queste canzoni sono state incessante colonna sonora. 

Fino all'ultima fase, quella col binomio Battisti-Panella che ha prodotto 5 album del tutto sperimentali, criptici, ai limiti dell'assurdo,  oggi osannati e apprezzati perfino da filosofi e intellettuali di diversa provenienza. 

Valga per tutti il giudizio di Renzo Arbore che paragona la creatività di Battisti a quella di Gershwin e di Michele Serra, che scrive: 

Don Giovanni ridimensiona gran parte della musica leggera degli ultimi dieci anni.... il mio voto è dieci e lode. La sua invenzione melodica è enorme. La frase musicale finisce sempre in un modo sorprendente, lasciandoti sospeso nel vuoto, in una vertigine(...) La scelta dei testi è geniale. Molto meglio di Mogol.  Io credo che L'Apparenza sia l'opera di un genio, o più probabilmente di due (...), dico genio pensando a chi sa generare miracoli, inventare cose che nessuno ha potuto inventare prima. Come artefice di una illuminazione formidabile che per un attimo ci porta via o porta via gli altri. 

Fabrizio Falconi

Tullio Lauro - Leo Turrini
Emozioni - Lucio Battisti vita mito note
Zelig Editore
Milano, 1995


20/01/16

"Little Sister", un delicato e poetico film dal Giappone.



E' un bellissimo film, il nuovo di Kore-Eda, Little Sister, dopo My father my son. Dal Giappone una lezione di stile e di sostanza sui rapporti affettivi, sulla realtà e i bisogni del mondo interiore.

Riporto qui sotto due recensioni che condivido interamente. 

"Poteva nascere un mélo di lacrime e sangue, ne esce invece il ritratto coinvolgente e pacato di una generazione alle prese con le «eredità» psicologiche lasciate dai genitori, il senso di riconoscenza in lotta con la voglia di indipendenza, il «doverismo» contro la libertà. Kore-Eda racconta tutto questo con un tocco sensibilissimo e delicato, attento a piccoli gesti privati (molti legati alla quotidianità del cibo), con un'asciuttezza e una sensibilità che evitano qualsiasi caduta verso la lacrima o il ricatto sentimentale." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 14 maggio 2015)


"Non perdetelo perché è davvero un bel film nonostante le inevitabili penalizzazioni del doppiaggio (più forti e fastidiose in film come questo), di quelli che regalano momenti di intensa emozione, leggerezza, e felicità. (...) Piccoli drammi o episodi lontani, l'incognita del futuro, sentieri impalpabili lungo i quali si avventurano i personaggi che il suo sguardo segue con pudore e dolcezza. (...) Siamo in un mondo declinato interamente al femminile, le sorelle, la anziana pro zia, la madre delle tre ragazze, la piccola Suzu, che condividono il fantasma paterno, quella figura per le tre maggiori fantasmatica, per Suzu invece concreta intorno alla quale continuano a fluttuare ricordi, rancori, delusioni, rimpianti. (...) 
Il Diario narra lo scorrere di queste giornate, il rito sospeso del tempo quotidiano in cui nulla sembra accadere, i passaggi dell'esistenza, gli incontri e gli addii, le lente scoperte di sé, la crescita dei desideri, la necessità di lasciarsi alle spalle l'infanzia mondo dell'infanzia ... Oltre i bordi delle immagini balena il Giappone in crisi delle piccole imprese oppresse dai debiti e dalle banche, di un'irrequietezza giovane, di sogni lasciati a metà. 

Non è facile mantenere teso questo filo dell'emozione, e renderlo immagine. Kore-eda guarda al cinema classico del Sol levante, alle sfumature emozionali impalpabili di Ozu, anzi 'Little Sister' è forse il più vicino per sensibilità alle storie del regista di 'Viaggio a Tokyo', e non solo per i fiori di pesco che danzano spinti dal vento o per la delicatezza con cui costruisce la sua messinscena

Il movimento delle esistenze tra conflitti, silenzi, ferite anche involontarie, sorrisi, umorismo che disegna questa geometria narrativa ci parlano di una ricerca del proprio posto al mondo in cui ognuno porta in sé le tracce di qualcun altro (...). Un film «piccolo» questo 'Little Sister', senza proclami, che lieve rende la vita, e lo scorrere delle sue stagioni nel tempo del cinema." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 2 gennaio 2016)

19/01/16

E' morto il grande Michel Tournier.




A 91 anni e' morto, lontano dai riflettori di Parigi, Michel Tournier, considerato uno dei più grandi scrittori francesi del secolo scorso, più volte citato come candidato al Nobel per la letteratura.

Arrivato tardi alla scrittura - aveva 42 anni alla pubblicazione del suo primo romanzo - Tournier ha scritto per adulti e adolescenti, riuscendo a mescolare mito e storia.

Per Gallimard, pubblicò a meta' anni Sessanta "Venerdi' o il limbo del Pacifico", ispirato al Robinson Crusoe di Daniel Defoe.

Nel 1970 ottiene - unico scrittore francese nella storia - il premio Goncourt all'unanimità della giuria, per "Il re degli Ontani", che vendera' in 4 milioni di copie.

"Venerdi' o la vita selvaggia", versione semplificata della sua prima opera, vendette 7 milioni di copie e fu tradotta in 40 lingue, diventando un classico per ragazzi letto ancora oggi in tutte le scuole.


fonte ANSA


18/01/16

"Roma rassegnata e meticcia" - intervista a Fabrizio Falconi.



Intervista realizzata da Gabriele Ottaviani per Convenzionali.


Convenzionali ha recensito Roma segreta e misteriosa di Fabrizio Falconi: ora, abbiamo il piacere di intervistarne l’autore.

Perché scrivere un libro su Roma e sui suoi aspetti più insoliti, esoterici, magici?

Perché, come disse una volta Sigmund Freud, Roma assomiglia a un’entità psichica, dove il passato è ovunque e convive con il presente e con il futuro. E proprio come una entità psichica, Roma può essere indagata ad libitum, scoprendo sempre nuovi aspetti, nuove profondità e nuove luci e nuove ombre. Poi Roma, proprio per questa lunghissima abitazione umana, lunga tre millenni, nasconde, custodisce storie e misteri più di ogni altra città al mondo.

Che città è Roma oggi?

Una città un po’ rassegnata, e completamente meticcia ormai. I Romani sono, per la prima volta nella sua storia, minoranza. Prevalgono i forestieri, la gente che vive qui ormai proviene da ogni parte d’Italia e del mondo. È ormai una città meticcia, e anche dal fascino decadente, un po’ come Istanbul.

Ci sono altri segreti e misteri oltre a quelli che ha raccontato nel suo libro?

Certo, a Roma, come dicevano i nostri nonni, basta sollevare una pietra – o un sampietrino – ed esce fuori una storia. I misteri di Roma affondano le radici nel mito stesso di Roma, e poi proseguono fino ai giorni nostri. Io qui propongo soltanto una selezione, una mia scelta.

Cosa pensano secondo lei di Roma i romani, gli italiani non capitolini e i cittadini stranieri?

I Romani, nel senso di quelli che ci abitano, non la trattano molto bene. La usano come una pantofola vecchia, ci sono abituati e la maltrattano, non la curano. Gli italiani non capitolini ne sono affascinati e in parte ne invidiano anche un po’ il suo ruolo centrale; purtroppo a causa dei palazzi del potere Roma viene ancora oggi molto bistrattata. I cittadini stranieri ne sono invece quasi tutti affascinati, innamorati. Ogni qualvolta un amico straniero viene in visita qui, a trovarmi, dopo un po’ di giorni che è rimasto qui se ne va via con le lacrime agli occhi.

Quale romanzo e quale film per lei hanno raccontato meglio la Città Eterna?

Non ho dubbi: “Roma” di Federico Fellini. Lì c’è davvero tutto lo spirito di Roma, della Roma antica e della Roma di oggi. È un capolavoro, fra l’altro creato da un non romano, che però adottato da questa città, ne comprese meglio di chiunque altro lo spirito.

Che ruolo hanno i simboli, le leggende, i luoghi comuni, i pregiudizi nella percezione di Roma?

Fondamentale. A partire dal mito fondativo, di Romolo e Remo, tutta la storia di Roma è intrisa di miti, leggende, tradizioni, usanze che affondano le radici nei riti pagani e nelle religioni, prima fra tutte il cristianesimo che ha allacciato la sua storia millenaria con quella di Roma.

Come è cambiata Roma nel corso della storia?

La pelle di Roma, come quella di un camaleonte, è cambiata molte volte nel corso della storia. Per questo non si può parlare solo di Roma in astratto: ci sono tante Roma, quella dei miti primordiali, quella della Roma imperiale, quella medievale, quella classica e papalina, quella risorgimentale, quella fascista e quella della liberazione. Ognuna, ha una storia interessante.

Roma è un centro più religioso, culturale o politico?

Oggi è sicuramente più rilevante dal punto di vista religioso. Politicamente, Roma è sempre la capitale, ma la vera capitale economica dell’Italia è ormai Milano. Culturalmente, Roma è invece parecchio indietro, rispetto alle grandi capitali europee. Ma il gap può essere colmato facilmente se ci fosse la volontà politica di farlo: nessuna città al mondo dispone di un patrimonio storico-artistico-architettonico come quello di Roma.

Cosa rappresenta Roma in Italia e nel mondo?

È sempre, come ho detto un punto di riferimento. Il centro della Cristianità in Occidente. E da un certo punto di vista la città caput mundi, quella che ha segnato la storia dell’Occidente, ponendo importanti cardini che ancora oggi reggono questa parte del pianeta.

In cosa Roma e l’Italia si somigliano e in cosa differiscono?

Si assomigliano nei limiti e nell’autolesionismo. Differiscono forse nello spirito con cui si vive: Roma è una città caotica, nella quale comunque sopravvive incredibilmente lo spirito dei padri, in certi aspetti come la sornioneria, l’ironia, lo scetticismo.

Una grande metropoli e una città di provincia: così Flaiano, più o meno. È d’accordo?

Assolutamente sì. Flaiano era un genio.

Che ruolo ha avuto la speculazione negli anni a Roma? Si può parlare della capitale con gli stessi termini che Rosi dedicò a Napoli nel suo Le mani sulla città?

Sì, il volto di Roma è stato violentato negli ultimi 50-60 anni dalla speculazione edilizia. E oggi dalla criminalità organizzata. Roma è diventata, come scrive Francesco De Gregori in una sua famosa canzone, una “vacca in mezzo ai maiali”, nel senso che per molti è soltanto una risorsa da spremere, da sfruttare fino alla morte.

Da cosa nasce il suo interesse per l’esoterismo, la magia, l’occulto?

La parola esoterico anticamente non aveva implicazioni con il satanico o l’occulto, come oggi va di moda. Io mi riconosco in quel significato, che non vuol dire altro che l’antica sapienza è stata per molto tempo occultata ai più, considerati non capaci di comprenderla, e criptata in codici, formule e simboli riservati solo agli iniziati. Così quel sapere si è conservato, e qualche volta è rimasto perfino ignoto alle generazioni successive.

Cosa ama leggere?

Leggo di tutto, sono onnivoro. Ho una curiosità irrefrenabile, e mi sembra sempre tantissimo quello che non so e che vorrei conoscere. Ma questo è in fondo, essere vivi. Si smette di esserlo quando si perde la curiosità di conoscere. La conoscenza è tutto.

Quale libro avrebbe desiderato scrivere? E quale scriverà nel futuro?

Mi sarebbe piaciuto essere forse uno di quei cronachisti che visitarono Roma nell’anno Mille e che scrissero i Mirabilia Urbis, le meraviglie di quella città, piena di rovine, che affascinava così tanto i pellegrini che venivano a visitarla a piedi da mezzo mondo… Per il futuro, sto scrivendo un nuovo libro, si intitolerà Le rovine e l’ombra. Si parlerà sempre di rovine, e anche di Roma, ma da un punto di vista molto più personale, alternando la riflessione psicologica e filosofica, con il racconto di storie legate alle rovine. Sono convinto che l’ombra che protegge le rovine – sia quelle vere, delle città, sia quelle personali, psicologiche – sia molto preziosa perché contiene grandi potenzialità e grandi riserve di vita.

Qual è la cosa più importante da fare quando si racconta una storia, qualunque essa sia?

Considerarne la verosimiglianza, approfondirne i dettagli e gli aspetti e raccontarla con la passione, come quando si cerca di interessare un bambino ad ascoltare una favola. In fondo, il nostro bisogno di storie non finisce mai, in tutta la vita, indipendentemente dalla età che abitiamo.

Intervista realizzata da Gabriele Ottaviani per Convenzionali.

16/01/16

Il racconto della fine di Esenin.

Sergej Esenin sul letto di morte


Nel 1925 Esenin sposa a Mosca Sof'ja Andreevna Tolstaja, nipote del grande scrittore. 

Con lei va ancora a Baku. Suoi versi sono tradotti in georgiano. Nel settembre torna a Mosca per curare la pubblicazione delle sue opere con le edizioni di Stato. 

E' di nuovo in preda all'alcool. I giudizi severi della critica, lo sconforto, le allucinazioni lo portano sull'orlo della catastrofe.

L'angoscia si rispecchia nel suo ultimo poema (L'uomo nero), finito il 12-13 novembre. Alla fine dello stesso mese entra in una clinica. 

Ma il 23 dicembre, eludendo la vigilanza della moglie e degli amici, parte per Leningrado.

Qui, in una stanza dell'albergo "Angleterre", nella notte dal 27 al 28 dicembre 1925 s'impicca con la cinghia della sua valigia . La notte precedente scrive col sangue, per mancanza d'inchiostro, due quartine d'addio, coi famosi versi finali: 

In questa vita morire non è nuovo,
ma neppure vivere, certo, lo è di più.

Ad essi V. Majakovskij risponderà parafrasando, coi versi finali di un'aspra poesia (A Sergej Esenin): In questa nostra vita/morire non è difficile/costruire la vita/è notevolmente più difficile. 

I funerali del poeta si svolgono a Mosca l'ultimo giorno dell'anno, il 31 dicembre con grande partecipazione di popolo.  Tra gli artisti e scrittori che portano a braccia il feretro si trovano Isaak Babel', Vsevolod Ivanov, Vsevolod Mejerchol'd e Boris Pil'niak.

Qualche tempo dopo, A.Tolstoj definisce con esattezza il dramma di Esenin in un suo commosso articolo sulla morte del poeta: Egli se n'era andato dalla campagna, ma non era arrivato nella città. 


i funerali di Esenin

tratto da S.Esenin, Il paese dei banditi, a cura di Iginio De Luca, Einaudi editore, 1985, p.XXIV

15/01/16

Biofilia: "Sul ritorno del bosco", 18 e 19 febbraio a Treviso le giornate di studio sul paesaggio.




Sul ritorno del bosco è il tema della 12ma edizione delle Giornate internazionali

di studio sul paesaggio
18 - 19 febbraio, alla Fondazione Benetton


La Fondazione Benetton Studi Ricerche riunisce, il 18 e 19 febbraio nella sua sede di Treviso, un gruppo di esperti di fama internazionale per approfondire e discutere sul tema del “ritorno del bosco” nel paesaggio contemporaneo. È questo il filo conduttore delle Giornate internazionali di studio sul paesaggio, l’incontro pubblico annuale ideato per promuovere un confronto di idee e un aggiornamento critico legato alla linea di ricerca della Fondazione, in particolare al tema dello studio e la cura dei luoghi.


“La scelta di questo tema per la dodicesima delle nostre Giornate internazionali di studio sul paesaggio - evidenzia Marco Tamaro, direttore della Fondazione -indica l’urgenza di approfondire una riflessione critica su un processo in atto, ben visibile nei paesaggi che ci appartengono, denso di contraddizioni e conflitti, ma anche di segni di riconciliazione. È una riflessione in continuità con un confronto che ci ha visto approfondire nelle edizioni precedenti temi come Curare la terra nel 2014 e Paesaggio e conflitto nel 2015”.


Il tema del ritorno alla terra, già discusso nelle passate edizioni, assume qui – anticipa Luigi Latini, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Benetton Studi Ricerche - una connotazione specifica. Ci si interroga infatti sullo scorrere nel nostro mondo di un doppio registro che vede da un lato l’erosione di pascoli e campi incolti per via di un bosco che inesorabile avanza, mentre dall’altro vede intere regioni sconvolte da opere di disboscamento. Questo ritorno del bosco non attraversa soltanto la dimensione territoriale del paesaggio, ma sembra manifestarsi anche nelle città, dal disordine delle periferie ai giardini più accurati, con espressioni che raccolgono e attualizzano il significato di visioni culturali che da sempre individuano nel selvatico una parte imprescindibile del giardino e del paesaggio, oggi visibile nelle aspirazioni di una società che ritrova nella prossimità di un bosco una nuova qualità dell’abitare”.


Venti gli esperti internazionali, provenienti da campi disciplinari e ambiti di lavoro tra loro diversi, che si confronteranno nelle due giornate trevigiane progettate dal Comitato scientifico della Fondazione Benetton Studi Ricerche, con il coordinamento di Luigi Latini e Simonetta Zanon.


Saranno illustrate esperienze fortemente emblematiche. Come farà Peter Walker presentando la Ground Zero Memorial Forest o Georges Descombes con il suo progetto per la Voie Suisse, una strada progettata nel cuore di una foresta svizzera, e altri lavori ispirati al bosco e agli alberi; ancora, l’esperienza milanese di Boscoincittà riportata da Luca Carra o il “test” di “autorigenerazione” di un paesaggio rappresentato dal bosco spontaneamente cresciuto sul Montello, negli spazi di una polveriera dismessa dopo la fine della Guerra Fredda. A documentare questa interessante vicenda, che vede Fondazione Benetton direttamente coinvolta, sarà il paesaggista tedesco Thilo Folkerts. 


Presentazioni, contributi a carattere scientifico ma anche riflessioni culturali e sociologiche. Come quelle sulla mutazione dell’idea del bosco, da luogo di paure e ricettacolo di storie cupe e fantasie, a luogo amico, connesso alla città e agli spazi dell’abitare, oppure bosco come selva addomesticata, nel suo rapporto con la storia del giardino e del paesaggio.


Naturale il richiamo, a lato dei lavori scientifici, al bosco nella letteratura, con un omaggio affidato a Giuseppe Barbera e Isabella Panfido alle selve ariostesche nell’Orlando Furioso. E di “Alberi” si occupa anche la videoinstallazione del regista Michelangelo Frammartino che verrà proiettata in occasione delle Giornate.

Da segnalare che tutti i lavori possono essere seguiti in diretta streaming nel sito della Fondazione: www.fbsr.it. Le relazioni videoregistrare saranno on line sul sito di Fondazione Benetton, con abstract proposti attraverso brevi videointerviste ai relatori.


Informazioni
La partecipazione alle giornate è libera, fino a esaurimento dei posti disponibili. 
Per ragioni organizzative si prega ugualmente di comunicare alla Fondazione la propria adesione tramite e-mail all’indirizzo fbsr@fbsr.it oppure telefonicamente al numero 0422.5121 (lunedì-venerdì ore 9-13,14-18).
È prevista la traduzione simultanea in italiano e in inglese di tutte le relazioni.
Agli architetti iscritti all’ordine che ne faranno richiesta saranno riconosciuti i crediti formativi.




14/01/16

La Via Francigena in Bici - 1000 km e 3000 segnavia dal Colle del Gran San Bernardo a Roma.


Della Via Francigena abbiamo parlato recentemente a proposito del piano di recupero delle magnifiche case cantoniere italiane. 

Come si sa, la Francigena è un lungo itinerario che unisce Roma a Canterbury attraversando il cuore dell’Europa.

Un’antica Via, percorsa nel Medioevo da milioni di viandanti e pellegrini, e riscoperta negli ultimi anni, soprattutto da quando nel tratto italiano è stato tracciato e segnalato un cammino lungo più di 1.000 km.

Esiste un percorso pedonale e uno ciclabile, che differiscono in gran parte del tracciato per rispondere alle diverse esigenze di chi viaggia a piedi, in bici o in altro mezzo di mobilità sostenibile.

Il percorso ciclabile della Via Francigena è stato ora completamente mappato, le tracce GPS sono disponibili sui siti ufficiali, ma ancora mancano due elementi fondamentali: la segnaletica e una cartoguida dettagliata.

Anche lo Slow Travel Network, nato recentemente ha deciso di dare il suo contributo alla creazione del più lungo itinerario ciclabile mai segnalato in Italia: 1000 km dal Colle del Gran San Bernardo a Roma, su cui vogliamo posare più di 3.000 segnavia.

Per maggiori informazioni e il percorso completo della Francigena in bici, visita il sito: www.viafrancigena.bike
per l'adesione alla campagna per l'apertura vai su:
 https://www.eppela.com/it/projects/6781-ciclovia-francigena

13/01/16

Guénon, Altheim, Evola: La vera rinascita è in inverno, non in primavera. Significato Alchemico del Solstizio d'Inverno.

Athanasius Kircher, Sciaterium Selenorum

Ricorderete la citazione del Vangelo di Giovanni, là dove Cristo dice se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv.12-23).  E' solo dalla morte, dice, che la vita nasce o rinasce.  Per questo motivo, per la tradizione dei miti, ripresa dalla tradizione alchemica, forse oggi dimenticata, la vera rinascita personale e del mondo comincia non in primavera, come si ritiene comunemente, ma in pieno inverno.
Questo bellissimo articolo di Visonealchemica.com lo spiega in modo comprensibile ed esauriente. 

Il periodo natalizio nasconde un significato arcano ai più, ma profondamente sentito nell’antichità. Per gli iniziati è una porta, l’ingresso simbolico, rappresentato dal solstizio d’Inverno, a uno stato superiore di consapevolezza. Pochi sanno, che, intorno alla data del 25 dicembre quasi tutti i popoli hanno sempre celebrato la nascita dei loro esseri divini o soprannaturali: in Egitto si festeggiava la nascita del dio Horus, e il padre Osiride si credeva fosse nato nello stesso periodo; nel Messico pre-colombiano nasceva il dio Quetzalcoatl e l’azteco Huitzilopochtli; Bacab nello Yucatan; il dio Bacco in Grecia, nonché Ercole e Adone o Adonis; il dio Freyr, figlio di Odino e di Freya, era festeggiato dalle genti del Nord; Zaratustra in Azerbaigian; Buddha, in Oriente; Krishna, in India; Scing-Shin in Cina; in Persia, si celebrava il dio guerriero Mithra, detto il Salvatore ed a Babilonia vedeva la luce il dio Tammuz, “Unico Figlio” della dea Ishtar, rappresentata col figlio divino fra le braccia e con intorno al capo, un’aureola di dodici stelle, proprio come la Vergine della cristianità.

Creare e ricreare:

Nel giorno di Natale, il Sole nel suo moto annuo lungo l’eclittica – il cerchio massimo sulla sfera celeste che corrisponde al percorso apparente del Sole durante l’anno – viene a trovarsi alla sua minima declinazione nel punto più meridionale dell’orizzonte Est della Terra, che culmina a mezzogiorno alla sua altezza minima (a quell’ora, cioè, è allo Zenit del tropico del Capricorno) e manifesta la sua durata minima di luce (all’incirca, 8 ore e 50-55 minuti). Raggiunto il punto più meridionale della sua orbita e facendo registrare il giorno più corto dell’anno, riprende, da questo momento, il suo cammino ascendente.

Nella Romanità, in una data compresa tra il 21 e il 25 dicembre, si celebrava solennemente la rinascita del Sole, il Dies Natalis Solis Invicti (il giorno del Natale del Sole Invitto). Ciò avvenne dopo l’introduzione, sotto l’Imperatore Aureliano, del culto del dio indo-iraniano Mithra nelle tradizioni religiose romane, e l’edificazione del suo tempio nel campus Agrippae, l’attuale piazza San Silvestro a Roma.

Il tempio era praticamente incluso all’interno di un più vasto ciclo di festività che i Romani chiamavano Saturnalia, festività dedicate a Saturno, Re dell’Età dell’Oro, che, a partire dal 217 a.C. e dopo le successive riforme introdotte da Cesare e da Caligola, si prolungavano dal 17 al 25 Dicembre e finivano con le Larentalia o festa dei Lari, le divinità tutelari incaricate di proteggere i raccolti, le strade, le città, la famiglia.

Il mito romano narra che il misterioso Giano, il dio italico, regnava sul Lazio quando dal mare vi giunse Saturno, che potrebbe essere inteso come la manifestazione divina che crea e ricrea il cosmo a ogni ciclo, colui che attraversa le acque, ovvero la notte e la confusione-caos successiva alla dissoluzione del vecchio cosmo, per approdare alla nuova sponda, ovvero alla luce del nuovo cosmo, del nuovo creato.

Come sostiene René Guénon (1), vi è una qualche analogia fra il dio romano e il vedico Satyavrata, testimoniata dalla comune radice “sat”, che in sanscrito significa l’Uno. Nel Lazio, inoltre, nel corso del mese di dicembre, il dio Conso era festeggiato il 15 dicembre, nel corso delle Consualia, le feste dedicate alla “conclusione sacrale del vecchio anno”.

Segnaliamo come dal latino, “condere”, indica l’azione del “nascondere” e/o del “concludere”. Il già citato Giano, associato a Conso, poi, era l’antica divinità latina dalle “due facce”, “dio del tempo” e, specificamente, “dell’anno”, e il cui tempietto, a Roma, consisteva in un corridoio con due porte, chiuse in tempo di pace e aperte in tempo di guerra, corridoio che, sulla base della sua ancestrale accezione, designa “l’andare” e, più particolarmente, la “fase iniziale del camminare” e del “mettersi in marcia”.

Giano regolava e coordinava l’inizio del nuovo anno, da cui lanuarius, il mese di Gennaio. Come ci conferma Franz Altheim (2), “Ianus e Consus, nella realtà religiosa romana, si riferivano all’inizio ed alla fine di un’azione” e facevano ugualmente riferimento «ad eventi fissati nel tempo, ma che si ripetevano periodicamente», quelli dell’eterno ritorno della luce a discapito delle tenebre.

Non dimentichiamo, quindi, che come la tradizione romana della festa del dies solis novi affondava le sue radici sia nel passato preistorico delle genti indoeuropee, a cui i Romani e la maggior parte delle genti Italiche appartenevano, che in quello delle sue stesse basi cultuali. Julius Evola ci ricorda come “Sol, la divinità solare, appare già fra i dii indigetes, cioè fra le divinità delle origini romane, ricevute da ancor più lontani cicli di civiltà” (3)

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11/01/16

E' morto Bowie, "L'uomo che cadde sulla terra."






Quando Nicolas Roeg nel 1976 gli cucì addosso il ruolo dell'uomo che cadde sulla terra, nella storia tratta dal libro di Walter Tevis, il regista britannico eternizzò Bowie in quel ruolo di marziano che un po' egli si era scelto all'inizio della carriera, e un po' gli veniva attribuito un po' dovunque. 

Oggi che è morto, di David Bowie si può dire che fu, è stato, maestro di eleganza e di intelligenza. 

Il rock come linguaggio colto e contemporaneo, ha trovato in Bowie uno dei suoi epigoni migliori. 

L'essenza british si è mescolata in lui, con il fascino cosmopolita dell'arte tout-court: musica, finzione, rappresentazione, immagine, doppio, deviazione, ambiguità, eleganza formale. 

Come ogni vera icona, Bowie ha saputo incarnare lo spirito del tempo. 

Egli continuerà a parlare di sé - e del mondo che era e che diventa ogni giorno - alle generazioni future con la musica (che invecchia o non invecchia, resta o non resta) e con la sua immagine di pieno artista. 

Una presenza che mancherà dunque solo virtualmente. Bowie è più che mai qui, più che mai nello spirito del (nostro) tempo. 

Fabrizio Falconi

(C) -2016 riproduzione riservata

10/01/16

"Le catacombe ebraiche di Roma" di Fabio Isman.



Anche gli ebrei, nei primi secoli della nostra era, possedevano le proprie catacombe. Al contrario di quelle cristiane, non erano dei rifugi dove esercitare il culto clandestino, ma l’ultima dimora: dei sepolcreti, dei cimiteri. Ne esistono negli Stati del Medio Oriente (in Palestina, per esempio), a Malta e in Libia. 

Ma anche nel Sud Italia: a Venosa (Potenza) e a Siracusa; e in Sardegna, a Sant’Antioco. A Roma, cinque sono andate distrutte nei secoli, due sopravvivono ancora (e non si possono vedere) e costituiscono un “unicum” al mondo: al contrario delle altre che restano, sono infatti quasi un palinsesto di simboli e di arte figurativa, quantunque proibita dalle norme religiose di questo popolo. 

Ma l’ebreo romano, che si insedia nella capitale dei papi due secoli prima della nascita del cristianesimo (sotto Nerone gli ebrei erano quarantamila, e con quindici sinagoghe), è sempre stato un po’ “sui generis”: forse, ancor prima romano che ebreo, pur osservando sempre il riposo del sabato e le regole alimentari prescritte. 

Con l’editto di Caracalla, nel 212, gli ebrei diventano “cives romani”, come tutti gli abitanti dell’impero; i primi guai cominciano soltanto dopo, con Teodosio e Giustiniano. 

Per cui, quelli romani precedono la divisione tra aschenaziti (ovvero gli ebrei di origine tedesca) e sefarditi (cioè gli ebrei di derivazione spagnola); anzi, secondo alcuni recenti studi di genetica, racconta Anna Foa in un libro recentissimo(1), i primi deriverebbero proprio dalla risalita fino all’area del Reno di ebrei italiani dopo il XIII secolo

Mentre a Roma si sono salvate numerose catacombe cristiane – tra cui quelle dei santi Sebastiano, Callisto, Valentino, Pancrazio, Ermete, Felicita, Ippolito; di Domitilla, Commodilla, Ciriaca, di via Anapo, dei Gordiani, dei santi Marcellino e Pietro, di Pretestato, Priscilla, Calepodio, Novaziano, Generosa e Baldina – una pessima fine hanno invece trovato quelle ebraiche

Ne esistevano a San Sebastiano e alla stazione di Trastevere: da tempo perdute; una, alla Caffarella, è stata colmata di cemento; di un’altra, a via Labicana, resta soltanto una descrizione dell’Ottocento. 

Ne sopravvivono due, pressoché impossibili da visitare: una, privata, aperta solamente un giorno al mese, o su richiesta, l’altra chiusa da sempre e dal 1984 in restauro. Insomma, un grande tesoro, anche culturale, è praticamente sconosciuto. 

Le catacombe superstiti sono a Vigna Randanini, sull’Appia, e sotto villa Torlonia, sulla Nomentana. 

Ironia della sorte, pur essendo cimiteri ebraici, fino al 1984 dipendevano dalla Pontificia commissione centrale per l’arte sacra, cioè dal Vaticano; soltanto dalla riforma dei Patti lateranensi sono controllate dalla Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma. 

A Vigna Randanini, scoperta nel 1859 e di proprietà dei Gallo di Roccagiovine, che hanno dato autorevoli monsignori di curia alla Santa sede, si arriva da un ambiente a cielo aperto, con due absidi realizzate tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. Non vi sono scritture in ebraico, ma tante in latino e, soprattutto, in greco. 

 Delle duecento lastre tombali ritrovate, nessuna era “in situ”: segno palese di numerose incursioni ladresche. Nei cubicoli si trovano la raffigurazione di una “menorah”, il candelabro a sette bracci del tempio di Salomone a Gerusalemme; le immagini di frutti, forse cedri; quattro palme dipinte; un vaso pitturato, con rami di rose; tanti animali: pavoni, galline, pesci; anche un ippocampo e addirittura un amorino; le tavole della Legge. Le tombe giungono fino al III-IV secolo.

Le scritte sulle lapidi lasciano individuare i “grammatei”, scribi o segretari; un “archon”, capo o presidente, forse della comunità o di una sinagoga; e anche un «ar-ci-sinagogo», forse un rabbino capo. Ancora a Vigna Randanini, a poca distanza da un cubicolo detto “delle palme” per le quattro dipinte negli spigoli, perfino tombe “a forno”, scavate – spiegano Bice Migliau e Micaela Procaccia(2) – a filo terra e perpendicolari alle pareti delle gallerie, «tipiche dell’area medio-orientale e non-africana, ma assenti nelle altre catacombe di Roma», probabile testimonianza di una certa parte della comunità nell’Urbe. 

Sotto villa Torlonia sono state invece inumate almeno quattromila persone, «dal II al V secolo», spiega l’architetto Marina Magnani Cianetti, funzionaria della Soprintendenza speciale archeologica di Roma, nei due piani della catacomba: quello inferiore è meno “ricco” di quello superiore, destinato a una comunità più povera, che viveva nell’area della Suburra. 

E, paradosso della storia, la catacomba è proprio sotto l’edificio che è stato per vent’anni la residenza di Benito Mussolini: Giovanni Torlonia gli aveva ceduto la propria villa, e si era ritirato nella Casina delle civette. è l’ultima a essere stata scoperta: soltanto nel 1918. 

E le sue gallerie si sviluppano per più di un chilometro; ha una superficie di oltre tredicimila metri quadrati. 

In un’area, i loculi sono disposti in maniera regolare, sulle pareti scandite da lesene scavate nel tufo; alcuni hanno un arco, leggermente ribassato. In un’altra area, su una parete, anziché dalle lesene, le sepolture sono scandite da semplici linee di calce. Su un muro, una deliziosa piccola testa femminile in marmo, di tipo ellenistico; in un locale di tre metri per tre, e alto due e mezzo, il soffitto a quattro vele ridonda di figurazioni, anche con svariati delfini.

Sparse nelle gallerie, più di una “menorah”. Si vedono il cedro; una palma; un “lulàv”, fascio di cinque erbe, agitato nelle quattro direzioni nella festa di Succoth, quella delle Capanne. Scritte in ebraico e in greco. In una tomba di famiglia, locali affrescati e dedicati a sepolture più signorili, è dipinto un tendaggio, che copre un tabernacolo mobile. 

Quasi come se si fosse, almeno idealmente, nel tempio di Gerusalemme. Anche qui, dalle lapidi provengono interessanti scoperte. Intanto, il nome ignoto di una carica probabilmente rituale, lo “sckonòn”; poi, almeno sei “ar-chontes”, alti dignitari; sette “grammatei”, scribi o segretari, come si è già detto; un gerusiarca, consigliere anziano; due cristiani convertiti all’ebraismo; un salmista; un “padre” della sinagoga. Sono state rinvenute tante lucerne fittili; ma le scoperte di maggiore importanza sono da tempo nei Musei vaticani. Annie Sacerdoti, che ha studiato queste sepolture, racconta: 

«Tra quanti vi sono inumati, si identificano un figlio che, sulla lapide, la madre commemora con accenti strazianti: “Eri tu che dovevi piangere me, non io te”; un Eudoxios che faceva il pittore; una Ursacia, originaria di Aquileia; una Marcia. E un Niceto che si era convertito. Su una tomba di millesettecento anni fa, per la prima volta è inciso il nome tipicamente germanico di Sigismondo, accompagnato però da un’iconografia sicuramente ebraica». 

Ma se alla catacomba di Vigna Randanini è problematico accedere, quella di villa Torlonia non è nemmeno visibile: in restauro dal 1984, quando è stata attribuita alla competenza della soprintendenza. Ai primi accessi, ci si è perfino accorti che quelle pareti emanavano gas pericolosi, e comunque insalubri: era il radon, scoperto dopo una prima campagna completa di indagini e rilevamenti. 

La soprintendente, che ora è Mariarosaria Barbera, e l’architetto Magnani hanno avviato, seguito e firmato la progettazione di complessi ed estesi interventi di consolidamento e restauro, affreschi compresi. Il progetto esecutivo è stato completato nel 2005, dopo un accurato studio sui problemi statici, idrogeologici, chimici, microbiologici, mineralogici e botanici, e su quelli conservativi degli affreschi che decorano cubicoli e arcosoli. 

«La presenza di differenti problematiche apparentemente contrastanti, come la tutela archeologica e gli affreschi, il rispetto delle sepolture, i problemi ambientali, strutturali e di sicurezza da risolvere senza alterare l’immagine del monumento, hanno suggerito un progetto, con interventi “minimi” e “calibrati”», racconta Magnani. Tutto è stato consegnato al Comune che, dopo un finanziamento speciale e una convenzione del 2005 con la Soprintendenza, ha assunto la gestione del procedimento: dalla predisposizione della gara d’appalto alla formalizzazione degli atti, alla direzione dei lavori; alla Soprintendenza resta soltanto l’alta vigilanza; i tempi, sono quelli del Comune. 

E, a giudicare dai più recenti eventi della cultura nella capitale, c’è, purtroppo, ben poco di che essere ottimisti. Si può solo sperare di rivedere, prima o poi, quel complesso unico al mondo: le sole catacombe ebraiche, in Italia, potenzialmente ancora agibili e di proprietà pubblica.

 Per poi poter discutere, magari, anche dell’interdizione religiosa alla rappresentazione della figura umana; proibizione che, però, non è stata sempre rispettata, «come dimostrano ad esempio le pitture della sinagoga di Europos-Dura, in Siria, della prima metà del III secolo, o i mosaici di quelle in Galilea, del V-VI secolo»(3). Insomma, quando finalmente si potranno rivedere, costituiranno un gran bel tema anche per la storia dell’arte

(1) A. Foa, Andare per ghetti e giudecche, Firenze 2014, p. 13. 
(2) Lazio, itinerari ebraici, i luoghi, la storia, l’arte, Venezia - Roma 1997, p. 155. 
(3) Ivi. Cfr. anche, in questo numero della rivista, l’articolo di Claudio Pescio su Europos-Dura, pp. 72-77.

Fabio Isman

Fonte: Fabio Isman per Art e Dossier, settembre 2014.