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06/05/14

Disputa sul tradimento. Un bell'articolo di Federica Manzon su La Lettura del Corriere della Sera.



Le relazioni pericolose (Dangerous Liaisons) diretto da Stephen Frears nel 1988

Il tradimento è uno sfogo maschile opportuno, addirittura essenziale a preservare la famiglia. Così pensa Martin Hart, il protagonista di True Detective, l’ultima serie tv culto della Hbo. Martin tradisce la moglie con ammirevole costanza, con donne più giovani, donne che lo legano al divano con le manette, che gli fanno ogni genere di proposta al telefono: «Il lavoro ti assorbe tanto» dice, «bisogna decomprimere, prima di tornare a casa. Alla fine lo fai per il bene di tua moglie e dei tuoi figli». Il tradimento, dunque, è eminentemente prerogativa degli uomini? Certo, pensa il maschio eterosessuale della profonda Louisiana. Certo, dicono i critici di Dominique Strauss-Kahn, sulla cui condotta fedifraga l’ex moglie Anne Sinclair aveva solo qualche sospetto. Certo, dicono le femmine intervistate da Daniel Bergner nel suo ultimo libro Che cosa vogliono le donne (Einaudi Stile libero). 

Naturalmente, mentono. L’esperimento che le ha smentite è semplice: alle volontarie vengono fatte ascoltare delle audio-cassette pornografiche con protagonisti amanti di lunga data, sconosciuti, donne. Tutte dichiarano di preferire il rapporto tradizionale, peccato che gli impulsi nervosi inviati agli strumenti evidenzino il contrario. Le donne sono attratte dalla relazione traditrice, lo sono rapidamente e più liberamente di quanto osino dichiarare. Mettendo mano ai più seri studi scientifici, Bergner scardina ogni falso mito: dalle scimmie alle manager newyorkesi, le donne desiderano il tradimento, lo ricercano, lo praticano, senza che questo debba per forza minare le basi della vita di coppia, senza che questo le renda delle pessime madri. 

Ma se il tradimento, anche quello senza sospiri e senza romanticismi, è diventato unisex, identici sono rimasti i suoi riti. Ancora nel cuore della notte ci giriamo sul fianco per rispondere a un sms. Al mattino, ci precipitiamo a cancellare i messaggi di Facebook. Guardiamo l’iPhone vibrare nella tasca della giacca: scusa ero in una riunione importante. E sempre ci addormentiamo immaginando le sue gambe nude e i suoi occhi che sorridevano troppo, e daremmo qualsiasi cosa per un’ora di irragionevole spensieratezza: Elsa Morante che al telefono acconsente alle richieste di Luchino Visconti, mentre accanto a lei Moravia dorme. È questo il tradimento che rende così immorali? Oppure immorale è il desiderio segreto degli amanti che il marito o la moglie muoiano, perché abbandonarli significherebbe procurare loro un’infelicità e non vogliamo, neppure se la vita insieme ci tormenta e basterebbe appena un po’ di coraggio. O piuttosto immorale è la pretesa d’eternità che ogni promessa d’amore si porta dietro? Quel «per sempre» che giura su un futuro impossibile e suona sinistro tra le paure della nostra infanzia — le gemelle di Shining, il pagliaccio di IT.


27/06/12

"Il matrimonio ucciso dal sesso." Un articolo di Keith Botsford.



Non mi capita spesso, debbo dire, di vedere Montaigne, uno degli uomini più saggi e spassionati, citati sui giornali. Eppure eccolo lì, su Le Figaro del 13 agosto: “il matrimonio è un legame religioso e devoto; perciò il piacere che ne traiamo dovrebbe essere un piacere limitato, serio, e in qualche misura anche severo. Dovrebbe essere una voluttà prudente e coscienziosa." 

Ho letto queste parole e, come era successo allo scrittore francese Pascal Bruckner che le citava, mi hanno dato da pensare. Perché questa non è certo la descrizione delle unioni del nostro tempo. Oggi il matrimonio – quando esiste, o per quanto dura – raramente è religioso e ancor più raramente è devoto e il piacere che ne deriva è la stessa gratificazione istantanea disponibile anche al di fuori del matrimonio. Vale a dire, pura libidine. Ed essendo solo quello, appassisce col tempo. 

La nostra cultura tradizionale, ci ricorda Bruckner, riconosceva la fragilità dell’erotismo. Per questo occorreva qualcos’altro per garantire la durata del matrimonio – la “prudenza e coscienziosità” di Montaigne. Noi invece abbiamo imboccato la strada opposta: siamo imprudenti e trascurati. Appena consumata una unione, passiamo a un’altra e a un’altra ancora. Di fatto la situazione è ancora peggiore di quanto ammetta Bruckner, perché il nostro eros oggigiorno cerca il suo oggetto senza nessuna considerazione per la durata o la continuità. E lo cerca in se stesso; nell’informe e nell’androgino; nei bambini; negli animali; nel senso della comunità, o in tutte quelle fantasie perverse che, a lungo sepolte nell’inconscio, sono ora venute alla luce sotto forma di pornografia, che illumina la coppia moderna o l’onanista solitario. 

Nulla è più peculiare del nostro tempo di questa continua ricerca di novità, di conoscenza di una funzione biologica, di “liberazione” da quei vincoli che hanno fatto dell’amoreggiare un atto umano anziché animalesco. Nel corso della mia vita – anzi, nella mia stessa vita – ho assistito a questa trasformazione chiamata eufemisticamente “liberazione”. 

Questa liberazione, osserveranno probabilmente gli storici del futuro, non è soltanto delle donne – non concepire (contraccezione), non far nascere (aborto) e non sposarsi (divorzio) – ma anche dei loro potenziali partner che ora, affrancati dal rischio e dalla responsabilità della relazione erotica (procreazione e/o matrimonio) possono andare a briglia sciolta con l’immaginazione. E lo fanno. 

I risultati, come li elenca Bruckner, dovrebbero far riflettere chiunque. Avendo la società rinunciato (con un libero voto !) a porre vincoli, nessuno è implicato nella relazione di due adulti. La prima conseguenza è abbastanza terribile: significa che “se l’unione fallisce, uno può biasimare solo se stesso. “ Ma in che cosa consiste questo fallimento ?