23/10/08

Il duello tra Atei e Credenti secondo Jung - Un presupposto sbagliato.



In tempi nei quali sembra essersi radicalizzato ancor di più il confronto tra i razionalisti-atei e i credenti-positivi, con una reciproca incomunicabilità, ritengo sia davvero utile rileggere questa paginetta di Carl Gustav Jung (davvero profetica), contenuta nella Risposta a Giobbe, testo di cui abbiamo già parlato qui:

In questa materia l'obiettività assoluta è ancora più difficile da raggiungere che altrove. Se si hanno convinzioni religiose positive, cioè se si "crede", si avverte il dubbio come estremamente sgradevole, o addirittura lo si teme. Per questo motivo si preferisce non analizzare l'oggetto della fede. Se invece non si hanno delle opinioni religiose, non ci si confessa volentieri il sentimento di una lacuna, ma o ci si vanta apertamente della propria spregiudicatezza, o si accenna almeno al nobile spirito di libertà su cui si fonda il proprio agnosticismo....

Ambedue, credente e agnostico, sentono senza saperlo l'insufficienze dei loro argomenti. L'illuminismo opera valendosi di inadeguati concetti razionalistici della verità e richiama l'attenzione, ad esempio, sul fatto che credenze come quelle nella nascita da una Vergine, nella qualità di figlio di Dio, nella resurrezione dei morti, nella transustazione e altre ancora siano del tutto assurde. L'agnosticismo afferma di non possedere alcuna nozione relativa a Dio o a un qualsiasi altro oggetto metafisico e si lascia sfuggire il fatto che non si possiede mai una convinzione metafisica, ma si viene posseduti da essa. Disgraziatamente anche i difensori della 'fede' operano spesso con gli stessi futili argomenti, soltanto nel senso opposto..

Ambedue i sostenitori di questi due opposti punti di vista sono posseduti dalla ragione che incarna ai loro occhi l'arbitro supremo e indiscutibile. Ma chi è "la ragione" ? Perchè dovrebbe essere l'arbitro supremo ? Non significa ciò, che è ed esiste un'istanza collocata al di sopra del giudizio della ragione, come ci viene confermato dalla storia dello spirito umano in tanti esempi ?


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20/10/08

Il Vangelo della Domenica - La moneta di Cesare.



Mt 22,15-21

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva ridotto al silenzio i sadducei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi.

Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?".

Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?". Gli risposero: "Di Cesare". Allora disse loro: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio".


E' senza alcun dubbio uno dei passi del Vangelo più citati, più equivocati, più fraintesi, e più strumentalizzati.

Ed è difficile interpretarlo correttamente, secondo me, se non si fa veramente silenzio, e non si lascia sedimentare la Parola, che anche in questo caso ha molto più da dirci, di quanto appaia a prima vista.

La domanda fatta a Gesù è capziosa. E' frutto addirittura di un complotto, ordito da farisei ed erodiani per indurre il Profeta a inciampare, a fare - come diremmo oggi - una 'gaffe' screditante agli occhi dei suoi 'sostenitori'.

La domanda che costoro fanno è se 'pagare il tributo a Cesare sia lecito'. E già qui ci sarebbe da discutere, perchè loro non chiedono se sia 'giusto', ma 'lecito', ed è già una bella differenza.

Gesù, però, non cade nel tranello. Cosa vorrebbero che dicesse ? Che non è 'lecito' ? Che ai Romani, agli esattori, agli amministratori, non è lecito pagare tributo, ma soltanto a Dio ? Questa parola basterebbe a condannarlo a morte, subito.

Ma Gesù non elude la domanda. Dà anzi una risposta che più piena non si potrebbe: "Rendere a Cesare quel che è di Cesare (la sua moneta, la moneta che egli ha coniato, ovvero far restare in ambito mondano tutto ciò che è mondano), e rendere a Dio tutto ciò che è di Dio ( ovvero tutto ciò che non è mondano, cioè effimero, e sul quale Cesare, o chiunque altro Cesare nulla può).

La risposta di Gesù è tutto meno che qualunquista - come qualcuno l'ha interpretata a volte. Non dice: paga le tasse e stai a posto così. Non dice: i soldi sono una cosa, la spiritualità un'altra, e bisogna coltivare tutte e due.

Non dice niente di tutto questo.

Dice di rendere a Cesare, e cioè di far restare in quell'ambito, quelle cose che nella vita servono per vivere. Cioè la stretta materialità. E di dedicare a Dio tutto il resto. La separazione è chiara. Gesù l'ha affermata tante altre volte, in altri passi del Vangelo, non si può servire Dio e Mammona, ed è più facile che un cammello (o una corda) passino nella cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno dei Cieli.

Dio, dice Gesù, è un'altra cosa.

Dio vuole altro.

Non sa che farsene della moneta di Cesare.

E di questo, dovremmo ricordarci tutti.

18/10/08

Dziwisz alla presentazione del film "Una Vita con Karol": Wojtyla fece miracoli anche in Vita.


Il card. Dziwisz asserisce di essere stato testimone oculare di vari miracoli che sarebbero stati compiuti da papa Wojtyla quando questi era ancora in vita, tra i quali la guarigione di una giovane indemoniata. Lo racconta lo stesso Dziwisz, segretario personale di Giovanni Paolo II per tutto il suo pontificato, nel film-intervista "Testimonianza" tratto dal libro "Una vita con Karol", presentato questa sera in anteprima alla presenza di Benedetto XVI nell'aula Paolo VI, in Vaticano.

Dziwisz racconta, fra l'altro, della convalescenza di Giovanni Paolo II in clinica, dopo l'attentato del 1981. "Vicino al reparto in cui era ricoverato - ricorda il segretario - c'erano dei bambini malati di tumore" che lui amava visitare non appena si senti' meglio e che cercavano la sua presenza nella speranza di una guarigione. "La' io fui testimone di tanti miracoli".

Dziwisz racconta nel film anche di una giovane donna indemoniata condotta dal marito in Vaticano per un esorcismo, che pero' non riusci'. "Prima di andarsene, papa Wojtyla le disse: "domani diro' una messa per te. E lei guari"'.

Al di la' di questi fatti straordinari, emergono dal film numerosi aneddoti ed episodi in gran parte gia' noti, ma restituiti con la forza delle immagini e delle ricostruzioni cinematografiche, sottolineata in sala, gremita di cardinali, vescovi e molti polacchi, tra i quali Lech Walesa, un ex presidente della repubblica, un sottosegretario e altre autorita', da applausi e qualche risata.

L'arcivescovo di Cracovia racconta, ad esempio, di quando, da cardinale, A Ludzmierz in Polonia, cadde uno scettro da una statua della Madonna e il cardinale Wyszynski, che era con lui, gli disse ridendo: "Pare che la Vergine voglia dividere il suo potere con te", e di quando, dopo il conclave che lo elesse Papa, confesso' al suo futuro segretario: "Che cosa ho combinato!".

Un gruppo di attori rappresenta, nel film, le molto vociferate fughe in incognito di Wojtyla dal Vaticano per andare ad immergersi nella natura che tanto amava. Poi, riprende il racconto del cardinale Stanislaw: parla della visita in Polonia, di Solidarnosc, e della lettera scritta a Breznev quando la Russia pensava all'intervento militare, che non ricevette mai risposta e non fu mai divulgata, ma in cui era scritto che "la nazione ha diritto alla liberta"'.

Ed ecco il momento dell'attentato per mano di Ali' Agca: "Ricordo i piccioni che scappavano in alto dopo gli spari, come in un film - dice Dziwisz - che mi e' rimasto per sempre negli occhi". Il primo pensiero di Wojtyla fu per l'attentatore che subito perdono', prima confidandolo al segretario, poi scrivendo una lettera mai spedita in cui scriveva: "Come possiamo presentarci al Signore se non ci perdoniamo?". Successivamente espresse personalmente il proprio perdono al killer turco.

Ma Wojtyla, racconta ancora il segretario, affermando di poter ora rivelare "quello che finora abbiamo tenuto segreto" subi' un altro attentato, in realta' documentato dalle cronache.

Quando si reco' a Fatima nell'82 per portare alla Madonna il proiettile che l'aveva colpito e ringraziarla di avere avuto salva la vita, un sacerdote invasato gli si getto' addosso con un coltello. Il Papa continuo' la cerimonia e sembro' che il colpo non fosse andato a segno, ma quando torno' in camera, Dziwidz vide di persona che era stato ferito.

"Tremavamo tutti dopo l'attentato dell'81 - prosegue l'intervista - ma lui ripeteva che non potevamo vivere nella paura", e prosegui' il suo apostolato, che lo porto' presto, da Papa nella sua Polonia, dove volle incontrare ad ogni costo Lech Walesa e si rifiuto' di 'ammorbidire' i suoi discorsi, come gli era stato richiesto dal regime comunista. Sei anni dopo, cadeva il muro di Berlino. Poi vennero molti altri viaggi. In partenza per Cuba, un giornalista gli domandava se sarebbe successo li' quello che era successo in Polonia, e lui rispose, "perche', era andato male?'. E poi, "non sono un profeta".

Infine, le immagini si chiudono sul periodo della malattia e della morte, gia' rese ampiamente pubbliche. Dziwisz testimonia, in chiusura, della sua ultima uscita, quando non riusci' a parlare. Allontanatosi dal balcone, gli sussurro': "se non posso piu' stare con la gente e parlare con loro, e' meglio che me ne vada". Scrisse su un biglietto Totus tuus, e comincio' la sua coraggiosa agonia.

15/10/08

I nostri morti.

I nostri morti non ci hanno abbandonato. Se ne sono andati lasciandoci senza parole.

Avremmo voluto ancora dire loro qualcosa. Qualcosa che non siamo riusciti. E quella parola ci è rimasta dentro.

Immaginiamo i loro occhi che ci guardano di notte, ci sentiamo sfiorati quando meno ce lo aspettiamo. Li sentiamo mormorare parole indistinte, nella penombra.

I nostri morti si sono dileguati troppo presto. Hanno stabilito un vuoto nelle nostre vite. E qualche volta pensiamo di risolvere quel vuoto, non pensandoci. Invece, quel vuoto è sempre lì. E ogni giorno è sempre più vuoto, sempre più fondo. Nasconderlo, non serve.

I nostri morti ci chiedono di vivere
. Hanno nostalgia della vita. Ci chiedono di essere la loro prosecuzione su questa terra che hanno lasciato a fatica. Non soltanto perchè portiamo in giro i loro geni, il loro stesso materiale biologico, che è il nostro. Padri, madri, sorelle, fratelli, figli. Vivono separati da un vetro.

Ci osservano. Ci chiedono di interrompere il nostro insensato incedere di tutti i giorni. Di fermarci ad osservare le nostre vite fatte spesso di niente. Ci chiedono di fare loro spazio. Di non annullarli, di non far finta di niente, di non dimenticarli. Ci chiedono di portarli in giro, di far vedere loro il mondo ancora, e sempre, con occhi nuovi.

Ci proteggono. Ci mandano segnali. Noi non li sentiamo, quando siamo troppo presi, troppo indaffarati o indifferenti. Allora ci chiamano di nuovo, e ci mandano altri segnali. E ci proteggono quando non vogliamo ascoltarli, e siamo in pericolo. Sperano che ci accorgiamo di loro. Sperano che gli parliamo, ancora, e sempre, nel buio, nella pioggia del giorno, nelle giornate che non finiscono mai.

Ci aspettano. Vogliono essere con noi, insieme, nella ultima speranza che contiene ogni mistero, e che ci attende, alla fine di questo viaggio finito.

13/10/08

Il Vangelo della Domenica - L'abito nuziale.


Mt 22,1-14
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, rispondendo Gesù riprese a parlare in parabole ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo e disse: "Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze.

Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo,chi ai propri affari; altri presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.

Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti".


Il Re vuole un grande banchetto per le nozze di Suo figlio. Il re è gioioso, e vuole comunicare la sua gioia. Vuole una grande festa per tutti gli invitati.

Ma gli invitati che lui ha chiamato, non vengono. Rispondono al suo invito nel peggiore dei modi.

E il Re è piuttosto vendicativo. Ripaga quella gentaglia con la stessa moneta: hanno ucciso, li fa uccidere. Hanno distrutto, fa distruggere le loro città.

Ora il Re non fa più distinzioni: non cerca più 'invitati', ma si rivolge a tutti, a chiunque. Fa reclutare gli invitati per la strada, e non fa distinzioni: buoni o cattivi, purchè rispondano all'invito.

Vengono in tanti. Ma non tutti soddisfano quel minimo/massimo che il Re pretende: che almeno indossino l'abito nuziale !

Che significa 'abito nuziale' ? Significa che se si è invitati, e se si decide di andare ad una festa alla quale si è invitati, non vi si può presentare come se si passasse lì per caso. Bisogna 'pre-disporsi', 'pre-pararsi', 'pre-sentarsi.'

Bisogna cioè, fare qualcosa. Non si può solo aspettare passivamente la chiamata e presentarsi al banchetto per mangiare e bere allegramente.

Non sono eletti tutti coloro che sono chiamati. Lo stato di elezione - la partecipazione alla vera festa, nel vero modo - si materializza soltanto se si indossa l'abito giusto, il che vuol dire 'sentire' l'evento, parteciparvi fino in fondo, davvero. Essere nell'abito giusto, vuol dire, nella nostra vita di tutti i giorni, non dare sempre tutto per scontato, ma chiedersi, ogni volta, cosa è giusto, veramente, cosa ci viene richiesto veramente. Per essere parte della festa.

10/10/08

Il cromosoma 20 umano.




Osservate bene la foto qui sopra. Che potete vedere osservare meglio, fra l'altro cliccandoci sopra, o cliccando su questo indirizzo, dal quale l'ho tratta:
Sapete cos'è ?

Sapete bene tutti che l’informazione genetica di tutti gli organismi viventi è codificata in delle immense sequenze di soli quattro simboli molecolari, strutturati come i gradini di gigantesche scale di DNA chiamate cromosomi.

Le cellule umane contengono due insiemi di 23 cromosomi.
Bene, ciascuno di questi cromosomi comprende la combinazione di un numero che varia da 50 a 250 milioni di simboli o paia di basi, per un totale di 3 miliardi di simboli !

L'informazione di ogni cromosoma è dunque come un libro di un milione di pagine scritto in una lingua per la maggior parte sconosciuta.

Nell'immagine sopra, quella che è riportata è una sola paginetta di questa sequenza di simboli. Una sola paginetta del milione di pagine che compongono il solo cromosoma umano 20, che per l'esattezza è composto da 63.644.868 paia di basi o simboli combinati.
Nella foto vedete la combinazione in sequenza dei 4 simboli molecolari, contrassegnati con le lettere A C G T . I puntini tra le lettere sono le sezioni apparentemente inutilizzate, e che ancora non sappiamo a cosa servano.

Questo è il misterioso prodigio della vita. 

09/10/08

Mahatma Gandhi - La pace !


E' un'epoca popolata dalla paura. Dominata dalla paura

E se si vive nella paura è difficile essere in pace. Nonostante la pace sia quello che ciascuno di noi desidera più ardentemente nella propria vita. 

Ma non si avrà mai nessuna pace, se non si è prima di tutto in pace con se stessi, dentro se stessi. Ecco, allora forse è utile ripercorrere qualcuno di quegli straordinari aforismi di Gandhi, sulla Pace. 

È meglio confessare i propri errori: ci si ritrova più forti. 

Apprendere che nella battaglia della vita si può facilmente vincere l'odio con l'amore, la menzogna con la verità, la violenza con l'abnegazione dovrebbe essere un elemento fondamentale nell'educazione di un bambino. 

Qualsiasi cosa tu faccia sarà insignificante, ma è molto importante che tu la faccia. Il perdono è la qualità del coraggioso, non del codardo. Chi non controlla i propri sensi è come chi naviga su un vascello senza timone e che quindi è destinato a infrangersi in mille pezzi non appena incontrerà il primo scoglio. 

Chi perde la sua individualità perde tutto. Per poter criticare, si dovrebbe avere un'amorevole capacità, una chiara intuizione e un'assoluta tolleranza. La felicità e la pace del cuore nascono dalla coscienza di fare ciò che riteniamo giusto e doveroso, non dal fare ciò che gli altri dicono e fanno. 

La felicità non viene dal possedere un gran numero di cose, ma deriva dall'orgoglio del lavoro che si fa. La vera felicità dell'uomo sta nell'accontentarsi. Chi sia insoddisfatto, per quanto possieda, diventa schiavo dei suoi desideri. 

La purezza di mente e la pigrizia sono incompatibili. La vera bellezza, dopo tutto, sta nella purezza di cuore. 

L'assenza di paura non significa arroganza o aggressività. Quest'ultima è in sé stessa un segno di paura. L'assenza di paura presuppone la calma e la pace dell'anima. Per essa è necessario avere una viva fede in Dio. L'unico tiranno che accetto in questo mondo è la voce silenziosa dentro di me. 

L'uomo diventa spesso ciò che crede di essere. Se continua a dire che non si riesce a fare una certa cosa, è possibile che alla fine si diventi realmente incapaci di farla. La violenza non eliminerà mai il male. 

Nulla si ottiene senza sacrificio e senza coraggio. Se si fa una cosa apertamente, si può anche soffrire di più, ma alla fine l'azione sarà più efficace. Chi ha ragione ed è capace di soffrire alla fine vince. Non puoi stringere la mano con un pugno chiuso. Nulla consuma il corpo quanto l'ansia e chi ha fede in Dio dovrebbe vergognarsi di essere preoccupato per qualsivoglia cosa. 

Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso. L'uomo è dove è il suo cuore, non dove è il suo corpo. Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre. Gli atti d'amore e generosità sono molto più frequenti dei conflitti e delle dispute. 

Occhio per occhio... e il mondo diventa cieco. Un codardo non è capace di dichiarare il proprio amore. Questa è una prerogativa del coraggioso. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo.

Le 100 più belle foto di Gandhi: http://www.gandhiserve.org/index.html 

07/10/08

Il Vangelo della Domenica - I vignaioli crudeli.

VANGELO Mt 21,33-43

In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: "Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò.

Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono.Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero.

Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?". Gli rispondono: "Farà morire miseramente quei malvagi edarà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo". E Gesù disse loro: "Non avete mai letto nelle Scritture: ''La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri '' ? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare ".


Ciò che più impressiona di questa Parabola - Gesù come al solito sta parlando a noi, proprio a ciascuno di noi - è la crudeltà efferata di questi vignaioli.

Siamo noi ? Siamo noi così ? Siamo noi quegli uomini che bastonano, che uccidono, che lapidano, che cacciano fuori e che uccidono nuovamente per avere l'eredità ?

Sì siamo noi. E' degli uomini su questa terra che sta parlando, Gesù. E per averne conferma, basta leggere le cronache di questi giorni. Sono proprio loro, gli uomini, che bastonano, lapidano, cacciano fuori, uccidono.

E di fronte a questi vignaioli/uomini così duri, così crudeli, anche la bontà di Gesù, la sua venuta per redimere, sembra quasi essere impotente, senza speranza di successo.

Sembra quasi riemergere, anzi, quel Dio severo dell'Antico Testamento che dà pane al pane, e ricambia occhio per occhio. Gli uomini sono crudeli ? Gli verrà tolto il Regno. Sempre che, invece, la Pietra D'Angolo, che è senza alcun dubbio Gesù, la Pietra scartata, offesa e dimenticata, non sia invece utilizzata come base di costruzione di una nuova casa, di un nuovo modo, di un nuovo ascolto. Nuovo. Cioè diverso da tutto quello che gli uomini sembrano prediligere, nella loro quotidiana attività.

E' avvenuto questo nuovo cambio di direzione, di vita, di mentalità, che Gesù in questa parabola ci presenta come un aut-aut ? Sta avvenendo ? E' avvenuto, avviene in ciascuno di noi, ora ?

05/10/08

L'abiura di Roberta de Monticelli - L'addio a ogni collaborazione con la Chiesa cattolica - La risposta di Mons. Betori.

Mi colpisce molto la dura presa di posizione di Roberta De Monticelli - che reputo una delle migliori menti oggi al servizio della riflessione spirituale, in Italia - la quale ha abiurato, con una clamorosa lettera, pubblicata su Il Foglio, qualsiasi collaborazione con la Chiesa Cattolica, a causa delle posizioni espresse da Mons. Betori - segretario generale della CEI in uscita - sulla fine-vita e le volontà ultime del malato.
Penso che sia un'occasione di riflessione profonda, per tutti quelli che si riconoscono come cristiani - e anche per tutti gli altri - leggere questa lettera, e la risposta che ne ha dato lo stesso Mons. Betori il giorno successivo su 'Avvenire'.

Abiura di una cristiana laica

di Roberta de Monticelli *

Questo è un addio. A molti cari amici - in quanto cattolici. Non in quanto amici, e del resto sarebbe un fatto privato. E’ un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla chiesa cattolica italiana, un addio anche accorato a tutti i religiosi cui debbo gratitudine profonda per avermi fatto conoscere uno dei fondamenti della vita spirituale, e la bellezza. La bellezza delle loro anime e quella dei loro monasteri - la più bella, la più ricca, e oggi, purtroppo, la più deserta eredità del cattolicesimo italiano. O diciamo meglio del nostro cristianesimo.

L’eredità di Benedetto, di Pier Damiani, di Francesco, dei sette nobili padri cortesi che fondarono la comunità dei Servi di Maria, di tanti altri uomini e donne che furono “contenti nei pensier contemplativi”. E anche l’eredità di mistici di altre lingue e radici, l’eredità, tanto preziosa ai filosofi, di una Edith Stein, carmelitana che si scalzò sulle tracce della grande Teresa d’Avila.

Questo addio interessa a ben poche persone, e come tale non meriterebbe di esser detto in pubblico. Ma se oggi scrivo queste parole non è certo perché io creda che il gesto o la sua autrice abbiano la minima importanza reale o morale: bensì per un senso del dovere ormai doloroso e bruciante. Basta.

La dichiarazione, riportata oggi su “Repubblica”, di Mons. Betori, segretario uscente della Cei, e “con il pieno consenso del presidente Bagnasco”, secondo la quale, per quanto riguarda la fine della propria vita, alla volontà del malato va prestata attenzione, ma “la decisione non deve spettare alla persona”, è davvero di quelle che non possono più essere né ignorate né, purtroppo, intese diversamente da quello che nella loro cruda chiarezza dicono.

E allora ecco: questa dichiarazione è la più tremenda, la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale: la coscienza, e la sua libertà. La sua libertà: di credere e di non credere (e che valore mai potrebbe avere una fede se uno non fosse libero di accoglierla o no?), di dare la propria vita, o non darla, di accettare lo strazio, l’umiliazione del non esser più che cosa in mano altrui, o di volerne essere risparmiato. Sì, anche di affermare con fierezza la propria dignità, anche per quando non si potrà più farlo. E’ la possibilità di questa scelta che carica di valore la scelta contraria, quella dell’umiltà e dell’abbandono in altre mani.

Ma siamo più chiari: quella che Betori nega è la libertà ultima di essere una persona, perché una persona, sant’Agostino ci insegna, è responsabile ultima della propria morte, come lo è della propria vita. Fallibile, e moralmente fallibile, è certo ogni uomo. Ma vogliamo negare che, anche con questo rischio, ultimo giudice in materia di coscienza morale sia la coscienza morale stessa?

Attenzione: non stiamo parlando di diritto, stiamo parlando di morale. Il diritto infatti è fatto non per sostituirsi alla coscienza morale della persona, ma per permettergli di esercitarla nei limiti in cui questo esercizio non è lesivo di altri. Su questo si basano ad esempio i principi costituzionali che garantiscono la libertà religiosa, politica, di opinione e di espressione.

Oppure ci sono questioni morali che non sono “di competenza” della coscienza di ciascuna persona? Quale autorità ultima è dunque “più ultima” di quella della coscienza? Quella dei medici? Quella di mons. Betori? Quella del papa?

E su cosa si fonda ogni autorità, se non sulla sua coscienza? Possiamo forse tornare indietro rispetto alla nostra maggiore età morale, cioè al principio che non riconosce a nessuna istituzione come tale un’autorità morale sopra la propria coscienza e i propri più vagliati sentimenti?

C’è ancora qualcuno che ancora pretenda sia degna del nome di morale una scelta fondata sull’autorità e non nell’intimità della propria coscienza? “Non siamo per il principio di autodeterminazione”, dichiara mons. Betori, e lo dichiara a nome della chiesa italiana. Ma si rende conto, Monsignore, di quello che dice? Amici, ve ne rendete conto? E’ possibile essere complici di questo nichilismo? Questa complicità sarebbe ormai - lo dico con dolore - infamia.

di Roberta de Monticelli

* IL FOGLIO, 02.10.2008


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RISPETTOSA OBIEZIONE ALLA PROFESSORESSA DE MONTICELLI

Chiedo anch’io la libertà di coscienza. Altra cosa dall’auto-determinazione

di GIUSEPPE BETORI (Avvenire, 03.10.2008)

Sul ’Foglio’ di ieri, Roberta de Monticelli prende spunto da alcune mie dichiarazioni, nel contesto di una conferenza stampa, per dare il suo « addio » « a molti cari amici - in quanto cattolici » , « un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla chiesa cattolica » .

Trovarmi coinvolto in una così seria decisione mi turba, ma vorrei ricordare che quella parola, « addio » , percepita di primo acchito sinistra, contiene in sé una radice promettente. E’ la preposizione ’ ad’ che spinge verso altro, in ogni caso fuori dal soggetto.

E in effetti visto che l’argomento del contendere è la ’ fine della vita’, tutto cambia a seconda se la vita è destinata oppure senza scopo. In altre parole se la vita si spiega da sé o sottostà come tutta la realtà a quel principio per cui nessuno trova in se stesso la spiegazione del proprio essere. Se si tiene conto di questo, forse si riesce a capire cosa nasconda la parola ’autodeterminazione’, che vorrebbe fare a meno di questa evidenza.

E se la signora de Monticelli avesse colto tale passaggio, avrebbe certo compreso che dietro le mie parole «non spetta alla persona decidere» si cela non la negazione della coscienza, ma semmai dell’autosufficienza. Per questo, proprio appellandomi alla coscienza, che l’illustre interlocutrice difende con tanta passione, non posso non prendere le distanze dalla posizione che mi costruisce addosso e che mi viene attribuita senza fondamento.

Sono infatti sinceramente amareggiato che la mia dichiarazione sia stata letta come « la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale » . Insomma, sarei io - e la Chiesa con me - ad autorizzare il male, negando la possibilità di fare il bene, e farei tutto questo perché non sono per « il principio di autodeterminazione » . Qui si sta costruendo un grande malinteso, legato a cosa significhi in questo contesto il « principio di autodeterminazione » : non si può confondere la libertà di coscienza con la possibilità di fare quello che ci pare. Anche se ragionassi in termini puramente laici, non potrei giustificare un assassinio dicendo che l’ho fatto per rivendicare la mia libertà di coscienza. La legge che punisce l’omicidio non elimina la libertà di coscienza: anzi la piena libertà dell’assassino è il primo presupposto della condanna.

Non possiamo confondere, insomma, la libertà della nostra coscienza con la legittimità delle nostre azioni. Il « principio di autodeterminazione » non è mai stato un caposaldo della dottrina della Chiesa: quando S. Agostino scrive « ama e fa’ ciò che vuoi » , indica che le nostre azioni sono buone solo quando si ispirano a Dio, che è Amore. La coscienza è la sede della nostra scelta, è il luogo dove decidiamo, ma non è il criterio della scelta. Il criterio non ce lo diamo da soli: ce lo dona Dio, che è Amore, ed è percepibile ad ogni indagine razionale come il fondamento della nostra stessa identità o natura. Allo stesso modo, la vita non ce la diamo da soli, ma ci viene donata. Difendere questo dono è difendere il bene: difendere la vita significa difendere la possibilità della coscienza, non negarla. Se non sono vivo, certo non posso scegliere. È proprio questa precedenza della vita rispetto ad ogni scelta, questo dono che mi viene fatto, che mi orienta nel valutare le opzioni di fronte a me. Del resto, anche la mia coscienza non me la sono data: genitori, insegnanti, amici mi hanno insegnato a parlare e a pensare.

Questo tipo di considerazioni porta San Tommaso a insistere tanto sulla prudenza come regola per l’azione: se non si può scegliere in astratto, ma solo a partire dalle concrete situazioni della vita personale, non si può essere buoni in astratto, come vorrebbe l’astratto « principio di autodeterminazione » .

Bisogna cercare di essere « il più buoni possibile » nelle circostanze date: per questo la Chiesa si è decisa per una legge sul ’ fine vita’. Un realismo, il suo, che è da sempre il criterio ispiratore della riflessione cattolica, nello sforzo di rendere possibile una scelta buona nella vita di tutti i giorni.

La vita che viviamo è frutto di relazioni che la generano, sia nel momento del concepimento, sia durante tutto il suo corso. Queste relazioni non terminano con la sofferenza: il dolore non colpisce solo chi soffre - a volte in condizioni estreme - ma anche chi attorno è testimone di tale sofferenza. Tale comune sentire umano - direi questo consentire - sta da sempre a cuore alla Chiesa: davvero non vale niente? E questa passione per l’uomo sarebbe davvero « nichilismo » come conclude l’articolo su Il Foglio? O forse nichilismo è credere che non ci sia nulla oltre l’individuo e la disperata coscienza della sua solitudine?

Spero che Roberta de Monticelli - e quanti sono interessati a un dialogo sulla bellezza, la libertà, la vita - non rinunci alla possibilità di un incontro con chi segue Gesù, che è venuto non « per condannare il mondo, ma per salvare il mondo » (Gv 12,47). Per questo mi auguro che il suo sia solo un ’arrivederci’
profilo di Roberta de Monticelli:

04/10/08

Il Cardinal Martini: Sento la Morte come imminente.


Mi sono profondamente commosso, leggendo le parole pronunciate ieri dal Cardinal Carlo Maria Martini, in una delle sue ormai rare apparizioni in pubblico, vista la malattia che purtroppo lo sta sempre più limitando. Parole che dimostrano, una volta di più, la grandezza di questo uomo. Ve le ripropongo:

«Io, vedete, mi trovo a riflettere nel contesto di una morte imminente. Ormai sono già arrivato nell'ultima sala d'aspetto, o la penultima...». Il cardinale Carlo Maria Martini parla con un filo di voce ma sorride, «è stato un atto di audacia e anche di temerarietà chiamare a parlare una persona anziana che non sa se potrà esprimere bene le cose o tenersi in piedi», nell'auditorium dei gesuiti di San Fedele non vola una mosca, la gente ha gli occhi lucidi e l'arcivescovo emerito di Milano prosegue sereno, è arrivato appoggiandosi a un bastone ma lo sguardo e il pensiero non vacillano.


La sala è piena, si presenta il libro Paolo VI «uomo spirituale» (ed. Istituto Paolo VI-Studium), una raccolta di scritti martiniani su Montini curata dal teologo Marco Vergottini. E tanti sono rimasti fuori, l'attesa è grande quanto la commozione per il «ritorno» del cardinale biblista a Milano, anche se da qualche mese «padre Carlo» è tornato da Gerusalemme e risiede nella casa dei gesuiti a Gallarate. «Con i vostri tanti gesti di bontà, di amore, di ascolto, mi avete costruito come persona e quindi, arrivando alla fine della mia vita, sento che a voi devo moltissimo», sorride ancora ai fedeli, quasi fosse un congedo. Gli ottantun anni, il Parkinson. E il tema della morte, quello che nel libro Martini chiama con espressione dantesca «il duro calle». Quando l'attore Ugo Pagliai legge il «pensiero alla morte » di Paolo VI, « ...mi piacerebbe, terminando, d'essere nella luce... », il cardinale ascolta col volto affondato nelle mani aperte. «Se dovessi non lo scriverei così. È troppo bello, è meraviglioso, lirico», spiega Martini. «Come ho osservato nel libro, ritengo che il testo di Montini sia stato scritto anni prima, quando sentiva la morte incombente ma non imminente».

Della sua morte, invece, il cardinale parla come «imminente». Ed è qui che ha accenti wittgensteiniani, il pensiero sul limite della vita diventa un'interrogazione sui limiti del linguaggio, «chi si trova in questa situazione, dovrebbe piuttosto sentirsi scarnificato nelle parole, e questo è per me un problema irrisolto: come descrivere una realtà tutta negativa con parole razionali che tuttavia, in quanto razionali, devono esprimere una esperienza positiva». «Dire» la morte. È una riflessione che nel cardinale si è fatta via via più urgente negli ultimi anni. L'anno scorso, nella basilica dei Getsemani a Gerusalemme, aveva salutato i pellegrini ambrosiani con una lectio vertiginosa sulla Passone e l'«angoscia » di Gesù, «il greco il termine è agonia e significa lotta, conflitto, tensione profonda». Martini non ama i discorsi facilmente consolatori, come sempre trova il modo di parlare «al credente e al non credente che è in ciascuno di noi» e guarda in faccia «il duro calle». Davanti all'«affidamento totale a Dio» di Montini, scrive nel libro, «mi sento assai carente. Io, per esempio, mi sono più volte lamentato col Signore perché morendo non ha tolto a noi la necessità di morire. Sarebbe stato così bello poter dire: Gesù ha affrontato la morte anche al nostro posto e morti potremmo andare in Paradiso per un sentiero fiorito».

E invece «Dio ha voluto che passassimo per questo duro calle che è la morte ed entrassimo nell'oscurità che fa sempre un po' paura». Ma qui sta l'essenziale: «Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle "uscite di sicurezza". Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio». È l'insegnamento di Montini, «per me fu un po' come un padre». Perché ciò che ci attende dopo la morte «è un mistero » che richiede «un affidamento totale»: «Desideriamo essere con Gesù e questo nostro desiderio lo esprimiamo ad occhi chiusi, alla cieca, mettendoci in tutto nelle sue mani».


Grazie, Padre, anche per queste parole che ci hai donato.

03/10/08

Razzismo in Italia ? Non è IL problema, ma un sintomo.


Ormai gli episodi cominciano ad essere un po' troppi. Quasi ogni giorno, ormai le cronache dei giornali ci riferiscono di episodi di aggressioni a sfondo razziale che si verificano nel nostro paese - per non parlare della terribile carneficina di Castel Volturno.

Che succede: l'Italia è diventata un Paese di Razzisti ?

Come sempre, credo che le cose vadano guardate con calma, e senza lasciarsi trasportare dagli inevitabili stati d'animo.

Io credo, sono convinto, che alla base di motivazioni razziste, vi sia in definitiva, SEMPRE una profonda ignoranza. Questo lo dico senza nessun intinto giustificatorio, sia bene inteso.

Ma se non si comprende che IL problema NON è che quei determinati quattro ragazzi dicano 'sporco negro' a qualcuno, ma IL VERO PROBLEMA è quello che c'è dietro la vita di questi ragazzi, non si va da nessuna parte.

Il problema poi non riguarda solo i ragazzi. Ma tutti. Il problema è il veloce disfacimento di ogni conoscenza vera, e di ogni cultura, che sembra stia coinvolgendo l'intero Paese ( su questo fra l'altro pesa, secondo me, eccome, anche la scristianizzazione, cioè la perdita dell'identità e della conoscenza delle fonti cristiane, che per molto tempo hanno 'salvato' questo Paese).

Insomma, se l'ignoranza avanza, è perchè la conoscenza arretra.

E sul fatto del perchè arretra, potremmo discutere a lungo.

Il fenomeno, fra l'altro, coinvolge l'intero Occidente.

Ho letto ieri i risultati di una ricerca secondo la quale:

- i due terzi dell'elettorato americano (circa il 65%) si formano una opinione sui candidati in base ai loro spot in TV
- Oltre un terzo dell'elettorato (36%) ignora che differenza ci sia tra democratici e repubblicani.
- Solo due quinti ( 21%) sanno che esistono tre poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario.
- Meno della metà (45%) sanno chi era Karl Marx, e che l'America è l'unica potenza ad aver usato la Bomba Atomica.
- Più della metà (52%) ancora nel 2005 si dichiarava convinto che le Torri Gemelle siano state abbattute da Saddam Hussein.


Sono convinto - ahimè - che in Italia non andremmo molto meglio.

Di fronte a dati come questi, come meravigliarsi se il Razzismo attecchisce ?

29/09/08

Il Vangelo della Domenica - La Vigna.


Vorrei, molto umilmente, provare a far sì - anche qui su Il Mantello di Bartimeo - che il Vangelo della Domenica, che abbiamo ascoltato la Domenica, continui a far 'frutto' nelle nostre teste anche durante la settimana seguente. Così ogni lunedì lascerò qualche pensiero, ispirato dalla Parola, che spero possa essere condiviso e servire.

VANGELO
Mt 21,28-32
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: "Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Dicono: "L'ultimo".
E Gesù disse loro: "In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli".


Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Dicono: "L'ultimo".

Dunque, tutta questa parabola, molto semplice in realtà - e poco misteriosa - sembra voler dire una cosa sola: è più importante il FARE che il DIRE, per un cristiano.

Il Padre, sembra dirci Gesù, non sa che farsene dei nostri 'buoni propositi', del nostro 'dire', del nostro 'promettere'.

Egli vuole le nostre opere. Vuole un fare. Anche se questo fare arriva dopo reticenze e svogliatezze. Anche se è un fare che deriva da un frutto sbagliato. Purchè sia preceduto da un pentimento sincero.

Fare.

Fare sembra anche essere il linguaggio di Dio Padre, nei nostri confronti. Egli ha fatto l'immane opera della Creazione. Ma non si è mostrato più di tanto con le parole. E' apparso, anzi, spesso, agli uomini, alquanto reticente: reticente sulla esistenza del male, per esempio, sulle spiegazioni (causa-effetto) che gli uomini pretendono sempre, proprio come forma mentis.

Ho letto in un libro, recentemente: "Dio ama, non spiega."

Amare è fare. Spiegare è dire. Il Padre sembra privilegiare il primo, e questo vuole e vorrebbe che noi facessimo.

Proviamo a raccogliere questo 'fare' nelle nostre vite. Lasciamoci dietro le vane parole inutili. E proviamo a fare.

24/09/08

Il rischio della Religione Fai-da-Te, oggi.


Conosco sempre più persone - amici, colleghi di lavoro, semplici conoscenti - battezzati e di famiglia cattolica, che ormai si sono costruiti una specie di Religione-fai-da-te, pescando un po' di qua e un po' di là. Di fondo, si sentono ancora cattolici, e probabilmente - se qualcuno li andasse ad intervistare per un sondaggio - alla domanda: "religione cattolica ?" risponderebbero sì, ma soltanto per evitare di dover spiegare quello che magari non è del tutto chiaro neanche a loro.

Queste persone, in perfetta buona fede, e con spesso con le migliori intenzioni, sentendosi deluse da alcuni aspetti del cattolicesimo - in gran parte la qualità delle liturgie (messe noiose, prediche melense), ma anche la posizione della Chiesa e del Vaticano su alcune questioni del vivere comune - cominciano a rivolgersi altrove, in cerca di 'integratori' spirituali d'altra natura.

Così accade che alcuni di loro comincino a frequentare i circoli buddhisti del Soka Gakkai, dove si recita il Sutra del Loto, il namu myoho renge kyo che "fa sentire meglio, perchè libera l'energia che c'è in te." Il Soka Gakkai, come altre discipline buddhiste, è di 'facile approccio': si comincia con la conoscenza di una persona che ti introduce in un circolo di 'praticanti', la prima volta si va per curiosare, e poi si comincia a ... provare.

Non è soltanto il Soka Gakkai, ovviamente. Oramai va di moda 'pescare' anche da altre religioni, dal Tai-chi (che non è una religione, ma un'arte marziale che si usa a scopi meditativi e di conoscenza interiore), allo Zen, magari a un pizzico di Zoroastrismo o di Scintoismo, o di Confucianesimo e magari, perchè no, di new age ?

Credo che la nostra chiesa cattolica, specie in Italia, sottovaluti parecchio il rischio della trasformazione di un cattolicesimo che ormai - come avverte anche Benedetto XVI - rischia di essere percepito come "un insieme di no", di fronte al quale si cerca la consolazione di più facili "sì". E sottovaluti questa 'moda' di fabbricarsi religioni personali pret-a-porter anche da parte di coloro che si professano cattolici.

Il rischio è, secondo me, che si annacqui ancora di più lo spirito originario del cristianesimo, che non si voglia o non si sia più capaci di viverlo nella sua bellezza radicale, nel suo messaggio forte, originale.

Il rischio è che le persone che 'mischiano' tradizione e professioni di fede magari non completamente 'scelte', ma 'trovate lungo la strada' creino ancora più confusione nei cuori, e smarrimento di fronte a ciò che succede nel mondo.

Perchè la Chiesa non prova ad interrogarsi a fondo su questo, e a cercare di ribadire, di ritrovare e riaffermare lo spirito originario del cristianesimo, cioè Cristo, che non avrebbe e non ha bisogno di nessun integratore per affermarsi come Senso nel Mondo ?

23/09/08

Finalmente una apertura della Chiesa sul Testamento Biologico.


Finalmente, dopo quelli che secondo me sono stati gli scivoloni, le omissioni e le incertezze, sui Funerali a Welby - e la gestione di quella vicenda - la Chiesa italiana, in una dichiarazione ufficiale del suo massimo organo collegiale, il Collegio permanente della Cei, si esprime ufficialmente a favore di una legge che regolamenti il fine-vita, e tutte le complicate implicazioni che questa comporta.

Le parole del Card. Bagnasco di ieri, mi sono sembrate assai ponderate, e in gran parte condivisibili.

Eccole:
Questi mesi estivi sono stati segnati dalla vicenda di Eluana Englaro, la giovane lecchese che, per un incidente stradale occorsole sedici anni fa, vive in stato vegetativo conseguente a un coma da trauma cranico. La partecipazione commossa alla sorte di questa giovane, la condivisione e il rispetto per la situazione di sofferenza nella quale versa la famiglia, sono i nostri primi sentimenti. È una condizione, quella di Eluana, che peraltro interessa circa altri due mila nostri concittadini sparsi per il territorio nazionale. Per loro e le loro famiglie, come pure per altri malati gravemente invalidati, è necessario un efficace supporto da parte delle istituzioni. Non è questa la sede per richiamare l’iter abbastanza complesso che, rendendo questo caso emblematico, ha nel contempo evidenziato la nuova situazione venutasi a determinare in seguito a pronunciamenti giurisprudenziali che avevano inopinatamente aperto la strada all’interruzione legalizzata del nutrimento vitale, condannando in pratica queste persone a morte certa. Si è imposta così una riflessione nuova da parte del Parlamento nazionale, sollecitato a varare, si spera col concorso più ampio, una legge sul fine vita che – questa l’attesa − riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell’ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito – fuori da gabbie burocratiche − di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza. Dichiarazioni che, in tale logica, non avranno la necessità di specificare alcunché sul piano dell’alimentazione e dell’idratazione, universalmente riconosciuti ormai come trattamenti di sostegno vitale, qualitativamente diversi dalle terapie sanitarie. Una salvaguardia indispensabile, questa, se non si vuole aprire il varco a esiti agghiaccianti anche per altri gruppi di malati non in grado di esprimere deliberatamente ciò che vogliono per se stessi.

Quel che in ultima istanza chiede ogni coscienza illuminata, pronta a riflettere al di fuori di logiche traumatizzanti indotte da casi singoli per volgersi al bene concreto generale, è che in questo delicato passaggio – mentre si evitano inutili forme di accanimento terapeutico − non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico, e sia invece esaltato ancora una volta quel favor vitae che a partire dalla Costituzione contraddistingue l’ordinamento italiano.

La vita umana è sempre, in ogni caso, un bene inviolabile e indisponibile, che poggia sulla irriducibile dignità di ogni persona (cfr Benedetto XV, Discorso di saluto e accoglienza ai giovani, Sydney, 17 luglio 2008), dignità che non viene meno, quali che siano le contingenze o le menomazioni o le infermità che possono colpire nel corso di un’esistenza. Alla luce di questa consapevolezza iscritta nel cuore stesso dell’uomo, e che non è scalfibile da evoluzioni scientifiche o tecnologiche o giuridiche, noi guardiamo con fiducia alle sfide che il Paese ha dinanzi a sé, sicuri che il nostro popolo − con l’aiuto del Signore − saprà trovare le strade meglio corrispondenti alla sua voglia di futuro e alla sua concreta vocazione.

Qui il testo integrale della prolusione del Card. Bagnasco.



21/09/08

Enzo Bianchi chiamato da Benedetto XVI per il prossimo Sinodo dei Vescovi


In vista della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si terrà a Roma dal 5 al 26 Ottobre, a norma di quanto previsto dall’ Ordo Synodi Episcoporum, il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, con l’approvazione del Sommo Pontefice, ha nominato tra gli Adiutores Secretarii specialis (o Esperti), fr. Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose.

Per noi de Il Mantello di Bartimeo, questa è una gran bella notizia, e per festeggiarla, vi propongo qui sotto l'Omelia scritta per la domenica di oggi, 21 Settembre 2008, da Enzo Bianchi, a commento della Parabola Evangelica dei lavoratori della Vigna.


«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna»: così si apre la parabola di Gesù che oggi ascoltiamo. È una parabola che, mentre rivela la distanza tra il pensiero di Dio e quello di noi uomini (cf. Is 55,8-9), ci invita a colmarla assumendo i sentimenti di Dio narrati da Gesù.Il padrone della vigna si accorda con gli operai chiamati all’alba per il salario di un denaro al giorno; poi esce ancora a più riprese sulla piazza del paese e assolda altre persone che scorge disoccupate, rispettivamente alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio. Con tutti quelli ingaggiati più tardi egli non pattuisce una paga precisa, ma si limita a dire loro: «Andate anche voi nella mia vigna, quello che è giusto ve lo darò». Parole strane in bocca a un proprietario terriero, parole che contrastano con la logica di mercato e attirano la nostra attenzione: quale sarà questo salario giusto?Venuta la sera il padrone della vigna incarica il suo fattore di pagare gli operai «incominciando dagli ultimi fino ai primi». Quelli delle cinque del pomeriggio ricevono un denaro ciascuno, mentre a proposito degli altri lavoratori presi a partire dalle nove non si specifica nulla. «Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più»: è un calcolo umanissimo, che probabilmente molti di noi sottoscriverebbero, ma è un atto di presunzione che dimentica quanto il padrone aveva pattuito con loro. La realtà invece è un’altra: «Anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno», come da accordo…

Ma nel ritirare il loro salario gli operai della prima ora non riescono a celare il loro disappunto. Essi però non hanno il coraggio di esprimere il loro dissenso mediante una parola franca e leale, ma mormorano contro il padrone. Già questa forma di «comunicazione» è sintomo di una doppiezza interiore, di un cuore diviso che porta ad avere labbra doppie (cf. Sal 12,3; 119,10.13), perché – come rivelato da Gesù – «la bocca parla dalla pienezza del cuore» (Mt 12,34). Quanto al contenuto della loro lamentela, è ispirato alla logica perversa del paragone, del confronto con gli altri: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». Ciò che non riescono a sopportare non è tanto la mancata corrispondenza tra lavoro compiuto e ricompensa, quanto l’uguaglianza del trattamento ricevuto, il pensiero che altri venuti dopo siano stati oggetto della benevolenza del padrone: «tu li hai fatti uguali a noi», essi dicono letteralmente…

Tocca allora al signore della vigna, figura di Dio, ricondurre questi contestatori alla realtà. Rivolgendosi a uno di loro egli innanzitutto lo chiama «amico», poi gli spiega: «Io non commetto verso di te un’ingiustizia. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene». Egli, dunque, si è comportato semplicemente in modo giusto. Ma non basta, il padrone si riserva anche la libertà di fare delle proprie ricchezze ciò che vuole: «Io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te …

Oppure il tuo occhio è cattivo perché io sono buono?». In questa domanda è racchiusa la matrice profonda dell’invidia, sentimento che amareggia le nostre relazioni quotidiane: l’invidia consiste nell’avere un occhio cattivo verso l’altro fino a non volerlo più vedere e a desiderarne la scomparsa. Di nuovo, essa ha le sue radici nel cuore, perché «dal cuore dell’uomo nasce l’occhio cattivo» (Mc 7,22).

Ma perché siamo tristi per la felicità altrui, quasi fosse un attentato alla nostra? Gesù ci insegna che vi è una corrispondenza tra il concepire il proprio rapporto con Dio in termini di prestazione legalistica, misurando i propri presunti meriti, e il rattristarsi per la gioia altrui; al contrario, chi serve Dio nella libertà e per amore suo si rallegra della misericordia da lui riversata su tutti gli uomini e sa vivere il grande bene della gioia condivisa. Sì, il Signore Dio nell’imperscrutabile profondità della sua sapienza (cf. Rm 11,33) si rivela giusto nel donare la sua misericordia a tutti, abbiano risposto alla sua chiamata alla prima o all’ultima ora. Il suo unico arbitrio è la libertà di amare senza limite: e chi siamo noi per ostacolarlo?

Enzo Bianchi

il sito della Comunità di Bose:

http://www.monasterodibose.it/index.php/


18/09/08

La Risposta a Giobbe - di Carl Gustav Jung.





Sto leggendo in questi giorni un meraviglioso libro, di quel grande genio dell'umanità che è stato Carl Gustav Jung. Il quale in un famosissimo saggio, intitolato "Risposta a Giobbe", pubblicato nell'ultima fase della sua vita, nel 1952, si pose come obbiettivo quello di rispondere alla domanda cruciale della nostra esistenza: ovvero la presenza del male, nelle nostre vite, che da un punto di vista veterotestamentario, è rappresentato in tutta la sua drammatica pienezza nel Libro di Giobbe.
Chiunque sa che quel Libro della Bibbia sottopone un problema fondamentale: perchè il Giusto viene punito - ingiustamente - da Dio ? Perchè Dio si accanisce contro di lui, cedendo alle lusinghe di Satana che pone dei dubbi a Dio sulla fedeltà di Giobbe (il quale invece non ha nessuna colpa, tutt'altro) ? Perchè l'onniscente Dio - sembrerebbe per un puro divertimento sadico - si diverte a tormentare il povero Giobbe, l'uomo giusto e incolpevole, fedele a Dio: soltanto per constatare se egli riuscirà a rimanergli fedele anche nelle sofferenze più atroci inviategli ingiustamente ? Ma che gioco è questo ? Dio ragiona così ?

A tutte queste drammatiche domande, Jung dà una serie di risposte geniali, fornendo una interpretazione psico-analitica delle dinamiche che si instaurano tra Dio-Yahwèh e l'Uomo, la sua creatura.

Secondo Jung, Giobbe è il 'punto di rottura' nell'equilibrio tra Dio - creatore e Uomo-creato. E' quella crasi che rende 'necessario' il cambiamento in Dio stesso, e che porta all'incarnazione.

" Tutto il mondo è di Dio, e Dio è in tutto il mondo, " scrive Jung, " sin dalle prime origini. Ma perchè allora tutta questa grande impresa dell'incarnazione ? ci si domanda stupiti. Dio è sì, de facto, in tutto, ma nonostante ciò dev'essere mancato qualche cosa perchè sia stato necessario inscenare, con tante precauzioni e con tanta cura, una , per così dire, seconda entrata nella Creazione. .... Ma quando si pensa che il male è stato originalmente insinuato da Satana e che questi continua ancora incessantemente ad instillarlo con le sue male arti in tutto il creato, sembrerebbe molto più semplice che Yahwèh avesse richiamato energicamente all'ordine, e una volta per tutte, questo practical joker, eliminando il suo influsso dannoso ed estirpando così il male alla radice. Non ci sarebbe stato allora alcun bisogno di organizzare una particolare incarnazione.... "
Ma.... il testo di Jung è una affascinante (e assai persuasiva risposta) a queste e a molte altre obiezioni.

15/09/08

Lourdes - L'ultima preghiera di Bernadette.



In occasione dell'ultimo giorno della visita del Papa a Lourdes mi sembra bello riportare queste parole, questa preghiera scritta da Bernadette Soubirous poco prima di morire:

Prima di morire, Bernadette scrisse una preghiera. È il proprio personale Getsemani, l'ora del dubbio, del combattimento interiore.
Bernadette Soubirous è diventata suor Marie-Bernard, conversa delle suore di Nevers, ha 35 anni ed è morente.

Colei che ha visto e parlato con la Madonna a Lourdes guarda al passato con occhio stupito, diremmo incredulo di fronte alle cose operate dal Signore in Lei: la vita dura e miserevole condotta nella sua casa, la fame sofferta, le terribili ingiustizie subite, i dileggi, le incomprensioni anche da chi era più vicino. Guarda al passato e scrive quanto il cuore le annota; e ciò diventa preghiera vera e rara, drammaticamente vibrante...



Per l'indigenza di mamma e papà,
per la rovina del mulino, per il vino della stanchezza,
per le pecore rognose: grazie, mio Dio!
Bocca di troppo da sfamare che ero;
per i bambini accuditi, per le pecore custodite, grazie!
Grazie, o mio Dio, per il Procuratore,
per il Commissario, per i Gendarmi,
per le dure parole di Peyramale.
Per i giorni in cui siete venuta. Vergine Maria,
per quelli in cui non siete venuta,
non vi saprò rendere grazie altro che in Paradiso.
Ma per lo schiaffo ricevuto, per le beffe,
per gli oltraggi,
per coloro che mi hanno presa per pazza,
per coloro che mi hanno presa per bugiarda,
per coloro che mi hanno presa per interessata.
Grazie, Madonna!
Per l'ortografia che non ho mai saputa,
per la memoria che non ho mai avuta,
per la mia ignoranza e per la mia stupidità, grazie!
Grazie, grazie, perché se ci fosse stata sulla terra
una bambina più stupida di me, avreste scelto quella!
Per la mia madre morta lontano,
per la pena che ebbi quando mio padre,
invece di tendere le braccia alla sua piccola Bernadette,
mi chiamò suor Marie-Bernard: grazie, Gesù!
Grazie per aver abbeverato di amarezza
Questo cuore troppo tenero che mi avete dato.
Per Madre Joséphine che mi ha proclamata:
«Buona a nulla».
Grazie!
Per i sarcasmi della madre Maestra, la sua voce dura,
le sue ingiustizie, le sue ironie,
e per il pane della umiliazione, grazie!
Grazie per essere stata quella cui la Madre Thérèse
Poteva dire: «Non me ne combinate mai abbastanza».
Grazie per essere stata quella privilegiata
dai rimproveri, di cui le mie sorelle dicevano:
«Che fortuna non essere come Bernadette!».
Grazie di essere stata Bernadette,
minacciata di prigione perché vi avevo vista,
Vergine Santa!
Guardata dalla gente come bestia rara;
quella Bernadette così meschina che a vederla si diceva:
«Non è che questa?!».
Per questo corpo miserando che mi avete dato,
per questa malattia di fuoco e di fumo,
per le mie carni in putrefazione,
per le mie ossa cariate, per i miei sudori,
per la mia febbre, per i miei dolori sordi e acuti,
Grazie, Mio Dio!
Per quest'anima che mi avete data, per il deserto
dell'aridità interiore,
per la vostra notte e per i vostri baleni.
per i vostri silenzi e i vostri fulmini;
per tutto,
per Voi assente e presente, grazie! Grazie, o Gesù!

14/09/08

L'OMELIA PRONUNCIATA DAL PAPA A LOURDES NELLA GRANDE MESSA PER IL 150MO ANNIVERSARIO DELLE APPARIZIONI DI LOURDES - IL TESTO INTEGRALE


Ecco il testo integrale che il Papa ha appena pronunciato sulla Spianata della Prairie di Lourdes, davanti a 200.000 fedeli. Un testo molto profondo, che merita di essere letto integralmente e che pubblico a beneficio dei lettori di questo blog.

Andate a dire ai sacerdoti che si venga qui in processione e che si costruisca una cappella". È il messaggio che Bernadette ricevette dalla "bella Signora" nell’apparizione del 2 marzo 1858. Da 150 anni i pellegrini non hanno mai cessato di venire alla grotta di Massabielle per ascoltare il messaggio di conversione e di speranza che è loro rivolto. Ed anche noi, eccoci qui stamane ai piedi di Maria, la Vergine Immacolata, per metterci alla sua scuola con la piccola Bernadette.
Ringrazio in modo particolare Mons. Jacques Perrier, Vescovo di Tarbes e Lourdes, per la calorosa accoglienza che mi ha riservato e per le parole gentili che mi ha rivolto. Saluto i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose, così come tutti voi, cari pellegrini di Lourdes, in special modo i malati. Siete venuti in grande numero a compiere questo pellegrinaggio giubilare con me e ad affidare le vostre famiglie, i vostri parenti ed amici, e tutte le vostre intenzioni a Nostra Signora. La mia riconoscenza va anche alle Autorità civili e militari, che hanno voluto essere presenti a questa Celebrazione eucaristica.



"Quale mirabile cosa è mai il possedere la Croce! Chi la possiede, possiede un tesoro! (Sant’Andrea di Creta, Omelia X per l’Esaltazione della Croce: PG 97, 1020). In questo giorno in cui la liturgia della Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della santa Croce, il Vangelo che avete appena inteso ci ricorda il significato di questo grande mistero: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché gli uomini siano salvati (cfr Gv 3,16). Il Figlio di Dio s’è reso vulnerabile, prendendo la condizione di servo, obbedendo fino alla morte e alla morte di croce /cfr Fil 2,8). E’ per la sua Croce che siamo salvati. Lo strumento di supplizio che, il Venerdì Santo, aveva manifestato il giudizio di Dio sul mondo, è divenuto sorgente di vita, di perdono, di misericordia, segno di riconciliazione e di pace. "Per essere guariti dal peccato, guardiamo il Cristo crocifisso!" diceva sant’Agostino (Tract. in Johan.,XII,11). Sollevando gli occhi verso il Crocifisso, adoriamo Colui che è venuto per prendere su di sé il peccato del mondo e donarci la vita eterna.

E la Chiesa ci invita ad elevare con fierezza questa Croce gloriosa affinché il mondo possa vedere fin dove è arrivato l’amore del Crocifisso per gli uomini. Essa ci invita a rendere grazie a Dio, perché da un albero che aveva portato la morte è scaturita nuovamente la vita. È su questo legno che Gesù ci rivela la sua sovrana maestà, ci rivela che Egli è esaltato nella gloria. Sì, "Venite, adoriamolo!". In mezzo a noi si trova Colui che ci ha amati fino a donare la sua vita per noi, Colui che invita ogni essere umano ad avvicinarsi a Lui con fiducia.

E’ questo grande mistero che Maria ci affida anche stamane, invitandoci a volgerci verso il Figlio suo. In effetti, è significativo che, al momento della prima apparizione a Bernadette, Maria introduca il suo incontro col segno della Croce. Più che un semplice segno, è un’iniziazione ai misteri della fede che Bernadette riceve da Maria. Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati.

La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia. E’ questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli uomini che Maria è venuta a rivelare qui, a Lourdes. Essa invita tutti gli uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, la sorgente della salvezza.

La Chiesa ha ricevuto la missione di mostrare a tutti questo viso di un Dio che ama, manifestato in Gesù Cristo. Sapremo noi comprendere che nel Crocifisso del Golgota è la nostra dignità di figli di Dio, offuscata dal peccato, che ci è resa? Volgiamo i nostri sguardi verso il Cristo. È Lui che ci renderà liberi per amare come Egli ci ama e per costruire un mondo riconciliato. Perché, su questa Croce, Gesù ha preso su di sé il peso di tutte le sofferenze e le ingiustizie della nostra umanità. Egli ha portato le umiliazioni e le discriminazioni, le torture subite in tante regioni del mondo da innumerevoli nostri fratelli e nostre sorelle per amore di Cristo. Noi li affidiamo a Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, presente ai piedi della Croce.

Per accogliere nelle nostre vite questa Croce gloriosa, la celebrazione del Giubileo delle apparizioni di Nostra Signora di Lourdes ci fa entrare in un cammino di fede e di conversione. Oggi Maria viene incontro a noi per indicarci le vie d’un rinnovamento della vita delle nostre comunità e di ciascuno di noi. Accogliendo il Figlio suo, che Ella ci presenta, siamo immersi in una sorgente viva in cui la fede può ritrovare un vigore nuovo, in cui la Chiesa può fortificarsi per proclamare con sempre maggior audacia il mistero di Cristo. Gesù, nato da Maria, è Figlio di Dio, unico salvatore di tutti gli uomini, che vive ed agisce nella sua Chiesa e nel mondo. La Chiesa è inviata dappertutto nel mondo per proclamare quest’unico messaggio ed invitare gli uomini ad accoglierlo mediante un’autentica conversione del cuore. Questa missione, che è stata affidata da Gesù ai suoi discepoli, riceve qui, in occasione di questo Giubileo, un soffio nuovo. Che al seguito dei grandi evangelizzatori del vostro Paese, lo spirito missionario, che ha animato tanti uomini e donne di Francia nel corso dei secoli, sia ancora la vostra fierezza e il vostro impegno!

Seguendo il percorso giubilare sulle orme di Bernadette, l’essenziale del messaggio di Lourdes ci è ricordato. Bernadette è la maggiore di una famiglia molto povera, che non possiede né sapere né potere, è debole di salute. Maria la sceglie per trasmettere il suo messaggio di conversione, di preghiera e di penitenza, in piena sintonia con la parola di Gesù: "Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11,25). Nel loro cammino spirituale i cristiani sono chiamati essi pure a far fruttificare la grazia del loro Battesimo, a nutrirsi di Eucaristia, ad attingere nella preghiera la forza per testimoniare ed essere solidali con tutti i loro fratelli in umanità (cfr Omaggio alla Vergine Maria, Piazza di Spagna, 8 dicembre 2007). E’ dunque una vera catechesi che ci è proposta sotto lo sguardo di Maria. Lasciamo che la Vergine istruisca pure noi e ci guidi sul cammino che conduce al Regno del Figlio suo!

Proseguendo nella sua catechesi la "bella Signora"rivela il suo nome a Bernadette: "Io sono l’Immacolata Concezione". Maria le rivela così la grazia straordinaria che ha ricevuto da Dio, quella di essere stata concepita senza peccato, perché "ha guardato l’umiltà della sua serva" (Lc 1,48). Maria è questa donna della nostra terra che s’è rimessa interamente a Dio e ha ricevuto da Lui il privilegio di dare la vita umana al suo eterno Figlio. "Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Essa è la bellezza trasfigurata, l’immagine dell’umanità nuova. Presentandosi così in una dipendenza totale da Dio, Maria esprime in realtà un atteggiamento di piena libertà, fondata sul pieno riconoscimento della sua vera dignità. Questo privilegio riguarda anche noi, perché ci svela la nostra dignità di uomini e di donne, segnati certo dal peccato, ma salvati nella speranza, una speranza che ci consente di affrontare la nostra vita quotidiana. E’ la strada che Maria apre anche all’uomo. Rimettersi completamente a Dio è trovare il cammino della libertà vera. Perché volgendosi a Dio, l’uomo diventa se stesso. Ritrova la sua vocazione originaria di persona creata a sua immagine e somiglianza.

Cari fratelli e sorelle, la vocazione primaria del santuario di Lourdes è di essere un luogo di incontro con Dio nella preghiera, e un luogo di servizio ai fratelli, soprattutto per l’accoglienza dei malati, dei poveri e di tutte le persone che soffrono. In questo luogo Maria viene a noi come la madre, sempre disponibile ai bisogni dei suoi figli. Attraverso la luce che emana dal suo volto, è la misericordia di Dio che traspare. Lasciamoci toccare dal suo sguardo: esso ci dice che siamo tutti amati da Dio, mai da Lui abbandonati! Maria viene a ricordarci che la preghiera, intensa e umile, confidente e perseverante, deve avere un posto centrale nella nostra vita cristiana. La preghiera è indispensabile per accogliere la forza di Cristo. "Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione" (Enc. Deus caritas est, n. 36). Lasciarsi assorbire dalle attività rischia di far perdere alla preghiera la sua specificità cristiana e la sua vera efficacia. La preghiera del Rosario, così cara a Bernadette e ai pellegrini di Lourdes, concentra in sé la profondità del messaggio evangelico. Ci introduce alla contemplazione del volto di Cristo. In questa preghiera degli umili noi possiamo attingere grazie abbondanti.

La presenza dei giovani a Lourdes è anche una realtà importante. Cari amici, qui presenti stamattina intorno alla Croce della Giornata Mondiale della Gioventù, quando Maria ricevette la visita dell’Angelo, era una giovane ragazza di Nazaret che conduceva la vita semplice e coraggiosa delle donne del suo villaggio. E se lo sguardo di Dio si posò in modo particolare su di lei, fidandosi di lei, Maria vuole dirvi ancora che nessuno di voi è indifferente per Dio. Egli posa il suo sguardo amoroso su ciascuno di voi e vi chiama ad una vita felice e piena di senso. Non lasciatevi scoraggiare davanti alle difficoltà! Maria fu turbata all’annuncio dell’angelo venuto a dirle che sarebbe diventata la Madre del Salvatore. Essa sentiva quanto era debole di fronte alla onnipotenza di Dio. Tuttavia disse "sì" senza esitare. Grazie al suo "sì" la salvezza è entrata nel mondo, cambiando così la storia dell’umanità. A vostra volta, cari giovani, non abbiate paura di dire "sì" alle chiamate del Signore, quando Egli vi invita a seguirlo. Rispondete generosamente al Signore! Egli solo può appagare le aspirazioni più profonde del vostro cuore. Siete in molti a venire a Lourdes per un servizio attento e generoso accanto ai malati o ad altri pellegrini, mettendovi così sulle orme di Cristo servo. Il servizio reso ai fratelli e alle sorelle apre il cuore e rende disponibili. Nel silenzio della preghiera, sia Maria la vostra confidente, lei che ha saputo parlare a Bernadette rispettandola e fidandosi di lei. Maria aiuti coloro che sono chiamati al matrimonio a scoprire la bellezza di un amore vero e profondo, vissuto come dono reciproco e fedele! A coloro tra voi che Egli chiama a seguirlo nella vocazione sacerdotale o religiosa, vorrei ridire tutta la felicità che vi è nel donare totalmente la propria vita a servizio di Dio e degli uomini. Siano le famiglie e le comunità cristiane luoghi nei quali possano nascere e maturare solide vocazioni a servizio della Chiesa e del mondo!

Il messaggio di Maria è un messaggio di speranza per tutti gli uomini e per tutte le donne del nostro tempo, di qualunque Paese siano. Amo invocare Maria come Stella della speranza (Enc. Spe salvi, n.50). Sulle strade delle nostre vite, così spesso buie, lei è una luce di speranza che ci rischiara e ci orienta nel nostro cammino. Mediante il suo "sì", mediante il dono generoso di se stessa, ha aperto a Dio le porte del nostro mondo e della nostra storia. E ci invita a vivere come lei in una speranza invincibile, rifiutando di ascoltare coloro che pretendono che noi siamo prigionieri del fato. Essa ci accompagna con la sua presenza materna in mezzo agli avvenimenti della vita delle persone, delle famiglie e delle nazioni. Felici gli uomini e le donne che ripongono la loro fiducia in Colui che, nel momento di offrire la sua vita per la nostra salvezza, ci ha donato sua Madre perché fosse nostra Madre!

Cari fratelli e sorelle, in questa terra di Francia, la Madre del Signore è venerata in innumerevoli santuari, che manifestano così la fede trasmessa di generazione in generazione. Celebrata nella sua Assunzione, essa è la Patrona amata del vostro Paese. Sia sempre onorata con fervore in ciascuna della vostra famiglie, nelle vostre comunità religiose e nelle parrocchie! Vegli Maria su tutti gli abitanti del vostro bel Paese e sui pellegrini venuti numerosi da altri Paesi per celebrare questo Giubileo! Sia per tutti la Madre che circonda d’attenzione i suoi figli nelle gioie come nelle prove! Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra, insegnaci a credere, a sperare e ad amare con te. Indicaci la via verso il regno del tuo Figlio Gesù! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino! (cfr Enc. Spe salvi, n.50). Amen.