Visualizzazione post con etichetta tombe. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta tombe. Mostra tutti i post

17/08/21

A Pompei la scoperta di una tomba mummificata è un vero giallo !

 


Una tomba particolarissima, a recinto, con una facciata decorata da piante verdi su fondo blu e una camera per l'inumazione in un periodo in cui nella citta' i corpi degli adulti venivano sempre incenerati. 

Ma anche un'iscrizione marmorea dalla quale arriva la prima conferma che nei teatri della colonia romana, almeno negli ultimi decenni prima dell'eruzione del 79 d.C, si recitava pure in lingua greca.

E' ancora una volta una storia affascinante e piena di mistero quella che arriva dall'ultima straordinaria scoperta del Parco Archeologico di Pompei, riportata alla luce grazie ad una campagna di scavi condotta insieme con l'Universita' Europea di Valencia.

Un ritrovamento sul quale e' al lavoro un team interdisciplinare di esperti e da cui ci si aspetta tantissimo - sottolineano unanimi il direttore del Parco Gabriel Zuchtriegel e Llorenç Alapont dell'Universita' di Valencia - anche per le condizioni di conservazione del defunto, che appare in parte mummificato, la testa ricoperta di capelli bianchi, un orecchio parzialmente conservato, cosi' come piccole porzioni del tessuto che lo avvolgeva

"Uno degli scheletri meglio conservati della citta' antica", anticipa all'ANSA Zuchtriegel. Di fatto, insomma, una miniera d'oro di dati scientifici. 

"Pompei non smette di stupire, si conferma una storia di riscatto e un modello internazionale", applaude il ministro della cultura Franceschini ringraziando "le tante professionalita' dei beni culturali che con il loro lavoro non smettono di regalare al mondo risultati straordinari che sono motivo di orgoglio per l'Italia".

Costruita subito all'esterno di Porta Sarno, uno degli importanti varchi di accesso alla citta', la tomba, che risale agli ultimi decenni di vita di Pompei appartiene a Marcus Venerius Secundio, un liberto che nella vita era stato prima il custode del Tempio di Venere, un tempio molto importante perche' proprio a Venere i romani avevano intitolato la citta', nonche' minister degli augustali e infine, sicuramente solo dopo la liberazione, anche Augustale, ovvero membro di un collegio di sacerdoti del culto imperiale. 

Un ex schiavo, quindi, che dopo il riscatto aveva raggiunto un certo agio economico, abbastanza da potersi permettere una tomba di livello in un luogo assolutamente di prestigio. 

E tanto da potersi vantare , proprio nell'iscrizione del suo sepolcro, di aver dato "ludi greci e latini per la durata di quattro giorni", cosa che poteva assimilarlo alla classe sociale piu' elevata e piu' colta della cittadina, perche' in quel periodo, spiega Zuchtriegel, nell'area del Mediterraneo "la lingua greca era un po' come oggi per noi l'inglese" , molto diffusa, quindi, ma non alla portata di tutti a Pompei dove comunque le famiglie piu' agiate impazzivano per Omero, Eschilo, Euripide.

Tant'e', i primi esami sul corpo ci dicono che la morte ha colto il nostro uomo gia' anziano, " Doveva avere piu' di 60 anni e non aveva mai svolto lavori particolarmente pesanti", anticipa il direttore. Dati compatibili con le caratteristiche del suo nome, che lo indica come un ex schiavo 'pubblico', uno dei tanti che a Roma o nelle citta' di provincia svolgevano lavori di custodia o amministrativi. 

Ma perche' farsi inumare, scegliendo per se' un rito che veniva usato in epoca molto piu' antica piuttosto che nel mondo greco ma non a Pompei dove, con la sola eccezione dei bambini, i cadaveri venivano cremati? 

Tra le ipotesi possibili, ragiona il direttore generale dei musei statali Massimo Osanna, quella che Marcus Venerius Secundio si sentisse o fosse estraneo al corpo sociale della citta', uno straniero insomma, forse arrivato proprio da qualche altro luogo dell'impero romano o da Roma "dove in quel periodo alcune famiglie continuavano a praticare l'inumazione, cosa che diventera' poi usuale dal secolo successivo"

I misteri non si esauriscono qui: nel recinto della tomba, alle spalle della cella sigillata nella quale era adagiato il corpo di Secundio, sono state trovate due urne, una delle quali in vetro appartiene ad una donna chiamata Novia Amabilis, forse la moglie del defunto, ipotizzano gli archeologi, per la quale si sarebbe usato un rito piu' propriamente pompeiano.

Ma perche' alla signora sarebbe stato riservato un trattamento diverso? Senza contare il giallo della parziale mummificazione del cadavere di Secundio che potrebbe essere dovuta alla perfetta chiusura della camera sepolcrale, certo, ma anche ad una pratica di imbalsamazione: "Potremo capirne di piu' dall'analisi dei tessuti - ci dice Alapont - dalle fonti sappiamo che determinate stoffe come l'asbesto venivano usate per l'imbalsamazione"

Il professore allarga le braccia: "Anche per chi come me si occupa di archeologia funeraria da tempo, la straordinaria ricchezza di dati offerta da questa tomba, dall'iscrizione alle sepolture , ai resti osteologici e alla facciata dipinta, e' un fatto eccezionale, che conferma l'importanza di adottare un approccio interdisciplinare, come l'Universita' di Valencia e il Parco archeologico di Pompei hanno fatto in questo progetto". 

Studi, analisi e nuove ricerche potranno insomma far luce su questo mistero e nello stesso tempo aggiungere tanti altri preziosi tasselli alla storia della citta'. Intanto si studia come includere anche la necropoli di Porta Sarno e la tomba di Secundio nell'itinerario delle visite. "Al momento purtroppo non e' possibile perche' il terreno su cui si trova e' al di la' della ferrovia Circumvesuviana, ma e' solo una questione di tempo - assicura Zuchtriegel- siamo al lavoro su uno studio di fattibilita'"

13/07/21

Incredibile scoperta in Sudan: Tombe islamiche distribuite come galassie nel cosmo


Le tombe islamiche costruite nei millenni nella regione sudanese del Kessala sono distribuite secondo uno schema simile a quello delle galassie: grazie a un modello statistico usato in astrofisica si e' infatti scoperto che le sepolture sono raggruppate a centinaia intorno a nuclei dove si trovano probabilmente quelle piu' antiche e importanti

Lo dimostra lo studio pubblicato sulla rivista Plos One dai ricercatori dell'Universita' di Napoli 'L'Orientale', della Statale di Milano e dell'Universita' di Newcastle, nell'ambito di una cooperazione internazionale che fa riferimento alla National Corporation for Antiquities and Museum del Sudan. 

Il lavoro, condotto in collaborazione con l'archeologa sudanese Habab Idriss Ahmed, ha preso in esame oltre 10.000 monumenti funerari identificati in un'area di oltre 4.000 chilometri quadrati grazie alle immagini satellitari e alle ricerche sul campo

"Disponevamo di scarsissime fonti scritte e orali circa l'origine delle tombe, che sono migliaia, tutte uguali e non sono mai state scavate", dice all'ANSA il primo autore dello studio, Stefano Costanzo dell'Universita' di Napoli L'Orientale. 

Grazie al modello statistico NCSP (Neyman-Scott cluster process), originariamente sviluppato per studiare la distribuzione di stelle e galassie, e' emerso "che effettivamente le grandi necropoli di 3-4000 tombe celano una struttura a sottocluster che non e' immediatamente identificabile a occhio nudo, ma che con buona probabilita' - afferma Costanzo - si e' formata secondo dinamiche sociali proprie dei gruppi umani del territorio". 

24/10/19

Spunta da uno scavo a Roma la "Tomba della Pellegrina" !





La sepoltura di una giovane donna, con accanto la tipica conchiglia dei pellegrini e una moneta databile tra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo. E' la nuova scoperta annunciata dalla Soprintendenza speciale di Roma. 

"Un ritrovamento che ci svela un pezzo della vita medievale della citta'", commenta la soprintendente Daniela Porro. 

Si tratta di un ritrovamento casuale, avvenuto durante gli scavi per la sostituzione delle tubature Italgas in via del Governo Vecchio, in pieno centro storico

Si tratta, spiegano gli archeologi, di due diversi contesti funerari. Nel primo sono stati ritrovati due scheletri, quello della giovane donna con la conchiglia e quello di un uomo sui 30-40 anni. 

Il secondo e' un'area cimiteriale con muretti divisori a ridosso di un grande muro in opera laterizia che presenta diverse fasi. Al suo interno diverse sepolture, tutte , sembra, riconducibili all'epoca medievale. 

Le conchiglie rinvenute accanto agli scheletri, spiegano dalla Soprintendenza, "portano ad ipotizzare un cimitero destinato ai pellegrini e realizzato lungo la via Papalis, la strada che da San Giovanni conduceva a San Pietro". 


Nel primo contesto funerario, sotto le due sepolture dell'uomo e della giovane donna, raccontano gli archeologi, "Sono stati trovati due ossari chiusi con tegole antiche (una reca un bollo di epoca traianea), riutilizzate in epoca successiva. Le sepolture sono compromesse da precedenti lavori e non sono presenti elementi di corredo funerario con l'eccezione di una moneta di bronzo accanto alla donna databile tra la fine dell'XImo e il XIImo secolo, e di altri frammenti di conchiglie". 

Il secondo deposito individuato, particolarmente danneggiato da interventi moderni, e' un'area cimiteriale "con muretti divisori a ridosso di un grande muro in opera laterizia che presenta diverse fasi e assimilabile ad analoghe strutture documentate all'interno dell'adiacente Oratorio dei Filippini.

Le sepolture sembrerebbero tutte riconducibili all'epoca medievale. Le conchiglie rinvenute accanto agli scheletri sono della specie Pecten jacobaeus conosciute anche con il nome di capesante; sono infatti caratterizzate dalla presenza di due fori per appenderle alla tipica collana indossata inizialmente dai devoti in viaggio per Compostela e successivamente da tutti i pellegrini". 

Le sepolture sono probabilmente pertinenti alla Chiesa medioevale di Santa Cecilia a MonteGiordano, la cui prima attestazione risale al 1123 e che venne demolita nella prima meta' del XVII secolo per fare spazio alla costruzione dell'Oratorio dei Filippini completato da Francesco Borromini.

Gli scavi archeologici si sono conclusi venerdi' 18 ottobre con la chiusura del cantiere. I materialirinvenuti sono in fase di studio e potranno fornire ulteriori informazioni ed elementi per la datazione.

22/01/18

Spuntano ai piedi di un sepolcro sull'Appia Antica due tubi di piombo sotterrati nel 1929: contengono un disperato carteggio d'amore.


Visitando la meravigliosa area archeologica di Capo di Bove sulla Via Appia Antica, ho scoperto una storia incredibile. 


Durante gli scavi condotti nel 1999 dalla Soprintendenza Archeologica di Roma,  nell'area ai piedi di uno dei monumenti funerari più belli della Regina Viarum, il cosiddetto Sepolcro Dorico fu scoperto un gruppo di lettere d'amore contenute in tubi di piombo sepolti al quarto miglio della Via Appia Antica nel 1929.

Il contenuto - lettere e documenti - e gli stessi tubi sono oggi conservati in una speciale, piccola teca.  



Essi raccontano di una storia appassionata e infelice che l'amante disperato volle  salvaguardare e destinare al futuro seppellendone i ricordi ai piedi

Il cosiddetto sepolcro Dorico, nelle vicinanze, è detto così  per lo stile del fregio visibile nella parte superiore e fu ricostruito alzandone la fronte in blocchi squadrati di peperino, al cui centro si trova un rilievo con scena di caccia o combattimento. 

Nel corso delle ricognizioni del 1999, quando fervevano i lavori per l’imminente Giubileo, furono scoperti i due tubi di piombo con la data incisa sul metallo, 30 settembre 1929.


Problemi sempiterni e contemporanei, non storia antica: una sfortunata corrispondenza amorosa. «L’amante infelice avrebbe bruciato le sue lettere, se avesse voluto semplicemente distruggerle», assicura Rita Paris, direttrice dei monumenti archeologici della via Appia, quasi giustificandosi per la sua curiosità di studiosa.


Signorina Letizia, alla domanda che mi ha rivolto ieri sera non avrei potuto rispondere allora e spiegarle il motivo di quella mia curiosità perché, anche se non ci fosse stata un’altra persona, non mi sarebbe certo bastato in quel momento l’animo, tanto improvvisamente quella domanda tramandata dalla sua bocca mi ha scosso, e lo scherno del collega mi ha richiamato alla realtà.

L’uomo che ha scritto queste parole in una lettera, semplice e gentile, si chiama Ugo H.: è sposato e ha due figli.

Lei – Letizia L. – lavora nel suo ufficio, è nubile ed è più giovane di lui. I due, fatalmente, si sono innamorati. 

Sul primo contenitore si leggono le iniziali “U.H.”, sull’altro “L.L”.

Nel 1929, l’anno dei patti Lateranensi, l’anno in cui si saldano religione cattolica e ‘morale’ di Stato, l’amore di Ugo H. e Letizia L. – amanti impossibili – sembra definitivamente segnato.

 Si scrivono da tre anni, Ugo H. e Letizia L.: la prima lettera è datata 20 marzo del 1926. Si scrivono ciò che non si sentono autorizzati a vivere ed hanno goduto della lettura di tante e tante lettere, intense e appassionate, in cui l’uno ha sfiorato - appena - la ‘vita sognata’ dell’altro. Ma per Letizia L. quell’amore, col tempo, si fa sempre più rischioso: è una donna. Qualora si determini a non portare avanti, nell’ipocrisia, quel loro amore e a rompere il suo matrimonio, Ugo H. può cavarsela con una condanna morale. Per lei i rischi sono maggiori, potrebbe incorrere in condanne penali.


L’infelicità da un lato, sanzioni e prigione dall’altro: la storia di Ugo H. e Letizia L. deve finire. Le loro lettere sempre più audaci e ‘pericolose’ devono sparire. Nella sua ultima lettera, del 29 settembre 1929, Ugo H. chiede a Letizia L. di consegnargli tutte le lettere che le ha scritto: troppo compromettenti per poter essere conservate in un cassetto. Se un giorno qualcuno dovesse trovarle, che ne sarebbe di lei? Ma Ugo H., per amore, le nasconde la verità: ha in mente qualcosa di straordinario.

Dissaldato il tappo del contenitore, gli scopritori di allora si trovarono di fronte un pacco di lettere e i documenti nonché una foto di lui in ufficio e il “ritratto di Ugo” fatto a carboncino” e firmato da Letizia L.

Nel 1929 il IV miglio dell’Appia non è facile da raggiungere. Non si può arrivare lì per caso: la città finisce molti chilometri prima. Quel posto si deve scegliere. Una volontà precisa, del resto, che è tradita anche dagli involucri di piombo per conservare e preservare quelle lettere. E poi l’incisione della data. Tutto dice di un progetto chiarissimo e lucido in cui - come ad un messaggio nella bottiglia si chiede di varcare l’oceano – così si è affidato a quei due poveri tubi di piombo un amore capace di attraversare i marosi del tempo, per consegnare ad altri - su altre rive - la coscienza e la verità di un sentimento che non può morire e che non può essere nascosto.

Questo è il progetto che brilla nel cuore e negli occhi di Ugo H., mentre interra tra le lacrime le sue lettere d’amore e quelle di Letizia. Gli è chiaro che non è quel loro amore ad essere ‘sbagliato’, lo è solo quel loro tempo immaturo. E - ci piace pensare - se ne accorge rileggendo l’incipit della sua prima lettera, in cui solo ora, seduto sugli argini erbosi dell’Appia, si rende conto d’aver usata tre anni prima, una parola chiaroveggente. ‘Tramandata dalla sua bocca’, ha scritto tre anni fa a Letizia L., nel tentativo di spiegarle l’imbarazzo suscitato dalla sua domanda. Ugo H. sa ora, mentre ricopre di terra quelle loro lettere, che l’Amore vero, quello che vince il tempo, si tramanda. L’eternità, pensa Ugo H., nel radioso settembre del 1929, si realizza nella fiducia piena in quel Desiderio che tutto unisce, accoglie e preserva l’Universo. E come tutto, anche quel desiderio è destinato a trasformarsi, per passare da un cuore ad un altro. In quel Desiderio, ancora oggi, Ugo H. si può riconoscere e con lui tutti gli uomini e le donne che non si sottraggano al peso gioioso di quella eredità che ci fa – in un punto – incontrare l’Amore e trovare, poi, le parole per dirlo e tramandarlo al di là di ogni tempo.

foto di Fabrizio Falconi

Fonte: soprintendenza dei Beni Culturali- Via Appia Antica e Luca De Risi per Stampa Critica

16/11/16

Archeologia: dalla tomba dei Guinigi a Lucca spunta fuori una dentiera di 4 secoli fa.




Durante la pulizia e il restauro dei resti scheletrici rinvenuti all'interno della tomba collettiva dei Guinigi, a Lucca, e' venuta alla luce una protesi dentaria in oro di particolare interesse, sia per le modalita' di esecuzione, sia per la rarita' del ritrovamento

Lo studio del prezioso reperto e' stato effettuato da un team di paleopatologi dell'Universita' di Pisa.

"Lo studio del contesto archeologico - spiega la paleopatologa, Simona Minozzi - non ha permesso una datazione precisa per la protesi che comunque si colloca tra la fine del XIV secolo e l'inizio del XVII secolo, e malgrado esistano descrizioni di apparecchi simili nei testi del periodo, non sono conosciute altre evidenze archeologiche. La protesi dentaria ritrovata nella tomba dei Guinigi e' la prima testimonianza di protesi dentale di questo periodo storico e un prezioso tassello per la storia dell'odontoiatria". 

La protesi e' formata da cinque denti mandibolari umani tenuti assieme da una lamina metallica in oro: la forma e le dimensioni la rendono adatta alla sostituzione dell'arcata anteriore mandibolare. 



I denti, canini e incisivi disposti senza rispettare la corretta sequenza anatomica, appartengono a individui diversi. 

Per la realizzazione dell'apparecchio la radice di ciascun dente e' stata limata e tagliata longitudinalmente e all'interno del taglio e' stata inserita una sottile lamina d'oro alla quale i denti sono stati assicurati attraverso piccoli perni. 

La lamina fuoriesce ai due lati della protesi con due alette piegate ad S, sulle quali sono presenti due piccoli fori che garantivano l'ancoraggio ai denti ancora in situ nella mandibola, di cui non e' pero' stata trovata traccia. 

Infatti, i tentativi di associazione con le numerose mandibole rinvenute nella tomba collettiva che raccoglieva i resti di quasi un centinaio di individui, sepolti assieme alla protesi, non hanno dato esito positivo. In ogni caso, la presenza di un deposito di tartaro sulla superficie dei denti dimostra che l'apparecchio fu portato a lungo.



29/06/16

29 giugno a Roma: La 'maledizione' delle reliquie di Pietro e Paolo.




La maledizione delle reliquie di Pietro e Paolo.

A Roma, i luoghi dove la forte e persistente tradizione del passato voleva che fossero stati martirizzati i due fondatori della cristianità in occidente, ovvero Pietro e Paolo, e dove la stessa tradizione voleva fossero conservati i loro resti mortali, sono stati a lungo e per molti secoli protetti da un’atmosfera di timore reverenziale.

Così un erudito romano, Stefano Borgia, nel 1776 poteva tranquillamente scrivere che nella zona del Vaticano, ad esempio, mai nessuno aveva tentato di indagare, di scavare o muovere qualcosa né tanto meno di cercare le spoglie del corpo dell’Apostolo, dai tempi dell’Imperatore Costantino, da quando cioè una basilica era stata edificata sulla tomba di Pietro.

Questo timore reverenziale, che si trasformò in vero e proprio panico all’idea di curiosare nelle tombe dei due apostoli, era stato espresso molti secoli prima da Gregorio Magno, il quale, in una lettera indirizzata alla imperatrice di Bisanzio, Costantina, rispondeva alla richiesta di sovrana di ottenere la reliquia della testa dell’Apostolo Paolo per adornare la sua cappella Imperiale e proseguirne il culto in Oriente, scriveva – negando ovviamente la proposta: A Roma e in tutto l’Occidente sarebbe cosa del tutto intollerabile e sacrilega toccare il corpo dei due santi.

E proprio per evitare qualunque contatto con i resti mortali di Pietro e Paolo, lo stesso Papa Gregorio I e molti altri pontefici dopo di lui, raccomandavano l’uso dei cosiddetti brandea,  cioè di pezzi di tessuto che erano venuti a contatto anche indirettamente con i sacri sepolcri. 

Tradizione che si è trasmessa fino ai giorni nostri quando ad esempio, dopo la morte di Giovanni Paolo II, sono stati diffusi in forma di reliquia, porzioni minime della stoffa degli abiti indossati dal Papa divenuto già santo.

La paura di profanare le tombe degli Apostoli si legò nel corso dei secoli alla leggenda nera che riguardava coloro che avevano osato disturbare il sonno mortale dei discepoli di Cristo.

Un esempio eclatante di questo terrore, si ebbe nel 1626, allorquando per ancorare le quattro le pesantissime colonne tortili che sorreggono il baldacchino berniniano al centro della Basilica di San Pietro, fu necessario scavare al di sotto del pavimento della Basilica.

Una incredibile serie di sciagure e di incidenti si abbatterono sulle maestranze al lavoro, rallentandone l’opera, subito raccolte dalla voce popolare.

Il canonico di San Pietro dell’epoca, particolarmente colpito da quelle sventure che sembravano non volersi esaurire (incidenti, morti improvvise, malattie, rovine personali), si ricordò della lettera di Papa Gregorio, e la fece circolare presso dotti e indotti  per farla interpretare.

Lo spavento fu tale che per costringere gli operai e i tecnici a completare il lavoro, ci fu bisogno di un intervento autoritario del Papa – Urbano VII – il quale non poteva consentire che l’immane lavoro fosse lasciato a metà.

Ma la persistenza della leggenda legata alla profanazione dei resti di Pietro rimase così a lungo, che soltanto nel secolo scorso, nel 1939, e per l’esattezza il 28 giugno, un Papa – Pio XII – ebbe l’ardire di abbassare il pavimento delle Grotte Vaticane, in tal modo iniziando quei lavori che, durati dieci anni, portarono al rinvenimento delle più che presunte ossa dell’Apostolo (identificate poi da Margherita Guarducci e da altri archeologi).


E ovviamente, all’epoca, furono non pochi quelli che misero in connessione, in rapporto, la sventura che si abbatté sul mondo intero (con il Secondo Conflitto, le deportazioni, la morte di milioni di persone innocenti), con la profanazione della tomba dell’Apostolo che aveva portato a Roma e nell’intero Occidente il verbo di Cristo.