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20/07/14

Dico bugie ma non sono un bugiardo: la morale che cambia con la latitudine.





I comportamenti fanno l'uomo ?

Una volta, se ne era convinti. Una morale molto rigida, costituzionalmente basata sui principia affermava che un uomo che dice bugie è un bugiardo, un uomo che ruba è un ladro, un uomo che uccide è un assassino, un uomo che insulta un altro uomo perché ha la pelle di un colore diverso è un razzista

Da qualche parte del mondo è ancora così.

I popoli anglo-sassoni, i popoli del nord europa (quel che ne rimane, vista la globalizzazione rampante) hanno fondato antropologicamente i loro costrutti morali su secoli di protestantesimo:  una persona che dice bugie in privato  - e che è dimostrato che le dica -  è un bugiardo.  E' altamente probabile dunque che sia un bugiardo anche nella vita pubblica, e il legittimo sospetto vale già a screditarlo. 

Per questo l'apparentemente anacronistico rito del giuramento sulla Bibbia dei presidenti americani ha avuto, per Clinton e altri un effetto così radicale, e così incomprensibile per noi latini.

I latini, infatti, sulla base di stratificazioni antropologiche basate su secoli di cattolicesimo, hanno sempre creduto e professato un doppio binario della moralità:  vizi privati e pubbliche virtù. 

Posso anche dire bugie in privato, posso commettere atti immorali in privato, ma pubblicamente essere irreprensibile. Chi potrà giudicarmi ?  E se anche verrò giudicato, ci sarà un ministro di Dio capace di assolvermi (è un dovere della religione che professa). 

Questo vulnus mentale è talmente radicato in Italia che ormai coinvolge ogni sfera del vivere comune.  Da Guicciardini e Machiavelli, di strada ne è stata fatta tanta.

Con sincera stupefazione, oggi, personaggi pubblici (non necessariamente politici, di qualunque professione o attività), si schermiscono quando qualcuno pretende di giudicarli in base ai comportamenti che hanno esibito.  
Chi può giudicare ?
Il giudizio non è stato definitivamente sospeso ?  Non viviamo  in un mondo finalmente libero dai giudizi ? Non fu quel Tale a dire "chi è senza peccato scagli la prima pietra?"

Fabrizio Falconi



06/11/13

Epicuro e il giardino nel quale vorrei abitare.





Il corpo è stanco della tirannia della mente.

Sembriamo sempre più incapaci di abbandonarci, di mettere a dormire la mente, di dedicarci alle virtù che nobilitano l'essere umano. 

Incollati agli specchi riflettenti il nostro io (quello più superficiale) sembriamo diventati impermeabili all'ascolto di se stessi. 

Cambiare è possibile.

Nel 306 avanti Cristo un ateniese di nascita (ma ionico d’adozione), Epicuro, acquistò una casa nell’esclusivo quartiere di Melite e un piccolo giardino appena fuori dalla porta del Dipylon (la stessa strada che portava all’Accademia di Platone).
In questo giardino Epicuro – che ai tempi d’oggi abbiamo tristemente umiliato come epigono della filosofia del carpe diem, cioè della soddisfazione edonistica dei desideri (niente di più lontano da quanto egli ricercava e sosteneva) – edificò la sua Accademia, per un mondo che immaginava nuovo, per la conquista dell’ataraxia (la pace dell’anima o tranquillità spirituale).

I mezzi che Epicureo identificò sono gli stessi che anche oggi servirebbero a fare di un uomo una persona, e di un gruppo una comunità di umana, vera.

La principale virtù epicuree è l’amicizia: di tutti i beni che la saggezza procura per la completa felicità della vita, il più grande di tutti è l’acquisto dell’amicizia, scrive Epicuro.

Dalla amicizia discende l’importanza della conversazione. Non c’è piacere più grande né forma più alta di felicità mortale di una conversazione intelligente tra amici che sappiano ascoltarsi e trarre ispirazione, imparando gli uni dagli altri.

Con lo stesso spirito il filosofo greco raccomandava di coltivare la soavità nei modi e nel carattere. La soavità è agli antipodi della rudezza dei cinici, dell’altezzosità dei platonici e dell’austerità degli stoici.

Strettamente legata alla soavità è poi l’epieikeia, la considerazione per gli altri.  Che si manifesta attraverso la gentilezza, la civiltà, la cortesia, il rispetto.

C’è poi la franchezza nel parlare, contro l’adulazione e la ruffianeria.

E infine le ultime tre virtù pazienza, speranza e gratitudine, proiettate come disposizioni esistenziali verso le estasi temporali - presente (pazienza), futuro (speranza), passato (gratitudine).
Di queste, la più importante dice Epicuro è la gratitudine: la vita dello stolto,  scrive, è ingrata e sempre rivolta al futuro. 

Ecco:
amicizia, conversazione, soavità, considerazione per gli altri, franchezza nel parlare, pazienza, speranza, gratitudine. 

Ecco il giardino nel quale vorrei abitare.


26/10/10

Cosa è il Dono.



Come nel finale di 'Luci della Città', il capolavoro chapliniano, a tutti noi è capitato nella vita di ricevere o di offrire un dono.

Charlot, il miserabile girovago ha regalato alla povera venditrice cieca, la vista. E in questa scena finale, ritrovandola sana, non può offrirle più nient'altro. Può soltanto ricevere da lei il fiore e la moneta che si offrono a un vagabondo.

Ma lei, che lo riconosce, sa. Sa che il dono non è mai SOLO una festa. Che il dono - ivi compresa la nostra vita, che ci è stata donata (dai nostri genitori, per chi non crede), da qualcun'Altro per chi crede) - comporta conseguenze, doveri, obblighi, responsabilità, prima fra tutte quelle di essere all'altezza del dono ricevuto.

Viviamo in un'epoca oggi, in cui tutto appare stemperato. Una persona uccide qualcuno, e neanche poche ore dopo si dichiara 'pentito'. Ma pentito di cosa ?

Il dono sappiamo dire cosa è, esattamente ? Dal dono nascono, possono nascere, cose molto diverse. Una - ed è una virtù molto umana (anche se poco praticata) - è la gratitudine.

Quella vera, che nasce dal cuore, vive di fatti e sguardi, e quasi sempre non necessita di parole.

Fabrizio Falconi