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29/10/21

Qual è stato il primo Teatro costruito a Roma ? E dove si trovava ?

 



Quando fu costruito il primo teatro a Roma?

 

Il primo teatro in muratura a Roma può essere considerato il Teatro di Pompeo, che sorgeva nei pressi dell’attuale Largo Argentina, tra via dei Chiavari e via dei Giubbonari, dove si trova oggi piazza di Grotta Pinta (resti importanti dell’edificio si possono ancora ammirare oggi nei locali dell’Hotel Lunetta), la cui forma richiama quelle della costruzione romana. 

Il teatro prese il nome dal console Gneo Pompeo Magno che ne ordinò la costruzione al ritorno dalla sua campagna vittoriosa sui popoli orientali, tra il 60 e il 55 a.C. 

Prima di Pompeo, vigeva il divieto di costruire edifici stabili di spettacolo in città. Il console aggirò il divieto facendo apporre sulla sommità della cavea un piccolo tempio dedicato a Venere Vincitrice, cosicché tutta la gradinata del teatro appariva come una grande scala d’accesso al tempio. 

Il teatro aveva dimensioni considerevoli – il diametro era di centocinquanta metri – e fu il primo passo della grande opera di monumentalizzazione del Campo Marzio, una zona destinata a diventare di vitale importanza nella vita della città di Roma.


Tratto da Fabrizio Falconi - 501 domande e risposte sulla storia di Roma - Newton Compton, 2020

 


04/04/21

Pasqua insolita a Roma: Parlando di Resurrezione, la visita alle incredibili cripte dei Cappuccini in Via Veneto

 


Una visita a Roma nei giorni di Pasqua, può riservare molte sorprese

Ne è un esempio la cosiddetta Chiesa dei Cappuccini in Via Veneto – il cui nome esatto è in realtà Santa Maria dell’Immacolata - celebre soprattutto per l’antico cimitero nel sotterraneo dell’edificio: la cripta,  le cui cinque cappelle sono interamente ricoperte e decorate con parti di scheletri – omeri, femori, vertebre, teschi, scapole, clavicole -  appartenenti a frati cappuccini che vissero per secoli nell’adiacente convento: più di quattromila scheletri formano una fantasmagorica e lugubre scenografia che serviva come memento mori, come ammonimento riguardo alla caducità della vita terrena.

Oggi alle cripte si accede attraverso un modernissimo e funzionale Museo dedicato alla confraternita dei Cappuccini (adiacente alla Chiesa), molto interessante, che ricostruisce la storia dell’Ordine attraverso i suoi personaggi, le curiosità, i luoghi e  gli strumenti della predicazione, sull’esempio del Santo assisiano.

Noi eravamo quello che voi siete e quello che noi siamo voi sarete, ammonisce un cartello all’entrata, piantato direttamente nella terra delle sepolture.

Ma i cappuccini professavano la loro fede nella Resurrezione e l’ultima delle Cappelle è in questo senso, liberatoria, perché si assiste, in una tela, alla raffigurazione del miracolo della resurrezione di Lazzaro. L’intera cripta è quindi un passaggio pasquale, attraverso la morte, nella sua rappresentazione più gotica,   fino alla Resurrezione. E non è un caso che questo luogo nei secoli abbia suscitato l’interesse di illustri e diversi artisti, da Nathaniel Hawthorne e Goethe, fino al Marchese De Sade, che ne rimase fortemente impressionato.
Ma se ancora oggi la Chiesa richiama molti visitatori per questa particolarità,
molti altri sono i motivi di interesse, prima di tutto quella grande tela d’altare nella prima cappella a destra firmata dal genio di Guido Reni e raffigurante San Michele Arcangelo che schiaccia con il piede la testa di Satana. 

Questo dipinto ha una storia molto particolare, che pochi conoscono.  Il bolognese Guido Reni era quel che si dice uno spirito inquieto. Ammirato e ricercatissimo nella Roma di allora, era quello che si potrebbe definire un dandy ante-litteram. Sempre elegante e azzimato, orgoglioso e curioso, si sentiva attratto dal soprannaturale, dalla magia e dall’azzardo. 

Quando nel 1635 ricevette da Antonio Barberini, che era il fratello del Papa di allora – Urbano VIII, al secolo Maffeo Vincenzo Barberini – l’incarico di realizzare una grande pala d’altare per la Chiesa dell’Ordine al quale lo stesso Antonio apparteneva, Guido Reni pensò bene di prendersi una rivincita, a modo suo, nei confronti di uno dei personaggi più influenti della Capitale, quel Giovanni Battista Pamphilj, destinato a diventare qualche anno più tardi anch’esso Papa, succedendo ad Urbano VIII con il nome di Innocenzo X.

Barberini e Pamphilj si contendevano la scena a Roma, in quel periodo. Erano le due famiglie più facoltose, le più potenti, quelle che con più numeri ambivano alla elezione del Pontefice. 

Guido Reni era dalla parte dei Barberini. Anche per motivi personali che gli avevano reso inviso Giovanni Battista Pamphilj, brillante avvocato di curia. Non si conosce bene il motivo di questa antipatia: se si trattò di un affronto personale,  di una maldicenza o  di un danno alla reputazione del pittore.  Forse per vendicarsi di qualche torto subito, Guido Reni ritrasse nella tela della Chiesa dei Cappuccini la testa del demonio schiacciata dall’Arcangelo con i lineamenti di Giovanni Battista Pamphilj: lo stesso viso allungato, la fronte stempiata e quel pizzetto che lo rendevano un ottimo soggetto per la rappresentazione del Diavolo..

Quel che è certo è che sin da quando il quadro fu esposto, la somiglianza parve a molti innegabile.  E lo stesso Giovanni Battista, all’epoca Cardinale, ne rimase scandalizzato, chiedendo anche per vie diplomatiche che si provvedesse a nasconderlo.  Ma quella Chiesa era territorio dei Barberini e nonostante le rimostranze, furono creduti i motivi di discolpa dell’artista il quale si giustificò dicendo che si era semplicemente ispirato all’immagine del Demonio che più volte aveva segnato, nel corso dei suoi incubi notturni..

Dunque il quadro non fu mai spostato. Anche se i motivi di imbarazzo crebbero ulteriormente qualche anno più tardi quando Giovanni Battista divenne addirittura Papa. 

E qualche voce maligna, nella Roma di allora, si affrettò a constatare che “anche se in quella città si era visto di tutto, dall’epoca di Romolo e poi di Nerone, non s’era mai visto un Papa assomigliare così tanto ad un Demonio!”


Fabrizio Falconi - riproduzione riservata 2021 




08/01/21

Il DNA degli antichi romani ricostruito: si è modificato nel tempo seguendo le fasi storiche di ROMA


Il DNA dei romani si è modificato nel tempo seguendo l’evoluzione delle fasi storiche che hanno segnato la vita e la crescita della città
che al suo culmine ha raggiunto per prima al mondo la popolazione di un milione di abitanti come capitale di un Impero che univa tra loro tre continenti

Lo rivela uno studio genetico, unico nel suo genere pubblicato sulla prestigiosa rivista Science.

Allo studio hanno partecipato un gruppo misto di ricercatori di diverse università tra le quali Harvard, La Sapienza e l’Università di Vienna. 

La ricerca ha analizzato campioni di DNA umano provenienti da 29 siti archeologici presenti nell’area intorno a Roma (Lazio e, in un caso anche Abruzzo) e che coprono un arco temporale che va dal Paleolitico all’Era Moderna (in tutto un arco temporale di circa 12 mila anni) appartenenti a 129 individui. 

“Si è trattato - ha detto all’agenzia Agi Alfredo Coppa, docente di Antropologia fisica alla Sapienza che ha partecipato allo studio - di un lavoro unico nel suo genere perché ha focalizzato l’evoluzione nel tempo del DNA di una città che ha avuto un ruolo molto importante nella storia globale”.

I risultati raccolti hanno così permesso di intrecciare il variare del mix genetico presente negli individui che hanno vissuto a Roma e nei suoi immediati dintorni con l’evoluzione dell’organizzazione urbana del territorio e, dopo la fondazione di Roma, anche con il variare della sua funzione, prima a carattere squisitamente regionale, poi italica, imperiale e globale e fino alla crisi dell’Impero e al successivo medioevo. 

 Ad ogni mutazione di questi assetti, corrispondono mutazioni nel mix di discendenti che caratterizzano il profilo genetico degli antichi romani. Così accade che il profilo genetico dei più antichi abitanti del territorio che diventerà poi Roma, intorno a 6 mila anni prima di Cristo, evidenzia la presenza di antenati di origine anatolica, e sorprendentemente anche iraniani

Successivamente, tra 5 mila e 3 mila anni fa, i DNA analizzati restituiscono l’arrivo di popolazioni dalla steppa ucraina. Con la nascita di Roma e il costituirsi dell’Impero Romano, la variabilità genetica cambia e incrementa ulteriormente. Per questo momento, il DNA “legge” arrivi dai diversi territori dell’impero, con una predominanza dalle aree mediterranee orientali e soprattutto dal Vicino Oriente. Gli eventi storici segnati dalla scissione dell’Impero prima e dalla nascita del Sacro Romano Impero comportano un afflusso di ascendenza dall'Europa centrale e settentrionale

“Non ci aspettavamo di trovare una così ampia diversità genetica già al tempo delle origini di Roma, con individui aventi antenati provenienti dal Nord Africa, dal Vicino Oriente e dalle regioni del Mediterraneo europeo", sottolinea Ron Pinhasi, che insegna Antropologia evolutiva all'Università di Vienna nonché uno dei senior authors dello studio, insieme a Jonathan Pritchard, docente di Genetica e Biologia all’Università di Stanford e ad Alfredo Coppa, docente di Antropologia fisica alla Sapienza. 

Per gli autori la parte più interessante doveva ancora venire. Sebbene Roma fosse iniziata come una semplice città-stato, in una manciata di secoli conquistò il controllo di un impero che si estendeva fino al nord con la Gran Bretagna, a sud nel Nord Africa e ad est in Siria, Giordania e Iraq. L'espansione dell'impero facilitò il movimento e l'interazione delle persone attraverso reti commerciali, nuove infrastrutture stradali, campagne militari e schiavitù. Le fonti e le testimonianze archeologiche indicano la presenza di stretti collegamenti tra Roma e tutte le altre parti dell'impero. Roma, infatti, basava la sua prosperità su beni commerciali provenienti da ogni angolo del mondo allora conosciuto. I ricercatori hanno scoperto che la genetica non solo conferma il quadro storico-archeologico, ma lo rende più complesso e articolato.

Nel periodo imperiale, si assiste ad un enorme cambiamento nell’ascendenza dei Romani: prevale l’incidenza di antenati che provenivano dal Vicino Oriente, probabilmente a causa della presenza in quei luoghi di popolazioni più numerose, rispetto a quelle dei confini occidentali dell'Impero romano. 

 "L'analisi del DNA ha rivelato che, mentre l'Impero Romano si espandeva nel Mar Mediterraneo, immigranti dal Vicino Oriente, Europa e Nord Africa si sono stabiliti a Roma, cambiando sensibilmente il volto di una delle prime grandi città del mondo antico”, riporta Pritchard, membro di Stanford Bio-X. I secoli successivi sono caratterizzati da eventi tumultuosi come il trasferimento della capitale a Costantinopoli, la scissione dell'Impero, le malattie che decimarono la popolazione di Roma e infine la serie di invasioni, tra cui il saccheggio di Roma da parte dei Visigoti nel 410 d.C. Tutti questi eventi hanno lasciato il segno sull’ascendenza della città, che si è spostata dal Mediterraneo orientale verso l'Europa occidentale. Allo stesso modo, l'ascesa del Sacro Romano Impero comporta un afflusso di ascendenza dall'Europa centrale e settentrionale

"Per la prima volta uno studio di così grande portata è applicato alla capitale di uno dei i più grandi imperi dell'antichità, Roma, svelando aspetti sconosciuti di una grande civiltà classica", dichiara Alfredo Coppa. "Assistiamo al coronamento di 30 anni di ricerche del Museo delle Civiltà sull'antropologia dei Romani e un nuovo tassello si è aggiunto alla comprensione di quella società così complessa ma per molti versi ancora così misteriosa" aggiungono Alessandra Sperduti e Luca Bondioli del Museo delle Civiltà di Roma. 

Lo studio su Roma è stato affrontato con le più moderne tecnologie per il DNA antico che questo gruppo di ricerca utilizza da oltre un decennio, allo scopo di chiarire dettagli non leggibili nel record storico, ha affermato Pritchard. "I documenti storici e archeologici ci raccontano molto sulla storia politica e sui contatti di vario genere con luoghi diversi – ad esempio commercio e schiavitù – ma quei documenti forniscono informazioni limitate sulla composizione genetica della popolazione". “I dati sul DNA antico costituiscono una nuova fonte di informazioni che rispecchia molto bene la storia sociale di individui di Roma nel tempo", afferma Ron Pinhasi. "Nel nostro studio ci siamo avvalsi della collaborazione e del supporto di un gran numero di archeologi e antropologi che, aprendo per noi i loro archivi, ci hanno permesso di inquadrare e interpretare meglio i risultati ", conclude Alfredo Coppa. 

12/12/20

I Fori Romani ancora non hanno finito di stupire: Spunta dai secoli una Testa Monumentale di Augusto



Una testa di eta' imperiale del dio Dioniso, una seconda testa dell'imperatore Augusto sempre di epoca imperiale in eta' giovanile mai mostrata al pubblico. E poi oltre 60 frammenti del Fregio d'Armi del Foro di Traiano, che rappresentano le spoglie belliche dei popoli vinti e quelle dei vincitori, e un frammento di fregio storico in marmo bianco a grana fine, inquadrabile cronologicamente tra il I e il II secolo d.C.: arrivano direttamente dal sottosuolo del primo tratto di via Alessandrina alcuni incredibili tesori della Roma antica, rinvenuti nello scavo archeologico appena concluso e illustrato ieri, grazie al quale e' tornata alla luce una nuova porzione dei Fori Imperiali. 

Con questa opera, curata da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali su concessione del Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali e per il Turismo - Parco Archeologico del Colosseo e resa possibile grazie al contributo della Repubblica dell'Azerbaigian (per un importo complessivo di 1.000.000 di euro), finalmente con un unico sguardo si potra' ammirare la piazza del Foro di Traiano con il complesso monumentale dei Mercati di Traiano

Gli scavi hanno riguardato il tratto settentrionale, lungo circa 60 metri e ora rimosso, della via Alessandrina che collegava l'attuale piazza del Foro di Traiano a largo Corrado Ricci: i preziosi reperti emersi dopo il lavoro, adesso in fase di restauro e studio, saranno poi esposti al Museo dei Fori Imperiali ai Mercati di Traiano

"Il Foro di Traiano e' un capolavoro dell'urbanistica romana di cui finora non si coglieva appieno la grandiosita'. Oggi e' piu' facile capire perché la costruzione fosse definita 'degna dell'ammirazione degli dei'", dichiara Maria Vittoria Marini Clarelli, Sovrintendente Capitolina ai Beni Culturali. 'L'intervento di via Alessandrina, condotto da Roma Capitale, si configura come un progetto di particolare importanza, in quanto restituisce alla fruizione pubblica l'area del Foro Traiano in tutta la sua ampiezza e grandiosita'."

20/10/20

Roma: La chiesa di Santa Francesca Romana e l’impronta del ginocchio di San Pietro


 La chiesa di Santa Francesca Romana e l’impronta del ginocchio di San Pietro

 

Per la sua posizione scenografica – sul magnifico prospetto rialzato del Foro Romano, prospiciente il Colosseo e i due archi, di Costantino e di Tito – la Chiesa di Santa Francesca Romana è una delle più richieste da sempre, dai romani per matrimoni e cerimonie religiose.  Non solo: ogni anno, il 9 marzo, si svolge la benedizione degli automobilisti che, provenienti da ogni parte di Roma, vengono qui con la loro vettura.

Le origini della Chiesa sono lontane nel tempo. Fondata nel IX secolo ricevette il titolo di Santa Maria Nova per distinguerla dall’altra chiesa dedicata a Maria esistente già nel Foro Romano con il nome di Santa Maria Antiqua.

La dedica alla Santa romana avvenne molto più tardi alla morte di Francesca Ponziani, la nobildonna vissuta nel Quattrocento, benefattrice e fondatrice dell’Ordine religioso delle Oblate Olivetane  di Tor de’ Specchi.

Nella chiesa di Santa Francesca Romana si conserva anche una suggestiva memoria dell’apostolo Pietro, le cui tracce del resto sono abbondanti nella zona del Foro Romano dove sorgeva il Carcere Mamertino nel quale la tradizione vuole che Pietro, insieme ad altri cristiani fu rinchiuso dopo il disastroso incendio del 64 d.C.

In questo luogo – cioè nel Foro – è collocato anche il racconto del duello tra i due apostoli, Pietro e Paolo e Simon Mago, il misterioso personaggio citato negli Atti degli Apostoli, il quale secondo alcuni testi apocrifi – gli Atti di Pietro in primis – avrebbe vissuto a Roma proprio sotto gli imperatori Claudio e Nerone.

Simon Mago, racconta la leggenda, al cospetto dei due apostoli, i più diretti discepoli di Cristo, li avrebbe pubblicamente sfidati, proprio nel Foro Romano, levandosi prodigiosamente in volo davanti ai loro occhi sbalorditi.

Per fermare questa magia, prosegue il racconto, i due apostoli si inginocchiarono invocando a gran voce Dio perché fermassero l’eretico e l’intervento del Padre non si fece attendere, visto che la magia di Simone si spense come d’incanto, facendolo precipitare al suolo.

A ricordo di questo episodio, proprio nella Chiesa di Francesca Romana, è conservata una pietra antichissima sulla quale è possibile osservare le impronte lasciate dal ginocchio dell’apostolo Pietro.

Per ammirarla bisogna salire le rampe di scale ai lati della cripta e proprio sulla parete destra del transetto si notano le due pietre protette da una vecchia inferriata sulle quali vi sono due cavità annerite dalla adorazione di migliaia di mani che le hanno baciate e toccate nel corso dei secoli. Al di sopra delle grate si legge una antica iscrizione: In queste pose le ginocchia S. Pietro quando i demonii port(arono) Simon Mago per aria.


In realtà sulla figura di Simone – e soprattutto sulla sua presenza a Roma –
sono più le leggende che le fonti certe.  Quel che si può dire è che, secondo gli Atti degli Apostoli era originario della Samaria ed era un profeta che si proclamava possessore di doni strabilianti donatigli direttamente da Dio. Queste figure però erano piuttosto numerose, nella Terra Santa nei primi secoli dopo Cristo ed è molto probabile che – come sostiene Ireneo di Lione – Simone fosse semplicemente il fondatore di una eresia gnostica. 

La sua popolarità comunque, specie a partire dal Medioevo, fu grandissima, al punto tale che anche Dante lo inserisce nel diciannovesimo canto della Divina Commedia intitolandogli addirittura l’intero ottavo cerchio dell’Inferno dove sono ospitati proprio i seguaci di Simon Mago, ovvero i simoniaci (coloro che pretendono di comprare con beni preziosi materiali le capacità spirituali),  con i celebri versi:   O Simon mago, o miseri seguaci/che le cose di Dio, che di bontate/ deon essere spose, e voi rapaci/ per oro e per argento avolterate,/ or convien che per voi suoni la tromba,/però che ne la terza bolgia state. (v.1-6, canto XIX, Inferno).

Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, 2013 


29/07/20

Quando i nazisti bruciarono le Navi di Caligola a Nemi

L'Ancora di legno di una delle due Navi di Caligola recuperata negli anni '20 e '30 nel Lago di Nemi


I nazisti in ritirata bruciarono le navi di Caligola e ora il comune di Nemi chiede i danni alla Germania

La giunta comunale della cittadina laziale ha votato una delibera su proposta del primo cittadino, Alberto Bertucci per chiedere i danni alla Germania per la distruzione "delle due famose navi romane dell'Imperatore Caligola". 

Le due navi, ritrovate nel secolo scorso tra il 1928 e il 1932, furono 'dolosamente e intenzionalmente bruciate la notte del 31 maggio 1944 dal 163° Gruppo Antiaereo Motorizzato tedesco che occupava la zona ed era in ritirata'. 

Dunque "quel danno irreparabile di un bene archeologico non fu il risultato di una imprevedibile azione bellica ma -spiega il sindaco Bertucci- un consapevole gesto di sfregio. Per questo chiediamo il risarcimento". 

"Si ritiene - aggiunge il Sindaco Alberto Bertucci" di sottoporre a giudizio risarcitorio nei confronti della Repubblica Federale di Germania per i danni morali e materiali subiti dalla collettivita' di Nemi a causa dell'irreparabile danno causato a un bene archeologico di inestimabile valore". 

"Abbiamo ritrovato relazioni, ampie documentazioni, testimonianze: i nazisti allontanarono tutti i residenti e il custode. Decisero di dare alle fiamme quei tesori. Non c'e' dubbio", aggiunge Bertucci. Il sindaco (che guida una lista civica di centro) pero' va oltre: «Noi non chiediamo semplicemente i danni. 

Vorremmo che, con un gesto significativo di spirito europeo, le autorita' tedesche collaborassero con noi per ricostruire cio' che emerse delle due navi ricorrendo alle nuove tecnologie di riproduzione. Grazie a un libro dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato del tempo, abbiamo una grande mole di dati, misure, immagini per procedere a un'opera di riproduzione, in concorso col governo tedesco e magari con la mediazione del nostro ministero per i Beni e le attivita' culturali». 


24/01/20

Cranio misterioso a Roma: potrebbe essere di Plinio il Vecchio


E' avvincente come un giallo la storia che, un indizio dopo l'altro, indica che potrebbe essere di Plinio il Vecchio il misterioso cranio conservato nel museo dell'Accademia di Arte Sanitaria di Roma. 

"Finora non abbiamo reliquie di grandi personaggi dell'antica Roma, il cranio potrebbe essere la prima", ha detto il giornalista e storico dell'arte Andrea Cionci, che ha promosso e coordinato due anni di ricerche grazie a donazioni private e alla collaborazione di esperti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e delle universita' Sapienza di Roma, di Firenze e di Macerata.

"Le probabilita' che sia il cranio di Plinio il Vecchio sono molto molto alte, anche se in archeologia non ci sono mai certezze assolute", ha rilevato Cionci, che a Roma ha presentato i nuovi dati nel convegno sui 100 anni dell' Accademia. 

L'unica certezza, ha aggiunto, e' che "dagli studi condotti finora non e' emerso nulla che possa contraddire l'attribuzione a Plinio"

 L'indagine e' stata suggerita a Cionci dagli elementi riportati nel libro di Flavio Russo "79 d.C., Rotta su Pompei", edito dallo Stato Maggiore della Difesa. 

I primi esami, eseguiti da Mauro Brilli, dell'Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Cnr (Cnr-Igag), sono stati quelli relativi agli atomi radioattivi, che restano imprigionati e cristallizzati nello smalto dei denti permanenti non appena questi compaiono: sono indicatori importanti perché gli elementi cui appartengono e le loro quantita' variano a seconda delle zone geografiche. "I risultati sono stati incoraggianti - ha detto Cionci - perche' indicavano un soggetto vissuto in alcune zone dell'Appennino centrale e della Pianura Padana, compresa la citta' natale di Plinio il Vecchio, Como".

Un po' di delusione e' arrivata dopo gli esami condotti da Roberto Cameriere, dell'Universita' di Macerata, che indicavano che il cranio apparteneva a un individuo di 37 anni, mentre Plinio ne aveva 56 al momento della morte. 

Tuttavia molto presto gli esami antropologici hanno indicato alcune differenze fra calotta cranica e mandibola. Sulla base di questo nuovo indizio sono entrati in campo i genetisti: analizzando il Dna esterno al nucleo e che si eredita solo per via materna (Dna mitocondriale), David Caramelli dell'Universita' di Firenze e Teresa Rinaldi dell'Universita' Sapienza hanno scoperto che mandibola e calotta cranica appartenevano a due individui diversi. 

Si e' superato cosi' anche il problema dell'eta': la mandibola apparteneva a un individuo di 37 anni forse di origine africana ma nato in Italia, mentre la calotta cranica a un uomo all'incirca dell'eta' di Plinio il Vecchio. 

"Una pura ipotesi - ha detto Cionci - potrebbe essere che l'individuo piu' giovane fosse uno degli schiavi che avevano sorretto Plinio il Vecchio al momento della morte". 

Ulteriori dettagli, come la posizione in cui era stato trovato lo scheletro e gli ornamenti militari d'oro che aveva indosso lo scheletro stringono ulteriormente il cerchio intorno all'identita' del cranio. La ricerca, in via di pubblicazione da parte dell'Accademia, e' stata possibile grazie al finanziamento di cittadini privati: "hanno fatto delle donazioni attraverso la onlus dell'Accademia, che si trova in uno stato di poverta' assoluta, nonostante gli straordinali reperti che conserva". 

Fonte Enrica Battifoglia per ANSA

08/10/19

Quando Costantino incontrò Silvestro sul Monte Soratte


La donazione di Costantino negli affreschi medievali alla Basilica dei Ss. Quattro Coronati a Roma

Quando Costantino incontrò Silvestro, sul Monte Soratte 
    
       
     Circa venti chilometri più a nord di Malborghetto il panorama della campagna di Roma è  dominato, lungo il tracciato della via Flaminia dalla imponente mole del monte Soratte, un massiccio calcareo di circa 700 m. dai pendii molto ripidi che si staglia in modo inconfondibile  sulla sottostante valle del Tevere .

      Visibile da grandi distanze, e addirittura anche da Roma nei giorni di cielo particolarmente limpido,  il Soratte ha, nel corso dei secoli, fornito una notevole varietà di reperti archeologici che ne attestano la frequentazione umana sin dai primordi.

      E’ stata con ogni probabilità proprio la sua peculiare morfologia a stimolarne l’utilizzo come luogo di culto da parte di antiche popolazioni come i Sabini prima,  e poi Falisci, Capenati, Etruschi, fino ai  Romani. 

      Ed è ancora oggi molto semplice constatare come – dopo aver percorso l’antico sentiero che parte dal villaggio di Sant’Oreste - dalla sua vetta si possa godere di un incredibile campo visivo a 360° che permette di spaziare nei giorni di nitidezza da un lato fino al mare, e dall’altro fino alle vicine vette dell’Appennino Sabino, alla valle del Tevere, al lago di Bracciano, e perfino ai confini di Roma.  

     Ma soprattutto il Soratte si evidenzia subito come un naturale osservatorio celeste.   Dalla sua cima, infatti, di notte è possibile ammirare la volta celeste senza ostacoli che ne limitino la visione. E di sicuro fu proprio questa peculiarità a giustificarne l’utilizzo sacrale sin dai tempi più remoti. Anche oggi, per chi visiti questo luogo, specialmente di notte,  si realizza la suggestiva sensazione di trovarsi proiettati verso il cielo, come se ci si trovasse sul vertice di una piramide.
     
       Ed è facile intuire come,  dopo l’incomparabile visuale di cui si poteva godere durante le ore di luce, al calare delle prime ombre della notte fino al sorgere di una nuova alba,  lo spettacolo del cielo stellato e dei suoi moti si prestasse in modo del tutto naturale  alla funzione di divinazione delle cose umane, in base agli eventi astronomici che si scorgevano nel cielo;  o ad accompagnare la scansione del tempo per le preghiere notturne.
      Come abbiamo detto, questa circostanza favorì l’edificazione di un certo numero di edifici sacri, sin dagli albori dell’umanità.  L’ultimo in ordine di tempo, nell’era della nostra indagine, fu un tempio dedicato a Soranus Apollo. Si trattava non di un particolare appellativo di Apollo, ma di  una divinità che in epoca imperiale ne congiungeva due diverse: Apollo, appunto, e Sorano, al quale si associava un culto pagano in quei luoghi.

       Una suggestiva ricostruzione  virtuale del Tempio di Apollo è stata realizzata dai prof. Marco e Alberto Carpiceci dell’Università di Roma, i quali, sulla base di rilievi topografici, analisi delle proporzioni architettoniche, e reperti archeologici,  hanno sostenuto che tale tempio fosse strettamente legato al culto del dio sole, proprio quel sol invictus, cioè  al quale era assai devoto il futuro – e per il momento ancora pagano - imperatore Costantino.
    
     Sulle  fondamenta di questo antico tempio di Apollo, fu poi edificato, a partire dal sesto secolo dopo Cristo, un nuovo edificio che oggi – come nell’antichità – è conosciuto come Eremo di San Silvestro, che ancora oggi fa splendida mostra di sé sulla cima della montagna sacra.  Il nome di questo eremo – oggi una Chiesa sottoposta a numerosi e recenti restauri  - ha resistito nei secoli ed è presto spiegato: all’epoca della discesa di Costantino verso Roma, viveva infatti in eremitaggio, sulla cima del monte Soratte, l’episcopo Silvestro, personaggio destinato ad avere un ruolo di primissimo piano  nella edificazione della chiesa di  Roma divenendo il trentatreesimo Papa,  e nel processo di cristianizzazione dell’Impero, voluto da Costantino.

  
L'eremo di San Silvestro sulla cima del Monte Soratte, oggi

    Ricostruire con esattezza la figura e il profilo biografico di Silvestro è impresa oggi piuttosto ardua, perché le scarne notizie su di lui sono fornite solo dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine, dal Liber Pontificalis e da altre fonti apocrife o leggendarie come l’Actus Silvestri, un documento databile IV-V sec.  di paternità ignota del quale si trova menzione per la prima volta nel Decretum Gelasianum anche questo di attribuzione controversa.

     Quel che sappiamo è che Silvestro, la cui data di nascita è ignota, era figlio di un certo Rufino, romano, e probabilmente di una certa Giusta. Divenuto presbitero,  Silvestro divenne il rappresentante di quella parte dei cristiani rimasta ostile a Massenzio.  L’usurpatore  dapprima impedì per anni l’elezione del Vescovo, poi favorì l’elezione di Milziade, un presbitero nordafricano ritenuto fedele alla sua causa che però non fu riconosciuto da Silvestro e dalla sua fazione.   Il mancato sostegno a Milziade suscitò l’ira di Massenzio che minacciò a tal punto Silvestro da costringerlo a fuggire nella capitale e a nascondersi nei territori vicini.
   
     Ai fini del nostro discorso, è importante comunque sottolineare che fu proprio l’Actus Silvestri ad ispirare, parecchi secoli più tardi, e precisamente nel Duecento, uno dei capitoli di quel testo su cui torneremo molto più diffusamente in seguito, quando parleremo di Piero della Francesca e della sua versione del Sogno di Costantino, e cioè La Leggenda Aurea,  di Jacopo da Varagine.    In questa famosissima opera, destinata a segnare la storia delle credenze cristiane per molti secoli, il frate domenicano, vissuto nel Duecento descrive effettivamente un incontro tra Silvestro e Costantino, anche se lo colloca non sul Monte Soratte ma a Roma, parecchio tempo dopo la battaglia di Ponte Milvio.  Secondo Jacopo, infatti, l’incontro avvenne dopo il 313, quando Silvestro già divenuto papa, si era dovuto rifugiare sul monte Soratte con tutto il clero romano a causa delle persecuzioni iniziate da Costantino. Questi, secondo il racconto di Jacopo,  per punizione divina si era ammalato di lebbra e i suoi sacerdoti lo avevano consigliato, per guarire, di bagnarsi in un catino riempito da sangue di fanciulli. L’imperatore però si impietosì al pianto delle madri e decise di risparmiare il sacrificio di quegli innocenti ricevendo come  premio in sogno, il consiglio da parte dei santi Pietro e Paolo, di richiamare Silvestro dal suo eremitaggio. I due apostoli dissero anche a Costantino che Silvestro gli avrebbe indicato la fonte giusta nella quale immergersi tre volte per essere guarito. Suggestionato da questo sogno, al risveglio Costantino mandò dei messaggeri da Silvestro per chiedere un immediato incontro a Roma. Silvestro accettò, fu condotto al cospetto di Costantino e dopo aver mostrato all’imperatore una effige raffigurante i due apostoli (che Costantino riconobbe come quelli visti in sogno)  lo guarì, immergendolo nelle acque del Battesimo, in un fonte che una tradizione perdurante identificò nei secoli nel Battistero Lateranense, i cui resti archeologici sorgono al fianco della Basilica di San Giovanni a Roma.

      Ed è il caso di ricordare che proprio questa guarigione miracolosa ispirò intorno all’VIII sec. dopo Cristo, ad opera di un chierico romano, la cosiddetta Constitutum Constantini ovvero la Donazione di Costantino, quella formidabile invenzione medievale per giustificare il potere temporale della Chiesa , secondo la quale l’Imperatore grato per la guarigione, nella circostanza dell’incontro con il capo della chiesa cristiana di Roma,   avrebbe concesso in cambio al papa Silvestro I e ai suoi successori il primato e la sovranità su Roma, l'Italia e l'intero Impero Romano d'Occidente

Tratto da B. Carboniero, F. Falconi, In Hoc Vinces, Edizioni Mediteranee, Roma 2011



14/05/19

La Meravigliosa Coppa di Licurgo e i suoi segreti



Il meraviglioso calice che vedete nella foto possiede una intrigante caratteristica: quando è illuminato da una fonte diretta, esso appare di color verde-giada, mentre se la fonte di luce è posta dietro l’oggetto, esso apparirà di colore rosso sangue.

 Si tratta di un calice di vetro, conosciuto come ‘La Coppa di Licurgo’, acquistato nel 1950 dal British Museum, l’enigmatica proprietà del calice ha sconcertato gli scienziati per decenni.

Una prima risposta arrivò solo nel 1990, quando un team di ricercatori inglesi, esaminando alcuni frammenti del calice al microscopio, scoprì che gli artigiani romani furono pionieri nell’utilizzo di nanotecnologie.

 La tecnica consisteva nell’impregnare il vetro con una miscela di particelle di argento e oro, fino a farle raggiungere le dimensioni di 50 nanometri di diametro, meno di un millesimo delle dimensioni di un granello di sale.

 La precisione del lavoro e la miscela esatta dei metalli preziosi suggerisce che gli artigiani Romani sapessero esattamente quello che stavano facendo e che non si tratta di un effetto accidentale.

“Si tratta di un’impresa straordinaria”, spiega Ian Freestone, archeologo presso l’ University College di Londra. La vetusta nanotecnologia funziona in questo modo: quando il calice viene colpito con la luce, gli elettroni delle particelle metalliche vibrano in maniera tale da alterarne il colore, a seconda della posizione dell’osservatore. Ma una ricerca, di cui dà notizia lo Smithsonian Magazine, rivela alcune novità davvero sorprendenti.

Logan Gang Liu, ingegnere presso l’Università dell’Illinois, si è dedicato per anni allo studio del manufatto, fino a capire che questa antica tecnologia romana può avere utilizzi nella medicina, favorendo la diagnosi di alcune malattie e l’individuazione di rischi biologici ai controlli di sicurezza. 

“I romani sapevano come fare e come utilizzare le nanoparticelle per creazioni artistiche”, spiega il ricercatore. “Noi abbiamo cercato di capire se fosse possibile utilizzarla per applicazioni scientifiche”.

 Dal momento che non era possibile utilizzare il prezioso manufatto, il team guidato da Liu ha condotto un esperimento nel quale sono stati creati una serie di recipienti in plastica intrisi di nanoparticelle d’oro e d’argento, realizzando degli equivalenti della Coppa di Licurgo.

Una volta riempito ciascun recipiente con i più diversi materiali, come acqua, olio, zucchero e sale, i ricercatori hanno osservato diversi cambiamenti di colore.

Il prototipo è risultato 100 volte più sensibile dei sensori utilizzati per rilevare i livelli salini in soluzione attualmente in commercio.

Secondo i ricercatori, un giorno questa tecnica potrà essere utilizzata per rilevare agenti patogeni in campioni di saliva o di urina, e per contrastare eventuali terroristi intenzionati a trasportare liquidi pericolosi a bordo degli aerei.

Non è la prima volta che la tecnologia romana sorprende i ricercatori moderni, superando il livello attuale di conoscenza.

Un esempio è dato dallo studio sulla composizione del calcestruzzo romano, rimasto sommerso nelle acque del Mediterraneo per 2 mila anni.

I ricercatori hanno scoperto che la sua composizione è decisamente superiore al calcestruzzo moderno, sia in termini di durata che di ecocompatibilità.

Le conoscenze acquisite dai ricercatori vengono oggi utilizzate per migliorare il cemento che oggi utilizziamo. Non è ironico che gli scienziati si rivolgano alle tecniche utilizzate dai nostri antenati ‘primitivi’ per lo sviluppo di nuove tecnologie?

Fonte: http://www.ilnavigatorecurioso.it

20/04/19

Straordinario ritrovamento a Roma: così si lavorava la ceramica a Trastevere




Il più antico laboratorio produttivo nel cuore della città: e' questo il risultato dello scavo condotto dalla Soprintendenza Speciale di Roma all`interno del giardino di Palazzo Corsini in Via della Lungara a Trastevere. 

La fornace portata alla luce è un ritrovamento finora unico a Roma, testimonianza della sua vita lavorativa, della sua economia basata sull`alto artigianato e la trasformazione di materie prime provenienti dai quattro angoli dell`impero. 

L`indagine, iniziata con un sondaggio di archeologia preventiva nell`aprile del 2018 e proseguita da febbraio scorso con uno scavo stratigrafico, ha messo in luce diversi contesti. 

Da una parte l`eccezionale ritrovamento della fornace, dall`altra un deposito di anfore per il trasporto dell`olio, probabilmente riutilizzate per il drenaggio dell`acqua, nonche' di varie murature.

Il ritrovamento appare ancora piu' straordinario considerando la suggestione del luogo: Palazzo Corsini, sede dell`Accademia dei Lincei, con cui la Soprintendenza ha collaborato e con cui sta progettando la valorizzazione dei reperti.


I ritrovamentiri verranno coperti con materiale protettivo e presto nuovamente interrati, metodo che li protegge dagli agenti atmosferici

Tuttavia e' gia' in programmazione una nuova serie di indagini, intorno all`area gia' scavata, per ampliare il quadro dei ritrovamenti e contestualizzarli nel modo migliore. 

I reperti trovati saranno presto esposti nella sede stessa dei Lincei, in uno spazio aperto al pubblico, e saranno spunto e oggetto di una serie di incontri e di conferenze dedicati a tutti coloro che vorranno conoscere meglio la storia della citta' e di un quartiere storico come Trastevere

Lo scavo archeologico nell'angolo Sud-Est del giardino di Palazzo Corsini ha rivelato un contesto di importanza eccezionale. È venuta alla luce una struttura di eta' romana riferibile a una fornace per la produzione di ceramica, di ceramica invetriata e forse di vetro. Si tratta del primo impianto di questo tipo chiaramente riconoscibile trovato all'interno della citta' antica

Curata dalla Soprintendenza Speciale di Roma, l`indagine iniziata nel mese di aprile del 2018, e' proseguita con lo scavo stratigrafico dallo scorso mese di febbraio, ha interessato un`area di circa 15 metri di larghezza per 18 di lunghezza. 

Nell`angolo Sud dello scavo e' emersa una ampia porzione di piano in concotto, con tracce evidenti di esposizione a forte calore, contrassegnate da una colorazione che dal giallo intenso arriva al rossastro, caratterizzata da resti di superfici utilizzate per lavorazioni artigianali. 


Il piano, o probabilmente una serie di piani rialzati, si appoggiano a un muro in opera laterizia, rasato alla loro stessa quota. 

La presenza di un grande numero di materiali di scarto e di scorie di lavorazione di ceramica e di blocchi di concotto con strato di rivestimento vetroso testimonia l'esistenza di una fornace usata per la produzione di materiale ceramico e probabilmente anche per l'invetriatura della ceramica stessa.

04/01/19

Incredibile: dopo 2.000 anni le rive del Tamigi restituiscono un prezioso reperto romano.



Incredibile ma vero, dopo 2.000 anni anche le rive del Tamigi continuano a restituire reperti dell'epoca gloriosa dell'Impero Romano la cui estensione giunse fino a questi lidi.

E così capita che un cercatore di fanghi - alla ricerca di scafi abbandonati -  tale Alan Suttie, di Mitcham, si è imbattuto in un prezioso reperto di epoca romana: si tratta di una tradizionale lucerna a olio, la cui terracotta è finemente lavorata, che risale alla fine del I secolo dopo Cristo, il periodo cioè successivo alla conquista della Britannia da parte dell'esercito romano e della sua annessione all'Impero. 

Il reperto andrà ad arricchire la collezione del Museum of London e - riferisce la Bbc sul suo sito - e' stato descritto come "rilevante". 

Fonte BBC e ANSA

13/11/17

Scoperta nel Lazio una meravigliosa Meridiana di 2.000 anni fa.



Oltre duemila anni fa, un cittadino romano di nome Marcus Novius Tubula, fresco di vittoria politica, dedicò una meridiana solare di marmo alla sua piccola cittadina: Interamna Lirenas (l’attuale Pignataro Interamna, in provincia di Frosinone). 

Una sorta di monumento alla vittoria per la cui realizzazione pagò - secondo l’iscrizione incisa sul monumento - di tasca propria. 

Gli archeologi hanno scoperto questo antico “trofeo” elettorale negli scavi ancora in corso nel sito di Interamna Lirenas, situato a circa 80 chilometri a sud di Roma, nella Valle del Liri.
Sembra che Interamna Lirenas sia stata una piccola cittadina fondata nel IV secolo a. C. e abbandonata nel VI secolo d. C.

27/10/17

Grazie ai mecenati di Danimarca, riemergerà nella sua interezza lo spettacolare Foro di Cesare !


Il Foro di Cesare riemergera' nella sua interezza entro il 2021

Ad 'inaugurare' l'ultimo intervento archeologico che sara' realizzato a Roma grazie al mecenatismo e' la sindaca Virginia Raggi insieme alla regina di Danimarca, Margrethe II

La prima cittadina accompagna la monarca danese sul luogo del futuro scavo, reso possibile grazie alla Fondazione Carlsberg di Copenhagen che ha destinato all'iniziativa 1,5 milioni. 

Al tour tra i resti dell'antica Roma hanno preso parte anche l'ambasciatore di Danimarca a Roma Erik V. Lorenzen e il sovrintendente capitolino ai Beni Culturali Claudio Parisi Presicce che illustra gli step del progetto: "Cominceremo con un saggio di scavo su circa 400 metri quadrati e pensiamo che quest'area restituira' i resti del portico orientale del Foro Cesare. Se sono ben conservati per poterlo ricomporre, lo faremo e si continuera' lo scavo fino al tempio di Venere Genitrice - prosegue -. Con questo intervento, che si dovrebbe concludere nel 2021, si potra' recuperare il Foro di Cesare nella sua interezza. Oggi un quinto e' ancora sommerso. Speriamo anche che da questo scavo emergano anche altre tombe dell'eta' del bronzo"

 Per lo scavo finalizzato all'ampliamento del Foro proprio la Sovrintendenza nel mese di marzo ha siglato una convenzione con l'Accademia di Danimarca del valore di 1.500.000 di euro erogato dalla Fondazione Carlsberg di Copenhagen

"Essere qui oggi significa qualcosa soprattutto per le persone interessate a fare questo scavo - ha detto la regina Margrethe II -. Mi piace molto l'archeologia, vedere come si viveva un tempo puo' insegnarci come vivere oggi". "Desidero rivolgere un caro saluto alla regina di Danimarca - le parole di Raggi -. Siamo felici di accoglierla nel cuore della Capitale d'Italia, che custodisce un patrimonio e una bellezza che l'hanno resa famosa nel mondo. Un patrimonio culturale, immenso e inestimabile, verso cui lei mostra tanto amore e attenzione. Voglio esprimere un sincero ringraziamento per la generosita' e sensibilita'" dimostrata. 



23/10/17

Tornano dall'America preziosissimi reperti romani tra cui un pezzo del ponte di comando delle Navi di Caligola al Lago di Nemi !


"Gli Stati Uniti d'America hanno restituito oggi all'Italia diversi beni archeologici provenienti da scavi clandestini o frutto di furti avvenuti nel nostro Paese. Grazie alla preziosa attivita' investigativa del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e alla fattiva collaborazione delle autorita' statunitensi, presto ritorneranno in Italia il prezioso frammento della pavimentazione di una delle navi di Caligola rinvenute nel lago di Nemi, due vasi a figure rosse del V - IV secolo avanti Cristo e diversi reperti numismatici, libri antichi e manoscritti. Tutti saranno ricollocati nei luoghi di provenienza da dove l'attivita' criminale li aveva sottratti". 

Cosi' ha dichiarato il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, Dario Franceschini, nel corso di una conferenza stampa tenutasi al Consolato Generale d'Italia di New York alla presenza di Karen Friedman Agnifilio, Capo Assistente del Procuratore Distrettuale della Contea di New York, di Bridget M. Rhoede, facente funzione del Procuratore degli Stati Uniti per il distretto orientale di New York, di Anthony Scandiffio, facente funzione del Vice Direttore della U.S. Immigration and Customs Enforcement - Homeland Security Investigations e con la partecipazione dell'Ambasciatore d'Italia negli Stati Uniti, Armando Varricchi, e del Comandante dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, Fabrizio Parrulli.

Tra i reperti archeologici, monete, libri e manoscritti restituiti si segnalano: un frammento in marmo romano a mosaico con serpentino e porfido del II secolo d.C., parte del ponte di comando di una delle due navi dacerimonia dell'Imperatore Caligola rinvenute nei fondali del lagodi Nemi durante una campagna di scavo archeologico condotta trail 1928 e il 1932


Il reperto era custodito presso il Museo delle Navi Romane da dove fu rubato nel secondo dopoguerra. È stato individuato presso una collezione privata di una cittadina italiana residente negli USA ed e' stato sequestrato dal Procuratore Distrettuale di New York sulla base delle prove fornite dal Comando Carabinieri TPC; un cratere apulo a figure rosse, 360-350 a.C., attribuito all'artista Python, frutto di scavi clandestini in Campania prima del 1985. 

Le indagini hanno dimostrato che il vaso era stato ricettato e illecitamente esportato da un noto trafficante internazionale italiano, per essere poi individuato presso il Metropolitan Museum di New York, dove e' stato recuperato dal Procuratore Distrettuale di New York; un'anfora attica a figure rosse, V secolo a.C., attribuita al pittore di Charmides, provento di scavi clandestini in Puglia prima del 1983. 

Gli investigatori specializzati nelle ricerche telematiche del Comando Carabinieri TPC lo hanno localizzato nel 2016 sul sito di una galleria d'arte di New York durante i controlli del mercato online. Gli ulteriori accertamenti svolti in Italia e negli Stati Uniti, in collaborazione con gli uffici dell'HSI - ICE di New York e Roma, hanno consentito il sequestro da parte dell'Ufficio del Procuratore Distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto Orientale di New York, quale bene ricettato da un trafficante internazionale.

FONTE: http://www.askanews.it

16/10/17

Il Mistero del "Disco di Libarna" - un affascinante rebus svelato dagli scienziati.



E' stato svelato che cosa e' il cosiddetto 'Disco di Libarna', oggetto risalente al I secolo dopo Cristo. 

Il reperto, unico in Europa, conservato al museo di Archeologia ligure, catalogato come peso, e' invece uno strumento astronomico. 

Scoperto anche il suo funzionamento. Il disco era utilizzato per determinare il nord celeste e calcolare le lunazioni. 

Venne ritrovato durante gli scavi di Libarna, antica citta' romana, a Serravalle Scrivia (Alessandria).

Il disco, di pochi centimetri di diametro, presenta due facce differenti, divise in settori e decorate. La faccia principale ha 13 lunette, l'altra 4 settori circolari che rappresentano le stagioni a cui sono legate tre lunazioni e quattro anni solari che, con il quinto della faccia opposta, rappresentano i cinque anni del calendario di Coligny. 

A scoprirne il funzionamento e' stato il professor Guido Cossard, esperto di archeo-astronomia. Il Disco di Libarna sara' presentato al Festival della scienza di Genova il 27 ottobre e il 28 in una conferenza dedicata alla Luna.


"Gli antichi da sempre si sono posti il problema delle lunazioni - spiega Cossard - ma anche quello di determinare il nord per poter costruire le citta' in armonia con il cosmo. Per trovare questa armonia era necessario che l'asse principale della citta', chiamato cardo, fosse parallelo all'asse dell'universo. Ma come si poteva determinare la direzione corretta? A partire dal sesto secolo avanti Cristo, i cinesi utilizzavano uno strumento, il Pi, che consisteva in un disco forato. I miei studi hanno potuto cosi' affermare, che il Disco di Libarna poteva essere un vero strumento utilizzato in astronomia, proprio come il Pi cinese"

Grazie alla collaborazione con l'Osservatorio astronomico del Righi di Genova, chiesta dalla direttrice del museo, e allo studio di Cossard, e' stato stabilito l'utilizzo del disco. 

 "Durante l'allestimento degli spazi museali dedicati alle citta' romane liguri - spiega la direttrice del museo Patrizia Garibaldi - abbiamo posto la nostra attenzione su questo misterioso disco di piombo che era stato catalogato come 'peso'. Ipotesi che non ci convinceva per la forma e le particolari incisioni, che facevano pensare a qualcosa legato all'astronomia". 

Da qui la richiesta di collaborazione all'Osservatorio astronomico del Righi. "La nostra interpretazione sul disco di Libarna - spiega il direttore dell'Ossservatorio Walter Riva - e' che servisse per la sincronizzazione del calendario solare a quello lunare.

02/08/17

Torna a vivere finalmente il magnifico Teatro Marittimo di Villa Adriana a Tivoli.





L'inizio di un biennio dedicato al grande Imperatore Adriano, in occasione del 1900mo anniversario dalla sua ascesa al trono, e' salutato a Villa Adriana, sitoUnesco di Tivoli, con l'inaugurazione, dopo tre anni di restauro, del complesso monumentale del Teatro Marittimo e della Sala dei Filosofi

L'impegnativa opera di restauro, ha risolto i problemi di sicurezza e restituito piena leggibilita' al piu' celebre complesso monumentale della Villa che, per le sue numerose "citazioni" nell'architettura moderna, ha contribuito in maniera determinante all'iscrizione della residenza tiburtina nel Patrimonio Mondiale dell'UNESCO

 "Il Teatro Marittimo - spiega Andrea Bruciati, Direttore dell'Istituto autonomo Villa Adriana e Villa d'Este - era uno spazio dedicato al pensiero, alla meditazione, alla riflessione, che riemerge ora da un restauro che ha interessato nell'ultimo triennio un'area fondamentale del complesso residenziale adrianeo. Ambiente simbolo dell'immaginario, parzialmente inaccessibile dal 2010, che ora reintegra la lettura totale del monumento, proiettando una luce nuova sul futuro prossimo della Villa".

"Questa riapertura - sottolinea Bruciati - segna un primo atto estroverso di un processo inclusivo che vedra' varie aree dispiegarsi nuovamente al pubblico in questo biennio dedicato all'Imperatore. Un'azione simbolica e concreta che si innesta dialetticamente su una frequenza preziosa ed antica, che indica in maniera attuativa il nuovo corso dell'Istituto Villa Adriana e Villa d'Este". 

"Con questo importante restauro del teatro Marittimo - dichiara Ilaria Borletti Buitoni, Sottosegretario del Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo con delega ai siti Unesco - continua l'attenzione e la cura da parte del Mibact verso Villa Adriana, la cui centralita' nel nostro patrimonio e' ora parte della nostra identita' culturale nazionale". 

"Dopo un lungo periodo di chiusura - spiega il Soprintendente per l'archeologia, le belle arti e il paesaggio per l'Area metropolitana di Roma, la Provincia di Viterbo e l'Etruria meridionale, Alfonsina Russo -, sara' quindi di nuovo percorribile il suggestivo portico anulare del Teatro Marittimo, che consentiva di accedere ai due vicini Palazzi imperiali, e si potra' ammirare la minuscola domus privata accolta sull'"isola" centrale cinta dal canale". 

L'integrazione delle cortine murarie, condotta - com'e' nella tradizione dei restauri in Villa - con rigoroso metodo filologico, rispettoso della poesia delle rovine, e la pulitura delle superfici lapidee enfatizzano la bellezza delle soluzioni spaziali che si inseriscono, prediligendo spazi avvolgenti e coperture a volta, nel piu' innovativo filone della progettazione adrianea. 

Analogamente, nell'attigua Sala dei Filosofi integrazioni e consolidamenti hanno ridato nettezza di linee alle colossali strutture di quella che fu in realta' la biblioteca della Villa, espressione dell'ideale di cultura greca, assurto a vero elemento unificante dell'Impero di Adriano.