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21/02/22

Libro del Giorno: "Effi Briest" di Theodor Fontane


Anche durante il suo autunno, il lettore fa, di tanto in tanto, inaudite scoperte.

Non avevo mai letto Effi Briest di Theodor Fontane. Ricordavo di aver visto molti anni fa il film che ne aveva tratto Rainer Werner Fassbinder nel 1974, ma oltre alla impressione ricavata, che fosse un gran bel film, e alla stupenda fotografia in bianco e nero, non ricordavo niente della storia.

Iniziandolo senza aspettative, in breve mi sono ritrovato totalmente catturato dalla vicenda e dallo stile di Fontane.

Siamo in pieno ottocento, ma la prosa di Fontane, controllata, psicologica, quasi chirurgica, sembra già anticipare il Novecento, nel raccontare le vicende della diciottenne Effi, che va in sposa a un vecchio spasimante della madre, più grande di lei di vent'anni, un uomo rispettato e rispettabile, il Barone von Innstetten, e va a vivere con lui nella città di Kessin, sul Mar Baltico.

Nasce subito una figlia, Anna, ma Effi è spesso sola in una casa bizzarra e anche un po' spettrale: il Barone è trattenuto spesso fuori e a Berlino dal suo lavoro di prefetto, che gode la stima del principe di Sassonia.

I fantasmi che si agitano nella testa di Effi e che sembrano popolare anche il piano nobile disabitato, della casa, finiscono per portarla, quasi inconsapevolmente nelle braccia del maggiore Crampas, sposato, ma dongiovanni.

Il congegno narrativo del romanzo è perfetto. I personaggi di contorno (che non sono soltanto di contorno): i genitori di Effi, il vecchio farmacista di Kessin, devoto ammiratore di Effi, le cameriere Rosvita e Giovanna, i notabili della buona società di Kessin e perfino il cane Rollo, offrono ciascuno un contributo importante e finalizzato al raggiungimento dell'obiettivo del romanzo, le cui qualità si dispiegano, ancor più che nella descrizione della psicologia di Effi, in quelle dei caratteri e delle motivazioni dei due uomini, il maggiore Crampas e soprattutto von Innstetten.

Pur se tedesco di nascita, Fontane - come rivela il suo cognome - era di famiglia interamente francese (ugonotti trasferitisi in Prussia). Questo spiega come nel romanzo e nella sua letteratura si avvertano oltre che anticipazioni di Mann, gli echi di Flaubert e di Maupassant.

Qui, soprattutto per la descrizione del coinvolgimento emotivo dei personaggi, del loro combattimento, della battaglia persa contro quei dilemmi morali, contenuti nella stessa edificazione della società alla quale appartengono, che sabotano la felicità personale e di coppia, in nome di un rigido autocontrollo, di distorte motivazioni legate all'opportunità e alla convenienza.

Il personaggio di Effi è antesignano delle grandi protagoniste femminili del Novecento, che hanno pagato a caro prezzo e sulla propria pelle, l'emancipazione liberatoria dal ruolo in cui la vita - e la stessa letteratura - l'avevano relegate.

Il pregio maggiore del romanzo, tra i molti, è la sua capacità di esprimere mondi con l'esattezza meticolosa del taglio completo di ogni superfluo: considerazioni dell'autore, inutile moraleggiare, spreco di dettagli inutili, dilatazioni di tempi e di descrizioni; tutto invece viene economizzato e messo all'uso di una narrazione che ha bisogno di poche o pochissime parole per descrivere una malattia, una separazione o un duello.

Eccellente. Ho chiuso l'ultima pagina del libro colmo di ammirazione e gratitudine per Theodor Fontane e di umano rimpianto per i destini di Effi, del barone Innestetten e del maggiore Crampas.


15/09/21

Due fratelli geni: Heinrich e Thomas Mann, la storia del loro lungo soggiorno a Palestrina, dove è ambientato il patto col diavolo del "Doktor Faustus"




Molto si è scritto sul genio, l'affetto e la rivalità tra i due fratelli Mann, nati e cresciuti nel pieno tormento che tra fine Ottocento e inizio Novecento, mandò in fiamme e in rovina l'intera Europa. Heinrich, il fratello maggiore, primo di cinque figli, nacque proprio nell'anno in cui  - 1871 - la Germania viene unificata a seguito della guerra franco-prussiana. E' l'inizio di una serie di accadimenti tragici e devastanti per le popolazioni europee.

Suo padre è un commerciante all'ingrosso a Lubecca. Heinrich capisce ben presto che la sua vocazione non è quella di proseguire l'attività di famiglia, ma di dedicarsi all'arte, frequentando il Katharineum, il liceo più prestigioso della città, dove dimostra la sua irrequietudine, interrompendo prematuramente gli studi. 

Inizia un apprendistato presso una libreria a Dresda, ma presto finisce per stancarsi anche di questo. 

Finalmente trasferitosi a Berlino, Heinrich assapora il mondo artistico della capitale, dedicandosi ad una assidua e dissoluta bohème, spendendo tutti i soldi del padre nei bordelli della città. 

La morte del padre lo richiama a casa, il testamento del padre prevede la vendita dell'attività commerciale e tutta la famiglia si trasferisce a Monaco di Baviera e a Heinrich viene garantita una piccola rendita mensile. 

Inizia così per Heinrich, nell'ultimo decennio del XIX secolo, una nuova vita con molti viaggi: Parigi, l'Austria, l'Alto Adige e il Trentino (dove tornerà spesso, soprattutto per curarsi nel sanatorio di Riva del Garda), Milano, Firenze, Roma, Venezia, Monaco, Berlino e le Alpi bavaresi. 

Questo suo peregrinare senza meta e senza pace avrà fine nel 1895, quando si ferma a Roma per circa due anni, dove assume la direzione di una rivista, Das Zwanzigste Jahrhundert ("Il XX secolo"), un periodo molto controverso della sua vita in cui Heinrich si cimenta anche in invettive di carattere antisemite, misogine e monarchiche. 

Un periodo che metterà in imbarazzo più avanti Heinrich, profondamente cambiato dalle scelte politiche ed esistenziali della sua vita futura (divenne ferocemente antinazista e fu il primo fra i due fratelli a trasferirsi negli Stati Uniti). 

Nel frattempo, nel 1894 pubblica il suo primo romanzo: In einer Familie.

Negli anni successivi, Heinrich stringe ancora di più i rapporti col fratello Thomas, il secondogenito della famiglia e dal 1895 al 1898, durante i mesi estivi, soggiornano a Palestrina presso la “Pensione per stranieri” di Anna Bernardini, nel Palazzo omonimo al Borgo. 

La scelta di questa cittadina, che sorge su una delle sommità dei monti Prenestini, fu probabilmente dettata dalla notorietà raggiunta negli ultimi decenni dell’Ottocento, a seguito degli importanti rinvenimenti archeologici e delle campagne di scavo che lì si effettuarono; non si esclude, tuttavia, che abbia influito sulla scelta anche la passione che Thomas Mann nutriva nei confronti di Pierluigi da Palestrina, il grande compositore rinascimentale che in questo luogo ebbe i natali

Le estati trascorse nella cittadina furono per i due scrittori molto proficue. Heinrich Mann si ispirò a Palestrina per il romanzo “La piccola città” (1909) e vi ambientò la novella “Storie di rocca dei fichi”, inserita nel volume “Il meraviglioso" (1897); Thomas Mann, non solo la evocò ne “La montagna incantata”, ma vi ambientò una parte del Doktor Faustus (1947)

La scena centrale di questo romanzo, ossia il patto tra il diavolo e Adrian, il protagonista, si svolge nel salotto della pensione in cui i fratelli Mann avevano alloggiato

Ecco due brani da quel grande romanzo: l’arrivo a Palestrina di Serenus e l’apparizione di Mefistofele a Adrian, (nella traduzione di Luca Crescenzi): 

“Quando durante le ferie del 1912, partendo ancora da Kaisersaschern, feci visita in compagnia della mia giovane moglie a Adrian e a Schildknapp nel nido fra i monti sabini che avevano scelto come luogo di residenza, i miei amici vi stavano già trascorrendo la seconda estate: avevano passato l’inverno a Roma e a maggio, con l’aumentare del caldo, si erano recati nuovamente in montagna, nella stessa dimora ospitale in cui l’anno precedente, nel corso di un soggiorno durato tre mesi, avevavo imparato a sentirsi di casa. 

Il posto era Palestrina, paese natale del compositore, chiamata anticamente Praeneste, fortezza dei principi Colonna menzionata da Dante nel ventisettesimo canto dell’Inferno col nome di Penestrino, un paesino pittoristicamente adagiato lungo la montagna al quale conduceva, dal piazzale della chiesa sottostante, un vicolo a gradini non proprio pulito e protetto dall’ombra delle case. 

Vi si aggiravano dei maiali di una razza piccola e nera, e al passante disattento poteva capitare facilmente di essere schiacciato contro i muri delle case dal carico sporgente di uno degli asini dal largo basto che, pure, andavano e venivano. 

Superato il paese, la strada diventava un sentiero di montagna, passava oltre un convento di cappuccini e conduceva fino alla cima dell’altura e all’acropoli di cui restavano pochi ruderi accanto alle rovine di un teatro antico. Helene e io salimmo spesso, durante il nostro soggiorno, a quelle nobili vestigia, mentre Adrian che “non voleva veder nulla”, non oltrepassò, in tanti mesi, l’ombroso giardino dei cappuccini che era il suo rifugio preferito”. […] 

“Sedevo qui nella sala, lunga dinanzi a me, presso le finestre dalle imposte serrate e accosto al mio lume, leggendo le parole di Kierkegaard sul Don Juan di Mozart. Subito mi sentii pungere da un freddo tagliente, come quando d'inverno uno siede in una stanza calida e d'un tratto una finestra si spalanca al gelo. Il freddo, però, non mi veniva dalle spalle, ove son le finestre, bensì di fronte. Levo gli occhi dal libro e guardo nella sala, vedo che forse Schildknapp è già tornato perché non sono più solo: qualcuno siede nel buio sopra il divano di crine, con le gambe accavallate. È un uomo piuttosto allampanato, più piccolo di me, i capelli rossigni; ha le ciglia rossicce, gli occhi infiammati, il viso cereo, con la punta del naso un po’ curva in giù. Sopra una camicia a maglia a righe traversali porta una giacca a quadretti, con le maniche troppo corte, donde sporgono le mani dalle dita tozze. Ha i calzoni troppo stretti e le scarpe gialle trite, che non si possono più pulire. Un lenone, uno sfruttatore, con una voce articolata da attore di teatro.”

Qui sotto la targa che ricorda i soggiorni dei fratelli Mann a Palestrina:





30/03/15

Pamuk in Italia: "All'utopia preferisco la memoria."




Nobel Pamuk: "all'utopia preferisco la memoria". 

L'Autore agli Eventi letterari Monte Verita a Ascona (di Paolo Petroni) (ANSA) 

Si pensa al sociale e alla politica, da Tommaso Moro a Marx, quando si parla di utopia, "ma io, pur avendo avuto problemi di tipo politico, posso dirmi una persona felice, sono un ottimista che all'utopia preferisce la memoria", ha dichiarato Orhan Pamuk, aprendo gli Eventi letterari Monte Verita' (ad Ascona, in Svizzera), dedicati appunto al tema Utopia e memoria, con una conversazione con Joachim Sartorius (direttore artistico della manifestazione con Irene Bignardi e Paolo Mauri). 

Per il premio Nobel turco "l'umanita' ha prodotto 100 tonnellate di memoria a fronte di 100 grammi di utopia" e il suo intervento sui "Ricordi: la piu' potente arma della fantasia" ha spaziato da Darwin, "per sopravvivere bisogna avere memoria per ricordarsi dove trovare cibo e acqua, dove si nascondono i pericoli", a Proust con i suoi personaggi con la loro memoria involontaria; "il narratore mangia una petite madeleine e, senza rendersi conto, ricorda", messi a contrasto con i personaggi dei suoi romanzi che, secondo le parole dello stesso Pamuk, "hanno a che fare con una memoria volontaria, alla ricerca della vita perduta"

L'esempio che porta e' quello del romanzo 'Il museo dell'innocenza' (Ed Italiana, Einaudi2009), divenuto poi un vero e proprio museo a Istanbul, con gli oggetti citati nel libro accolti in apposite teche e trasformati in alcuni casi in opere d'arte. 

Ma il momento clou dell'intervento di Pamuk e' stato la lettura di un capitolo di questo romanzo, che lo stesso autore ha fatto, su richiesta del pubblico che aveva la traduzione in mano, nella lingua originale, il turco, riuscendo a comunicare comunque, al di la' delle parole, quel pathos e quelle emozioni del romanzo che solo gli autori sanno vivere e trasmettere proprio attraverso la scrittura. 

Gli Eventi letterari Monte Verita' sono andati in scena con incontri, letture e dibattiti sul tema 'Utopia e memoria', trattato dagli autori italiani Paolo Giordano e Paolo Di Stefano, dallo scrittore svizzero Thomas Hurlimann, dall'autrice Tere'zia Mora, dallo scrittore francese vincitore del premio Goncourt Jerome Ferrari, nonchè dall'autore e regista belga Jean-Philippe Toussaint. 

A questo si e' aggiunto per la prima volta al festival uno spazio per la danza, che, grazie a Rudolf von Laban e alle sue allieve, fu la forma d'arte piu' ricca di sviluppi tra quelle praticate dalla comunita' di utopisti al Monte Verita' ai primi del Novecento. A esibirsi la coreografa e ballerina Sasha Waltz, in scena insieme col batterista Robyn Schulkowsky al Teatro San Materno. 

Anche quest'anno, in occasione del festival, e' stato consegnato il Premio Enrico Filippini (giornalista culturale, editor e traduttore (1934- 1988), con cui si intende onorare le persone che lavorano dietro le quinte delle case editrici e dei giornali.

Dopo Bernard Comment (2013) e Klaus Wagenbach (2014), nel 2015 questo riconoscimento e' stato attribuito alla traduttrice e operatrice culturale italiana Renata Colorni, traduttrice storica di Sigmund Freud e di Thomas Mann e editor dei Meridiani Mondadori. 

La laudatio della vincitrice e' stata tenuta dallo scrittore Claudio Magris. 

11/06/14

I due poli dell'unione umana e le convenzioni borghesi (Una pagina del Felix Krull di Thomas Mann) .


Thomas Mann in Autochrome, 1909


Di cose delicate ed imprecise si deve parlare con delicata vaghezza: per questo sia qui inserita una ulteriore osservazione.

Soltanto nei due poli dell'unione umana, là dove non vi sono ancora o non vi sono più parole, nello sguardo e nell'abbraccio, può trovarsi la felicità, giacché lì soltanto esiste assolutezza, libertà, mistero e profonda assenza d'ogni riguardo. 

Tutto quello che nei rapporti umani sta frammezzo quei due poli è tiepido, è determinato, deciso e limitato da formalità e convenzioni borghesi.

Qui domina la parola, questo mezzo freddo e smorto, questo primo prodotto di una civiltà mediocre, così estraneo alla calda e muta sfera della natura, tanto che si potrebbe affermare che già ogni parola è in se stessa un luogo comune. 

E questo lo dico io,  mentre, immerso nell'opera della mia biografia, debbo dedicare massima cura all'espressione letteraria.

Tuttavia, non è il comunicare per parole il mio elemento; il mio vero interesse non sta in esso.  Si rivolge piuttosto alle mute, estreme regioni dei rapporti umani, innanzitutto a quella in cui la estraneità e la mancanza di nessi borghesi riflettono un originario stato di libertà, mentre gli sguardi si accoppiano irresponsabili, con sognante lascivia; poi anche all'altra dove la suprema unione, intimità e fusione ricrea nel modo più perfetto tale inespresso stato primordiale. 


Thomas Mann, da Confessioni del cavaliere d'industria Felix Krull, Traduzione di Lavinia Mazzucchetti, Mondadori,1955.




01/05/14

Hitler e il Nazionalsocialismo: una lettera di Thomas Mann a Albert Einstein.




Per diversi critici, l'atteggiamento del grande scrittore - a cui era stato attribuito il Premio Nobel nel 1929 - nei confronti di Hitler e soprattutto dell'antisemitismo furono tutt'altro che limpido. 

Thomas Mann, che non era ebreo, ma aveva sposato un'ebrea, ebbe però la coerenza di scegliere l'esilio quando i Nazisti presero il potere, nel 1933, dopo le contestazioni dei nazisti alla sua celebre conferenza su Wagner tenuta all'Università di Monaco.  Lo scrittore, che in quei giorni si trovava all'estero, decise di non fare più ritorno in Germania, fino alla fine dei suoi giorni. 

Stabilitosi dapprima in Svizzera, a Kusnacht e poi a Zurigo, andò a vivere negli Stati Uniti, a Pacific Palisades, nei pressi di Los Angeles. 

In America divenne intimo di grandi personalità, tra cui Albert Einstein, che aveva già conosciuto negli anni precedenti, e al quale scrisse questa lettera, datata 15 maggio 1933 poco dopo che (il 30 gennaio) Adolf Hitler era stato nominato Cancelliere del Reich. 

La lettera fu scritta nel Grand-Hotel di Bandol, nel dipartimento di Var, nella Francia del Sud. 

Ad Albert Einstein 
Bandol (Var), 15 maggio 1933, Grand Hotel

Stimatissimo professore, 
diversi cambiamenti di residenza hanno fatto sì che il mio grazie per la sua cara lettera si sia protratto fino ad oggi. 

E' stato il più onorevole messaggio che io abbia avuto non solo in questi tristi mesi, ma forse in tutta la mia vita: ma esso mi loda di una condotta che mi riuscì naturale e che pertanto non merita elogi.

Ben poco naturale, certo, è invece la situazione in cui, per quel mio contegno sono venuto a trovarmi; sono troppo un buon tedesco infatti, perché il pensiero di un esilio permanente non abbia per me un accento assai grave, e la rottura col mio paese, che è quasi inevitabile, mi opprime e mi angoscia parecchio:
segno appunto che non si adatta bene alla mia natura, più improntata ad una tradizione goethiana e rappresentativa che non fatta, di sua natura e vocazione, per il martirio.

Perché mi vedessi costretto a entrare in questa parte dovevano accadere, veramente, cose oltremodo false e cattive, e falsa e cattiva, infatti, secondo la mia più profonda convinzione è questa "Rivoluzione tedesca."  

Le mancano tutte quelle qualità che alle vere rivoluzioni, per cruente che fossero, hanno attirato la simpatia del mondo. Essa, per sua natura, non è una "sollevazione", checché vadano dicendo e strillando i suoi esponenti, ma odio e vendetta, gusto di uccidere e meschineria spirituale piccolo-borghese. 

Non ne può venire nulla di buono, non lo crederò mai e poi mai, né per la Germania né per il mondo, e l'aver messo in guardia, fino all'ultimo, contro le forze che hanno portato questo disastro morale e spirituale, costituirà certo un giorno un titolo d'onore, per noi, titolo d'onore che forse sarà la nostra rovina. 

Il suo devotissimo

Thomas Mann
   

01/03/11

Umberto Galimberti e Marco Guzzi - Il più inquietante degli ospiti: il Nichilismo - parte 1.



Vi propongo - e vi proporrò nei prossimi giorni - i video di questo incontro, Il più inquietante di tutti gli ospiti: il nichilismo. E' un dialogo tra Umberto Galimberti e Marco Guzzi, andato in scena nell'ambito della rassegna curata da Gustavo Cecchini per la Biblioteca Comunale di Misano Adriatico lo scorso 25 novembre. Credo sia giusto proporlo perché è un moderno, attualissimo dialogo filosofico - ad alto livello (a me ha ricordato l'eterna diatriba tra Settembrini e Nephta ne La Montagna Incantata di Thomas Mann) sul tema centrale della nostra questione umana. Del nostro essere qui, su questa terra.