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16/05/22

Come nacque veramente il fenomeno "Amazon", che oggi è il maggiore distributore (anche) di libri al mondo ?

 


Amazon.com, Inc. è, come è noto, una società tecnologica multinazionale americana, definita ormai  "una delle forze economiche e culturali più influenti al mondo", ed è uno dei marchi più preziosi del mondo. 

E il suo avvento, in soli 25 anni ha cambiato completamente anche il mondo della distribuzione libraria: il mercato editoriale in Italia, come in ogni parte del mondo, fa ormai i conti con questo colosso che è in grado di distribuire e recapitare in tempi brevi o brevissimi ogni titolo esistente sul mercato. 

Ma come nacque, realmente, Amazon?  La foto qui sopra è ormai storica e fu scattata proprio alle primissime origini. 

Amazon fu fondata da Jeff Bezos dal suo garage a Bellevue, Washington, il 5 luglio 1994. 

La società è stata creata come risultato di quello che Jeff Bezos ha chiamato il suo "quadro di minimizzazione del rimpianto", che descriveva i suoi sforzi per respingere qualsiasi rimpianto per aver partecipato prima al boom del business di Internet durante quel periodo. 

Nel 1994, Bezos lasciò il suo impiego come vicepresidente di DE Shaw & Co. , un'azienda di Wall Street, e si trasferì a Seattle, Washington, dove iniziò a lavorare su un business plan per quella che sarebbe diventata Amazon.com. 

Il 5 luglio 1994, Bezos ha inizialmente incorporato la società nello stato di Washington con il nome Cadabra, Inc. Dopo alcuni mesi, ha cambiato il nome in Amazon.com, Inc, perché un avvocato aveva sentito male il suo nome originale, traducendolo come "cadaver "

All'inizio, l'azienda era gestita dal garage della casa di Bezos sulla 28a nord-est di Bellevue, Washington . 

Bezos scelse il nome sfogliando un dizionario; ha optato per "Amazon" perché era un luogo "esotico e diverso", proprio come aveva immaginato per la sua impresa su Internet. Il Rio delle Amazzoni , ha osservato, era il fiume più grande del mondo e aveva in programma di rendere il suo negozio la più grande libreria del mondo. 

Inoltre, era preferito un nome che iniziasse con "A" perché probabilmente sarebbe stato in cima a un elenco alfabetico

Bezos ha premiato il suo vantaggio iniziale nella costruzione di un marchio e ha detto a un giornalista: "Non c'è niente nel nostro modello che non possa essere copiato nel tempo. Ma sai, McDonald'sè stato copiato. E ha ancora costruito un'enorme azienda multimiliardaria. Molto dipende dal nome del marchio. I marchi sono più importanti online di quanto non lo siano nel mondo fisico.". 

Online bookstore and IPO Dopo aver letto un rapporto sul futuro di Internet che prevedeva una crescita annuale del commercio online del 2.300%, Bezos ha creato un elenco di 20 prodotti che potevano essere commercializzati online. 

Ha poi ristretto l'elenco a quelli che riteneva fossero i cinque prodotti più promettenti, che includevano: compact disc, hardware per computer, software per computer, video e libri. 

Bezos alla fine decise che la sua nuova attività avrebbe venduto libri online, a causa della grande domanda mondiale di letteratura, del basso prezzo unitario dei libri e dell'enorme numero di titoli disponibili in stampa. 

I genitori di Bezos hanno investito quasi $ 250.000 nella start-up. 

Il 16 luglio 1995, Amazon ha aperto come libreria online, vendendo la più grande collezione di libri del mondo a chiunque abbia accesso al World Wide Web

Il primo libro venduto su Amazon.com è stato Fluid Concepts and Creative Analogies : Computer Models of the Fundamental Mechanisms of Thought di Douglas Hofstadter . 

Nei primi due mesi di attività, Amazon ha venduto in tutti i 50 stati e in oltre 45 paesi. 

In due mesi, le vendite di Amazon sono arrivate a $ 20.000 a settimana. 

Era l'inizio di un cammino travolgente, inarrestabile: Nel 1999, la rivista Time ha nominato Bezos Persona dell'anno quando ha riconosciuto il successo dell'azienda nel rendere popolare lo shopping online . 

Dal 19 giugno 2000, il logo di Amazon presenta una freccia curva che va dalla A alla Z, a indicare che l'azienda trasporta ogni prodotto dalla A alla Z, con la freccia a forma di sorriso. 

Secondo le fonti, Amazon non si aspettava di realizzare un profitto per quattro o cinque anni. Questa crescita relativamente lenta ha indotto gli azionisti a lamentarsi del fatto che la società non stava raggiungendo la redditività abbastanza velocemente da giustificare il proprio investimento o addirittura sopravvivere a lungo termine. 

Nel 2001, lo scoppio della bolla delle dot-com ha distrutto molte e-company nel processo, ma Amazon è sopravvissuta e ha superato il crash tecnologico per diventare un grande attore nelle vendite online

Nel 2011, Amazon aveva 30.000 dipendenti a tempo pieno negli Stati Uniti e alla fine del 2016 aveva 180.000 dipendenti.

La potenza di una idea, nel sistema della tecnologia digitale neo-capitalistica. 


19/01/21

C'è ancora qualcuno che dice "Non so" ? Eppure è questa la saggezza



Viviamo tempi nei quali, obnubilati dalle proprie convinzioni su tutto, che difendiamo a ogni costo e sempre anche quando esse poggiano sul nulla, nessuno sembra essere più capace di dire "Non so".  Eppure ammettere la propria ignoranza o indecisione su questioni non semplici è una vera e propria fonte di saggezza come insegna questo antichissimo Detto dei Padri del Deserto.


Non so.

Una volta giunsero dall'abate Antonio dei vecchi e con loro c'era l'abate Giuseppe. Volendo l'anziano metterli alla prova, propose loro un passo delle Scritture e cominciò a chiedere, dal più giovane, di quale luogo si trattasse. Ognuno rispondeva come poteva. Il vecchio replicava: "Non ci siamo." Alla fine chiese all'abate Giuseppe: "Che ne pensi ?" . Egli rispose "Non so".

Allora l'abate Antonio disse: "Sicuramente l'abate Giuseppe ha trovato la via, perchè ha detto 'Non so' ".

Detti dei padri del deserto, Antonio, 17 (scritto verso 290 d.C.)

16/12/20

Libro del Giorno: "La salvezza del bello" di Byung-Chul Han

 



Meritevole l'editore Nottetempo che sta da diversi anni stampando l'opera di Byung-Chul Han, nato a Seul 60 anni fa, filosofo tedesco-sud coreano con un passato nella metallurgia e brutale critico della Rete e del globo interconnesso, considerato uno dei piú interessanti filosofi contemporanei, docente di Filosofia e Studi Culturali alla Universität der Künste di Berlino. 

Ne La salvezza del bello, edito nel 2015 in Germania (2019 in Italia), Byung-Chul Han si interroga sulla trasformazione dell'idea della bellezza nella società dei consumi digitale, sul cambiamento di percezione e sul significato stesso del bello. 

Nel mondo di oggi, scrive Byung-Chul Han, "nulla ha consistenza e durata.  Di fronte alla radicale contingenza (del mondo digitale, dove tutto è qui e ora ndr.) si risveglia la nostalgia di ciò che vincola a un impegno e che trascende la quotidianità. Oggi ci troviamo in una crisi del bello proprio perché il bello è stato levigato divenendo oggetto del piacere, del like, del piacevole e confortevole.  La salvezza del bello significa la salvezza di ciò che vincola e impegna a una responsabilità." 

Per quanto quindi il titolo possa essere equivocato, Byung-Chul Han non parla della "bellezza che salva", intesa in senso dostoevskijano, ma della responsabilità, oggi fondamentale per tutti, di "salvare il bello", di preservarlo dalla prosaicità dittatoriale della vita per come essa è diventata. 

Dostoevskij infatti aveva detto che solo la bellezza ci salverà. Ma oggi è il bello stesso a dover essere messo in salvo, recuperando l’integralità della sua esperienza che l’epoca digitale fa svanire di giorno in giorno. 

Questo è l’intento del saggio di Byung-Chul Han, che ripercorre momenti essenziali del pensiero europeo sul bello, da Platone a Nietzsche e Adorno, per mostrare con vigorosa persuasività la deriva estrema della nostra esperienza estetica

L’estetizzazione diffusa, la veloce proliferazione di immagini levigate e consegnate al consumo, dove conta solo il mero presente della piú piatta percezione, conducono a una fondamentale anestetizzazione. 

Nulla piú accade e ci riguarda nel profondo, e cosí l’arte stessa diventa, come già aveva avvertito Nietzsche, solo occasione di una momentanea eccitazione. 

Ma l’originaria esperienza del bello è invece una scossa estatica che ci trasforma e si prolunga anche nella vita etica e politica. 

La bellezza non rimanda al sentimento di piacere, ma a un’esperienza di verità

“Tu devi cambiare la tua vita”: il monito che promana dal Torso arcaico di Apollo nell’omonima poesia di Rilke è la parola che il bello ci rivolge attraverso questo libro.


Byung-Chul Han 

05/12/20

Byung-Chul Han: "Per poter pensare ci vogliono silenzio e vuoto"


Byung-Chul Han è uno dei più interessanti filosofi contemporanei. Questo è un brano dell'intervista rilasciata al Suddeutsche Zeitung nel dicembre del 2012 e che oggi appare quanto mai attuale. 

E' nato in Corea del Sud nel 1959 e ora è professore di filosofia e studi culturali all'Università delle Arti di Berlino. È diventato noto grazie al suo bestseller »Die Müdigkeitsgesellschaft« (2010) sulla crescente cultura dell'autosfruttamento. Nel suo libro “The Transparency Society” (2012) descrive come ci stiamo sviluppando in una società di controllo totalitario con il pretesto della democrazia e della libertà di informazione.

Credi che il networking digitale avrà effetti negativi sulla psiche delle persone a lungo termine? 

Non puoi dirlo oggi. Ma quello che colpisce è che comunichiamo così tanto che non ci sono più pause, non ci sono più silenzioUna lacuna in mezzo a questa marea di informazioni ci sembra insopportabile perché le interruzioni non hanno più un ruolo nella nostra società dell'informazioneLa rottura è la morte. Ed è per questo che spettegoliamo e disimpariamo a distinguere ciò che è importante da ciò che non è importante. Omettere e dimenticare può essere molto produttivo, per non parlare dell'intuizione, che perdiamo nella quantità di informazioni. Per poter pensare ci vogliono silenzio e vuoto.

E non ce ne sono quasi più

Sì, stiamo attualmente vivendo un'enorme accelerazione nel ciclo di segni, informazioni e capitaliPer questa accelerazione, tutti i segreti, le ritirate, le unicità, gli angoli e gli spigoli devono essere eliminatiSolo nella società della trasparenza il flusso permanente di informazioni e beni non incontra più resistenza. Nella società della trasparenza tutto è rivolto all'esterno, rivelato, spogliato ed esposto. Ci esponiamo all'attenzione.

Qual è la conseguenza?


Sosteniamo il turbo-capitalismo e la società della performance neoliberale rendendoci tutti una merceL'unico valore che ancora esiste è il valore espositivo. Questa è una drastica riduzione della vita e dell'esistenza.

Ma continuiamo a inviare messaggi per mostrare quanto siamo unici. 

Un errore. Facebook è un luogo in cui tutti sono uguali perché vogliono essere diversi. Ognuno ha la forma di una merce in modo che possa adattarsi al sistema. Nessuno può essere diverso su FacebookE il centro dell'uguaglianza è il pulsante "Mi piace". Perché non c'è il pulsante "Non mi piace"? Una guida per gli appuntamenti su Internet dice: Milioni di donne ti stanno aspettando. E cosa fanno gli uomini? Confronta. Separare la parola:
Confronta, che significa: fai tutto allo stesso modo. Viviamo nell'inferno dello stesso,
in cui le esperienze erotiche non sono più possibili.

È perché siamo troppo narcisisti? 

Sì, il mio nuovo libro parla di questo. Si chiama Agony of Eros e descrive che diventiamo depressi perché ci incontriamo solo ovunque. Siamo esausti di noi stessi, l'Eros, invece, è un'esperienza che l'uno viene strappato da sé dall'altroÈ un segno distintivo di una società sempre più narcisistica che l'altro scompaiaE con esso l'eros, cioè la possibilità dell'amore.

Dove vedi il limite per questo sviluppo? 

Penso che stiamo andando verso il disastro.

Ma l'anticapitalismo è di nuovo chic e la consapevolezza ecologica ancora di più. Non è possibile rompere la logica della trasparenza e della crescita e riformare il sistema prima che imploda?


Non importa quanto lontano si pensi, gli umani imparano solo attraverso i disastri, mai attraverso l'intuizioneNon ci sarebbe pace in Europa oggi senza la seconda guerra mondiale. Arthur Schnitzler una volta disse: “Le persone si comportano come i bacilli. Crescono e distruggono lo spazio in cui vivono, per cui alla fine periscono loro stessi. ”Questo confronto ha senso per me. Moriamo perché non siamo consapevoli dell'ordine superiorePoiché siamo in costante crescita, moriremo da quella crescita.

Quale potrebbe essere questo ordine superiore?


Solo un essere saprebbe che sarebbe più intelligente di noi.

Lo Spiegel una volta ti ha definito il "filosofo del cattivo umore". Adesso sappiamo perché.


Preferirei essere un filosofo di cattivo umore piuttosto che un filosofo di buon umore. Ad essere onesti, non sono affatto dell'umore. A volte sono triste, ma è diverso. Il pensiero è sempre una forma di resistenza. E sì, penso di sfuggire alla morte e servire la vita.


07/04/20

Esce il "Dizionario dei tempi incerti". Parole per riflettere al tempo del Covid-19. "INFODEMIA" è la parola scelta da Franco Cardini


E' bellissima l'iniziativa lanciata in queste ore dal  Circolo dei lettori di Torino con il Dizionario dei tempi incerti, una collezione di parole scelte da filosofi, filologi, storici, antropologi e scrittori, protagonisti e protagoniste delle rassegne autunnali Torino Spiritualita' e Festival del Classico, da selezionare tra quelle che riempiono pagine di giornali, miriadi di chat e trasmissioni televisive, bisbigliate o urlate di queste giornate.

Serve a riflettere su quello che stiamo vivendo, come collettività e come individui.

Riporto qui la voce scritta da Franco Cardini: INFODEMIA 


L’età postmoderna ha velocizzato e intensificato in modo esponenziale ogni tipo di comunicazione. Ciò ha comportato un’autentica rivoluzione nei rapporti sociali e nei modi nei quali essi vengono ordinariamente concepiti: tale rivoluzione si è espressa anzitutto e soprattutto ai livelli informatico-telematici. Dove esiste contatto, esiste il pericolo di contagio. I due termini sono praticamente sinonimi, anzi tautologici: indicano la stessa cosa. Ma tra etimologia e semantica come sappiamo, v’è sovente un abisso. 

Il contagio è termine esprimente il concetto di affezione che transita da un individuo all’altro sulla base del contatto fisico, mediato o immediato che sia. Sul piano dei concetti e delle idee avviene la stessa cosa

L’informazione è una delle massime ricchezze di cui disponiamo, ieri come oggi. 

Diceva bene Dario Fo: “Il padrone è padrone perché conosce diecimila parole, mentre l’operaio ne conosce solo mille”. 

Informarsi significa imparare a conoscere meglio al realtà nel suo intimo, saperne conoscere meccanismi e strutture e quindi prevederne lo sviluppo. 

Anche sul piano negativo: una realtà negativa, ove se ne conosca in anticipo lo sviluppo, diviene più facilmente neutralizzabile o attutibile. 

Come dice Dante, “saetta previsa vien più lenta”.

Le informazioni, però, hanno due difetti. Primo, per essere adeguatamente e vantaggiosamente gestite hanno bisogno di una verifica che diviene tanto più complessa quanto più la notizia che ne costituisce l’oggetto è importante; e le notizie, quanto più sono o appaiono importanti, tanto più si diffondono accompagnate da una problematica che le rende complesse; per cui il tempo di arrivo di una notizia e quello d’una sua certa e proficua fruizione attraverso adeguata verifica sono inversamente proporzionali. 

Secondo, le informazioni dispongono di una massa volumetrica concettuale che, come qualunque altra massa volumetrica, tende a saturarsi più o meno rapidamente: unico antidoto metodologico a ciò sarebbe un’adeguata gerarchizzazione e selezione delle notizie che dipende da due fattori, vale a dire la competenza del soggetto chiamato a selezionarle e la loro obiettiva complessità. 

Quando una notizia complessa s’incontra (o, come più opportuno sarebbe dire, si scontra) con un destinatario incompetente a valutarla, la deflagrazione delle conseguenze negative di ciò può essere dirompente. 

 Conseguenza di ciò è che, come il rumore violento dell’acqua che precipita da una cascata finisce per produrre un effetto simile al silenzio, l’accesso della quantità delle notizia che si riversano su un qualunque soggetto finisce con l’annullare la loro qualità impedendone l’analisi selettiva e producendo ignoranza, incompetenza, incapacità di giudizio. 

L’infodemia è l’incontenibile e incontrollabile abbondanza qualitativa e quantitativa delle notizie: il primo aspetto di ciò, il qualitativo, ostacola o addirittura impedisce la loro gerarchizzazione e quindi la loro verifica selettiva; il secondo travolge chi ne è oggetto seppellendolo sotto una massa di dati ch’egli è impossibilitato a recepire e a ordinare. 

Risultato primario dell’infodemia è l’incapacità individuale e collettiva di accedere allo scopo primario dell’informazione: la possibilità di accortamente servirsene. 

18/09/19

Esce in Libreria "Il Mondo senza Internet", un brillante saggio-fiction di Antonio Pascotto




Un libro davvero originale e fuori dal coro. 

Un brillante giornalista italiano si inventa un libro che non è propriamente né un romanzo, né un saggio, né un pamphlet, né una autofiction, così di voga nel mercato editoriale, ma tutte queste cose insieme.  

Partendo da una semplice e felice intuizione - quella di svegliarsi una mattina e scoprire che, per ragioni di sicurezza mondiali, l'intera rete web del pianeta è stata spenta, azzerata - Pascotto, con l'apparenza di raccontarci una sorta di cyber-thriller, insomma un romanzo di suspense "telematica", tutto giocato sull'uso dei sistemi digitali nelle vite delle persone, ci regala invece un documentatissimo saggio sui rischi, le patologie, le deformazioni, le paranoie, i cambiamenti sociali ed epocali, i deliri da astinenza, la postmodernità, e più in generale sulla felicità umana, ormai così strettamente connessa ai meccanismi "perversi" degli algoritmi. 

Si scoprono così dati inquietanti -  il 17.6% dei bambini italiani tra i 4 e 10 anni possiede uno smartphone; le distorsioni della cosiddetta Generazione X, quella cioè dei nati tra la seconda metà degli anni Novanta e il 2010; le frontiere ansiogene della Psicotecnologia, cioè l'estensione, attraverso un sistema di elaborazione dell'informazione, di alcune delle proprietà psicologiche della nostra mente; quelle della intelligenza artificiale che, in mancanza di un serio controllo, come avverte il fondatore di Android, Andy Rubin, potrebbe costituire un pericolo per la sopravvivenza stessa del mondo degli umani, come aveva già profetizzato Stanley Kubrick in 2001 Odissea nello spazio; oppure il semplice dato - spaventoso - che ciascuno di noi, secondo una ricerca della società americana Dscount's tocca lo schermo del proprio cellulare 2617 volte al giorno. 

Insomma, per chi è ghiotto di informazioni su una materia così pervadente e attuale del nostro tempo, questo libro spalanca conoscenze e orizzonti, e allo stesso tempo mantiene sempre desta l'attenzione grazie alla messa in scena di uno scenario "da fantascienza" che forse non è così lontano dall'esserlo. 

Un libro che si interroga su questioni che riguardano tutti noi e che ci costringono a domandarci cosa sia oggi l'umano, come esso sopravviva e se sopravviva alla tirannia della tecnologia e dei meccanismi economici che essa governa e su cui sono basati.   Analisi, razionalità, ricavi, economia, mercato. Sembra davvero che l'unica chance per l'uomo per non tradire la sua anima sia quella di coltivare, di dare sempre più spazio al proprio istinto primario, irrazionale, folle, grazie al quale anche la tecnologia è nata, come prodotto umano. Del resto "rimanere folli" è proprio quel comandamento che uno dei più grandi "guru" tecnologici, forse quello che più ha cambiato le nostre vite, Steve Jobs, ci ha lasciato.

Fabrizio Falconi


17/02/19

1.100.000 visitatori per il Blog di Fabrizio Falconi.



Continua questa bella avventura insieme.  

Vorrei ringraziarvi per aver tagliato il simbolico e significativo traguardo del 1.100.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio è diventato, oltre a una vetrina di aggiornamento di attività personali - i libri certo, ma anche le passeggiate romane, le curiosità romane -  una finestra sul mondo della cultura, con notizie di attualità e aggiornamenti di interesse comune.

Grazie per le vostre letture.

Fabrizio

17/12/18

Vittorino Andreoli: "L'infelicità è la piaga della contemporaneità. Facebook andrebbe chiuso."



Vittorino Andreoli, psichiatra, scrittore, già Direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona – Soave e membro della New York Academy of Sciences ha raccontato di sé, del suo mestiere e della società in una lunga intervista che si può leggere anche sulla pagina di Huffington Post. 

Andreoli racconta la scelta della trama distopica, della solitudine di cui l'uomo avrebbe bisogno.

Siamo intossicati da rumori, parole, messaggi e tutto ciò che occupa la nostra mente nella fase percettiva. Il bisogno di solitudine è una condizione in cui poter pensare ancora. Oggi sono morte le ideologie, è morta la fantasia. Siamo solamente dei recettori. Ho proiettato il libro nel 2028, un giochetto per poter esagerare certe condizioni. Io immagino che ci sia un acuirsi della condizione di oggi per cui noi siamo solo in balia di un empirismo pauroso, dove facciamo le cose subito, senza pensarci. 

Lo psichiatra prosegue e punta il dito contro i social network (e, in generale, contro i simulacri del virtuale), vero e proprio male del nostro tempo. 

Facebook andrebbe chiuso. Lì abbiamo perso l'individualità, crediamo di avere un potere che è inesistente. L'individuo non sta nelle cose che mostra ma in ciò che non dice. Invece i social ci spingono a dire tutto, ci banalizzano. I social sono un bisogno di esistere perché siamo morti. Creano una condizione di compenso per le persone frustrate [...] Quando non si sa più distinguere tra virtuale e reale è pericoloso. Si estende l'apprendimento virtuale nella propria casa, nella propria vita.

I social network sono un pericolo anzitutto per i giovanissimi, i cosiddetti "millennials", per cui Andreoli esprime timore. 

Io sono molto preoccupato. Non siamo più capaci di aiutarli [...] Mancano gli esempi dei padri che, a loro volta, hanno bisogno di non essere frustrati. Il male non è mai singolo. C'è qualcosa che non funziona a livello sociale. 

Si dice spesso che il male più diffuso dei nostri tempi sia la depressione, ma il noto psichiatra contraddice e corregge l'affermazione. Per Andreoli, la piaga della contemporaneità è l'infelicità [...] 

Come si fa a essere felici? Noi viviamo nella frustrazione, che si accumula e genera rabbia e questa genera violenza. L'infelicità genera violenza che, a sua volta, può essere carica distruttiva. La distruttività è la voglia di rovinare e non riguarda solo l'altro ma anche se stessi. 

Tra le "patologie" che affliggono l'uomo, Andreoli annovera anche la smania di potere. 

Diciamo che se incontrassi Trump mi porterei dietro il camice. Il potere è una malattia sociale.

Durante la sua carriera, Vittorio Andreoli ha analizzato i profili dei peggiori criminali: Unabomber, Pietro Maso, Donato Bilancia, ecc. Ma in ognuno è sempre riuscito a trovare un lato umano. Confessa che l'eccezione fu incontrare gli imputati di Piazza della Loggia. 

La violenza organizzata è drammatica, è un unico corpo malato. Quando non c'è più il criminale isolato ma c'è il sistema, non puoi più valutare una testa. Il delitto non è legato a un uomo solo, quando vedevo gli imputati da soli erano del tutto diversi. Lì non ce l'ho fatta, non ho capito

E sui concetti di normalità e follia, Andreoli non ragiona per compartimenti stagni. 

Siamo tutti matti e tutti normali. Gli omicidi più efferati sono compatibili con la normalità. Significa che Bilancia avrebbe anche potuto non uccidere. E il signore per bene invece sì [...] Quando qualcuno non mi sta simpatico, dico: sa che lei è proprio normale? E lui si giustifica. Nessuno vuole essere normale. I normali sono noiosi. Normale vuole dire: equilibrio, coerenza, onestà, regole. Questi elementi sono visti male. 

Se la felicità è un obiettivo davvero arduo da raggiungere, Andreoli confessa di credere in un altro tipo di ricerca. 

Io ce l'ho con la felicità. Io sono un infelice gioioso. La felicità riguarda l'io, la percezione che un soggetto ha di fronte a qualcosa di positivo che lo riguarda. La gioia riguarda il noi, è corale [...] Collettivo, non egoista. Ecco, quello è possibile.

07/12/18

Il consiglio di parenti e amici per l'acquisto di un libro è 5 volte più efficace dei media tradizionali.


Il consiglio di parenti e amici è cinque volte più incisivo dei media tradizionali per la scelta di un libro: il suggerimento viene dichiarato rilevante per il 27% dei lettori, mentre le recensioni, l’intervista all’autore, o la sua presenza in tv spinge alla scelta e alla lettura del libro (di carta, digitale, o dell’audiolibro) solo il 5% del campione intervistato (4.002 casi). 

Diventa importante il peso di social e blog (le community) come strumenti di comunicazione più significativi nella spinta all’acquisto/scelta di un libro. 

È quanto emerge dall’indagine dell’Osservatorio dell’Associazione Italiana Editori (AIE) sulle nuove forme di consumo editoriale e culturale, realizzato in collaborazione con Pepe Research, che sarà presentata domani, 8 dicembre, a Più libri più liberi, la Fiera nazionale della piccola e media editoria dell’AIE, in programma fino al 9 dicembre al Roma Convention Center La Nuvola

 I ragazzi si fanno guidare dai consigli degli insegnanti ma con il crescere dell’età sono i social e i blog ad avere la meglio - Per la scelta di un libro quasi un ragazzo su due (il 47%) tra i 15 e 17 anni ascolta i consigli di insegnanti e bibliotecari

Con il crescere dell’età i riferimenti però cambiano: a 18-24 anni i consigli degli insegnanti e bibliotecari pesano per il 17% mentre cresce l’attenzione alle indicazioni seguite sui social (12%) e quelle delle community (12%). 

Percentuali che crescono ancora per i giovani tra i 25 e 34 anni, ancora più sensibili sia alle indicazioni dei social (15%) e a quelle della community (15%). 

Resta importante il consiglio del libraio (10%). 

 Il peso di social e community aumenta in relazione al numero di libri letti in un anno - Sono i forti lettori (chi legge 12 e più libri all’anno) ad essere i più interessati e influenzati dalle indicazioni dei social (14%) e a quelle della community (17%) per scegliere un libro rispetto a chi legge solo 1-3 libri.

Il 20% dei lettori ha scelto un libro o un ebook proprio grazie ai consigli raccolti sul web (community, social, classifiche sui siti ecommerce e altro), mentre il 28% si affida alla libreria e il 22% preferisce i media tradizionali. 

Un lettore su due per comprare on line un libro si fa ispirare da informazioni e suggerimenti presenti su internet, su siti e blog dedicati alla lettura: si tratta del 51% dei lettori che comprano on line e si fanno ispirare dalla rete. 

Social e community non servono solo per cercare un titolo ma sono ormai il canale privilegiato dove trovare informazioni sui contenuti educativi (37%), professionali (community 30% e social 27%) e alla ricerca di utilità pratiche (community 31% e social 45%). 

«Questo incontro – ha sottolineato il presidente dei Piccoli Editori AIE Diego Guida – è importante per chi, come noi editori, è sempre alla ricerca di nuovi modi di promuovere la lettura. Per questo è interessante capire quali siano oggi i canali di diffusione dei libri più accattivanti, affiancati a quelli tradizionali. Una maggior comprensione ci permette di trovare nuove strade per diffondere al meglio la cultura del libro e della lettura che rappresentano il nostro caposaldo. 

Sono certo che siamo sulla buona strada per migliorare le nostre attività di promozione in libreria». «I risultati dell’indagine – ha commentato Giovanni Peresson dell’Ufficio studi di AIE - evidenziano due aspetti. Il primo, sono le tante strade attraverso cui si arriva a sapere di un libro o di un nuovo autore. E che tutti noi lettori percorriamo consapevolmente o meno, a volte suscitandoci un ricordo quando ci muoviamo tra i banchi di una libreria o di una fiera del libro. 

L’altro è come, all’interno di questi percorsi, alcuni viottoli meno battuti – come quelli dei bookblogger, dei social, delle community – cominciano a pesare più di altri canali consueti e ad avere un loro ruolo. Forse a raggiungere anche un pubblico in parte diverso da quello consueto, ad aiutarlo soprattutto a scoprire autori ed editori non sempre ad alta visibilità nei canali di vendita».

12/03/18

Il trionfo degli incompetenti e il rischio per la democrazia: un importante studio di Tom Nichols, in un nuovo libro.


The Death of Expertise di Tom Nichols – tradotto in italiano da Chiara Veltri con il titolo La conoscenza e i suoi nemici  è uno di quei libri che bisognerebbe far leggere a tutti per la rilevanza dei temi che tratta e per la loro assoluta attualità. 

Come non è difficile comprendere dal titolo originale, il libro parla della crisi dell’expertise e del trionfo dell’incompetenza che la accompagna

È senza dubbio qualcosa cui assistiamo spesso di questi tempi, e –come sostiene con buona vigoria retorica l’autore- è qualcosa che dovrebbe preoccuparci se teniamo alla democrazia e ai suoi valori.   Sempre più di frequente il parere di esperti e professionisti viene messo alla berlina e non solo rifiutato ma guardato con rabbia inusitata. Non si tratta così di indifferenza ma di vera e propria ostilità rispetto a chiunque esibisca competenza.

Al pregiudizio in favore della propria opinione o bias di conferma, che ci fa preferire le tesi che la rinforzano indipendentemente dalle prove che si hanno a sostegno, si aggiunge sovente un bias egualitario che forse è il più pericoloso di tutti. Questa forma di pregiudizio basato sull’eguaglianza ci sussurra all’orecchio «io valgo quanto te!». 

Ma se è vero che, in democrazia, siamo eguali nei diritti fondamentali, non è affatto vero che siamo eguali al cospetto di opinioni che richiedono un expertise. Per metterla giù chiaramente, se parliamo di relatività generale la mia opinione non è eguale a quella di un fisico teorico e se parliamo di vaccini o di ogm l’opinione di un ignorante in materia non vale tanto quanto quella di uno specialista.

Ora, come l’autore sottolinea correttamente, non è che gli esperti non sbaglino mai. Tutt’altro. Ma bisogna riconoscere che sul tema di cui sono esperti è probabile che sbaglino meno degli altri. Come mai allora una verità tanto evidente non è colta da tutti? In parte lo si deve alle nuove tecnologie a cominciare da Internet. Il web moltiplica a tal punto la quantità di informazione che diventa difficile un controllo serio, e i social media non fanno altro che peggiorare il caos.

I rimedi dovrebbero essere costituiti da giornalismo e sistema dell’istruzione, ma le cose si complicano quando l’informazione si confonde sempre più con l’intrattenimento e quando scuole e università trattano gli studenti come «clienti». 

Il tutto è assai rischioso per la democrazia, come ci disse tra i primi Platone, perché le decisioni pubbliche sono troppo spesso dettate da ignoranza e disinformazione. 

D’altra parte ciò è stato evidente a tutti nella campagna di che preceduto Brexit e in quella che ha visto l’elezione di Trump.

La campagna di Trump in particolare rappresenta quasi un modello per chi – come il nostro Nichols – guarda con preoccupazione alla fine della competenza. Trump infatti in pochi giorni –durante la campagna in questione è riuscito: a ammettere che gran parte della sua informazione in politica estera derivava dai programmi televisivi del mattino; a insinuare che il giudice di destra della Corte Suprema Antonino Scalia non fosse morto di cause naturali ma assassinato; a suggerire che Barak Obama non fosse americano e che addirittura dovesse dare prove esplicita di avere la cittadinanza US; a elogiare il potere distruttivo delle armi nucleari; a fare dichiarazioni sui rapporti tra i generi sessuali che in America non sono assolutamente ammissibili; a accusare uno dei suoi rivali per la nomination repubblicana (Ted Cruz) di avere un padre implicato nel “complotto” che condusse all’omicidio di John Kennedy; a schierarsi con i no-vax.

Ora, siamo tutti consapevoli che i comizi elettorali costituiscono un terreno sdrucciolevole, ma qui si tratta non di semplici passi falsi ma di errori clamorosi

Eppure Trump ce l’ha fatta: ha vinto prima la competizione per la nomination repubblicana ed è diventato poi Presidente degli Stati Uniti. Non è chiaro se gli elettori americani si siano accorti degli errori di Trump, e neppure è lecito sapere se –una volta consapevoli- lo abbiano poi perdonato in nome della sua personalità “forte”.

La cosa importante è che, consapevoli o no, alla fine della fiera lo hanno votato assai più del previsto. Difficile non pensare a questo punto che Trump sia stato premiato per avere impersonato quella diffusa ostilità verso gli esperti di cui parla Nichols nel libro.

Come si è detto, favorire l’incompetenza non è solo un problema epistemologico, è anche politicamente rischioso. Dovessi dire perché, sosterrei che la causa principale del pericolo in questione consiste nella sostanziale mancanza di fiducia nelle élites che così si rivela. Ma la fiducia è un carburante indispensabile per far lavorare bene una democrazia, così come lo è l’equilibrio tra expertise e popolo. Questo prezioso saggio ci mostra una frattura pericolosa all’interno di questo equilibrio. E ci fa riflettere sulla necessità di correre ai ripari per cercare di salvare la democrazia dalla tirannia dell’incompetenza.


13/12/17

800.000 visitatori per il "Blog di Fabrizio Falconi" !







Continua questa bella avventura insieme.  

Vorrei ringraziarvi per aver tagliato il simbolico e significativo traguardo degli 800.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio è diventato, oltre a una vetrina di aggiornamento di attività personali - i libri certo, ma anche le passeggiate romane, le curiosità romane -  una finestra sul mondo della cultura, con notizie di attualità e aggiornamenti di interesse comune.

Grazie per le vostre letture.



20/11/17

"Il mondo è dei mediocri - E la politica in Primis". L'intervista a Alain Deneault.


è da leggere questo saggio di Alain Deneault, filosofo canadese, ora tradotto anche in Italia da Neri Pozza.  Analizza un fenomeno oramai diffuso in tutto l'Occidente e che ha ormai riscontri da tempo anche nel nostro paese.  Perché i mediocri hanno in mano la politica ? Perché le èlites e le eccellenze, ma più in generale le intelligenze, si tengono lontano dalla politica ? Risponde Alain Deneault, in questa intervista rilasciata a Sara Ricotta Vaza per la Stampa di Torino. 

Il mondo è dei mediocri. Sarà che è un assunto non difficile da sperimentare - e anche consolatorio per spiegarsi certi successi o insuccessi ugualmente distanti dalle vette del genio e dagli abissi dell’indegnità - ma il saggio La mediocrazia(Neri Pozza, pp. 239,  18) del filosofo canadese Alain Deneault a un anno dall’uscita è ormai un longseller internazionale. E dire che in centinaia di pagine, dense di pensiero e di citazioni, ne ha davvero per tutti. In politica, da Trump a Tsipras, vede solo un «estremo centro», nell’impresa la «religione del brand», il «consumatore-credente», la «dittatura del buonumore». Nel lavoro «devitalizzato» individua la skill fondamentale nel «fare propria con naturalezza l’espressione: alti standard di qualità nella governance nel rispetto dei valori di eccellenza». E, in ogni ambito, rileva certi tic verbali come «stare al gioco», «sapersi vendere», «essere imprenditori di se stessi». Insomma, dice, «non c’è stata nessuna presa della Bastiglia ma l’assalto è avvenuto: i mediocri hanno preso il potere».  

Lo abbiamo incontrato a Milano dove ha parlato al Wired Fest, il festival dell’innovazione, altra parola che non manca nel vocabolario mediocratico. Oggi sarà al Circolo dei Lettori di Torino.  

Professor Deneault, l’ha colpita questo successo? Anche perché a molti che la leggono lei dice in faccia che sono dei mediocri…  

«Mi aspettavo un’eco molto più ristretta, ma questo libro parla di un malessere sociale condiviso da molti. Detto ciò, ho cercato di evitare moralismi e di puntare il dito. Lo scopo era indicare la pressione sociale molto forte che incoraggia a restare persone “qualunque”». 

Lei è stato particolarmente duro con il mondo accademico a cui appartiene. Qualcuno si è offeso?  
«Sì, visto che sono stato bandito. Tengo corsi stagionali, la mia presenza è episodica. Gli ambienti universitari formano sempre meno una élite capace di gettare luce sulla strada giusta da seguire per l’uomo comune. Sono più simili a una corte d’altri tempi, vendono risultati di ricerca a dei finanziatori. Molta autocensura, molti format replicati per far piacere al potere».  

Ha avuto critiche «non mediocri»?  
«Nell’era della mediocrazia non si discute più… i pensieri seguono dei corridoi, si preferisce ricevere notizie che confortino». 

Perché bisogna temere la mediocrazia?  
«Perché fa soffrire. Chiede a persone impegnate nel servizio pubblico di gestire come si trattasse di una organizzazione privata, così si trovano in conflitto perché avevano un’etica diversa; chiede a ingegneri di progettare oggetti che si rompano in maniera deliberata perché vengano sostituiti, chiede ai medici di diagnosticare malattie che potrebbero diventare davvero pericolose a 130 anni… Senza parlare della manipolazione dei consumatori da parte del marketing». 

La mediocrazia è anticamera di dittature, anche edulcorate?  
«La dittatura è psicotica, la mediocrazia è perversa. Psicotica perché la dittatura non ha alcun dubbio su chi deve decidere. Hitler, Mussolini, Tito sono stati tutti personaggi ipervisibili, affascinanti, che schiacciano con le loro parole; la mediocrazia è perversa perché cerca di dissolvere l’autorità nelle persone facendo in modo che la interiorizzino e si comportino come fosse una volontà loro». 

L’inglese standard è la lingua ufficiale della mediocrazia?  
«L’inglese manageriale sì, e uccide l’inglese. È un suicidio linguistico parlare questa lingua quando si è anglofoni, non si può pensare il mondo nella sua complessità o qualsiasi fenomeno sociale utilizzando un vocabolario che non è utile se non alla organizzazione privata». 

Tecnologia, social, colossi del web. Anche lì domina la mediocrazia?  
«Dobbiamo immunizzarci da un certo lessico che parla di progresso, innovazione, eccellenza. Mi interessa che si utilizzino questi strumenti ma si deve analizzare l’impatto che hanno su pensiero, morale, politica. Un utilizzo mirato dei social media, per esempio durante le elezioni, può rendere le persone estremamente manipolabili».  

Il contrario del mediocre è il superuomo, l’eroe?  
«No. L’antidoto è il pensiero critico, perché smaschera l’ideologia, che è un discorso di interessi sotto la parvenza di scienza. E fa subire un trattamento critico analitico a una nozione che qualcuno ci vuole ficcare nel cervello, per esempio l’inevitabilità della vendita di armi o di una nuova autostrada». 

È più ottimista sul futuro?  
«Qualsiasi impegno politico è a metà tra lo scoraggiamento e la speranza. Ed è proprio quando la situazione è scoraggiante che ci vuole il coraggio».