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19/05/23

"Slow Horses" si migliora ancora, la seconda stagione della serie, più bella della prima


La seconda stagione di Slow Horses, serie AppleTv è se possibile, ancora migliore della prima, che suscitò entusiasmo della critica e favore del pubblico.

Stavolta i "ronzini" (gli agenti "sfigati") del "Pantano" (il dipartimento sfigato dove vengono mandati gli agenti sfigati, decaduti, del MI5, capitanato dall'espertissimo ma ingestibile Jackson Lamb) sono alle prese con un incarico che viene affidato loro direttamente dai "Cani", cioè dagli agenti di primo livello del MI5: apparecchiare, preparare, bonificare il luogo dove avverrà un incontro segreto tra la scrivania n.2 dei servizi inglesi, la Taverner e un rampante agente russo di nome Pashkin.
Da qui nascono avvenimenti e trama appassionanti e intricati che lungo l'arco di sei puntate, catturano totalmente lo spettatore, regalandogli un divertimento intelligente, impagabile.
Merito del cast, in primis. Con Gary Oldman (per cui scarseggiano ormai gli aggettivi) che non "interpreta" Lamb, ma gli dà vita, lo crea, lo rende più vero del vero, epigono di precedenti illustri, da Marlowe a Colombo, ma decisamente più cool, Lamb con il suo impermeabile fetido, la barba lunga, i capelli sporchi, l'olezzo che si porta dietro, è uno spettacolo ad ogni frase che pronuncia e a ogni espressione che accenna.
Kristin Scott Thomas è perfetta nei panni di Taverner, Jonathan Pryce è il nonno di River Cartwright, ex agente anche lui. Mentre River, interpretato dal bravissimo Jack Lowden è un coprotagonista a tutti gli effetti.
La seconda stagione è stata girata con sontuosi mezzi per le vie di Londra, dove si svolge una grande manifestazione di protesta, aeroporti di piper, stazioni, pub.
Slow Horses ha anche il merito di non precludersi di far morire i personaggi anche più amati. In questa seconda stagione trova molto spazio Rosalind Eleazar, talentuosissima attrice di cui sentiremo molto parlare, che pur con una menomazione congenita alle dita delle mani, regala emozioni assai intense.
Del tutto raccomandabile, quindi, in attesa della terza stagione già in lavorazione. Davvero una serie alla quale è difficile, se non impossibile, trovare difetti.

Fabrizio Falconi - 2023

19/03/23

Mad Men, il classico delle serie che non invecchia

 


Mad Men, uscita 15 anni fa (2007), è una serie che sta invecchiando molto bene.

Dopo aver vinto tutti i premi possibili (scritta in modo magistrale dallo stesso autore di Sopranos, Matthew Weiner), ancora oggi se ne può ammirare la visione concentrazionaria di uomini e donne che si muovono nel mondo di una agenzia pubblicitaria di successo americana dei primi anni '60.

Le dinamiche descritte potrebbero definire meglio di un trattato, la realtà del maschilismo occidentale.

Gli uomini (che sono "pazzi" già dal titolo) che comandano, che decidono, che si spartiscono tutto, che vedono (nel senso proprio di "vedere") le donne come esseri inferiori, buone solo in quanto carne da penetrare.

Molto interessante è anche la descrizione dell'universo parallelo femminile che coabita questi luoghi (nelle vesti di segretarie/amanti ovviamente), nel quale, come sempre in questi luoghi chiusi, di potere, si innescano meccanismi tra gli oppressi (in questo caso "le" oppresse), con le kapò che dispongono delle ultime arrivate e le dirigono nei rispettivi giacigli, e le ultime della scala, che cercano una affannosa salvezza, anche a costo di rinunciare alla dignità.

La serie non invecchia perché la realtà non è poi così tanto cambiata, non so in America, ma sicuramente non qui da noi. 

Fabrizio Falconi - 2023

25/10/22

"Gesù di Nazareth" - Uno sforzo produttivo mai più eguagliato. I numeri impressionanti.

 



Provate a trovare in tutta la storia del cinema un film che possa vantare un cast come questo. In ordine alfabetico: Ann Bancroft, Ernest Borgnine, Claudia Cardinale, Valentina Cortese, James Farentino, James Earl Jones, Stacy Keach, Tony Lo Bianco, James Mason, Jan McShane, Laurence Olivier, Donald Pleasence, Christopher Plummer, Anthony Quinn, Fernando Rey, Ralph Richardson, Rod Steiger, Peter Ustinov, Michael York, Olivia Hussey e inoltre: Robert Powell, Jan Bannen, Marina Berti, Regina Bianchi, Maria Carta, Jan Holm, Lee Montague, Yorgo Voyagis. 

Si tratta dell'elenco, non completo, degli interpreti del "Gesù di Nazareth" di Franco Zeffirelli, in onda a partire dal 27 marzo 1977, con una media di 26 milioni e 700 mila ascoltatori ed una punta massima di 28 milioni e 300 mila (cifre spaventose confrontate con quelle della tv di oggi). 

Il "Gesù" è evidentemente un successo, ed è pure un capolavoro. Zeffirelli e i critici non si sono mai voluti particolarmente bene, ma sulla sua opera televisiva tutti (o quasi tutti) sono d'accordo. Mai i Vangeli erano stati portati sullo schermo con tanto realismo e al tempo stesso con altrettanto profondo senso della loro spiritualità. Oltretutto, sia la vicenda che i suoi contenuti sono comprensibili a chiunque, senza che lo stile della narrazione abbia un solo minuto di cedimento.

Il "Gesù" entra immediatamente a far parte della storia della TV di tutto il mondo e viene venduto alle televisioni di decine di nazioni. Zeffirelli è letteralmente sommerso di premi e riconoscimenti.  

Le riprese erano cominciate il 29 settembre del 1975 in Marocco nel villaggio di Fartassa. Attorno al Natale dello stesso anno, la troupe, composta in massima parte da italiani, si è poi trasferita a Montastir, in Tunisia, dove erano stati ricostruiti il Tempio di Gerusalemme e la Fortezza Antonia. 

La colossale opera è stata terminata, ancora a Montastir, in tempi relativamente brevi, il 28 maggio del 1976. 

Vi hanno partecipato 240 attori e migliaia di comparse reclutate fra le popolazioni locali. 



21/09/22

La migliore sorpresa della stagione per quanto riguarda le serie: "Kleo"


E' la più bella sorpresa della stagione: Kleo

Da tempo sostengo che i tedeschi stiano da anni producendo cose bellissime, e tra le migliori che si vedano nel formato serie-TV.
Kleo, in programmazione su Netflix è firmata Zeitsprung Pictures e gli autori che l'hanno scritta e realizzata sono colmi di genialità.
La vicenda racconta la storia (inventata) di Kleo Straub, spia della STASI, che dopo la caduta del Muro esce dal carcere e vuole capire perché e chi l'abbia punita e per cosa, vendicandosi di tutti loro.
Il pregio più grande della serie è il tono, miracolosamente in bilico tra farsa e dramma. Ci si diverte molto e con grande intelligenza. Allo stesso tempo si aprono squarci di lucida ferocia sulla transizione della Germania dell'Est, "assorbita" da quella dell'Ovest e dai traumi che ne sono seguiti.
Girata magnificamente, con una protagonista - Jella Hause - in stato di grazia e perfetta, la serie riproduce con meticolosa bravura, i colori, gli arredi, la luce di quegli anni e di quei luoghi, con esercizi di stile notevoli e grande fantasia.
Vanno segnalati poi i 7/8 minuti finali del V episodio - intitolato Uwe - dove un inseguimento drammatico diventa un pezzo di puro virtuosismo registico (ho visto qualcosa di equivalente solo in "True Detective 1" e in "Giri/Hagi/") sulla musica sublime di Max Richter (On The Nature Of Daylight (Entropy).
Da non perdere (e da vedere in lingua originale, sottotitolato).

Fabrizio Falconi - 2022

12/08/22

Quando eravamo free-lance : una parola oggi scomparsa

 

Fabrizio Falconi a ventisette anni 

Per molti anni ho fatto (o sono stato) un free-lance e solo ora mi accorgo che questa parola ormai non la usa più nessuno.

Il motivo è che l'instabilità lavorativa è diventata la norma.

Per noi che la vivevamo allora era una splendida opportunità.

La lente a ritroso di quello che allora era il futuro ci ha mostrato quanto fortunati fummo all'epoca, quando il lavoro c'era, accadeva spesso che premiasse i talentuosi, ed era anche ben retribuito.

Non pensavamo alle garanzie, alla pensione, al domani.

Ci buttavamo nella mischia, e si passava attraverso mille collaborazioni e cose ed esperienze assai diverse, che a volte stordivano e inebriavano. E che era poi bello raccontare.

Ci si innamorava anche, e non solo del lavoro.

Si imparava, più che altro, da chi era più bravo.

Poi certo anche allora era pieno di quelli che conoscevano bene e praticavano silenziosamente mille scorciatoie privilegiate e di quelli che tenevano ben serrate le porte a chi non aveva patentini di casta da esibire.

Ma anche di questo ce ne fregavamo.

La più importante medaglia da portare a casa era il lavoro che si era fatto, a tuo padre che sgobbava in officina da quando aveva 16 anni e a tua madre che hai visto piegata a cucire, in ogni giorno e ogni stagione, dalle 8 di mattina a mezzanotte, sempre.

Fabrizio Falconi 

25/06/22

"You don't know me", una serie tv da non perdere


Quelli che amano le serie d'autore o di alta qualità non dovrebbero perdere You don't know me, che ha il marchio di garanzia di BBC One ed è distribuita anche in Italia da Netflix.

Tratto da un romanzo di Imran Mahmood, uscito nel 2017, la miniserie, in 4 puntate ciascuna di un'ora, nasconde sotto le apparenze di un convenzionale legal, qualcosa di molto di più.
Dietro l'intreccio, infatti, risulta ben presto chiaro che ciò che sta a cuore agli autori è parlare di sentimenti umani, di amore, di disponibilità, di sacrificio.
Ambientato in una Londra quasi sempre notturna, nelle periferie di Camden, la serie trova - nella miniera inesauribile della palestra dei giovani attori inglesi - due talentuosi interpreti: Samuel Adewunmi e Sophie Wilde, splendida ventitreenne, di madre ivoriana e padre australiano.
Entrambi hanno già vinto parecchi premi per le loro interpretazioni in questa serie.
Il protagonista - che nella serie non viene mai chiamato per nome, ma che è identificato da quello di "Hero" - imbastisce nel corso delle 4 puntate la sua autodifesa, davanti alla giuria, facendo a meno dell'avvocato, per ripercorrere tutti i fatti che lo hanno portato ad essere coinvolto, da innocente, in una bruttissima storia.
Una serie intelligente, fuori dai cliché, onesta, autentica, intensa (con altri interpreti magnifici, tutti neri) che si vede senza un attimo di pausa.

30/05/22

"Avvocato di difesa" ("The Lincoln Lawyer"), una serie tv interessante rovinata da un brutto (e incomprensibile) finale


Alla fine è deludente la serie CBS The Lincoln Lawyer (tradotta come al solito liberamente in italiano con il titolo "Avvocato di difesa", bruttissimo), legal drama basato sui romanzi di Michael Connelly.

Qualche anno fa, da un soggetto simile era stato tratto un film con Matthew Mc Conaughey nei panni dell'avvocato Mickey Haller.
10 puntate di quasi un'ora ciascuno sono invece evidentemente troppe per gli sceneggiatori che hanno rimpinzato la vicenda centrale - quello che cattura l'attenzione dello spettatore, la scena del crimine, e il particolare del drone, quello che Hitchcock chiamava MacGuffin - con una quantità eccessiva (e inutile) di intrecci paralleli che poco o niente c'entrano con il resto.
Peccato, perché il protagonista, l'attore messicano Manuel Garcia-Rulfo è una bella scoperta, è empatico e convincente. Altrettanto il deuteragonista, Christopher Gorham nei panni del genio ricco inventore informatico accusato di aver ucciso moglie e amante colti in flagrante nel talamo nuziale.
Accanto a loro una serie di personaggi che funzionano e un clima narrativo misurato, senza i soliti effettacci o cadute, a parte le lungaggini sugli altri casi ereditati da Micky dal suo collega Jerry, che è stato misteriosamente ammazzato.
Tutto bene fino al (riuscito) colpo di scena della nona puntata.
Ed ecco che invece nell'ultima, la decima, tutto si aggroviglia, si disperde, si rovina in una specie di delirio che sembra scritto da uno sceneggiatore che ha alzato il gomito.
Lo spettatore medio - e anche quello scafato in fatto di legal - resta a bocca asciutta: nulla viene spiegato veramente, tutto resta confuso e irrisolto o semplicemente incomprensibile, sicuramente a causa anche della preoccupazione di preparare i ganci per la prossima stagione.
Ne viene fuori un brutto pateracchio che spinge a cercare spiegazioni nei vari forum online, dove si sono rifugiati i molti spettatori delusi, senza peraltro capire nulla di cosa sia veramente successo.
Credo che tutto dipenda dal fatto che sono stati utilizzate parti di diversi libri di Connelly, shakerati insieme.
Scelta sciagurata: bastava restare saldamente sul caso centrale, quello della colpevolezza/innocenza di Elliot, il milionario internettiano, che è quello che interessava lo spettatore e tutto sarebbe andato a posto.

Fabrizio Falconi - 2022

18/04/22

"The Gilded Age", la nuova serie di quel genio di Julian Fellowes

 


Julian Fellowes è senza dubbio uno scrittore eccezionale. Quando aveva 50 anni il maestro Robert Altman lo contattò per scrivere la sceneggiatura di uno dei suoi ultimi film più riusciti in assoluto: "Gosford Park"

Il film, con un cast tutto di mostri sacri inglesi (Maggie Smith, Kristin Scott Thomas, Alan Bates, Emily Watson, Helen Mirren, Stephen Fry), dopo il successo planetario ricevette ben 7 nominations agli Oscar 2002. 

L'unica statuetta che però il film portò a casa (su 7) fu quella conquistata da Julian Fellowes per la migliore sceneggiatura originale (che aveva firmato da solo). 

Diversi anni più tardi Fellowes, che nella vita ha fatto anche l'attore, il regista, il produttore e naturalmente lo scrittore di romanzi, è diventato universalmente noto per la serie "Downton Abbey" (6 stagioni), una delle più viste di sempre, che ha messo d'accordo tutti, pubblico popolare e platea sofisticata amante delle atmosfere e delle psicologie alla Henry James. 

Ci voleva dunque una buona dose di coraggio per Fellowes, per cimentarsi con una nuova saga originale, intitolata "The Gilded Age", ambientata stavolta nella New York di fine Ottocento, qualche decennio prima dei fatti di Downton Abbey. 

Anche stavolta Fellowes ha messo in piedi un congegno narrativo perfetto (per ora 1 stagione, 9 puntate) basato sullo scontro tra la classe sociale degli immigrati americani di prima generazione legati alla madre patria Inghilterra, e perciò assai snob e la nuova generazione di parvenu americani, fortissimamente intenzionati a prendersi soldi, potere e successo e soprattutto notorietà e riconoscimento da parte della vecchia

La scrittura e i dialoghi sono del solito alto livello, la ricostruzione è fenomenale, senza i soliti trucchi al computer, con centinaia di comparse vere, costumi e ambienti fantastici, nella più consolidata tradizione dei lavori di Fellowes. 

Però sono quasi sicuro che The Gilded Age non avrà lo stesso successo di Downton Abbey (anche se pure qui ci saranno diversi seguiti): i personaggi sono (volutamente) meno empatici, non c'è il tono ironico e leggero (e romantico/sentimentale) del british mood che piace molto in Italia. 

D'altronde Fellowes è troppo serio per non averci pensato: gli USA di fine ottocento, non erano l'Inghilterra. 

Qui il confronto, le ambizioni, la lotta sociale, le dinamiche sono molto più cruente, prive di scrupoli. 

Non mancano personaggi moralmente virtuosi, ovviamente, in primis la protagonista Marion (impersonata da Louisa Jacobson, figlia di Meryl Streep). 

Ma si respira un'aria meno lieta e consolante. La visione The Gilded Age è comunque del tutto raccomandabile: il puro grande piacere dell'intrattenimento anglosassone, sullo spartito di una scrittura sempre brillante, formidabile.

Fabrizio Falconi - 2022 

24/01/22

E' morto Paolo Taggi - Il ricordo di un amico

 


Ho conosciuto Paolo nei meravigliosi anni della Radio-Rai, e siamo diventati molto amici.
Era uno dei pupilli di Lidia Motta, storica capostruttura di RadioDue, che l'aveva lanciato alla conduzione del programma notturno.
Paolo, novarese di nascita, si era laureato alla Cattolica di Milano, con Gianfranco Bettetitini, che era stato il maestro della generazione di talentuosi allievi di quegli anni.
Paolo era uno degli uomini più intelligenti che abbia conosciuto e uno dei più grandi conoscitori di cinema in assoluto, in Italia.
Fu per decenni la colonna portante di Segnocinema, la rivista vicentina di Mario Calderale e di Paolo Cherchi Usai, che aveva l'ambizione di essere la versione italiana dei Cahiers francesi.
Con Paolo nacque una amicizia immediata, sincera, profonda.
Era un intellettuale del tutto atipico, completamente privo di spocchia e di cinismo. Metteva prima di ogni altra cosa il cuore, nei rapporti umani, come nel lavoro. Era un sognatore e grande affabulatore, dotato perlopiù di notevole ironia e autoironia.
Passare un pomeriggio con lui era una vera festa.
Lavorò con la Videa di Degli Esposti, oltre che con la Rai, con Mediaset, ecc.. fu talent scount di giovani talenti (fu lui a segnalarmi Federica Gentile, che chiamai, appena diciottenne, a condurre Tempo Giovani, a Radiodue), e infaticabile scrittore di piccoli saggi, articoli, libri, romanzi.
Fu anche lui conquistato dal demone della televisione e divenne autore di programmi molto popolari. Anche qui, lo faceva con spirito naif, divertendosi soprattutto quando riusciva a inventare.
Mi chiese di collaborare con Segnocinema, cosa che feci per anni, con grande piacere, per il principale fatto di potermi confrontare con lui, e parlarci dei film che avevamo visto, scambiandoci pareri e piccole scoperte.
Oggi quando ho ricevuto la notizia, non potevo crederci. Paolo mi sembrava lontanissimo dall'essere associato all'idea di morte, anche se non ci vedevamo da parecchio tempo.
La sua carica vitale ne sembrava immune.
Quella umana invece persiste e persisterà in quelli che l'hanno conosciuto, in anni bellissimi. Forse davvero irripetibili.
A rivederci, carissimo Paolo.

Fabrizio

09/09/21

Le geniali opere di Simon Stålenhag che hanno ispirato la bellissima serie "Tales From The Loop"

 


Chi l'ha vista - in Italia su Amazon video/prime - sa che si tratta di uno dei prodotti migliori degli ultimi anni, in assoluto: si tratta di Loop (Tales from the Loop), la serie televisiva statunitense del 2020 creata da Nathaniel Halpern e basata sulle opere illustrate dell'artista svedese Simon Stålenhag. 

Per chi non l'avesse ancora vista diremo, per non rovinare nulla, che la serie è ambientata negli anni ottanta in una zona rurale dell'Ohio, in cui gli abitanti vivono e lavorano in un misterioso luogo chiamato il "Loop".

Si scopre che in effetti venti anni prima, negli anni sessanta, in quella regione è stato costruito un grande acceleratore di particelle nelle profondità della campagna circostante. 

Ogni puntata della serie - valorizzata dalle bellissime musiche di Philip Glass e da una meravigliosa fotografia - racconta in modo straordinario le vicende quotidiane e personali degli abitanti di quel luogo, stravolte da eventi e paradossi legati al Loop.

Ma chi é Stålenhag?

Cresciuto in un ambiente rurale vicino a Stoccolma, l'artista svedese ha cominciato a realizzare opere grafiche di fantascienza solo dopo aver scoperto concept artist come Ralph McQuarrie e Syd Mead; la genialità del suo lavoro è quella di combinare la sua infanzia con temi tratti da film di fantascienza, dando vita a un paesaggio svedese stereotipato con una tendenza neofuturistica

Secondo Stålenhag, questo focus nasce dalla sua percepita mancanza di connessione con l'età adulta, con gli elementi di fantascienza aggiunti in parte per attirare l'attenzione del pubblico e in parte per influenzare l'umore del lavoro. Queste idee si traducono in un corpus di lavori che possono presentare robot giganti e megastrutture accanto a normali articoli svedesi come le automobili Volvo e Saab. 

Man mano che il suo lavoro si è evoluto, Stålenhag ha creato un retroscena per esso, incentrato su una struttura sotterranea governativa.

Stålenhag solitamente per i suoi lavori utilizza un tablet e un computer Wacom, progettato per assomigliare alla pittura ad olio.

La maggior parte del suo lavoro si basa su fotografie preesistenti che scatta; queste vengono quindi utilizzate come punto di partenza per una serie di schizzi prima che il lavoro finale sia completato.

La maggior parte delle opere d'arte di Stålenhag era inizialmente disponibile online, prima di essere successivamente venduta come stampe. 

I risultati sono veramente stupefacenti. 
Qui qualcuna delle sue opere:

Labyrinth 

Vimpelturbiner

Collater.al





15/07/21

Arriva su Sky l'attesa docu-serie "Allen vs. Farrow" targata HBO


Allen v. Farrow è una docu-serie HBO divisa in quattro parti che ripercorre l'oscura storia di uno degli scandali piu' noti di Hollywood: l'accusa di abuso sessuale di Mia Farrow contro Woody Allen che coinvolge Dylan, loro figlia adottiva, il successivo processo per la custodia, la rivelazione della relazione di Allen con un'altra figlia della Farrow, Soon-Yi, con cui poi si sposo'

Allen v. Farrow e' su Sky Documentaries (canali 122 e 402), disponibile anche on demand e in streaming su NOW. 

Attraverso video amatoriali, documenti legali e interviste esclusive a Mia Farrow, Dylan Farrow, e Ronan Farrow, la serie riapre una delle ferite piu' dolorose nel mondo dello spettacolo, ricostruendo le accuse che la ex compagna e due dei suoi figli hanno mosso al regista, ovvero di aver molestato la piccola Dylan

Fatti per i quali Allen non fu mai incriminato. 

Il documentario, firmato da Kirby Dick e Amy Ziering, ha riportato la discussione su una delle piu' note, intricate e dibattute vicende di accuse di violenze sessuali nella storia dello spettacolo americano. 

È stato inoltre molto discusso per la sua visione Farrow-centrica che non ha dato spazio alla versione dell'accaduto di Woody Allen. Esamina pero' gli effetti devastanti del trauma su una famiglia ed e' una rappresentazione inquietante dello scetticismo e della reazione negativa che puo' derivare da un'accusa. 

05/03/20

Perché la serialità tv italiana è così sterile e asfittica?



E' piuttosto inspiegabile - e indice di un paese a corto di ispirazione o di iniziativa - il fatto che in Italia - con il bendiddio rappresentato da 3000 anni di retaggi storici e civiltà patrie - si producano  soltanto serie tv e film sulle gomorre, ndranghete, suburre, oppure rassicuranti polpettoni biopic o don mattei, o al massimo della creatività, gli infiniti papi sorrentiniani.  

Ora non si pretende certo, in questo clima, un riaffacciarsi di produttori come quelli che hanno fatto grande il cinema e la serialità italiana in passato, che erano sperimentatori geniali, non si pretendono certo gli Otto e Mezzo, i Blow up, i Gattopardi, e nemmeno di certo le Anna Karenina di Bolchi o le Mani Sporche di Sartre-Petri, che andavano in onda sulla RAI nazionale, ma qualcosa di minimamente creativo che riguardi le nostre meravigliose storie - La Storia di Elsa Morante? Gli Indifferenti di Moravia? Il nostro ventennio fascista? Gli anni di piombo? Il sequestro Moro? Oppure, che so, se vogliamo essere sicuri di vendere una serie all'estero: una grande serie sulla moda italiana? Una serie tv sulla vita avventurosa di Caravaggio? Un film sulla epoca d'oro di Cinecittà a Roma? Un film sullo sbarco ad Anzio vissuto dagli italiani che vivevano su quella costa? Un bel filmetto sul furto della Gioconda? Una serie storica sulla Sindone? Una serie sulla epopea di Enzo Ferrari? Un divertente serial-commedia ambientato nei retroscena di un grande ristorante di alta cucina italiana?  

Forse è troppo chiederlo? Il fatto è che si guardano le cose prodotte e sfornate ogni mese dalla BBC e dagli altri canali britannici - non parliamo di Netflix, HBO o Amazonvideo - e cascano le mani.


Fabrizio Falconi
- marzo 2020

08/01/20

La versione integrale dello Speciale "Fantasmi di Roma" di Fabrizio Falconi andato in onda ieri sera



Al link sottostante la versione integrata dello speciale sui "Fantasmi di Roma" di Fabrizio Falconi andato in onda su Italia Uno ieri sera alle 18.50.

Si tratta di una cavalcata notturna sui luoghi di Roma che raccontano le millenarie storie dei fantasmi della città. 

Ispirate al libro omonimo, scritto per Newton Compton e più volte ristampato. 

Per vedere la puntata CLICCA QUI:


https://www.mediasetplay.mediaset.it/video/studioaperto/i-misteri-di-roma_F310140601014C10

22/11/17

The Last Post - una eccellente nuova serie BBC One.




Una nuova opera per la televisione che arriva da BBC One, il primo canale della tv pubblica inglese, che ormai sforna, uno dopo l'altro, prodotti di alta o altissima qualità. 

The Last Post è andata in onda nel Regno Unito il 1o ottobre del 2017 ed è una miniserie in 6 puntate, ambientata sulla sfondo dell'Aden Emergency, una unità della Royal Military Police, distaccata nel porto di Aden, nel corno d'Africa, ultimo avamposto dell'Impero Britannico, durante gli anni '60. 

L'intera ambientazione è stata ricostruita minuziosamente in una base navale in disuso che domina la baia di Simon's Town, in Sudafrica. 

Il Capitano Joe Martin (Jeremy Naumark Jones) arriva alla base insieme alla moglie Honor (Jessie Buckley, già vista in Guerra e Pace, sempre BBC) per rimpiazzare il Capitano Nick Page, che viene assassinato proprio l'ultimo giorno di servizio.  Joe deve affrontare la rivalità del tenente Ed Laithwaite (Stephen Campbell Moore) che sperava di subentrare a Page nella linea di comando. E Honor diventa così amica della moglie Laithwaite (Jessica Raine, già vista in Fortitude). 


La vicenda si fa intricata quando viene rapito dalle forze ribelli locali - che vogliono il ritorno a casa degli Inglesi - il figlio del comandante, il maggiore Harry Markham (Ben Miles), di sei anni. 

Le trattative per la liberazione del bambino si intrecciano con le vicende claustrofobiche dei soldati nel campo base e delle loro mogli.

Ideata da Peter Moffat, la serie nel corso di sei puntate di un'ora ciascuno si fa apprezzare soprattutto per la qualità drammaturgica, l'ambientazione perfetta, e lo scavo psicologico dei personaggi, alle prese con l'eterno dissidio impulsi/regole.  

Senza compiacimenti e senza moralismi, The Last Post conduce lo spettatore dritto all'obiettivo: che è quello di intrattenere con una storia ai limiti del vero, di stampo quasi documentaristico, e di indurre una potente riflessione sulla natura ambigua umana, sempre in bilico tra ombre e possibili redenzioni.


Gli attori, tutti di scuola britannica, sono superlativi. La forza degli sceneggiatori britannici è in questo caso anche quella di guardarsi dietro, nelle zone oscure della storia (recente) dell'impero britannico: era un'altra vita e un altro mondo, una grandezza che forse suscita nostalgia, ma anche inquietudini. Anche perché molti disastri odierni trovano radici profonde nel colonialismo, e nel colonialismo britannico. 

Ma la vera particolarità della serie è di aver differenziato i piani di scrittura, mettendo in secondo piano quelli camerateschi e militareschi di solito preminenti nei film o nelle serie di guerra. Qui è decisamente più importante il lato femminile della storia. La catarsi della storia - quella scritta e quella reale - la fanno l'ingenua, pura Honor; l'inquieta Allison; la giornalista americana Martha Franklin; la musulmana Yusra: l'amore, il rifiuto, il coraggio. Di cui sono capaci le donne e che sciolgono come neve al sole i dubbi, le incertezze, le ambiguità, le piccolezze degli uomini e delle loro presunte regole. 

Fabrizio Falconi 

20/06/17

"Taboo", una delle serie televisive dell'Anno - imperdibile.




Taboo è decisamente una delle miserie televisive dell'anno.  Prodotta da Ridley Scott (produttore esecutiva) è ideata da Steven Knight, dall'attore Tom Hardy, che è anche il protagonista maschile e da suo padre Chips Hardy, che è anche consulente produttore. 

Di produzione britannica, la serie viene trasmessa dal 7 gennaio 2017 su BBC One nel Regno Unito, e dal 10 gennaio 2017 su FX, negli Stati Uniti. È stata rinnovata per una seconda stagione e in Italia, va in onda dal 21 aprile 2017 su Sky Atlantic. 

Di forti sapori conradiani, la serie racconta la storia dell'avventuriero James Keziah Delaney che nel 1814 torna a Londra dopo aver passato molti anni in Africa. 

Dopo i funerali del padre, morto in oscure circostanze, James eredita l'intero patrimonio assieme all'isola di Nootka, sulla costa occidentale degli Stati uniti, un territorio la cui posizione strategica conferirebbe la possibilità di commerciare con l'oriente attraverso il pacifico. 

Ben presto dovrà fare i conti con i suoi demoni ed il misterioso passato del padre, fronteggiando la potente Compagnia britannica delle Indie Orientali e la corona inglese, entrambe decise ad ottenere il possesso di Nootka tramite qualunque mezzo.



09/09/16

"The Night of" - Una splendida mini-serie HBO.



In Italia arriverà solo dal prossimo 25 novembre, trasmessa da Sky Atlantic.  Ma già da ora vi dico di appuntarvi questo appuntamento e non mancare The Night of, che davvero è una delle più belle serie di sempre. 

Per l'esattezza si tratta di una miniserie televisiva statunitense in otto puntate prodotto dalla HBO (un marchio di garanzia) e trasmessa dalla stessa emittente in America, dal 10 luglio 2016, basata sulla serie britannica Criminal Justice della BBC.

Il progetto iniziale è una idea dell'attore James Gandolfini che avrebbe dovuto esserne protagonista, con Richard Price come sceneggiatore e Steven Zaillian come regista

La morte prematura e improvvisa di James Gandolfini, avvenuta in un albergo romano il 13 giugno del 2013, ha indotto i responsabili della HBO ad abbandonare il progetto.

Che è stato ripreso qualche anno più tardi scegliendo come protagonista, al posto di Gandolfini, Robert De Niro, che ha poi rinunciato per sopravvenuti impegni, e alla fine John Turturro. 

The Night of è un classico drama in otto puntata, un giallo in piena regola, che avvince sin dal pilot iniziale.

E' la storia di un ragazzo pakistano - di buona famiglia, studente universitario - che in una notte, dopo aver preso di nascosto il taxi del padre per recarsi ad una festa di compagni di scuola, conosce una ragazza (che sale sul suo taxi credendolo in servizio) e dopo aver dormito a casa sua, si sveglia e la trova morta, uccisa da 22 coltellate.

Il ragazzo preso dal panico, scappa portandosi via il coltello con il quale lui e la ragazza hanno giocato al gioco della mano dopo essersi drogati insieme. 

Subito fermato, il ragazzo viene arrestato con l'accusa di aver ucciso la donna. 



La notte dell'agguato, un avvocato difensore d'ufficio - John Turturro - si interessa di lui dichiarandosi pronto a difenderlo. 

Da qui si dipana una lucida vicenda che vede da una parte l'odissea in carcere del ragazzo pakistano, e dall'altra, quella dell'avvocato John Stone (Turturro) alle prese con il caso, che gli viene dapprima scippato da un'avvocatessa specializzata nella difesa dei diritti umanitari e gli torna poi indietro in una serie di colpi di scena.

Solo all'ultima puntata si capirà cosa è successo quella notte nella casa della ragazza.

La serie ha ottenuto recensioni entusiastiche oltreoceano e anche in casa nostra.  In effetti la serie è un prodotto di altissima qualità dal punto di vista tecnico come spiega in questo articolo Il Post, oltre a proporre una interpretazione da Oscar di Turturro nei panni di uno dei più bei looser che si siano visti recentemente, l'avvocato squattrinato e umano, ipocrondriaco eternamente alle prese con un bruttissimo eczema. 

E' anche un ottimo poliziesco, un prodotto classico e allo stesso tempo innovativo. Un racconto che - per i suoi particolari e per la rilevanza complessiva della storia - non si dimentica facilmente.

Fabrizio Falconi 



08/02/16

"Guerra e Pace", la serie BBC: un prodotto di grande livello.




C'erano una volta gli italiani che sapevano fare meglio di tutti le riduzioni televisive dai grandi capolavori della letteratura. 

Fu una stagione d'oro, che passò dai cosiddetti sceneggiati - a cui lavorarono alcune tra le migliori menti e penne di quel periodo - e che oggi è morta e sepolta. 

Oggi le serie di qualità vengono dall'estero, e soprattutto dall'Inghilterra. 

La BBC, in particolare, ha deciso, dopo più di quarant’anni dall’ultimo adattamento (in quello uno dei protagonisti era Anthony Hopkins) di rimettere le mani sull'epico Guerra e Pace di Lev Tolstoj. 

La BBC ha coprodotto la serie insieme alla Weinstein Company, trovando l'accordo per la messa in onda con Lifetime, A&E Network e History

La sfida nella sfida è stata quella di una miniserie di sole 5 puntate.  Un'opera davvero improba, per ridurre il fluviale romanzo Tolstojano alla quale si è dedicato lo scrittore Andrew Davies.

Con risultati davvero sorprendenti. 

Le vicende delle cinque famiglie russe durante il periodo di guerra napoleonico sono raccontate con piena padronanza del materiale storico-narrativo e nello stesso tempo con una inevitabile brillantezza sintetica, che non umilia il romanzo. 

Splendido il cast con Lily James nei panni di Natasha, James Norton in quelli Andrei e il bravissimo Paul Dano nei panni di Pierre, oltre a Gillian Anderson, Jim Broadbent e Greta Scacchi. 

La serie è stata girata nei luoghi originari, tra la Russia e la Lituania.  La prova delle scene di Guerra, anch'essa superata con un ampio utilizzo di mezzi e di masse umane. 

Insomma, uno spettacolo per gli occhi sia per coloro che conoscono tutto e che amano questi personaggi da sempre, per essersene innamorati nella loro vita leggendoli nel capolavoro di Tolstoj, sia per il grande pubblico che non ha letto l'originale e che potrà ugualmente apprezzare.

Fabrizio Falconi

05/02/16

Stasera su Rai5 "I'm your man", docufilm dedicato a Leonard Cohen.




Musicista, scrittore, poeta e autore di colonne sonore, Leonard Cohen e' il protagonista del documentario di Lian Lunson "Leonard Cohen: I'm your Man", che Rai Cultura propone stasera alle 21.15 su Rai5.

Il regista alterna i ricordi e i racconti dell'artista con le sue piu' famose canzoni reinterpretate da altri musicisti tra i quali Bono, Nick Cave, Adam Clayton, Jarvis Cocker. 

Un documentario tra poesia e canzone alternativa che indaga sulla vita e l'arte di Cohen alla costante ricerca della spiritualita' e dell'essenza dell'individuo senza nascondere le sue debolezze di uomo e i problemi che l'artista canadese, nato a Montreal nel 1934, ha avuto con l'alcol. 

11/07/14

2004-2014: LOST compie 10 anni. Una riflessione.







Si avvicina il decennale: il 22 settembre del 2004, la rete televisiva Abc trasmetteva la prima puntata di una serie televisiva intitolata Lost. 

Come era avvenuto molti anni prima (nel 1991) per Twin Peaks di David Lynch, il mondo della creazione narrativa televisiva non è più stato lo stesso.

All'epoca non amavo molto la fiction televisiva, e prima di Lost ero assai refrattario a seguire telefilm, series americane.  

La scoperta di Lost mi aprì invece una esperienza del tutto nuova.       

Con Lost il genere televisivo puro si emancipò definitivamente dal genere sottocultura (anche perché bisognerebbe capire cosa è la cultura, quella vera),  e dopo qualche anno, in un decennio, la serialità televisiva è assurta al ruolo di prodotto culturale alto, in molti si sono accorti che la narrazione esperita dalle serie televisive di alta qualità rappresenta  un linguaggio di contenuti e forme (e struttura tecnica) di livello molto più interessante di tanta letteratura e di tanto cinema che oggi esprime il mercato della cultura internazionale. 

In particolare una seria come Lost - e questa fu la radice del suo planetario successo - fu la capacità di intercettare le domande che si fa l’uomo oggi, l’uomo che vive in questa epoca bella e terribile, in questi anni, in questo occidente che ormai include anche molta parte d'oriente. 

Cosa ha nel cuore, cosa vuole, cosa desidera, cosa crede, quali sono le sue paure, cosa spera. Ecco a queste poche e fondamentali domande rispondeva  Lost.
  
LOST per chi non lo sapesse, racconta l’odissea di un gruppo di superstiti che si ritrovano su un’isola sconosciuta in mezzo all’oceano dopo un disastro aereo. Da subito, l’isola si rivela ben strana: abitata da misteriosi e pericolosi ‘Altri’ che hanno colonizzato l’isola molti anni prima, per realizzarvi un altrettanto misterioso e inquietante esperimento. Gli ‘Altri’ sono in agguato, non si sa bene cosa vogliono, vogliono impadronirsi delle vite, del futuro e del passato dei sopravvissuti. Non sono per niente ospitali.

Loro, i sopravvissuti, hanno TUTTI delle imponenti croci personali da portarsi appresso. Queste croci – le loro storie personali – vengono mostrate attraverso flash-back che si mischiano alla narrazione di quel che avviene sull’isola. Queste croci hanno a che fare con la famiglia, prima di tutto. Ciascuno dei sopravvissuti ha un fallimento, un conto in sospeso, un rancore, un disprezzo, uno sbaglio che gli ha compromesso la vita: Jack, il medico, il leader: un padre alcolizzato e competitivo, professore come lui. Un fallimento matrimoniale; Kate, la ribelle, la coraggiosa: una madre vessata da un marito violento, che lei, Kate ha ucciso; Sawyer, il ‘cattivo-buono’, il rude, l’antipatico:  un padre violento, che ha distrutto la sua vita e di cui lui, Sawyer, si è vendicato; Locke, il ‘saggio’, il filosofo, il veggente: un padre truffatore e subdolo, sadico; Charlie, il ‘buon ragazzo’, il divertente, il compagnone:  un fratello eroinomane; Jin, la coreana, l’ingenua, la materna:  un padre-padrino, mafioso; Sayid:  l’iracheno: un passato da soldato-torturatore al servizio di Saddam; e cosi via…

Ciascuno di questi personaggi fu indagato con inconsueta complessità, inanellando rimandi, citazioni, connessioni e interconnessioni da lasciare stupefatti (soprattutto per la difficoltà tecnica di chi dovette redigere i copioni)

Lost riuscì perfino ad imbastire alcune precise risposte alle domande del secolo, di cui sopra (cosa ha nel cuore, cosa vuole, cosa desidera, cosa crede, quali sono le sue paure, cosa spera l’uomo del mondo nel XXI secolo ?):  La serie ha suggerito che l’uomo del mondo, nel XXI secolo ha dentro il cuore una grande confusione, che rischia di portarlo al manicomio . Lost risponde che l’uomo del mondo nel XXI secolo è come un sopravvissuto dopo un incidente aereo:  ha perso tutto e non ha più riferimenti, è solo e perso.  Lost dice che quest’uomo ha perso i suoi riferimenti, che non sa più da che parte andare, che vaga in una terra senza punti cardinali, affidandosi – come unica traccia – a quello che gli tramanda il cuore.  A quello che ha dietro.   Che però è – a sua volta – molto confuso.  Perché quello che l’uomo del mondo nel XXI secolo si porta dietro, ha a che fare con i suoi padri. Ovvero, con le generazioni che ci hanno preceduto, con quello che abbiamo alle spalle, e che ci ha lasciato morte, dolore e distruzione (avete presente il XX. Secolo ?) Il passato è dunque ancora presente e minaccioso, esattamente come il futuro.

E l’uomo del mondo nel XXI secolo è a metà del guado: i suoi padri lo hanno tradito, confuso, umiliato e tradito, uccidendo quel senso del sacro, antico e nobile che fa parte della storia dell’uomo, del suo dna; e allo stesso tempo il futuro che si presenta di fronte appare ancora più incerto, spaventoso, temibile.

L’eredità più grande che l’uomo del mondo nel XXI secolo ha ricevuto in dono è la domanda irrisolta sul SENSO DELLA SUA VITA su QUESTA TERRA:   Che ci sto a fare io qui ? Chi o cosa mi ha voluto qui ? Da chi dipende il mio futuro ? Cosa è il destino ? Ne sono io partecipe o tutto avviene per caso ?

A questa domanda LOST ha la presunzione di offrire una risposta precisa: il futuro e quindi il destino non avvengono per caso.  Esiste un disegno.   Anche se questo disegno è del tutto misterioso. Può essere avvicinato, ma non svelato del tutto.

Il DESTINO si presenta anzi in LOST come una specie di RIPETIZIONE (o di Karma, direbbero gli orientali) in cui siamo destinati a rivivere quei nodi che nella nostra vita personale non abbiamo sciolto, che non abbiamo affrontato, finché – attraverso questo doloroso passaggio – non possa avvenire una LIBERAZIONE, una consapevolezza, o una REDENZIONE. 

Ma la Redenzione che offre LOST è sempre parziale: c’è sempre un confine ulteriore che non è dato superare perché il CONFINE dell’isola NON E’ CHIARO (è un confine geografico, o reale ? E’ un sogno?  C’è il sospetto spesso, durante le puntate del serial che tutto quello che vediamo sia solo una illusione, qualcosa di sognato, oppure di appartenente ad un’altra dimensione).

I superstiti NON SANNO dove finisce l’ISOLA e non sanno COSA C’E’ FUORI che li aspetta, dall’altra parte, e non sanno se ritorneranno mai…

Ma allora in questo quadro così confuso, in cosa crede questo uomo del XXI secolo ?

LOST risponde che l’uomo crede ancora alle stesse cose che credeva agli albori dell’umanità:   alla prevalenza del BENE, all’amicizia, alla solidarietà tra persone, all’aiuto, al partorire un figlio e a cercare di difenderlo da ogni avversità, alla costruzione di qualcosa da condividere, da vivere insieme.

E’ molto, è poco ?? 

E’ molto.


LOST è stato qualcosa di importante, un'opera originale capace di offrire risposte non banali, e a offrire un vero palcoscenico (spettacolare, fantasticamente congegnato) alle nostre domande, che ritroviamo sempre uguali, dagli albori ad oggi, avvertendo come in esse si incarni tutta la nostra dannazione e la nostra possibile salvezza.