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03/01/19

"La Teoria del Tutto" una bellissima intervista di Laura Traldi al cosmologo Roberto Trotta. "Perché esistiamo?" è la domanda più difficile.

Senza Einstein, non avremmo il GPS. E niente WiFi, se Stephen Hawking non avesse scoperto i buchi neri. «La ricerca spaziale rivoluziona la vita di tutti i giorni», dice il cosmologo Roberto Trotta che abbiamo incontrato al Web Summit di Lisbona. «Ma potrà anche un giorno dare una risposta alla Grande Domanda: perché esistiamo?»

Roberto Trotta è diventato famoso un libro (The Edge of the Sky, Basic Books).che racconta come funziona l’universo usando le mille parole più comuni della lingua inglese, e ha un personaggio che sembra uscito da Harry Potter (The-All-There-Is, cioè “il-tutto-intorno-a-noi”). E, proprio grazie alla chiarezza del volumetto, la rivista americana Foreign Policy ha inserito il 41enne cosmologo teoretico ticinese, che insegna all’Imperial College di Londra, tra i cento Global Thinkers che cambieranno il mondo.
Eppure mentre parliamo con Roberto Trotta al Web Summit di Lisbona (di materia oscura, multiverso, monete che cadono misteriosamente tutte con la faccia all’insù) ogni tanto perdiamo il filo. Che vergogna. Putroppo le lezioni di fisica sono, per chi scrive, non un ricordo da rinfrescare. ma un incubo da dimenticare. «No, no, la colpa è mia», dice lui. Clemente.

Come mai è così difficile per gli scienziati spiegare quello che sanno?

«Perché devono considerare irrilevante il dettaglio. Che è l’opposto di quello che devono fare quando lavorano. Per essere comprensibili bisogna fornire uno sguardo a volo d’uccello e poi riportarlo a terra, chiarendo perché quello che sembra lontano e irrilevante non lo è».

Mi illumini, la prego. Mi sono sempre chiesta che senso avesse calcolare la differenza di età tra un gemello nello spazio e l’altro sulla terra.

«Il senso è capire che il tempo non è assoluto e il suo scorrere dipende dal sistema di riferimento con cui lo si misura. È una teoria – quella della relatività di Albert Einstein – che lei sfrutta ogni giorno senza saperlo. Stamattina, per esempio, ha probabilmente usato il navigatore satellitare per venire al nostro appuntamento. Senza Einstein sarebbe arrivata a 10 km di distanza. Perché il tempo, dove volano i satelliti, scorre in modo diverso rispetto a qui. E gli smartphone usano un algoritmo basato sulla teoria della relatività di Einstein per tenere conto dello scarto. Per questo ci portano a destinazione».

Senza Einstein niente GPS, dunque?

«Esattamente. Anche se Einstein non si sarebbe mai immaginato un’applicazione del genere. La storia della scienza è piena di scoperte all’aspetto puramente teoriche ma che poi portano – decenni più tardi – a innovazioni che rivoluzionano la vita di tutti i giorni».

Mi faccia un altro esempio.

«Non potremmo usare il wi-fi se Stephen Hawking non avesse predetto, nel 1974, che i buchi neri evaporano nel tempo». Roberto Trotta

Che c’entra il wi-fi con i buchi neri?

«Negli anni ’90 John O’Sullivan, un ingegnere australiano, ha sviluppato un algoritmo che eliminava le interferenze radio.mentre cercava un modo per “ripulire” i dati dei telescopi usati per individuare il segnale predetto da Hawking sulle esplosioni dei buchi neri. Senza questo algoritmo, non potremmo usare il wi-fi. E senza disturbare Hawking, anch’io, nel mio piccolo, sto applicando l’astrostatistica a problemi più terra-terra».

In che modo?

«Con la startup Utonomy, uso metodi che ho inventato per l’analisi di potenti esplosioni stellari (le Supernove) per predire le fluttuazioni nella richiesta di gas metano. Per chi lo distribuisce, adattare l’erogazione significa ridurre la pressione sulle tubature.e di conseguenza le fughe, che costano 200 miliardi l’anno nella sola Inghilterra. Senza contare l’effetto serra. Uso anche i metodi statistici che scoprono eventi anomali nell’universo per analizzare i dati sulle carte di credito. Così è possibile individuare le transazioni sospette». Roberto Trotta

Ci ha convinti. Ma perché è così importante per gli scienziati coinvolgere un pubblico allargato?

«Perché la ricerca spaziale è spesso accusata di irrilevanza. Soprattutto quando ci sono tematiche pressanti e complesse, come il Climate Change o la perdita di ecosistemi, che finalmente sono diventate di pubblico dominio. Perché dovremmo spendere risorse ed energie sullo spazio? Perché i giovani matematici dovrebbero perdere tempo con l’astrofisica, quando possono diventare ricchi usando la statistica nella finanza? La risposta a queste domande la devono dare gli scienziati. E una di quelle possibili è spiegare, come abbiamo fatto ora, che questa ricerca si è sempre rivelata fondamentale per migliorare la vita sulla terra».

Se questa è una delle risposte possibili, quali sono le altre?

«Quelle meno pragmatiche ma più affascinanti. Chi studia l’universo lo fa perché comprenderne la natura ci farà capire qual è il nostro posto nel cosmo. Ed è grazie a queste ricerche che un giorno, ne sono certo, capiremo perché siamo qui».

Quindi saremo in grado di spiegare il senso della vita?

«Fondamentalmente sì. In quanto fisici, la domanda che ci poniamo come punto di partenza è: com’è possibile che le leggi dell’universo siano tali da permettere l’evoluzione di entità biologiche come la nostra?».

E la risposta?

«Quella che sta prendendo sempre più piede, ora che siamo in grado di analizzare un numero enorme di dati che vengono dall’universo, è probabilistica. E detta anche del multiverso. Cioè che l’universo non sia unico ma una collezione di sfere, sotto-universi che funzionano ognuno secondo leggi differenti. E che questi siano così tanti da fare sì che, in base al calcolo delle probabilità, uno presenti esattamente le leggi fisiche che servono per la vita». Roberto Trotta

L’universo sarebbe cioè uno dei mille possibili ma anche l’unico in grado di farci vivere?

«Se dice mille per indicare un numero molto più grande, sì. Ma per farle capire di che cosa stiamo parlando le chiedo di immaginare di entrare in una stanza e trovare 400 monete su un tavolo, tutte con la “testa” in su. Penserebbe mai che siano state lanciate a caso? Ovviamente no. Le probabilità sarebbero infinitesimeMa le stesse che ha il nostro universo di avere parametri fisici come quelli che possiede. Viviamo quindi in un universo molto improbabile. E per spiegarlo abbiamo due vie. O poniamo che qualcuno – Dio – abbia messo tutte le monete a faccia in su sul tavolo seguendo un design precostituito. Oppure accettiamo l’alternativa probabilistica: un numero di stanze così enorme, che in ognuna di queste le monete siano state gettate in aria. Prima o poi ne troverai una con le 400 monete tutte rivolte nella stessa direzione».

A questo punto mi gira la testa.

«È normalissimo. Perché è stato calcolato che il multiverso contenga 10 alla 500 sfere. Cioè un numero di sfere pari a 10 seguito da 500 zeri, un numero inimmaginabile. Ma è quello che ci serve per poter garantire che almeno uno abbia le condizioni giuste per la vita».
Questo articolo è stato pubblicato su D la Repubblica il 22 dicembre 2018

22/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 1. La matematica è stata scoperta o inventata ? (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)




1. LA MATEMATICA E’ STATA SCOPERTA O E’ STATA INVENTATA ?

Iniziamo da una domanda:

- La matematica è stata scoperta o è stata inventata ?

C’è una bella differenza, se soltanto ci pensiamo. Le cose cambiano se si afferma che la matematica esiste già – che è nelle cose – e l’uomo la può soltanto scoprire, nell’universo, nel mondo, ecc..; o se si afferma piuttosto che la matematica è solo una astrazione umana, qualcosa che non è nelle cose, ma che l’uomo usa per cercare di comprendere il mondo.
Eppure più andiamo avanti con le nostre conoscenze, più ci appare evidente che il mondo e l'universo che tutto contiene, comprese le nostre vite, si fondano su principi matematici. La matematica è infatti anche alla base della nostra vita biologica. Tutto dunque, dall’enormemente grande all’enormemente piccolo, sembra ridursi a questo, sembra rispettare poche fondamentali leggi matematiche: e anche la nostra mente sembra essere predisposta per leggere secondo criteri matematici.
Ma ammesso che sia così, da dove deriva tutto questo, e perché esiste ?
Ecco un brano di una intervista rilasciata poco tempo fa da Giandomenico Boffi, ordinario di algebra all'Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT) e considerato uno dei più esperti matematici italiani. Ci servirà per partire nella nostra indagine:

Che la matematica sia pura creazione della mente è un fatto largamente condiviso. 
Desta perciò meraviglia l'eccezionale efficacia che questa scienza ha dimostrato nel consentire da un lato l'interpretazione della realtà e dall'altra l'intervento concreto, anche tecnologico, su di essa. 
La matematica è una delle poche cose universali che noi sperimentiamo, e già questo è sorprendente. 
Lo è ancora di più il fatto che l'universo risponde in qualche modo alle nostre sollecitazioni basate sugli strumenti matematici. 
Da questa attività creativa dell'uomo emerge quasi un potere predittivo nei confronti della realtà, che è alquanto sconcertante. 
Nella misura in cui non si è ancora riusciti a giustificare l'indubbia consonanza verificabile tra una creazione della nostra mente, la matematica, e una realtà data a prescindere da noi, diventa legittimo ipotizzare l'esistenza di un Ente superiore intelligente che si pone alla radice tanto della realtà che ci circonda, quanto della nostra stessa mente. 
Il dato fondamentale è che esiste in qualche modo una sintonia tra la mente e la realtà esterna alla mente, sintonia che si spiega bene con l'esistenza di qualcosa che sta sopra e unifica. (1)

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata (1/ segue) 

Note: 1.  Matematica e mistero intervista a Gindomenico Boffi di Antonio Giorgi, Avvenire, 22.11.2006.

06/09/11

Le vite concitate, il caos, e il senso che non si trova.



Si avvicina la ricorrenza del decennale dell'11 settembre, l'attentato alle Torri Gemelle di New York.  Su La Stampa mi è capitato di leggere l'intervista ad Edward Fine, il celebre sopravvissuto che fu immortalato con la sua valigetta 24 ore negli attimi successivi alla tragedia, diventando di essa un simbolo.

Mi ha colpito questa sua frase: "Prima lavoravo anche quando ero in vacanza, telefonate, computer e non sapevo neanche chi fosse mia moglie. Ora conosco e apprezzo le cose della mia vita che contano."


Questa frase ha ronzato nelle mie orecchie per alcuni giorni, sommandosi a quest'altra, che il grande Woody Allen - sempre più avvitato in una specie di ostentato nichilismo personale - ha rilasciato a 'La Repubblica':

"continuo a girare film in modo forsennato perché se lavoro e sto sul set, non ho tempo di fermarmi. Se mi fermassi mi deprimerei constatando che la vita non ha alcun senso."

E' il problema di molti, oggi.

Molte persone sembrano convinte che il senso della vita non esista, ma non fanno nulla per fermarsi a riflettere.  Temendo, anzi,  che la riflessione corrisponda a un vuoto, ed essendo del tutto terrorizzati da quel vuoto, non fanno altro che rimpinzare la vita di quante più cose possibili, per la maggior parte del tutto inutili.

Sono convinte, più o meno inconsciamente, che questo rappresenti una formidabile protezione da quel vuoto che attira e terrorizza, per l'appunto.

Il problema però è che, dentro esistenze così stipate, così enormemente sovradimensionate,  si pretende di trovare un 'senso' a questa vita.

E' ovvio che nessun senso si può trovare.

Anche perché con esistenze sempre più caotiche, e sempre meno ordinate (nel flusso di cose semplici) è molto molto difficile percepire un senso, a meno che - come sembra oggi diventata 'vulgata' comune - non si teorizzi che il caos stesso, cioè il disordine E' il senso.

Ma l'uomo, che è principalmente - e resta sempre tale - materiale biologico enormemente organizzato, quindi ordinato (ché altrimenti nessuna vita biologica potrebbe esistere)  non può trovare nessun senso nel caos e nel disordine assoluto. 

E' perfino troppo ovvio che il senso - un senso o IL senso - può essere trovato solo se e quando siamo capaci di fermarci, e di creare un vuoto e di abitare quel vuoto, senza lasciarsene spaventare, ascoltarlo, lasciarlo crescere dentro di noi, e sentire se e come ci parla, se e come ha qualcosa da dirci.

Non è un caso che Edward Fine abbia capito soltanto ora quali sono le cose da conoscere e apprezzare nella vita. Solo ora, quando la giostra si è fermata, indipendentemente dalla sua volontà.

Il problema è proprio questo: che spesso ci fermiamo soltanto quando non possiamo farne a meno, per una crisi improvvisa, per una empasse della nostra vita, un lutto, una crisi, la perdita del lavoro.   Soltanto allora siamo costretti a mettere ordine. A comprendere che la vita è - sarebbe - del tutto semplice, e ha - avrebbe - bisogno di molto poco.

La prima cosa da fare dunque è quella di smetterla di dire "ho troppo da fare per farmi domande."  Dovremmo tutti comprendere che le domande - e solo le domande - danno senso all'esistenza.  E che senza mai porsi domande si possono soltanto compiere disastri, nelle proprie vite individuali e in quella collettiva, come la storia dovrebbe averci abbondantemente insegnato.


Fabrizio Falconi

nella foto in testa: Woody Allen alle prese con la pennichella durante le riprese del suo film romano, agosto 2011.