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05/07/23

Un romanzo dimenticato e molto bello: "La Rossa" di Alfred Andersch


Se oggi andate a cercare su Amazon o altre librerie on line (non parliamo di quelle tradizionali/cartacee) il nome di Alfred Andersch, non troverete nulla di nulla pubblicato in Italia, negli ultimi 40 anni.
Eppure c'è stato un periodo non lontano, nel quale lo scrittore nato a Monaco di Baviera nel 1914 era piuttosto in voga, come si vede, pubblicato anche dagli Oscar Mondadori.
Personalmente questa edizione del 1972 (il romanzo è del 1961), l'ho trovata in una meritevole libreria che commercia prezioso usato (negli stessi scaffali ho addirittura trovato la prima edizione de Il Dono di Humboldt di Bellow, in Italia (la mia ormai è consumata)).
Così ho scoperto questo notevole romanzo di un autore piuttosto controverso: pur essendo tra i fondatori del Gruppo '47, Andersch infatti dovette difendersi, nel dopoguerra, da accuse di ambiguità/collusione con il regime nazista.
Andersch fu effettivamente arruolato nella Wehrmacht nel 1940, quando aveva 26 anni, e schierato sul fronte occidentale contro la Francia.
Prima di allora, però, dal 1930, Andersch era stato un fervente comunista, e dopo l'ascesa al potere dei nazionalsocialisti, era stato rinchiuso - secondo il suo racconto - per tre mesi nel campo di concentramento di Dachau, in quanto sovversivo.
Uscito dalla prigionia, lo scrittore, caduto in depressione, non aveva potuto evitare l'arruolamento, anche se nel 194 fu ufficialmente "licenziato" dall'esercito perché nel frattempo si era legato sentimentalmente alla pittrice Gisela Groneuer, considerata dalla polizia una "mezza ebrea".
Arruolato nuovamente nel 1943, Anders disertò nel giugno 1944, consegnandosi agli americani, che lo trasferirono in un campo di prigionia in Virginia.
Tornato in patria, fu uno dei protagonisti della scena letteraria tedesca del dopoguerra, fino alla morte avvenuta nel 1980 in Svizzera.
Tredici anni dopo la morte, Andersch fu oggetto di pesanti accuse di "contraffazione letteraria e fanatismo" da parte di W. G. Sebald, ma il rapporto di Sebald fu "giustamente respinto nella sua generalità".
Al di là di queste controversie legate alla sua biografia, "La Rossa" (Die Rote), è un romanzo importante, che risente direttamente delle vicende vissute da Andersch negli anni della guerra e del nazismo.
La vicenda ha per protagonista Francesca, una donna trentenne tedesca, che dopo aver lasciato marito e amante, prende il primo treno alla Stazione di Milano, che la porta a Venezia, con sole 40 mila lire in tasca.
La donna forse è incinta. Non sa cosa succederà della sua vita, vuole semplicemente allontanarsi da tutto, ricominciare. Una cupa, allucinata e bellissima città fantasma la accoglie nel pieno dell'inverno.
Qui, attraverso diverse voci modulate nel testo e diverse scritture, Francesca si trova coinvolta, suo malgrado, dentro una tragica resa dei conti tra una spia inglese e un ex criminale nazista.
Ma c'è molto di più di una semplice spy-story in questo romanzo. Ci sono le vite rovinate dall'orrore, l'orgoglio di una donna che non si vuole sottomettere al potere di maschi ottusi o cinici, c'è una Italia distrutta dalla guerra, eppure desiderosa di ricominciare, ci sono tradimenti e imboscate del destino, c'è l'intelligenza che non vuole morire e vuole anzi, sopravvivere, secondo il "suo" modo.
C'è l'ambiguità di Kramer, uno dei più verosimili "boia" nazisti incontrati nella letteratura che scrive di quel tempo oscuro.

Fabrizio Falconi - 2023

18/04/23

Come nacque "Il Giorno più bello per Incontrarti"

 



Il giorno più bello per incontrarti (Fazi Editore, 2000), nacque molti anni prima di essere scritto - e pubblicato. La vicenda al centro del romanzo infatti, fu ispirata da un fatto vero, i cui particolari avevo appreso durante un lavoro d'inchiesta, per la RadioRai, nel maggio 1988. 

Da giovane giornalista, membro di una redazione formata da giovani talenti, ero sempre alla ricerca di nuovi fenomeni da indagare. Incappai così in uno studio realizzato dal Viminale che, all'epoca, forniva i dati riguardo al fenomeno degli scomparsi - quelle persone che si allontanano da casa senza apparente motivo e sembrano sparire nel nulla. 

Si trattava - e si tratta - di un fenomeno molto più esteso di quanto pensassi e di quanto pensassero gli autori del programma. Migliaia di persone, in un solo anno. La gran parte, allontanamenti volontari (specie di giovani) che si risolvevano presto in un ritorno a casa.

Una parte considerevole di questi scomparsi però, spesso non tornava. 

E a parte i casi celebri, sui quali costruimmo delle ricostruzioni ad hoc, come quello del Professor Federico Caffè o di Ettore Majorana, v'erano diversi casi di persone assolutamente comuni, scomparse da un giorno all'altro nel nulla, per la disperazione dei familiari e degli amici. Naturalmente eravamo partiti, su questo argomento, molto prima di Chi l'ha visto, o programmi simili che sono seguiti. 

A caccia di casi ignoti ai più, mi imbattei in quello di un ragazzo veneto, la cui storia mi colpì moltissimo. Si chiamava Tiziano Zennaro, e viveva con la famiglia, in condizioni economiche piuttosto disagiate, nell'isola di Pellestrina, all'interno della Laguna Veneta, di fronte a Chioggia. Un giorno Tiziano, giovane difficile, si era allontanato da casa senza fare ritorno. Non era la prima volta, ma stavolta i genitori capirono che era diverso. Iniziarono le ricerche, sull'isola e sulla terraferma, senza esito. 

Un mese dopo, si era d'inverno, le acque della Laguna restituirono il corpo di un ragazzo. I genitori di Tiziano furono subito chiamati. Il cadavere era in condizioni di avanzato deterioramento, ma in sede di rilievi autoptici, si evidenziò che alcuni dati, come ad esempio l'altezza, corrispondevano a quelli di Tiziano. Il riconoscimento fu fatto e il caso chiuso. Il presunto Tiziano fu seppellito a Pellestrina.

Ecco che però, qualche anno dopo, arriva una cartolina a casa Zennaro. Il padre non c'è più, la madre ancora piange il figlio. La cartolina è una sorta di resurrezione di Lazzaro: è infatti firmata proprio da Tiziano, il figlio creduto morto. Scrive da una struttura psichiatrica, a Padova, dove è ricoverato.  La madre, superato lo shock, va a riprendersi Tiziano: scopre che è ricoverato nella struttura dal giorno in cui è stato trovato, in strada, senza documenti e senza che il ragazzo sapesse dire come si chiamasse. Curato per lunghi mesi, finalmente Tiziano a un certo punto ha recuperato la memoria: ha ricordato il suo nome e il nome e l'indirizzo della madre. E ha scritto.

La madre si riporta a casa il figlio, ma comunque non va a finire bene. Tiziano sta male, è insofferente: si lascia praticamente morire d'inedia, nella casa sull'isola e medici e psichiatri non riescono a salvarlo. 

Quando trovai questa storia, così letteraria, che ricordava davvero il Mattia Pascal, presi il primo treno per Venezia, e andai su quei luoghi. L'isola di Pellestrina, anche a maggio, era un luogo desolato. La vecchia madre di Tiziano viveva ora a Venezia, all'Arsenale. La trovai in una piccolissima casa, con il caffé pronto in cucina. Mi raccontò tutta la storia con una sorta di benedetta rassegnazione: Tiziano era sempre stato "un'anima inquieta" e bisognava accettarlo. 

Su quella vicenda e prendendo qualcosa di Tiziano e di quello che avevo scoperto su di lui, costruii la storia e il personaggio di Giovanni, che scompare nell'autunno del 1977 e il cui corpo - presunto - viene ritrovato sulla spiaggia di Sitges, poco dopo la sua sparizione. 

E la vicenda, in questo caso, si fa misteriosa quando la vedova, ben quattordici anni dopo, riceve una enigmatica cartolina da Giovanni, che evidentemente è ancora vivo, da qualche parte. 

La storia di Tiziano Zennaro si è in qualche modo incarnata - mentre scrivevo - in quella di Giovanni e mi piace pensare che abbia fornito una nuova casa, una casa di carta, a lui che era così insofferente ad averne una. Forse tra le pagine di questo romanzo, anche l'anima di Tiziano ha trovato un posto dove stare.

Fabrizio Falconi . 2023



21/06/21

Venezia compie 1600 anni ! Un ponte la unisce a Vicenza con la magia di Pietro Longhi, il grande pittore del Settecento e un Elefante


Da un elefante sbarcato in laguna nel 1774 nasce un ponte di arte e bellezza, di parole ed immagini, che unisce Venezia a Vicenza.
 

L'occasione sono le celebrazioni per i 1600 anni dalla fondazione di Venezia (421 - 2021): le Gallerie d'Italia - Palazzo Leoni Montanari a Vicenza e la Fondazione Querini Stampalia a Venezia hanno avviato una collaborazione che e' un ponte fra due citta' e due istituzioni, all'insegna dell'arte. 

Il legame e' il celebre pittore veneziano del Settecento Pietro Longhi le cui opere - un vero viaggio nel tempo nella Venezia dell'epoca attraverso ritratti di vita della nobilta' e del popolo - sono fra i capolavori delle collezioni d'arte esposte al pubblico nei due musei.

Il progetto si intitola In viaggio con Pietro Longhi. Da Vicenza a Venezia: un ponte di immagini e parole, e' realizzato dai Servizi educativi di Gallerie d'Italia - Palazzo Leoni Montanari e della Fondazione Querini Stampalia ed e' dedicato ai ragazzi della scuola primaria. 

Due quadri dell'artista Longhi vengono messi a confronto per raccontare agli studenti un'unica storia. 

Tutto ha inizio con il ritratto di un elefante sbarcato in laguna nel 1774, custodito a Vicenza, a Palazzo Leoni Montanari, per proseguire a Venezia, alla Fondazione Querini Stampalia, per conoscere la misteriosa dama che commissiona al Longhi il quadro con il pachiderma chiamato Condolio. 

Il volto della nobildonna Marina Sagredo, nascosto da una maschera nel dipinto di Vicenza, e' svelato nel suggestivo quadro esposto alla Querini Stampalia. 

Il progetto e' digitale, fruibile attraverso un video racconto e un video tutorial con l'obiettivo di realizzare in classe il laboratorio creativo. 

Per docenti e alunni rappresenta un'anticipazione di quanto sara' possibile approfondire con la visita in presenza, per conoscere "dal vivo" i capolavori, non appena le scuole potranno riprendere le uscite didattiche. 

L'attivita' e' strutturata in tre parti: "racconto un video" per immergersi nello spirito del Settecento, attraverso il racconto di due dipinti del celebre Pietro Longhi. Un'unica storia che inizia con il ritratto di un elefante, custodito a Vicenza, a Palazzo Leoni Montanari, per proseguire a Venezia, alla Fondazione Querini Stampalia, sulle tracce di un misterioso legame della stessa opera con la storia di una nobile famiglia; la seconda parte e' un "laboratorio creativo", un video tutorial a cui ispirarsi per realizzare, in classe, una coloratissima pagina pop-up sull'avventura veneziana dell'elefante Condolio; l'ultima parte e' una "scheda didattica", un utile supporto didattico, nella quale sono riportati la biografia dell'artista, le immagini delle due opere a confronto e l'elenco dei materiali utili per il laboratorio creativo.

26/03/21

Anniversario di Dante: Come morì esattamente l'Alighieri e cosa successe ai suoi resti mortali ?



La morte di Dante di Eugenio Moretti Larese


Giunto a Ravenna nel 1318 quando aveva 53 anni, gli ultimi 3 anni di vita di Dante Alighieri trascorsero relativamente tranquilli. Il poeta creò un cenacolo letterario frequentato dai figli Pietro e Jacopo e da alcuni giovani letterati locali, tra i quali Pieraccio Tedaldi e Giovanni Quirini. 

Per conto del signore di Ravenna Guido Novello da Polenta, svolse occasionali ambascerie politiche, come quella che lo condusse a Venezia. 

All'epoca, la città lagunare era in attrito con Guido Novello a causa di attacchi continui alle sue navi da parte delle galee ravennate e il doge, infuriato, si alleò con Forlì per muovere guerra a Guido Novello; questi, ben sapendo di non disporre dei mezzi necessari per fronteggiare tale invasione, chiese a Dante di intercedere per lui davanti al Senato veneziano. 

L'ambasceria di Dante sortì un buon effetto per la sicurezza di Ravenna, ma fu fatale al poeta che, di ritorno dalla città lagunare, contrasse la malaria mentre passava dalle paludose Valli di Comacchio. 

Le febbri portarono velocemente il poeta cinquantaseienne alla morte, che avvenne a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. 

I funerali, in pompa magna, furono officiati nella chiesa di San Pier Maggiore (oggi San Francesco) a Ravenna, alla presenza delle massime autorità cittadine e dei figli. 

La morte improvvisa di Dante suscitò ampio rammarico nel mondo letterario. 

Dante trovò inizialmente sepoltura in un'urna di marmo posta nella chiesa ove si tennero i funerali. Quando la città di Ravenna passò poi sotto il controllo della Serenissima, il podestà Bernardo Bembo (padre del ben più celebre Pietro) ordinò all'architetto Pietro Lombardi, nel 1483, di realizzare un grande monumento che ornasse la tomba del poeta. 

Ritornata la città, al principio del XVI secolo, agli Stati della Chiesa, i legati pontifici trascurarono le sorti della tomba di Dante, la quale cadde presto in rovina. 

Fu il cardinale legato Luigi Valenti Gonzaga secoli dopo, a incaricare l'architetto Camillo Morigia, nel 1780, di progettare il tempietto neoclassico tuttora visibile. 

I resti mortali di Dante furono oggetto di diatribe tra i ravennati e i fiorentini già dopo qualche decennio la sua morte, quando l'autore della Commedia fu "riscoperto" dai suoi concittadini grazie alla propaganda operata da Boccaccio.  Se i fiorentini rivendicavano le spoglie in quanto concittadini dello scomparso (già nel 1429 il Comune richiese ai Da Polenta la restituzione dei resti), i ravennati volevano che rimanessero nel luogo dove il poeta morì, ritenendo che i fiorentini non si meritassero i resti di un uomo che avevano dispregiato in vita. 

Per sottrarre i resti del poeta a un possibile trafugamento da parte di Firenze (rischio divenuto concreto sotto i papi medicei Leone X e Clemente VII), i frati francescani tolsero le ossa dal sepolcro realizzato da Pietro Lombardi, nascondendole in un luogo segreto e rendendo poi, di fatto, il monumento del Morigia un cenotafio. 

Quando nel 1810 Napoleone ordinò la soppressione degli ordini religiosi, i frati, che di generazione in generazione si erano tramandati il luogo ove si trovavano i resti, decisero di nasconderle in una porta murata dell'attiguo oratorio del quadrarco di Braccioforte.

Le spoglie rimasero in quel luogo fino al 1865, allorché un muratore, intento a restaurare il convento in occasione del VI centenario della nascita del poeta, scoprì casualmente sotto una porta murata una piccola cassetta di legno, recante delle iscrizioni in latino a firma di un certo frate Antonio Santi (1677) le quali riportavano che nella scatola erano contenute le ossa di Dante. 

Effettivamente, all'interno della cassetta fu ritrovato uno scheletro pressoché integro; si provvide allora a riaprire l'urna nel tempietto del Morigia, che fu trovata vuota, fatte salve tre falangi, che risultarono combaciare con i resti rinvenuti sotto la porta murata, certificandone l'effettiva autenticità. 

La salma fu ricomposta, esposta per qualche mese in un'urna di cristallo e quindi ritumulata all'interno del tempietto del Morigia, in una cassa di noce protetta da un cofano di piombo. 

Nel sepolcro di Dante, sotto un piccolo altare si trova la celebre epigrafe in versi latini dettati da Bernardo da Canaccio per volere di Guido Novello, ma incisi soltanto nel 1357 che in italiano possono essere tradotti così: 

I diritti della monarchia, gli dei superni e la palude del Flegetonte visitando cantai finché volle il destino. Poiché però l'anima andò ospite in luoghi migliori, ed ancor più beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sta racchiuso Dante, esule dalla patria terra, che generò Firenze, madre di poco amore.


05/10/19

Sabato d'Arte: Il "Polittico Ferrer" di Giovanni Bellini a Venezia


In una delle meravigliose chiese di Venezia, quella dei Santi Giovanni e Paolo (per la quale fu realizzata e nella quale è da sempre), è custodita una delle opere più celebri e indimenticabili di Giovanni Bellini, Il Polittico di San Vincenzo Ferrer, dipinto a tempera su tavola e databile al 1464-1470. 

Il polittico è dedicato al santo spagnolo, domenicano, che era stato canonizzato nel 1455.  

Il polittico, dalla sfarzosa cornice dorata, è articolato su tre ordini per un totale di nove scomparti. Al centro si trovano tre santi a tutta grandezza, da sinistra san Cristoforo, san Vincenzo Ferrer e san Sebastiano. 



Il registro superiore mostra al centro un riquadro con la Pietà (Cristo morto sorretto da due angeli) e ai lati l'Arcangelo Gabriele (con un giglio, simbolo di purezza) e la Vergine annunciata; quest'ultima è in preghiera ed ha lo sguardo rivolto verso l'alto, dove anticamente esisteva la lunetta dipinta con il Padre Eterno, ricordata dal Boschini nel 1664 e poi dispersa.

La predella invece mostra i miracoli di Vincenzo Ferrer: le due tavole laterali sono divise in due scene ciascuna tramite una colonna dipinta, mentre quella centrale è una scena unica. 

I santi del registro centrale sono caratterizzati da un forte scatto plastico, sottolineato dal grandeggiare delle figure, le linee enfatiche delle anatomie e dei panneggi, l'uso geniale della luce radente dal basso per alcuni dettagli (come il volto di san Cristoforo).


Lo spazio è dominato da lontani paesaggi sullo sfondo e la profondità prospettica è suggerita da pochi elementi basilari, come le frecce in scorcio di san Sebastiano o il lungo bastone di san Cristoforo.

A parte alcuni accorgimenti, come l'uso di una medesima linea dell'orizzonte, i pannelli centrali non sono legati da particolari rapporti compositivi, con ambientazioni in paesaggi differenti.

Si tratta di un retaggio tradizionale, come la spessa cornice di divisione tra un pannello e l'altro, che vennero presto superati dal maestro veneziano.

Il Cristo in pietà, ancora una volta nella produzione belliniana, segue uno schema compositivo bizantino, naturalmente aggiornato al naturalismo allora in voga in Italia. L'Angelo e Maria sono caratterizzati da una pittura limpida e smaltata: soprattutto nella veste dell'angelo le campiture sono intrise di luci ed ombre quasi scultoree, mentre nel riquadro della Vergine, dal delicato profilo, la tenda rossa provoca una fiammata cromatica improvvisa.

notizie tratte da wikipedia.org

19/12/18

Eternità del Colosseo: Trip Advisor lo incorona attrazione più popolare del mondo.


Buone notizie per l'Italia dalla classifica delle "esperienze" su TripAdvisor: il Colosseo e' l'attrazione piu' popolare al mondo nel 2018 in base alle prenotazioni ricevute sul sito. 

Se si considera anche il secondo gradino del podio mondiale occupato dai Musei Vaticani (che tecnicamente si trovano nella Citta' del Vaticano) e il decimo con il Canal Grande di Venezia, l'Italia occupa ben 3 attrazioni tra le 10 piu' prenotate al mondo, primato che condivide solo con la Francia (che e' presente con Museo del Louvre 4/o, Torre Eiffel 5/o e Reggia di Versailles 9/o)

Le attrazioni italiane dimostrano quindi di essere tra le preferite dei viaggiatori globali quest'anno, superando icone internazionali come la Statua della Liberta' (3/a), la Sagrada Familia (6/a), il Golden Gate (7/o) e Stonehenge (8/o). 

Ecco la classifica delle 10 ATTRAZIONI PIÙ PRENOTATE DEL MONDO NEL 2018 

1. Colosseo, Roma, Italia 
2. Musei Vaticani, Roma, Italia 
3. Statua della Liberta', New York City, Stati Uniti 
4. Museo del Louvre, Parigi, Francia 
5. Torre Eiffel, Parigi, Francia 
6. Sagrada Familia, Barcellona, Spagna 
7. Golden Gate, San Francisco, Stati Uniti 
8. Stonehenge, Amesbury, Regno Unito 
9. Reggia di Versailles, Versailles, Francia 
10. Canal Grande, Venezia, Italia 

Ecco invece le 10 ATTRAZIONI PIÙ PRENOTATE IN ITALIA NEL 2018 

1. Colosseo, Roma 
2. Musei Vaticani, Roma 
3. Canal Grande, Venezia 
4. Pompei - Parco Archeologico, Pompei 
5. Galleria dell'Accademia, Firenze 
6. Galleria degli Uffizi, Firenze 
7. Cattedrale di Siena, Siena 
8. Torre di Pisa, Pisa 
9. Basilica di San Marco, Venezia 
10. Il Cenacolo, Milano 

06/11/18

Libro del Giorno: "Peggy Guggenheim" di Laurence Tacou-Rumney




Un volume che è la più accurata biografia esistente di Peggy Guggenheim indubbiamente una delle più importanti mecenati e collezioniste dell'arte del Novecento, accompagnata da un incredibile apparato fotografico che attinge copiosamente dall'archivio personale della stessa ereditiera lasciato nel Palazzo Venier dei Leoni, affacciato sul Canal Grande di Venezia, ultima sua abitazione e sede della Collezione Peggy Guggenheim, colei che fu ribattezzata "l' ultima dogaressa". 

Si tratta dunque di un saggio biografico e analitico originariamente pubblicato in Francia dall'editore Flammarion, di cui è autrice la giornalista Laurence Tacou, moglie di Sandro Rumney, nipote quest'ultimo di Peggy, visto che è uno dei figli di Pegeen, la figlia di Peggy, morta suicida a Parigi nel 1967. 

E' stato proprio il nipote Sandro Rumney a fornire abbondanti materiali inediti sulla vita e l' attività di sua nonna. 

Se il personaggio di Peggy Guggenheim ci era noto attraverso le cronache artistiche e mondane del suo tempo, nonché le sue memorie pubblicate nel 1946 con il titolo Out Of This Century - Confessions Of An Art Addict,  libro che destò un grande scandalo all'epoca, grazie ai documenti confidenziali a cui ha attinto, Laurence Tacou mette in luce in questo volume  i volti contrastanti di questa donna singolare: orfana errabonda; seduttrice sempre alla ricerca del suo Pigmalione; star degli anni folli; mecenate che scoprì alcuni dei maggiori artisti suoi contemporanei; avventuriera sempre in lotta contro i pregiudizi del suo tempo; volitiva e coraggiosa nell' avversità e tuttavia fragile e romantica. 

Margaret detta Peggy, discendente da due delle più potenti famiglie ebree degli Stati Uniti (nonostante uno dei suoi nonni fosse venuto al mondo in una stalla) nasce a New York il 26 agosto 1898. 

La morte del padre Benjamin fu il primo terribile choc della sua vita. Benjamin aveva dilapidato buona parte del suo patrimonio, lasciando il grosso della fortuna dei Guggenheim nelle mani del fratello Salomon e morì da eroe durante l'affondamento del Titanic, di cui era uno dei passeggeri a bordo. 

Peggy, che ha il bernoccolo degli affari, prenderà la sua rivincita. I suoi esordi sono però difficili. Rimasta orfana a quattordici anni prova l' umiliazione di essere considerata come "la parente povera", ma non tarda a reagire. 

Spinta dalla volontà di sfuggire al suo ambiente borghese comincia a lavorare appena ventenne in una libreria frequentata da giovani artisti.
Incontrerà così Laurence Vail, drammaturgo d' avanguardia, che oscillerà poi fra letteratura e pittura. Coup de foudre immediato, ma subito l' amante scompare.

Peggy lo ritroverà a Parigi, dopo una breve avventura con un giovane russo, Fira Berenson. Insieme a Laurence si lancia allora nella bohème degli anni folli, frequentando i celebri caffè di Montparnasse e Saint-Germain-des-Prés.

E' in cima alla torre Eiffel che Laurence chiede la sua mano. La vita con colui che Peggy chiamerà "l' eterno marito" e da cui avrà due figli, Sindbad e Pegeen, sarà sempre tumultuosa. Lui le fa grandi scenate in pubblico. Un giorno, perché la moglie ha sacrificato alla moda la sua opulenta capigliatura, getta dalla finestra mobili e soprammobili, poi fugge di casa stringendo al petto la chioma recisa. I loro continui bisticci comprometteranno la loro unione.

A Saint Tropez durante un ballo, John Holmes, atletico scozzese e aspirante scrittore, bacia focosamente Peggy in presenza del marito, il quale minaccia di ucciderlo. Situazione vaudevillesca.

Peggy e il bel John fuggono insieme e vagabondano attraverso l' Europa, prima di stabilirsi a Parigi. Quando, nel 1934, Holmes muore in seguito a una caduta da cavallo, Peggy sprofonda in una grave depressione.

Sarà salvata da un' amicizia equivoca con la scrittrice Dijuna Barnes, che le dedica Nightwood, un libro ispirato agli amori saffici.

Poco dopo Peggy avrà un' altra relazione appassionata con lo scrittore Douglas Garman, editore di una rivista di avanguardia. Il guaio è che lui si converte al marxismo e si invaghisce di una militante operaia. Fine del loro amore. "Credo sia la fine della mia vita", dichiara Peggy.

Avrà però la forza di reagire impegnando tutte le proprie energie nella creazione di una galleria d' arte, ' Guggenheim Jeune' , iniziando così la sua carriera di collezionista e mecenate. Marcel Duchamp, suo consigliere artistico, la introduce negli ambienti del surrealismo e dell' astrattismo. La prima mostra, dedicata a Jean Cocteau, riscuote un immediato successo. 

La seconda lancia Kandinsky, al tempo del tutto sconosciuto.

La terza consacrerà i maggiori scultori dell' avanguardia internazionale, fra cui Brancusi, Calder, Moore e Arp. I vernissage della "Guggenheim Jeune" costituiscono sempre degli avvenimenti artistico-mondani. 

In quel periodo Peggy incontra Samuel Beckett a un pranzo al Fouquet' s. Lui la riaccompagna a casa, poi timidamente propone di accompagnarla a letto, e lei accetta. La loro relazione durerà circa un anno. L' enigmatico scrittore irlandese dedicherà alla vamp vari poemi firmati Oblomov.

Frattanto scoppia la seconda guerra mondiale. Peggy vuole allora salvare a tutti i costi dalla minaccia nazista la sua collezione di "arte degenerata".

Riuscirà a spedire negli Stati Uniti, dissimulati sotto abiti e cappotti, intere casse di preziosi Kandinsky, Klee, Picabia, Severini, Miro, De Chirico, Dalì e altri, dichiarati come "effetti personali". Poi a sua volta s' imbarca per New York con "l' eterno marito" Laurence e i figli, e il futuro marito Max Ernst. 

Il suo idillio con il pittore surrealista, cominciato come un' avventura diventa un' irresistibile passione, che li condurrà a un matrimonio, il quale non tarderà a trasformarsi in inferno. Lei considera lui come un bambino irresponsabile ed è gelosa delle sue conquiste, in particolare di Leonor Fini e di Dorothea Tanning. Lui è violento e la tratta da puttana.

La picchierà a sangue per un bacio innocente del suo amico di sempre Marcel Duchamp. Dopo aver divorziato da Max Ernst, Peggy avrà ancora una relazione col collezionista inglese Mc Pherson. Tuttavia il suo agitato percorso amoroso volge al termine, mentre si afferma il suo ruolo in campo artistico.

In piena guerra, nel 1942, Peggy apre a Parigi una nuova galleria, "Art of this Century", con una grande mostra consacrata alle opere di ben 77 artisti, molti dei quali le dovranno il loro successo (fra quelli che chiama i suoi "figliocci di guerra" figurano Robert Motherwell e Jackson Pollock, da lei scoperto quando lavorava come falegname). 

Per dimostrare la sua imparzialità fra surrealismo e astrattismo, i due movimenti che ha promosso, il giorno dell' inaugurazione Peggy accoglie i suoi invitati ostentando all' orecchio destro un orecchino che raffigura un paesaggio miniaturizzato di Tanguy e al sinistro un mini-mobile di Calder. Dopo la firma della pace, Peggy attraversa un periodo difficile. "Art of this Century" è in crisi.

Lei deve mantenere due ex mariti. Peraltro molti artisti amici sono ripartiti per l' Europa, perciò decide di chiudere la sua galleria newyorkese e andarsene anche lei per tentare una nuova avventura sul Vecchio Continente.

E' a Venezia che concreterà il suo ultimo sogno, installando i suoi tesori nel Palazzo Venier e nel giardino adiacente. Diventata cittadina onoraria della Serenissima vi trascorrerà serena gli ultimi anni, continuando ad arricchire la sua collezione, partecipando regolarmente alla Biennale di Venezia, confortata dall' amore dei suoi nipoti e dall'affetto per i suoi cani. 

Pur con tutti i limiti di un testo che appare sostanzialmente didascalico, il volume ha un enorme valore testimoniale di una meravigliosa epoca della cultura e dell'arte del Novecento, che ha influenzato l'intera storia dell'Occidente.

(Fonte: Elena Guicciardi per La Repubblica, 14 agosto 1996). 


Peggy Guggenheim. L'album di una collezionista 
di Laurence Tacou Rumney 
Octavo Editore, 1996


07/09/18

La magia di Torcello e le luci di Venezia - Una pagina da "Cieli come questo" di Fabrizio Falconi.





Negli ultimi giorni non si era sentita bene. Era ancora piuttosto debole e continuava ad avere fitte all’addome. Giorgio la convinse a farsi controllare da uno specialista. Lei ci andò recalcitrante – perché si fidava ciecamente di Lidia  – e alla fine anche la nuova visita confermò che non c’erano problemi particolari,  il viaggio di lavoro a Venezia non era dunque sconsigliato.
Prima del convegno, i delegati vennero accompagnati per una prima visita alla Cattedrale di Santa Maria dell’Assunta, e alla chiesa di Santa Fosca, a Torcello.
Isabella, insieme a quattro hostess in divisa, li attendeva sul tappeto blu sul molo dell’isola, mentre cominciava a piovere.
Arrivavano alla spicciolata accademici e storici dell’arte infreddoliti, insieme a mogli e compagne, sotto l’ombrello. Isabella stringeva le mani, consegnava l’elegante cartellina di cuoio, contenente  tutte le informazioni e i gadgets preparati per il convegno.
Lavorò senza pause fino alle otto. Poi chiamò al telefono la figlia.
Diletta studiava per un esame, chiusa in casa.
“ Da quando sono ritornata, non hai avuto un attimo per parlare con me, “ disse alla madre, che la sentiva giù di tono, con la voce dimessa.
“ Lo so, “ rispose Isabella, “ ma lo sai, questo convegno è la cosa più importante della stagione, vedrai che quando torno sarò molto più libera. “
“ Voglio raccontarti delle cose. Anche per me non è facile, sai quanto ci metto ad... aprirmi. “
“ D’accordo, ma tu come ti senti, ora ? “
“ Non tanto bene... Questo viaggio mi ha cambiato, mi sento un’altra, ma anche più inquieta. Avrei bisogno di spiegarti tante cose, anche riguardo a Nicoletta e a quello che ha rappresentato questo incontro per me. A quello che ho scoperto dentro di me. Insomma mi sento un po’ sola adesso. Non sto al massimo, veramente“
“ Passerà, vedrai. “
“ E Venezia com’è ? “
“ Terribile. Piove e fa freddo. Lavorare così è duro. Noi l’avevamo detto che il periodo era sbagliato. Bisognava aspettare la primavera. Tuo padre ti ha chiamato ? Quando torna ?“
“ Non lo so. Oggi non l’ho nemmeno visto. “
“ Va bene, adesso devo salutarti .“
Un altro motoscafo si stava avvicinando al molo. Ne discese un uomo alto e stempiato, accompagnato da  una donna bionda, alta quasi quanto lui.
“ Michael  Husselbaink “, si  presentò.
Isabella sulle prime non lo aveva riconosciuto. Eppure sapeva benissimo chi era: un grande musicista, del quale aveva apprezzato soprattutto  la Suite per l’angelo -  Isabella adorava quel cd, l’aveva comperato appena uscito, ed era rimasto uno dei suoi preferiti. Due volte era anche andato a sentirlo suonare dal vivo, quando aveva fatto tappa a Roma insieme al suo ensemble.
“ Le presento mia moglie. Siamo arrivati in ritardo ? “
“ Sì, un po’. Credo che siate gli ultimi, ma la cattedrale dovrebbe essere ancora aperta. Venite, vi accompagno. “
Salirono a bordo di una vettura elettrica, che fungeva da navetta, mentre la pioggia continuava ad abbattersi sulla laguna senza sosta.
Isabella guidò i due ultimi ospiti dentro la Cattedrale. Husselbaink indugiava tra i banchi, fermandosi estasiato ad ammirare i mosaici, sembrava conoscere molto bene le immagini e tutte le interpretazioni cabalistiche. Indicava alla moglie le figure, traduceva per lei le indicazioni che Isabella forniva diligentemente.
Fermi di fronte al pronao, restarono a lungo ad osservare il grande mosaico raffigurante la Vergine.



“Cosa c’è scritto nella iscrizione, lì sopra ?" chiese Husselbaink, indicando la scritta in caratteri gotici che correva lungo la cornice dell’abside.
Isabella non era così preparata. Fece ricorso ad una ragazza, una guida del posto, che lesse ad alta voce senza indugi l’invocazione in versi latini:
              
                Sum deus atque caro, patris et sum matris imago,
                non piger ad lapsum set flentis proximus adsum

fornendo subito la traduzione della frase:

               Sono Dio e uomo, immagine del Padre e della Madre,
             dal colpevole non sono lontano, ma al pentito sono vicino.

Husselbaink sorrise soddisfatto, tradusse la frase in nederlandese per la moglie, trascrivendola poi in un quaderno di appunti.
Lasciarono la cattedrale quando era ormai vuota.
La ragazza spense le luci e si ritrovarono fuori nel buio quasi assoluto della piazza antistante la chiesa. Attesero il ritorno della vettura, sotto il porticato. Isabella e la ragazza da una parte, Husselbaink e la moglie dall’altra, addossati ad una delle colonne. Isabella percepiva le loro frasi sussurrate.
Finalmente la navetta tornò a prenderli. Durante il viaggio, il musicista raccontò di aver accettato l’invito di suonare nella serata di gala del convegno perché affascinato dai misteri di Venezia, e soprattutto dalle isole, da  Torcello e San Michele.
Il sovrintendente Loredan seduto a fianco di Husselbaink, intanto, elencava i nomi dei palazzi. Le hostess, infreddolite nei cappotti, fumavano negli ultimi sedili vicino ai finestrini. La moglie del musicista guardava fuori, con le labbra socchiuse, apparentemente distratta.  Il suo alito formava una leggera condensa sul vetro.
Husselbaink ascoltava la litania dei nomi elencati dal sovrintendente.  “Questi nomi sono come musica,” gli disse ad un certo punto, “ e io sono del tutto innamorato anche del suo cognome. Che fortuna sfacciata: portare lo stesso cognome del doge che è stato immortalato nel dipinto più bello del mondo! “
Giunsero all’albergo in leggero ritardo, ma in tempo per la cena, che era fissata alle dieci.
Isabella si accorse che alla lunga tavolata finemente imbandita le avevano riservato il posto libero tra Husselbaink e il sovrintendente.
La conversazione ristagnò a lungo, quando  verso la fine della cena, incoraggiati dall’ottimo vino, Loredan e Husselbaink cominciarono un prolungato scambio di opinioni sull’ispirazione artistica.
Isabella ascoltò a lungo, senza intervenire, poi in una pausa chiese ad Husselbaink:
“ Ho ascoltato spesso la sua musica, interrogandomi sull’origine della sua  ispirazione. Per esempio la Suite dell’angelo, che io trovo così ...bella, poetica.“
Husselbaink, che sembrava un po’ alticcio e divertito dall’attenzione generale,  si slacciò il colletto della camicia, e rispose  compiaciuto:
“ L’ho scritta in una settimana a Biarritz. Ma vede, signora, l’ispirazione non è come crede lei, e come crede forse anche il dottor Loredan. Ero ospite in una brutta villa e in quella settimana è piovuto tutti i giorni. Ero molto nervoso, e oltretutto schiavo di una colite atroce. “
Il sorriso del sovrintendente si pietrificò. Pensò ad una battuta,  ma Husselbaink andò avanti imperterrito:

“ La suite dell’angelo potrei dire di averla scritta seduto sulla tazza del gabinetto, e con mia enorme sorpresa alla fine tutti hanno detto che è una delle cose migliori che io abbia scritto..”  Rise di gusto, attirando lo sguardo di riprovazione di sua moglie,  “metà seduto sul gabinetto, e per l’altra metà seduto al pianoforte con la pancia gonfia come una cornamusa… “
Isabella cercò di non dare a vedere l’imbarazzo, e intanto Husselbaink proseguì imperterrito:
“ L’ispirazione, mia signora, non si accompagna per forza con il sublime," ma lei già non lo ascoltava più . Cambiò discorso, con i vicini di tavola e aspettò la prima occasione per alzarsi e raggiungere i divani nella hall.
Alla fine della cena, quando Husselbaink si ritirò con la moglie in camera, il sovrintendente manifestò il suo disappunto agli ospiti. Giurò che lo conosceva personalmente già da molto tempo, e non era mai stato così sgradevole.
Isabella commentò:  “Nessuna sorpresa. Solo, nessuno riesce a capire da dove traggano la loro arte certe persone. E’ come se  avessero due anime. Ma forse è meglio non conoscerli mai da vicino. Soltanto i veri grandi non deludono. “
Non si riferiva espressamente a Sri Rajakrishna. Non ci aveva pensato, ma più tardi, quando a letto, prima di addormentarsi lesse qualche riga del libro che le aveva regalato Lorenzo, gli capitò di ricordarsi di quello sguardo liquido,  degli occhi che era sempre come se guardassero oltre. L’ultimo capitolo del libro scritto dal misterioso Marchese de Saint-Germain, si intitolava:   L’unione.

                     Dimoro nel cuore
                     Nell’intimo più recondito
                     Di tutte le cose manifestate.
                    
                     Di coloro che discutono IO SONO l’argomento.

Chiuse il libro e spense la luce.
Dalla finestra riverberava la luce di fanali sulla Riva degli Schiavoni.
Si addormentò con il sottofondo del debole rumore dell’acqua.



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01/08/18

Riemergono due scheletri sotto Piazza San Marco! Probabilmente risalgono al Medio Evo.



Due scheletri umani, forse risalenti a piu' di mille anni fa, sono stati scoperti a Venezia durante alcuni lavori nella Basilica di San Marco per la messa in sicurezza dell'ingresso dall'acqua alta

Sono i resti di un uomo e di una donna, sepolti assieme. Sono venuti alla luce pochi giorni fa - riferisce 'Il Gazzettino' - ed i lavori si sono fermati per l'intervento della Soprintendenza, che al momento non si e' pronunciata sulla scoperta. 

Le ossa sono ora allo studio da parte degli archeologi. 

I resti sarebbero in buono stato di conservazione; le salme erano una sopra l'altra, divise da uno strato di terreno, che - in base alle prime analisi - potrebbe risalire al Medioevo

Sono state individuate dagli operai che hanno iniziato i lavori sotto alcuni metri di terra, davanti alla parete sud della Basilica e alla Porta della Carta di Palazzo Ducale. 

Il riferimento medievale sembra comunque il più probabile, anche in virtù delle analisi del terreno effettuate dagli specialisti

Impossibile azzardare ipotesi sull'identità degli scheletri, potrebbero essere stati sepolti ancora prima dell'edificazione della Basilica nell'828, così come non è da escludere che si possa trattare di due vittime della grande pestilenza delRitrovati due scheletri nei cantieri a San Marco del 1348, che decimò la popolazione veneziana nel Basso Medioevo.

Si tratta comunque solo di speculazioni, in attesa di notizie ufficiali.
Fonte Ansa e Venezia Today 

02/10/17

Le meravigliose Gallerie dell'Accademia di Venezia compiono 200 anni storia ! Una grande mostra.


Sette anni, dal 1815 al 1822, a testimonianza di rilancio culturale per una citta', Venezia, che era uscita con le "ossa rotte" dalla stagione napoleonica, sul piano politico con la fine della millenaria Repubblica "Serenissima" e la cessione all'Austria e sul piano artistico con i beni trafugati da palazzi e chiese. 

 Attorno a questi anni cruciali per la "nuova" Venezia - segnati dal ritorno da Parigi dei Cavalli di San Marco, sul finire del 1815, e la morte di Antonio Canova, il 13 ottobre 1822 - si sviluppa la mostra promossa dalle Gallerie dell'Accademia, aperta al pubblico dal 29 settembre al 2 aprile 2018, a cura di Fernando Mazzocca, Paola Marini e Roberto De Feo, in occasione del bicentenario dell'inaugurazione delle prime cinque sale delle Gallerie, il 10 agosto 1817

Un'esposizione di 130 opere, articolata in dieci sezioni a pianterreno, ma che si espande nella 'permanente' ai piani superiori, che ruota attorno a tre personaggi chiave: il conte Francesco Leopoldo Cicognara, presidente dell'Accademia, Canova e Francesco Hayez


La narrazione della mostra - "Canova, Hayez, Cicognara. L'ultima gloria di Venezia" attraverso dipinti, sculture, disegni, libri - si sviluppa a partire dal ruolo centrale svolto dai tre nella "rinascita" culturale lagunare, ma offre spunti sui grandi temi che l'hanno caratterizzata: dal ritorno a Venezia delle opere d'arte asportate dai francesi, all'acquisizione della collezione di disegni del segretario dell'Accademia di Belle Arti di Milano Giuseppe Bossi, dalla ricostruzione dell'Omaggio delle Province Venete all'Austria nel 1817, in occasione delle quarte nozze dell'Imperatore Francesco I d'Austria con Carolina Augusta di Baviera, alla produzione degli artisti d'allora, fino agli albori del Romanticismo.


La mostra, di fatto, e' anche un modo per guardare alle origini per porre le basi per il futuro, con le Gallerie veneziane impegnate, grazie anche al Mibact e ai comitati privati, in una serie di acquisizioni di dipinti e disegni, di formazione, di restauri, come per il ciclo delle Storie di Sant'Orsola di Carpaccio, di prossime mostre, come per Tintoretto e forse Leonardo. 

29/08/17

Goethe a Venezia - Una targa ricorda il suo soggiorno (secondo) in città nello storico Viaggio in Italia.



L'assessore comunale al Turismo e alla Toponomastica del Comune di Venezia, Paola Mar, ha inaugurato ieri in Riva del Carbon una targa commemorativa a ricordo del secondo soggiorno veneziano del poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe

La targa e' stata collocata sulla facciata dell'edificio nel quale si trovava la "Locanda Della Tromba", nella quale Goethe risiedette per quasi due mesi nella primavera del 1790. 

Il 28 agosto e' anche il giorno di nascita dello scrittore e poeta tedesco. Mar ha sottolineato l'importanza del viaggio come veicolo di conoscenza e di confronto tra popoli e tra culture, soprattutto in una citta' come quella di Venezia, da sempre crocevia di scambi e incontri culturali. 

L'assessore ha inoltre posto l'accento sull'importanza della storia: "il passato non deve essere considerato qualcosa di morto - ha concluso - ma deve aiutarci a comprendere il presente e a progettare il futuro. E' questo che stiamo facendo qui a Venezia, anche per quanto riguarda le soluzioni che stiamo mettendo in atto per la gestione dei flussi turistici". 


Venezia rappresenta una delle prime tappe importanti del "Viaggio in Italia" di Goethe. Il poeta si fermo' nella citta' lagunare per due settimane, nell'autunno del 1786. Meno noto e' invece il suo secondo soggiorno a Venezia, avvenuto nella primavera del 1790, in cui si trattenne quasi due mesi in citta'; inizialmente da solo ed in veste privata, poi in compagnia della duchessa Anna Amalia di Weimar, con la quale partecipo' alla vita mondana della Serenissima. 

Goethe venne comunque registrato dalla polizia segreta veneziana, cosi' come accadeva a tutti gli altri visitatori: a seguito delle notizie provenienti dalla Francia rivoluzionaria, la Repubblica voleva sapere esattamente chi fosse presente in citta'.



Disegno di Tischbein che ritrae Goethe di spalle 
mentre si sporge da una finestra semiaperta.

22/07/17

Ritorna in libreria: "Roma, Firenze, Venezia", lo straordinario saggio di Georg Simmel.




Meritevole la ristampa finalmente in Italia, da parte di Meltemi, la piccola casa editrice di Sesto San Giovanni, di Roma, Firenze, Venezia, saggio capitale scritto da Georg Simmel tra il 1898 (Roma) e il 1906-1907 (Firenze e Venezia), dopo intensi viaggi in Italia. 

Georg Simmel (1858-1918), filosofo e sociologo tedesco, è considerato uno dei padri fondatori della sociologia e uno dei più noti interpreti della modernità. Nato nel 1858 a Berlino da genitori di origini ebraiche, studia storia e filosofia all’Università Humboldt di Berlino, dove insegna fino al 1914. Costretto in una posizione marginale dall’antisemitismo dell’ambiente accademico tedesco, Simmel è tuttavia al centro della vita intellettuale berlinese. Nel 1909 fonda insieme a Weber e Tönnies la Società tedesca di sociologia. Nel 1914 ottiene una cattedra a Strasburgo. L’inizio della Grande guerra, tuttavia, gli impedisce di insegnare. Durante la guerra scrive le sue ultime opere, riguardanti esclusivamente la filosofia della vita. Muore quasi contemporaneamente alla fine del conflitto, a Strasburgo, nel 1918. 

Si tratta di un piccolo saggio - in tutto non più di 35 pagine (la parte più lunga è riservata a Roma - eppure molto raramente ci si imbatte nella vita di lettore in qualcosa di così straordinariamente denso, e illuminante in ogni singola parola. 

Si potrebbe dire - senza timore di esagerare - che Simmel è davvero il padre della moderna saggistica, attuando nel genere una rivoluzione pari a quella che operarono gli impressionisti nel campo della pittura.

Alle tre città amate, Simmel dedica un'opera dal potente significato estetico, riuscendo a cogliere in modo originalissimo, moderno, l'anima, più che la struttura urbana, architettonico o artistica. In Roma l'analisi ruota attorno alla bellezza unica della città prodotta dalla miracolosa unione di una moltitudine di elementi (apparentemente caotici) sparsi nel tempo e nello spazio, in grado di produrre una armonia perfetta.  Roma assegna a ciascuno il suo posto, scrive Simmel proprio perché a Roma il passato diventa presente o anche viceversa: il presente diventa a tal punto onirico, sovrasoggettivo, quieto, da sembrare il passato. 

In Firenze, Simmel ritrova i temi della fusione tra spirito e natura che ne hanno fatto la città simbolo del Rinascimento, non soltanto storicamente, ma anche nella modernità. Firenze, scrive Simmel, è la felicità degli uomini compiutamente maturi che hanno raggiunto l'essenza della vita o vi hanno rinunciato e che, per tale possesso o tale rinuncia, vogliono cercare unicamente la sua forma. 

Infine in Venezia, forse il saggio più intenso, Simmel si concentra sul tema dell'assenza della verità, in una città dominata dalla realtà esteriore, dall'estetica, che pregiudica l'armonia delle parti, dando luogo alla tragedia della modernità. Venezia, scrive Simmel, conserva tale bellezza come pietrificata, incapace di contribuire alla vitalità e allo sviluppo del vero essere.

Un libro che si legge in un fiato e che resta, come consolazione vera e punto di riferimento. Con una ottima introduzione di Andrea Pinotti. 






08/07/17

L'incredibile vicenda di Sebastiano Caboto, esploratore veneziano del '500 in un nuovo libro.



A Sebastiano Caboto, l'esploratore veneziano che nel 1526 intraprese per conto del re di Spagna un importante viaggio lungo le coste e alcuni fiumi del continente sudamericano, e' dedicato un libro

Lo ha scritto Gherardo La Francesca, gia' ambasciatore d'Italia in Brasile, "Sebastiano Caboto. Storia di un viaggio nel cuore profondo del continente sudamericano" e' la fedele ricostruzione storica della spedizione geografica diretta dal navigatore italiano attraverso l'Oceano Atlantico, per risalire oltre milleduecento chilometri lungo il corso dei grandi fiumi latinoamericani e penetrare nel cuore profondo e sconosciuto del continente

La storia, ricostruita con l'ausilio di un prezioso repertorio documentale e corredata da 74 riproduzioni di altrettante mappe, documenti, stampe e strumenti nautici del XVI e del XVII secolo, segue le varie tappe del viaggio del navigatore italiano che, partendo dal porto andaluso di San Lucar de Barrameda al comando di quattro navi, dopo una sosta nelle isole Canarie che allora costituivano l'ultimo avamposto del mondo conosciuto, si addentro' nelle acque ancora quasi inesplorate dell'Oceano Atlantico. 

Popolate, secondo leggende ancora assai diffuse, da mostri marini e caratterizzate da acque ribollenti, interminabili calme e improvvise violentissime tempeste. 


"A rileggere il resoconto della spedizione Caboto - ha affermato Pierangelo Campodonico, direttore del Galata Museo del Mare - vengono in mente le pagine di Cuore di tenebra di Joseph Conrad: anche qui, si puo' dire che dentro il cuore dell'uomo bianco si annida un demone insaziabile. La risalita del Parana', come quella del fiume conradiano, e' in realta' una discesa agli inferi, un viaggio nell'alterita'. Stupisce questa capacita' di adattamento dell'uomo che ha respirato l'aria del Rinascimento, di adattarsi e di sentirsi a suo agio in ogni contesto

"La Francesca - sottolinea la professoressa Maria Rosaria nella presentazione del libro - attinge alla sua personale esperienza di esperto navigatore per spiegare le difficolta' e i problemi tecnici legati all'attraversata atlantica e all'esplorazione di Caboto: distanze in miglia, nodi, venti, correnti marine, tipologie e limiti delle imbarcazioni"

L'autore infatti con la sua barca, costruita a Taiwan, chiamata Pulcinella, ha attraversato il Mar della Cina Meridionale, lo stretto di Malacca, l'Oceano Indiano, il Mar Rosso, il Mediterraneo e da ultimo nel 2014 l'Oceano Indiano. Il volume, e' uscito per la prima volta nel 2015 in Paraguay e ora in traduzione italiana. La Francesca e' nato a Roma nel 1946. Laureato in Giurisprudenza, e' stato diplomatico in Grecia, Egitto, Giappone, Argentina, Cipro e Brasile.