15/11/13

100 anni fa la Recherche di Proust. Un articolo di Alessandro Piperno su Swann




Cento anni fa, ieri, esattamente il 14 novembre 1913, debuttava, dopo una serie di risposte negative di varie case editrici, "Dalla parte di Swann", primo volume del capolavoro di Marcel Proust "Alla ricerca del tempo perduto", che restera' nella letteratura mondiale. 

Editori Internazionali Riuniti celebra l'anniversario riproponendo, nella collana Asce, le "Poesie" (traduzione della poetessa Luciana Frezza), una silloge di componimenti editi in riviste, o in differenti raccolte di lettere, o in pubblicazioni di amici dell'autore, o in plaquettes di "versi ritrovati", o ancora inediti provenienti per lo piu' dall'archivio di Madame Mante-Proust e dal Fonds Marcel Proust dell'Universita' dell'Illinois a Urbana. 

Nella stessa collana e' presente anche il romanzo "Gelosia" (traduzione di Cristiana Fanelli) del maestro francese.



Alessandro Piperno Marcel Proust. Perché Swann (la vittima) è uno di noi

Chissà se tra le tante definizioni della Recherche non possa trovare spazio anche questa: la Recherche è la lunga impudica confessione di un saggista impazzito. Proust è alle soglie della mezza età, in piena sindrome Salieri: pensa che Dio gli abbia regalato il dono di saper riconoscere la bellezza, ma non di saperla inventare. Spinto dal risentimento, si mette a scrivere un saggio letterario contro Charles Augustin de Sainte-Beuve, uno dei più grandi scrittori francesi del XIX secolo. Ma ecco che questo astioso saggista, nonché romanziere fallito, trascinato dalle sue elucubrazioni, viene preso dalla smania di raccontarci i fatti suoi o, quanto meno, i fatti di un tizio che gli somiglia parecchio: da allora in poi non riesce più a fermarsi. Il risultato è il più fiabesco e, allo stesso tempo, il più nichilista romanzo mai scritto.

fonte ANSA  -  Corriere della Sera – la Lettura 10 novembre 2013

12/11/13

"Era morta mia madre - La mia Hiroshima personale." Una straordinaria intervista a Edgar Morin.




Domanda: oggi che lei ha 93 anni… Risposta: «Ah no, sono 92!». 

Edgar Morin siede quieto in giardino e ride solo con gli occhi, che sono di un azzurro infantile così incantevole da sgominare subito ogni tentazione d’imbalsamarlo come monumento vivente, di congelarlo nella deferenza dovuta a uno dei massimi pensatori del secolo. Nel suo caso non c’entra tanto una vita lunghissima, ma la straordinaria densità che l’ha segnata in ogni punto, come la sezione d’uno stagionato tronco d’albero a cerchi concentrici, dove quelli successivi dilatano i precedenti. L’infanzia nella famiglia di ebrei sefarditi («ma volevo fare il pompiere») e la Resistenza con Mitterrand («ammiratissimo per la temerarietà dai suoi fedeli, come un padrino… »). 

L’amicizia con Marguerite Duras in perenne competizione con Simone de Beauvoir («entrambe pensavano di essere l’una migliore dell’altra») e l’espulsione dal Partito comunista francese («un’esperienza necessaria per capire cosa possono diventare gli uomini»). L’incontro con Herbert Marcuse («incredibile, viveva in America, odiando quasi tutto dell’America: non aveva tivù, non andava al cinema») e le quattro mogli, l’ultima sposata due anni fa, senza mai diluire la costante fascinazione verso le donne: «Tranne ora… Sono stato il contrario di un seduttore: uno sedotto in permanenza. Magari da un viso intravisto per caso, come la faccia luminosa della luna. E il tempo va così veloce che non ce n’è mai abbastanza per vedere quella oscura».

Perciò, forse, per il teorico del “pensiero della Complessità” che con i sei volumi del suo Metodo ha rivoluzionato le scienze mettendo insieme biologia, cibernetica, sociologia, nulla quanto la propria vita è convincente per dimostrarne la tesi: tutto va visto cercando relazioni anziché dividendo le conoscenze. 

«Non c’è mai stata separazione tra me e le mie idee. Gioia, tristezza, amore sono le cose fondamentali della vita. Oggi gli economisti pensano che si possa ridurre tutto a numeri. Ma i calcoli sono una parte piccolissima degli umani: non possono misurare né capire la passione, il dolore, il piacere. In definitiva, non possono capire nulla». 

Anche nel suo delizioso memoir La mia Parigi, i miei ricordi (appena uscito, edito da Raffaello Cortina), tutto si mescola cercando nelle pietre della capitale gli umori di una vita. Eppure, dice Morin, nonostante un’avventura che si estende per quasi un secolo, tutto può essere racchiuso in un momento decisivo che ne spiega il segreto. Come il pezzo mancante per decifrare un alfabeto sconosciuto, e non importa la quantità di tempo impiegato a cercare: quando le lettere sono al loro posto ogni parola diventa trasparente. «Ho 10 anni quel 26 giugno 1931 quando esco da scuola e vedo mio zio davanti a un taxi. Ha un mezzo sorriso:i tuoi sono partiti per una stazione termale, per un po’ vieni a stare da noi. M’invade un’onda di allegria, in macchina per Boulevard de la Chapelle! Due giorni dopo sto giocando con mio cugino Freddy in un giardino vicino al cimitero Père-Lachaise. Sono accoccolato, perciò con lo sguardo che corre dal basso verso l’alto, vedo un paio di scarpe nere, pantaloni neri, una giacca nera e infine la faccia: l’uomo a lutto è mio padre. Mi sta guardando fisso e dice: non stare sull’erba, ti sporchi. E mentre lo dice, capisco tutto, capisco che mia madre è morta».

di Raffaela Carretta - 07 novembre 2013 per Io Donna - Il corriere della Sera. 

11/11/13

Presentazione del nuovo libro di Fr. MichaelDavide Semeraro - con Massimo Cerofolini, Fabio Colagrande e Fabrizio Falconi.




E' un bellissimo libro, questo di Fr. MichaelDavide Semeraro, che spicca nel novero numerosissimo delle pubblicazioni sul Papa Francesco, spuntate ovunque in questi mesi.

Se vorrete, ne parleremo insieme,  Giovedì prossimo, come leggete nella locandina qui sopra.

F.

10/11/13

Intervista a Ian Mc Ewan su 'Stoner' di John Williams:




Vi propongo oggi una intervista a Ian Mc Ewan, di  Sarah Montague: spiega perché Stoner, il romanzo di John Williams sia stato salutato (seppure pubblicato nel 1965) come uno dei più grandi del XX secolo: Stoner di John Williams. 

In Italia molti hanno amato e stanno amando questo libro e anche io qui ne ho parlato tempo fa. E' una intervista acuta e consapevole, che spiega anche il motivo perché nessuno dei romanzi scritti fin qui da Mc Ewan (con l'eccezione di Bambini nel tempo) o quelli di Javier Marias (altro ottimo scrittore, forse troppo prolifico e prolisso) possa essere paragonato ad un semplice, meraviglioso romanzo come Stoner. 


Cosa c'è di così bello in questo romanzo?
"Appena lo inizi a leggere senti di essere in ottime mani. Ha una prosa molto lineare. La trama, se ci si limita a elencare i suoi elementi, può suonare molto noiosa e un po' troppo triste. Ma di fatto è una vita minima da cui John Williams ha tratto un romanzo davvero molto bello. Ed è la più straordinaria scoperta per noi fortunati lettori".

È piuttosto singolare che dopo così tanto tempo un romanzo di cui non si è scritto né parlato, quindi sconosciuto, improvvisamente sia sulla bocca di tutti come sta accadendo adesso.
"È una vecchia storia. È successo con altri scrittori, pensi a Irène Némirovsky, che era piuttosto conosciuta in vita, poi dimenticata e poi di nuovo riscoperta. E poi anche il caso di Hans Fallada, che visse a Berlino, un altro caso di scrittore morto ed escluso dalla mappa culturale. E ora accade di nuovo, credo sia una scoperta gioiosa".

Dunque il romanzo parla della vita di William Stoner, che appare relativamente povera di accadimenti. 
"Relativamente. Stoner viene da una povera famiglia di contadini, frequenta la scuola di agraria, dove accede nel 1910 e segue, come ne esistono in un altro migliaio di università americane, un corso di Lettere e Filosofia. Il professore di letteratura durante una lezione legge il sonetto di Shakespeare n. 73 ("In me tu vedi quel periodo dell'anno") e qui lo studente ha un'epifania. Stoner lo ascolta e ne è trasformato, l'insegnante gli chiede cosa voglia dire il sonetto e tutto ciò che Stoner riesce a dire, flebilmente, è "significa...". E l'insegnante capisce immediatamente che il ragazzo è stato colpito dalla letteratura inglese. Stoner poi diventa un professore associato all'università e insegnerà fino alla sua morte, che avverrà molte decadi più tardi. Si sposa, il matrimonio va male, ha una figlia e anche la figlia va male, entra in una faida amara, o meglio è perseguitato da un collega per venticinque anni e conosce l'unico momento di riscatto della sua vita in una tenerissima storia d'amore che poi svanirà. C'è tutta la sua vita".

Ma è la scrittura, ovviamente, che ha conquistato lei e tutti gli altri. 
"Sembra aver toccato la verità umana come succede nella grande letteratura. È quel tipo di prosa che non vuole mostrarsi. È quel tipo di scrittura simile a una superficie di vetro, riesci a vedere immediatamente le cose di cui parla. E credo che questo sia entusiasmante di per sé. Ha una tale chiarezza, è una scrittura molto limpida. È straordinario ed è un avvertimento per tutti noi scrittori: potresti essere anche molto conosciuto in vita e poi, qualche anno dopo la tua morte, essere dimenticato".


Lei ha detto che la rappresentazione della morte di Stoner è un passaggio supremo della letteratura contemporanea. 
"Sì, noi esperiamo la morte di Stoner. È raccontata in terza persona, ma è molto in soggettiva, è scritta in maniera molto diretta. E quindi vediamo la rappresentazione della sua morte attraverso la percezione di quel momento dello stesso Stoner, tutta la vita che scorre davanti ai suoi occhi. E da lettore hai quasi la sensazione che il libro stesso stia morendo tra le tue mani e che il personaggio stia morendo tra le tue mani, tu stesso sembri percepire un po' della tua morte. La lettura delle ultime pagine è un'esperienza piuttosto forte".

Questo non sembra esattamente il tipo di storia da leggere sotto l'ombrellone.
"Semmai è vero il contrario. Non sarò mai abbastanza convincente nel sostenere che è questo il libro da portare in vacanza. Si insinuerà nelle stanze d'albergo, ovunque. Questa è una scoperta meravigliosa per tutti gli amanti della letteratura".

tratto da Repubblica.it


08/11/13

I due - Hugo von Hofmannsthal







I due

Lei portava la coppa in mano -
Pari al suo orlo aveva il mento e la bocca -
Aveva un passo così leggero e sicuro,
Che dalla coppa non cadeva una stilla.

Non meno leggera e salda era la mano di lui:
Un giovane cavallo egli montava,
E con gesto noncurante
A una tremante immobilità lo sforzava.

Eppure quando dalla mano di lei
La lieve coppa egli dové prendere
Per entrambi fu troppo pesante;
Perché entrambi tremavano tanto
Che le mani non si trovarono,
E scuro vino corse sul suolo.



Hugo Von Hofmannsthal  (Traduz. Elena Croce)

06/11/13

Epicuro e il giardino nel quale vorrei abitare.





Il corpo è stanco della tirannia della mente.

Sembriamo sempre più incapaci di abbandonarci, di mettere a dormire la mente, di dedicarci alle virtù che nobilitano l'essere umano. 

Incollati agli specchi riflettenti il nostro io (quello più superficiale) sembriamo diventati impermeabili all'ascolto di se stessi. 

Cambiare è possibile.

Nel 306 avanti Cristo un ateniese di nascita (ma ionico d’adozione), Epicuro, acquistò una casa nell’esclusivo quartiere di Melite e un piccolo giardino appena fuori dalla porta del Dipylon (la stessa strada che portava all’Accademia di Platone).
In questo giardino Epicuro – che ai tempi d’oggi abbiamo tristemente umiliato come epigono della filosofia del carpe diem, cioè della soddisfazione edonistica dei desideri (niente di più lontano da quanto egli ricercava e sosteneva) – edificò la sua Accademia, per un mondo che immaginava nuovo, per la conquista dell’ataraxia (la pace dell’anima o tranquillità spirituale).

I mezzi che Epicureo identificò sono gli stessi che anche oggi servirebbero a fare di un uomo una persona, e di un gruppo una comunità di umana, vera.

La principale virtù epicuree è l’amicizia: di tutti i beni che la saggezza procura per la completa felicità della vita, il più grande di tutti è l’acquisto dell’amicizia, scrive Epicuro.

Dalla amicizia discende l’importanza della conversazione. Non c’è piacere più grande né forma più alta di felicità mortale di una conversazione intelligente tra amici che sappiano ascoltarsi e trarre ispirazione, imparando gli uni dagli altri.

Con lo stesso spirito il filosofo greco raccomandava di coltivare la soavità nei modi e nel carattere. La soavità è agli antipodi della rudezza dei cinici, dell’altezzosità dei platonici e dell’austerità degli stoici.

Strettamente legata alla soavità è poi l’epieikeia, la considerazione per gli altri.  Che si manifesta attraverso la gentilezza, la civiltà, la cortesia, il rispetto.

C’è poi la franchezza nel parlare, contro l’adulazione e la ruffianeria.

E infine le ultime tre virtù pazienza, speranza e gratitudine, proiettate come disposizioni esistenziali verso le estasi temporali - presente (pazienza), futuro (speranza), passato (gratitudine).
Di queste, la più importante dice Epicuro è la gratitudine: la vita dello stolto,  scrive, è ingrata e sempre rivolta al futuro. 

Ecco:
amicizia, conversazione, soavità, considerazione per gli altri, franchezza nel parlare, pazienza, speranza, gratitudine. 

Ecco il giardino nel quale vorrei abitare.


05/11/13

Quel che abbiamo nel cervello - Numeri stupefacenti (il miracolo dell'intelligenza).





Nella foto sopra - cliccare per ingrandire - un neurone della regione ippocampale del cervello. Il nucleo, l’assone e i dendriti sono visualizzati utilizzando il gene GFP, che esprime una proteina fluorescente nella cellula.

Si pensa che in ogni cervello umano vi siano 100 miliardi (100.000.000.000) di neuroni.

Un singolo neurone - come quello in foto - è grande circa 10 micron. Il puntino sulla i che stai leggendo è grande 0,5 mm (500 micron). Quindi, se si considera che un neurone sia di 10 micron, potresti mettere in fila 50 neuroni lungo il diametro del punto di questa i.

Quanti sono 100 miliardi di neuroni ?

Pensa di contare tutti i 100 miliardi di cellule con una cadenza di una al secondo: quanto tempo ci metteresti?

Ci metteresti circa 3.171 anni .

C'è anche un altro modo di immaginare quanti siano 100 miliardi di neuroni.

Se i neuroni del nostro cervello potessero essere messi in fila formerebbero una linea lunga 1000 chilometri.

TUTTI i 100 MILIARDI DI NEURONI del nostro cervello sono:

1.Circondati da una membrana.
2. Hanno un nucleo che contiene i geni.
3. Contengono citoplasma, mitocondri ed altri "organuli".
4. Hanno prolungamenti specializzati che si chiamano dendriti e assoni.

I dendriti portano le infornmazioni al corpo cellulare, mentre gli assoni le portano dal corpo cellulare ad altre cellule.
I neuroni comunicano fra di loro grazie a processi elettrochimici.
I neuroni formano contatti specializzati che si chiamano sinapsi e producono speciali molecole chimiche chiamate neurotrasmettitori che vengono liberate dalle sinapsi a una velocità di circa 420 KM/h

informazioni tratte da Neuroscience.

04/11/13

Quel che c'è da sapere sull'amore - di Jalāl al-Dīn Rūmī,







Uno si recò alla porta dell'amata e bussò.

Una voce rispose: "Chi è là !"
Egli rispose: "Sono io".
La voce rispose: "Non c'è posto per Me e per Te."
La porta restò chiusa.

Dopo un anno di solitudine e privazioni egli ritornò e bussò.
Una voce da dentro chiese: "Chi è là !"
L'uomo disse: "Sei tu."
La porta si aprì per lui.



Jalāl al-Dīn Rūmī

(Scritta intorno all'anno 1250)

Vita di Rumi:
http://it.wikipedia.org/wiki/Gialal_al-Din_Rumi
Movimento Sufi:
http://www.movimentosufi.com
Dervisci Rotanti:
http://www.youtube.com/results?search_query=dervisci+rotanti&search_type=

03/11/13

La poesia della domenica - 'Er salice piangente' di Trilussa.






Er salice piangente.

- Che fatica sprecata ch'è la tua!
- diceva er Fiume a un Salice Piangente
che se piagneva l'animaccia sua -
Perchè te struggi a ricordà un passato
se tutto quer che fu nun è più gnente?
Perfino li rimpianti più sinceri
finisce che te sciupeno er cervello
per quello che desideri e che speri.
Più ch'a le cose che so' state ieri
pensa a domani e cerca che sia bello!

Er Salice fiottò: - Pe' parte mia
nun ciò né desideri né speranze:
io so' l'ombrello de le rimambranze
sotto una pioggia de malinconia:
e, rassegnato, aspetto un'alluvione
che in un tramonto me se porti via
co' tutti li ricordi a pennolone.


Trilussa, da Libro Muto, 1935.

02/11/13

Nel giorno dei morti, la morte secondo Einstein.





Nel giorno dei morti  risuonano queste parole di Albert Einstein.

L'essere umano è parte di quel tutto che chiamiamo universo.   Egli sperimenta se stesso come separato dal resto: un tipo di illusione ottica della coscienza.

A queste si aggiungono quelle del fisico Erwin Schroedinger:

Per quanto possa sembrare inconcepibile al senso comune, voi, e tutti gli altri senzienti, costituite un tutto indivisibile. 

Questi pensieri sono suggellati in un due versi del poeta Yves Bonnefoy:

Non c'è deserto più se tutto è in noi
Non c'è più morte. 





(Citazioni tratte da La morte si sconta vivendo, di M.Guzzi, in Sarà così lasciare la vita ? a cura di Livia Crozzoli Aite, Paoline 2001.).

01/11/13

L'annuncio sul giornale di Laurie Anderson per il marito scomparso, Lou Reed.


“Ai nostri vicini: Che autunno meraviglioso! Tutto luccica e splende come oro e tutta quella incredibile luce morbida. L’acqua ci circonda. 

Lou e io abbiamo passato molto tempo qui negli ultimi anni, e anche se siamo gente di città questa è la nostra casa spirituale. 

La settimana scorsa avevo promesso a Lou di portarlo fuori dall’ospedale per tornare a casa, a Springs. E l’abbiamo fatto! Lou era un maestro di Tai chi e ha passato i suoi ultimi giorni qui, felice, abbagliato dalla bellezza, e dalla forza, e dalla dolcezza della natura. 

E’ morto domenica mattina guardando gli alberi e facendo la famosa posizione 21 del Tai chi, con le sue mani da musicista che si muovevano nell’aria.

Lou era un principe e un combattente e so che le sue canzoni sul dolore e la bellezza del mondo riempiranno molta gente dell’incredibile gioia che aveva per la vita. Lunga vita alla bellezza che scende, attraversa e si impadronisce di tutti noi. 

Laurie Anderson, moglie innamorata e amica eterna”. 

Così  Laurie Anderson, la compagna di Lou Reed nel messaggio nel ricordo del marito, pubblicato ieri sul giornale locale The East Hampton Star.

30/10/13

Goffredo Parise: "Gli italiani non hanno mai amato l'idea dello Stato, è estranea al loro cuore e al loro cervello."




«La mia ragione e il mio sentimento sono condotti da un'idea estremamente elementare: l'enorme difficoltà di molti italiani a concepire non soltanto l'idea dello Stato ma soprattutto l'idea della democrazia».

Così scriveva Goffredo Parise nella rubrica di corrispondenza con i lettori del Corriere della Sera tenuta tra il 1974 e il 1975. Alcune di quelle risposte sono raccolte da Adelphi in Dobbiamo disobbedire (76 pagine, 7 euro a cura e con una postfazione di Silvio Perrella).




Negli anni in cui con i Sillabari, Parise aveva deciso di tornare ai sentimenti primari e a una scrittura quasi trasparente nella sua limpidezza, anche il suo sentimento civico si volgeva ai "fondamentali". Con la sensibilità rabdomantica del grande artista percepiva esattamente cosa stava cambiando e cosa permaneva nello spirito degli italiani. Individuando quelle costanti di fondo che restano vere ancora oggi.

«L'Italia non vuole più essere l'Italia. Gli italiani (parlo della grandissima maggioranza) non vogliono più essere italiani. Se ne fregano dei monumenti, dei musei, di San Pietro e della chiesa cattolica, dei Palazzi Pitti e Uffizi; ci mandano i loro figli con la scuola, ma se ne fregano, e se ne fregheranno i loro figli quando sarà il momento. Gli italiani non vogliono più essere italiani perché vogliono essere ancora meno che regionali, vogliono essere "paesani", "paisà", perché l'unità d'Italia, che del resto non c¿è mai stata, oggi c'è meno che mai. Oggi l'Italia è spezzata non in staterelli, ma in "lotti", in piccole, piccolissime, proprietà private a cui gli italiani, nel loro povero animo e nel loro povero corpo privi di Stato tengono in modo fanatico.

Per gli italiani di oggi, non di ieri, l'Italia è il "lotto", il proprio terreno, la propria villetta, il proprio "bicamere e servizi", costruiti da geometri o finti architetti secondo i propri gusti e soprattutto in materiali pressoché eterni come il cemento armato che diano a quei poveri corpi e a quelle povere anime senza Stato l'illusione di averne uno, indistruttibile. Se potessero costruirsi un bunker, con fabbrichetta accanto e un proprio esercito personale, lo farebbero. Il perché è troppo lungo da spiegare, fondamentalmente va ricercato nell'assenza non soltanto dello Stato ma dell'idea dello Stato (che fa lo Stato), che non gli è mai stata insegnata, che non hanno mai amata, che è ostica al loro cervello e al loro cuore, e in cui non credono».


29/10/13

The Circle Game - il Gioco della vita.


E' secondo me una delle più belle canzone che siano mai state scritte. Anche da un punto strettamente letterario.  Joni Mitchell la scrisse nel 1968 per Tom Rush, e solo successivamente la inserì nel suo album Ladies of the Canion (1970). Questa versione, invece, arrangiata per l'orchestra (e con il tenor sax del grandioso Wayne Shorter è tratta da Travelogue, album del 2002.

E' una canzone misteriosa. Dall'incedere sinuoso, che cattura  ipnoticamente.  C'è dentro l'intero senso della vita. Sul passaggio del tempo, delle stagioni, sul nostro essere qui, incantati e soggiogati da un enigma molto più grande della nostra biologia.   E' un viaggio che non stanca e non riposa.  E' la nostra  avventura, il nostro gioco del cerchio.  

Yesterday a child came out to wonder,
Caught a dragonfly inside a jar.
Fearful when the sky is full of thunder,
And tearful at the falling of a star.

28/10/13

Il distacco (e il Senso).





Ieri sera ho sentito in televisione Eugenio Scalfari, che ormai da parecchio tempo, ama rivestire i panni del teologo (disquisisce di questioni cattoliche con la competenza di un vescovo), parlare della morte e del senso della vita.  Senza molti problemi ha affermato che "il senso della vita è la vita".  E che l'unica difficoltà, in fondo, è il distacco.

Anni fa ho letto uno straordinario libretto di Michel Serres, intitolato Distacco.

Cosa è esattamente il distacco ? E perché le diverse tradizioni mistiche fanno riferimento a questo ?

Il termine mistico deriva dal greco myo. Che significa letteralmente chiudere (le labbra, gli occhi, lo stesso chiudersi, ad esempio, delle ferite).

Dalla stessa radice my , d’altronde, provengono sia il greco mysterion , sia il latino mutus

La mistica nasce dunque dalla necessità – per l’uomo – di convivere con il chiudere, cioè con il finire, che è connaturale alla vita stessa.

La cosa più difficile per un uomo, per ogni uomo è accettare il distacco

Il distacco che è al termine di ogni vita. Distacco dalle cose che abbiamo amato su questa terra: beni, cose, immagini, ma soprattutto persone amate, sentimenti, emozioni, ricordi. 

Le religioni propongono approcci diversi per governare questo distacco, che all’uomo risulta doloroso, inaccettabile: una specie di dittatura della morte, che porta a privarsi di tutto ciò che si è sperimentato in vita. 

Se l’uomo religioso, soprattutto in ambito cristiano, tenta di  abbandonarsi al distacco rispetto al mondo, al fine di giungere a un rapporto più puro con quel Dio con il quale, in realtà, egli si sente o si vuol sentire già in rapporto, il buddhista, invece, si distacca dalle cose, dalla sfera dell’apparenza, per trovare il vero sé: per giungere, in altre parole, all’illuminazione.

In un certo senso, il buddhista si esercita – nella vita – si prepara al grande distacco della morte, sperimentandolo qui in vita.

Ma anche molte delle parole pronunciate da Cristo nei Vangeli spingono assai chiaramente nella direzione del non attaccamento: 

In verità, in verità vi dico: Se il grano di frumento caduto per terra non muore esso resta solo. Ma se muore, porta molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. (Gv,12,24) 

 Più esplicito (o più duro) di così.. 

Tutto quello che passiamo in questa vita (anche il sorriso dei nostri figli, anche i nostri amori, le nostre albe, e i nostri tramonti) dovrebbe dunque avere una prospettiva diversa da quella che noi immaginiamo qui. 

Che non può essere goduta appieno, se non distaccandosene. 


27/10/13

La poesia della domenica - "Da questo luogo ho preso spesso congedo" di Henrik Nordbrandt





Da questo luogo ho preso spesso congedo.
A questo luogo sono spesso tornato.

Qui si vede il buio accendendo la lampada.
Qui il vento e il dolore sono ugualmente alti.

Qui sento il peso della terra che ho spostato
e vedo l'ombra della terra nel cielo di tarda estate.

Con questo luogo condivido alcuni nomi:
una selva di bambù, una danza di lucciole, la morte e l'alba.

Le mie labbra ripetono mute le parole che ha plasmato
e che hanno plasmato le mie labbra.

Da questo luogo ho preso spesso congedo.

Henrik Nordbrandt, da Il nostro amore è come Bisanzio, a cura di Bruno Berni, Donzelli, 2000.




26/10/13

Il declino culturale in Italia. L'eloquenza dei numeri.





Parliamo spesso di declino, in Italia.

Credo che, senza nessuna nota apocalittica, ma con semplice realismo, molto si può dedurre da questi semplici numeri che riporto. 

Copie di libri stampate in Italia per abitante ogni anno: 3.5 
Percentuale di italiani che in un anno ha letto almeno un libro: 46%. 

Dal raffronto di questi due numeri è piuttosto semplice concludere che quasi DUE copie di libri per ogni abitante che vengono stampate in Italia (ovvero 120.000 MILIONI DI COPIE DI LIBRI = 2 libri per abitante x 60 milioni di abitanti), NON vengono lette da nessuno.

Il secondo dato riguarda la percentuale dei laureati sul totale della popolazione (compresa tra 25 e 64 anni nell'anno 2O11): 

Regno Unito 37%. 
Belgio 34.6%. 
Spagna 31.6%. 
Francia 29.8%. 
Germania 27.6%. 
Grecia 25.4%. 
Slovenia 25.1%. 
Italia: 14.9%.  

Credo che non ci sia bisogno di aggiungere altro, se non ricordarsi del famoso adagio che recita: più un popolo è privo di conoscenza, più è facile controllarlo.

Fabrizio Falconi

25/10/13

'Il giorno più bello per incontrarti" di Fabrizio Falconi - L'e-book e la storia del libro.






Da poco tempo è disponibile on line la versione e-book de Il giorno più bello per incontrarti. (scaricabile su Kindle

Ho scritto questo romanzo nel 2000 (pubblicato con l'editore Fazi), dopo che per la radio mi ero interessato della storia di un ragazzo veneto - si chiamava Tiziano - il quale, sofferente per disturbi della personalità - s'era più volte allontanato da casa e alla fine era stato creduto morto.  Abitava infatti con la sua famiglia, poverissima, sull'isola di Pellestrina, nella laguna veneta.   Un giorno, dopo molte settimane che Tiziano era sparito nel nulla, la risacca portò sulla riva dell'isolotto un corpo in decomposizione.  L'autopsia, frettolosamente concluse che si trattava del ragazzo e furono celebrati i funerali. 
Ben cinque anni più tardi, però, la madre di Tiziano ricevette una cartolina da un ospedale di Padova, dove il figlio risultava ricoverato.  
Si scoprì così che il ragazzo si era allontanato e in stato di confusione mentale aveva vagato per lunghi mesi nell'entroterra veneto, fino ad essere accolto nell'istituto di salute mentale.
La madre recuperò il figlio risorto, lo riportò a Pellestrina, ma senza restituirlo alla vita.  Tiziano si ammalò gravemente, rifiutando il cibo e morendo pochi mesi dopo. 

Questa tragica storia ispirò il libro. Il vagabondo diventò il padre di Giovanni, il protagonista del libro.  
Per tutto il tempo nel quale scrissi il romanzo e anche dopo, non pensai mai a Il fu Mattia Pascal, che pure avevo letto molti anni prima.  E fu il mio amico Robert P. Harrison, quando lesse il libro, a sottolinearmene la vicinanza di temi e di storia. 

Anche il titolo del romanzo ha una radice molto personale: è una frase, l'ultima, pronunciata da mio padre, prima di morire. Ed è veramente singolare che in sede di editing finale, questa frase finì per essere prescelta come titolo ideale del romanzo (in effetti lo era). 

Come sempre finzione e realtà hanno scelto un modo (e moto) proprio per dialogare nella forma di questa storia, che ad un certo punto della mia vicenda, ha chiesto di essere raccontata. 

(Versione e-book scaricabile QUI)