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29/09/17

L'eremita che viveva nel Colosseo. Una storia particolare.

  



Anche Roma ha avuto i suoi santi mistici. E alcuni di loro, vissuti in tempi relativamente recenti, hanno lasciato tracce ben visibili nella storia e nei luoghi cittadini.
E’ il caso di San Benedetto Giuseppe Labre, un santo di cui oggi si è persa quasi la memoria, nato il 26 marzo del 1748 ad Amettes, un villaggio di cinquecento abitanti nel Passo di Calais, nel nord della Francia, che ancora oggi dalla Chiesa è celebrato come il patrono di tutti i barboni, o clochard, e quindi anche di tutti i senzatetto che ancora vivono nella Roma industrializzata di oggi.

Nato poverissimo, Benedetto, detto il Vagabondo di Dio, dopo diversi tentativi di inserirsi in una vita monacale, si convinse di essere destinato a predicare il Vangelo nelle strade, insieme ai più umili. Così fece, e come un Forrest Gump ante litteram in pochi anni percorse qualcosa come trentamila chilometri a piedi, visitando i santuari più famosi dell’epoca in mezza Europa, e arrivando finalmente a Roma, la città santa, il 3 dicembre del 1770, da dove non si allontanò più, se non per la visita annuale che si concedeva a Loreto, alla Santa Casa.

Viveva e dormiva per strada, vivendo di semplici offerte che gli venivano concesse anche se egli non chiedeva l’elemosina, donando tutto ciò che aveva, e avendo stabilito come sua dimora, uno degli antichi archi del Colosseo, esattamente l’arco XLIII dove visse per ben sette anni.  Da qui si trasferì alle grotte che all’epoca si trovavano nella zona di Montecavallo (il Quirinale) e infine – quando era già molto malato – all’ospizio di San Martino ai Monti.


La sua fama di mistico e di santo dei poveri si era nel frattempo diffusa nella città, al punto che nobili e cardinali lo cercavano e lo convocavano per ottenere consigli spirituali.
La gente del popolo lo aveva soprannominato Il penitente del Colosseo o il povero delle Quarantore, perché lo si vedeva sempre nelle Chiese di Roma che svolgevano il rito delle Quarantore, secondo la tradizione il tempo trascorso da Gesù Cristo fra la sua morte e la Resurrezione.

A lui si attribuivano, già in vita, numerosi miracoli. E quando le sue condizioni di salute, già fragili, peggiorarono, una folla si riunì in preghiera quando, il giorno del mercoledì santo del 1783, Benedetto si sentì male mentre era in preghiera nella chiesa di Santa Maria dei Monti e fu trasportato a braccia nella bottega di un macellaio di Villa dei Serpenti, tale Zaccarelli, che era stato il primo a soccorrerlo.

Le preghiere furono inutili: in quello stesso pomeriggio morì, a soli trentacinque anni di età. Il corpo fu esposto per tre giorni a Santa Maria dei Monti, in coincidenza con i riti pasquali, e a rendergli tributo arrivò una folla immensa. I riti furono sospesi, e  il giorno della Pasqua, il 20 aprile del 1783 fu sepolto nella stessa chiesa.

E ancora oggi, il corpo del Santo è conservato al primo piano della casa al numero civico 2 di Via dei Serpenti, dove è possibile leggere esternamente questa lapide:  In questa casa, portatovi morente dalla vicina Chiesa della Madonna dei Monti, il 16 aprile 1783, spirava San Benedetto Giuseppe Labre, miracolo di carità e di penitenza, apostolo pellegrino dei maggiori santuari d’Europa.


E’ uno dei pochi casi a Roma, dove è stata conservato e protetto, da ogni destinazione futura, il luogo della morte di un Santo. Il palazzo era all’epoca di proprietà dell’ambasciata del Portogallo (come si evince dallo stemma e dalla iscrizione che si può leggere al portone vicino, il civico 3), che aveva dato il locale in concessione ad un certo Petazzotti, e da questo subaffittata al macellaio Zaccarelli.

La casa dove morì Benedetto fu acquistata dal postulatore della causa di beatificazione, Raffaele Virili, e di passaggio in passaggio fu affidata infine alla custodia delle Volontarie del Movimento pro Sanctitate che la gestiscono ancora oggi.

La casa-Cappella, che ancora oggi è aperta al pubblico ogni 16 aprile (giorno di San Benedetto) e a richiesta dell’istituto, conserva quadri ispirati alla figura del Santo, le assi del letto e il materasso dove l’eremita morì e alcune reliquie:  gli indumenti, due scatole contenenti documenti, i libri di preghiera, una scarpa, le sue bisacce e una maschera di cera. Nell’angolo preciso della Casa dove Benedetto morì, infine, protetta da una inferriata,  una statua in gesso che rappresenta il santo nei suoi ultimi istanti di vita, con due cuscini sotto il capo e la scritta: Hic jacet corpus S.B.J. Labre.



Nella parete di fronte, a rendere ancora più evidente la suggestione del luogo, i cuori in argento ed ex voto per grazie ricevute dal Santo dai fedeli nel corso degli ultimi due secoli.

13/06/17

La Chiesa di Sant'Eustachio e il Patrizio Romano che diede il suo nome ad un intero rione di Roma.

La chiesa di Sant’Eustachio e il patrizio romano che diede il nome ad un intero rione.


L’ottavo rione di Roma, uno dei più piccoli e dei più centrali, porta il nome di Sant’Eustachio e sul suo stemma sono rappresentati (in oro su sfondo rosso) una testa di cervo e il busto di Gesù.

Una chiara allusione alla vicenda del santo, Eustachio, al quale è dedicata la Chiesa nella piazza omonima (frequentatissima dai romani anche per la presenza di due celebri caffè) e che ha finito per dare il nome all’intero quartiere. 

Lo stesso simbolo – la testa poderosa di un cervo, con il suo nobile palco di corna – si scorge proprio sulla sommità della chiesa di Sant'Eustachio. La cui vicenda non ha ispirato soltanto il genio di Athanasius Kircher, ma anche schiere di artisti. 


Raccogliendo più informazioni sulla vicenda di Eustachio (che fondamentalmente trova le sue fonti nel racconto di Iacopo da Varagine), si scopre che era un patrizio romano, di animo generoso, il suo nome era Placido. 

Nacque (a Roma ?) intorno all'anno 80. Sotto l'imperatore Traiano si distinse in battaglia in Asia Minore L'episodio della Visione avvenne durante una battuta di caccia nei boschi vicino a Tivoli, quando vide all'improvviso il magnifico cervo

Cercò di inseguirlo per catturalo, ma l'animale con agilità si arrampicò su di una ripida roccia e riapparve con una luminosissima croce fra le corna, e si udì una voce: "Perché mi perseguiti? Io sono Gesù,che tu senza conoscere, onori"

Davanti a questa immagine, il suo cavallo s'imbizzarrì e Placido fu rovesciato a terra (come San Paolo sulla via di Damasco) ma continuando ad ascoltare quella voce misteriosa. E allora pronunciò la sua fede: "Credo!". Sconvolto dalla apparizione, Placido tornò a casa dalla sua famiglia e raccontò l'episodio. Si convertì nelle mani del vescovo cristiano per farsi battezzare insieme ai suoi familiari, cambiando il suo nome di Eustachio, da eystachios e significa "che produce molte buone spighe". .

Eustachio fu perseguitato e perse tutti i suoi beni, fuggì in Egitto con la moglie Teopista (etimologia: fedele a Dio), ed i due figli Teopisto e Agapito (etimologia: diletto del Signore)

In Egitto gli furono rapiti la moglie ed i figli, che per anni Eustachio cercò invano nel deserto. 

Intanto, l'imperatore Traiano era impegnato a fronteggiare nuovamente i popoli dell'Asia minore che si ribellavano a Roma e pensò di rintracciarlo per dargli il comando delle milizie romane in quelle terre. Così fu, ed Eustachio vinse anche quest'altra dura impresa militare, entrando trionfante a Roma, dove ritrovò finalmente la sua famiglia.

Ma a causa delle accuse dirette ad Eustachio per la sua fede cristiana, l'imperatore Adriano, succeduto a Traiano, gli ordinò di onorare le divinità dei romani. Al suo netto rifiuto, (era l'anno 140) fu condannato, insieme alla moglie ed ai figli, a morire nell'arena tra i leoni, ma le fiere, racconta la leggenda, non li toccarono nemmeno. I romani allora li sottoposero ad una morte atroce: furono rinchiusi in un contenitore di bronzo (o rame) a forma di toro, sotto il quale fu dato fuoco per ben tre giorni. Il quarto giorno, davanti all'imperatore, i corpi dei martiri furono mostrati ai presenti, ed erano immobili, così come erano stati deposti, a significare la calma e la pazienza dei martiri cristiani, sorretti dalla forza della fede, anche nel momento del supplizio. 


Nell'anno 325, l'imperatore Costantino innalzò un oratorio sulla sua casa, proprio dove furono martirizzati e sepolti. Oggi, le loro spoglie sono conservate a Roma, sotto l'altare maggiore della Basilica di Sant'Eustachio in Campo Marzio eretta nello stesso luogo dell'oratorio, e sono custodite in un sarcofago di porfido. 

Nella chiesa gotica di Sant'Eustache a Parigi invece, sono conservate alcune importanti reliquie, oggetti ed indumenti appartenuti ai quattro santi martiri. 

Sant'Eustachio è uno dei quattordici santi ausiliatori, cioè coloro che vengono invocati in situazioni di grave necessità e durante le epidemie. Ecco perché a causa della peste, nel medioevo la devozione al santo si diffuse velocemente in tutta Europa. Abbiamo dunque il grano, il cervo(simbolo di purezza e carità), il deserto, la peste, il toro arroventato, la croce.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. Tratto da Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton Editore