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17/07/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 36. "Il Vangelo secondo Matteo" di Pierpaolo Pasolini (1964)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 36. "Il Vangelo secondo Matteo" di Pierpaolo Pasolini (1964)

Pasolini scopre il Vangelo quasi per caso, durante un soggiorno ad Assisi nel quale voleva incontrare Papa Giovanni XXIII

Ne rimane subito profondamente colpito, per due motivi principali: «Dal punto di vista religioso, per me, che ho sempre tentato di recuperare al mio laicismo i caratteri della religiosità, valgono due dati ingenuamente ontologici: l’umanità di cristo è spinta da una tale forza interiore, da una tale irriducibile sete di sapere e di verificare il sapere, senza timore per nessuno scandalo e nessuna contraddizione.  Inoltre: per me la bellezza è sempre una “bellezza morale” non mediata, ma immediata, allo stato puro, io l’ho sperimentato nel Vangelo.» 

C’è poi il Pasolini marxista che da quindi una lettura più politica del Cristo, ma mai dogmatica, sempre personalissima e aperta ai temi universali dell’uomo: «Seguendo le accelerazioni stilistiche di Matteo alla lettera, la funzionalità barbarico-pratica del suo racconto la figura di Cristo dovrebbe avere, alla fine, la stessa violenza di una resistenza: qualcosa che contraddica radicalmente la vita come si sta configurando all’uomo moderno, la sua grigia orgia di cinismo, ironia, brutalità pratica, compromesso, conformismo, glorificazione della propria identità nei connotati della massa, odio per ogni diversità, rancore teologico senza religione

Il Vangelo doveva essere secondo me un violento richiamo alla borghesia stupidamente lanciata verso un futuro che è la distruzione dell’uomo, degli elementi antropologicamente umani, classici e religiosi dell’uomo.» 

 E’ interessante vedere come le scelte registiche del film prendano una direzione inaspettata per lo stesso Pasolini, come se la materia sacra lo avesse trascinato verso una direzione diversa da quella che si era prefissato di seguire:

"Il Vangelo mi poneva il seguente problema: non potevo raccontarlo come una narrazione classica perché non sono credente ma ateo. D’altra parte io volevo filmare Il Vangelo secondo Matteo, dunque raccontare la storia del Cristo figlio di Dio, dunque raccontare una storia alla quale non credevo. Dunque non potevo essere io a raccontarla. E’ così che, senza precisamente volerlo, sono stato portato a rovesciare tutta la mia tecnica cinematografica e che è nato questo magma stilistico che è proprio al “cinema di poesia”. Perché, per poter raccontare il Vangelo, ho dovuto tuffarmi nell’anima di qualcuno che crede. Qui è il discorso libero indiretto: da una parte la narrazione è vista attraverso i miei occhi, dall’altra attraverso gli occhi del credente. Ed è l’utilizzazione di questo discorso libero indiretto che è causa della contaminazione stilistica, del magma in questione.»

Pasolini però, con grande pudore e rispetto, si ferma nel punto in cui il suo sguardo di ateo e il mezzo cinematografico stesso non possono arrivare: «Io avrei potuto demistificare la reale situazione storica, nei rapporti tra Pilato e Erode, avrei potuto demistificare quella figura di Cristo mitizzato dal romanticismo, dal cattolicesimo della Controriforma, avrei potuto demistificare tutte queste cose, ma poi come avrei potuto demistificare il problema della morte? Cioè il problema che non posso demistificare è quel tanto di profondamente irrazionale, e quindi in qualche modo religioso che è il mistero del mondo. Quello non è demistificabile».

Un film, il film, a mio avviso più straordinariamente fedele - nella sua infedeltà - al racconto dei Vangeli e alla inaudita vicenda della vita del Cristo.






06/09/13

Una bellissima intervista a Enrique Irazoqui, il "Gesù" di Pasolini - di Marco Cicala.





Sull'ultimo numero del Venerdì di Repubblica, Marco Cicala ha pubblicato questa bellissima intervista a Enrique Irazoqui, il Gesù di Pasolini (nel Vangelo Secondo Matteo).  La riporto qui integralmente perché oltre ad essere scritta benissimo è piena di aneddoti e di ricordi di un personaggio singolare, quale è appunto Irazoqui, praticamente scomparso dalle scene dopo quel clamoroso esordio.  La vicenda appare realmente una sorta di film nel film. Buona lettura. 

Cadaqués. 

Gesù non beve. Fu­mava, ma ha smesso. Era marxista. Ha smesso. Da giovane, l'ha stracciato a scacchi il princi­pe del dadaismo; ha rubato la scena al pa­dre della beat generation; ha mangiato i tortellini in trattoria con Elsa Morante. Eandava da Rosati assieme a quelli che an­davano da Rosati: Guttuso, Moravia, Maraini: «Ma se c'era Elsa, Dacia non veniva». 

Vabbè però adesso basta col giochetto: Gesù si chiama Enrique Irazoqui e nella sua vita avanti Cristo era uno studente di econo­mia all'università di Barcellona. Militava pure nel sindacato giovanile. Comunista. Clandestino. Perché al volante della Spagna c'era Francisco Franco. Per via della madre (nata, quasi un presagio, a Salò) Enrique sela sbrogliava bene con l'italiano, e così il Par­tito lo spedì a Firenze e Roma in missione speciale. Si trattava di cercare appoggi tra i big della politica e della cultura. Sostegno pecuniario, ma non solo: «Volevamo invitar­li in Spagna a tenere conferenze contro ladittatura. Se li lasciavano parlare, bene. Se li arrestavano, pure meglio. Lo scandalo ci avrebbe fatto ancora più gioco». 

Era il feb­braio 1964. Irazoqui aveva 19 anni e un bel volto angoloso da antico eresiarca. In Italia venne preso in consegna da un gentil accompagnateur del Pci. Gli fecero vedere La Pira, Pratolini, Nenni, Bassani... Per ultimo lo por­tarono all'Eur, da Pasolini. Avvertendolo: «Guarda che è poeta. E omosessuale». Enrique Irazoqui sedeva a casa di PPP e quello lo ascoltava in piedi, girandogli intor­no senza spiccicare parola. Alla fine disse: «D'accordo, verrò in Spagna. Ma prima tu devi farmi un favore». Quale? «Interpretare Gesù nel mio prossimo film». Pardon? «Sarà un racconto epico-lirico, in chiave nazional-popolare, sai Gramsci? Dobbiamo restituireCristo al popolo. Perché gli è stato rubato dalla classe dominante». Irazoqui era allibito. «Risposi di no. Per me la religione significava il cattofascismo franchista. Ero un ateo militante. Fedele al motto di Kropottón secondo cui L'unica chie­sa che illumina è quella che brucia». Parole sante, «ma non ti hanno mandato in Italia anche a raccogliere soldi?» gli bisbigliò, luciferino, l'emissario del Pci. «Guarda che se accetti sono m-i-l-i-o-n-i». Eh già. Allora affa­re fatto. Prodigi del materialismo dialettico. Tempo pochi giorni, Enrique, ancora mino­renne, ottiene il nihil obstat dei genitori. Sarà sua madre a negoziare il contratto col pro­duttore Alfredo Bini. 

Le riprese del Vangelo secondo Matteo lo porteranno a Barletta, Crotone, Matera... Un Meridione dove «i vol­ti degli uomini parevano scavati nel diaman­te e nel carbone». Un sud «molto, ma moolto più sud di quello spagnolo». Nelle pause di lavorazione, donne di nero vestite gli chie­devano miracoli. Così, a la carte. Ma poi sor­prendendolo con la cicca in bocca, si ritira­vano sdegnate. Perché Cristo non fuma. Temendo che a quasi mezzo secolo dal film non lo riconoscessi, Irazoqui mi è venuto incontro benedicendo. Porta un panama si­gnorile e scarpe minorchine. 

Da anni vive qui a Cadaqués, che fu la Saint-Tropez catalana e il Vittoriale mediterraneo, ora casa museo, di Salvador Dalí. «Quel fascistone» dice En­rique accenando alla (brutta) statua del Divi­no, che domina la baia e lo ritrae molto più ricciuto del vero: diresti Sor Pampurio. Sediamo nel bar accanto a quello dove Irazoqui, giocatore precocissimo e temibile, batteva a scacchi Duchamp: «Era stato un asso, ma ormai aveva i suoi anni. Alla fine, la moglie Teeny mi pregò: Evita le partite con Marcel, che poi la notte sta lì a rimuginare e non mi dorme». C'era anche John Cage: «Simpa­ticissimo. Mai visto scacchista peggiore» sogghigna Gesù. E punzecchia: «Vediamo se anche lei mi farà la domanda che tutti mi ri­volgono nelle interviste. Quale? Glielo dirò alla fine». 

intervista pubblicata dal Venerdì di Repubblica e ripresa da Pasolini.net