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06/04/23

La chiesa di San Lorenzo in Lucina e la misteriosa tomba di Poussin

 


La chiesa di San Lorenzo in Lucina e la misteriosa tomba di Poussin

 

Uno dei più antichi titoli delle chiese di Roma è quello di Lucinae attribuito alla chiesa che ancora oggi sorge nella piazza omonima nel centro della città e che, sorto in tempi antichissimi, è già ricordato nel 366 sulla residenza di una matrona romana, chiamata appunto Lucina (anche se non mancano altre ipotesi, tra le quali quella che nel luogo sorgesse un boschetto (lucus) da cui l'edificio prese il nome).

Quel che è certo è che sotto papa Sisto III (nell'anno 440 d.C.) avvenne la trasformazione in luogo di culto pubblico. Un rifacimento complessivo fu operato nel secolo XIII da Pasquale II, mentre al Duecento risale l'erezione, sulla sinistra della chiesa, del palazzo Fiano che divenne la residenza dei Peretti. Ma nuovi interventi furono compiuti nel corso dei secoli (anche Gian Lorenzo Bernini vi mise mano per costruirvi la Cappella Fonseca) fino ai successivi rimaneggiamenti sotto Papa Pio IX (1856) e del 1927 (anno in cui si ripristinò il portico murato) che conferiscono alla chiesa l'aspetto odierno.

Essa, oltretutto affonda le sue fondamenta, in parte, sotto il grandioso horologium (centosessanta metri per sessanta), fatto costruire dall'imperatore Augusto nel 10 a.C.,  la celebre Meridiana, i cui resti affiorano in diversi punti nei sotterranei degli edifici del quartiere di Campo Marzio (e anche della Chiesa). 

San Lorenzo in Lucina è una specie di museo, ospitando una serie di famose opere d'arte, come il crocefisso dipinto da Guido Reni al centro dell'altare maggiore.

Ma la Chiesa è famosa anche per la celebre sepoltura del pittore francese Nicolas Poussin (1594 – 1665), sulla quale sono fiorite leggende esoteriche di ogni tipo.

Poussin è uno dei più famosi pittori francesi, noto anche per essere il pittore di corte del re Luigi XIII e per aver supervisionato i lavori per la realizzazione del Louvre, ma a partire dai trent'anni trascorse la sua intera vita a Roma, dove ricevette la prima commissione nel 1626 dai conti Barberini per la realizzazione di un grande dipinto, Il sacco del tempio di Gerusalemme da parte dell'imperatore Tito, creduto per molto tempo perduto e ritrovato recentemente dal critico Denis Mahon.

Fautore dapprima dello stile barocco, Poussin, a partire dal 1630 cominciò ad abbandonare del tutto quel gusto artistico, per una rimeditazione attraverso una ricerca di chiarezza razionale, sul senso dell'esistenza e sul ruolo dell'arte come transito oltremondano.

A Roma Poussin morì, nel 1665, e fu sepolto proprio all'interno della Chiesa a Campo Marzio.

Il suo monumento funebre è tra i più enigmatici. La tomba fu concepita da Francois René de Chateaubriand (attivo a Roma fra il 1802 e il 1804), come si legge nella dedica in epigrafe subito al di sotto del busto del pittore (realizzato dallo scultore Jean-Louis Deprez) : F.A. De Chateaubriand a Nicolas Poussin per la gloria delle arti e l'onore della Francia. 

L'epitaffio invece, scritta da Pietro Bellori, il bibliotecario della regina Cristina di Svezia, recita: Trattieni il sincero pianto. In questa tomba vive Poussin che aveva dato la vita ignorando egli stesso di morire; qui egli giace, ma egli vive e parla nei quadri.

Infine, al di sotto dell'epitaffio, è realizzato in bassorilievo il profilo di un suo celebre capolavoro: Pastori in arcadia, che oggi è conservato al Museo del Louvre di Parigi e che esiste anche in un'altra versione dello stesso pittore, del 1627 e conservata in Inghilterra, a Chatsworth House.

E sotto questa rappresentazione, è inscritto il celebre motto Et in Arcadia ego, intorno al quale sono sorte le leggende più disparate e al quale sono stati dedicati interi libri.

In realtà Poussin non fu il primo ad utilizzare questo motto, che appare per la prima volta in un dipinto del Guercino, realizzato intorno al 1620.

La frase si riferisce alla mitica regione della Grecia, l'Arcadia, dove la leggenda narra che i pastori vivevano una vita idilliaca, lontana dai clamori e dagli affanni del tempo e della guerra e di ogni altra miseria umana.

La frase però, da un punto di vista strettamente letterale, risulta monca e priva di verbo.  Se infatti il significato è chiaramente: “anche io (sono stato o sono) in Arcadia”, è evidente che la frase manca del verbo – sum – che dovrebbe essere posto dopo il soggetto ego.

La citazione è stata subito interpretata come un memento mori come è reso esplicito anche dalle scene rappresentate dal Guercino – due pastori che si imbattono in un grande teschio – e da Poussin – pastori ideali  (c'è anche una donna, che nella versione di Chatsworth esibisce anche delle pose sensuali) che scoprono una tomba austera.

In pratica il significato della frase sembra essere: Anche la persona che riposa in questa tomba una volta viveva in Arcadia. Oppure: Anche io ero un Arcade, prima di incontrare la morte.

Il motto latino e l'associazione alla scena allegorica è stata ricollegata fantasiosamente con la pseudostoria (frutto di manipolazioni di tutti i tipi, in epoche successive) del Priorato di Sion.

Il legame con la morte (nel bassorilievo sulla tomba di Poussin i pastorelli contemplano quella che sembra essere a tutti gli effetti la tomba stessa del pittore) e la stranezza della frase senza verbo hanno fatto ipotizzare che la citazione contenga in realtà un codice anagrammato.

C'è stato chi ha tentato di sciogliere l'enigma, componendo la frase I! Tego arcana Dei, ovvero Vattene ! Io celo i misteri di Dio, alludendo ad un mistero del quale Poussin fosse al corrente, ossia che nella Chiesa fosse presente una sepoltura di una importante figura biblica (o addirittura dello stesso Gesù).

Ipotesi rafforzata da altri autori che, aggiungendo il sum alla frase, hanno ottenuto l'anagramma: Arcam dei tango Iesu, ovvero, Io tocco la tomba di Gesù. In questo caso, però, si è spiegato, la tomba del Maestro non sarebbe nella chiesa di San Lorenzo in Lucina, come ipotizzato, ma in un luogo misterioso della Francia, che servì da ispirazione a Poussin per il dipinto dei Pastori dell'Arcadia conservato al Louvre, il quale è modello del bassorilievo tombale.

Le tracce alla ricerca di questo luogo hanno portato dapprima in Francia, nella località di Les Pontiles, vicino a Rennes-le-Chateau, e poi in Inghilterra, nello Staffordshire, dove esiste una versione scolpita (non si sa in quale epoca) del dipinto realizzato da Poussin, nel cosiddetto Sheperd's Monument nel giardino della Sugborough house.

Ma ricerche in loco, non hanno dato nessun esito e tutte queste teorie sono state  ripetutamente smentite dai critici d'arte e dagli storici.

Quel che è certo è che Arcadia divenne dopo la morte di Poussin, la più celebre delle Accademie romane, fondata nel 1690 dai frequentatori del circolo di Cristina di Svezia (alla Lungara) che vollero così proseguire l'opera del pittore e le sue ricerche, in ogni campo delle arti e della cultura.


Fabrizio Falconi, tratto da Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, 2015

15/12/22

Storia del Quadro del Giorno: "Autoritratto con cappello di feltro grigio" di Vincent Van Gogh (1887)

 


Il Museo Van Gogh di Amsterdam possiede ben diciotto autoritratti di Vincent Van Gogh.

Tra i primissimi compaiono anche due belle tele di piccole dimensioni in cui Vincent si mostra a capo scoperto mentre fuma la pipa.
Tornano subito alla memoria i disegni e gli studi dedicati ai contadini olandesi, mentre si concedono lo stesso passatempo. Ma si può affermare con tranquillità che il pittore desideri costruirsi un'immagine ben diversa da loro. 

Hartrick, compagno di studi presso la scuola di Cormon, ricorda che Vincent "si vestiva piuttosto bene e in modo normale, meglio di molti altri nell'atelier."  Sono in lenta evoluzione anche la competenza tecnica e la ricerca introspettiva.

Le lunghe, agguerrite discussioni con Paul Signac, consentono a Vincent di prendere familiarità con la tecnica cromoluminarista, anche se poi nell'applicarla egli sceglie la propria strada.

Per lui è "una vera scoperta" stendere il colore puro con tratti che non sono comunque piccoli punti bensì lineette di colore, e stendere quei tratti attribuendo loro il compito di indicare il dinamismo interno al dipinto (in questo caso circolare).

Peculiarità, quest'ultima, che distingue Van Gogh e anticipa l'atteggiamento di una parte dell'avanguardia artistica del primo Novecento. 

fonte: Van Gogh Museum Amsterdam, a cura di Paola Rapelli, Electa

13/09/22

Cos'è la strana creatura scolpita da Bernini che appare nella Fontana dei Fiumi a Piazza Navona? Lo si scopre tra le pagine di "Porpora e Nero"

 



Che cos'è quella stranissima creatura che si erge dalle acque proprio al centro della meravigliosa Fontana dei Fiumi realizzata dal genio di Gian Lorenzo Bernini a Piazza Navona ? 

Le forme del tutto inconsuete hanno procurato molti grattacapi agli studiosi della storia dell'arte che soltanto in tempi recenti sono riusciti ad individuare l'animale misterioso al quale si ispirò Bernini, la cui vicende è strettamente legata al nome e al sapere sconfinato di un grande personaggio che visse a Roma negli stessi anni di Bernini (morirono anche a pochi giorni di distanza): il gesuita Athanasius Kircher, nato in Germania, vissuto a Roma, grande erudito, consigliere di principi e papi, collezionista compulsivo di rarità preziose proveniente da ogni angolo di mondo che allora veniva scoperto. 

Ne fu un esempio l’armadillo – il cui nome nella lingua degli indigeni Guaranì era Tatu un animale che nessun europeo aveva mai visto fino a quando un missionario gesuita al seguito dei conquistadores spagnoli pensò bene di spedirne un esemplare a Kircher. Il gesuita lo imbalsamò e lo appese al soffito, proprio all’entrata del suo Museo del Mondo: i visitatori ne restarono così impressionati, che perfino Gian Lorenzo Bernini prese ispirazione da quella strana creatura per immaginare e realizzare il drago che oggi si può ammirare tra le diverse sculture ornanti la Fontana dei Fiumi di Piazza Navona, e che per molto tempo fu scambiato per un coccodrillo.

L'armadillo-drago fa la sua comparsa ed è uno degli anelli-chiave per risolvere il mistero contenuto nel romanzo "Porpora e Nero" di Fabrizio Falconi, frutto di molti anni di appassionante ricerche. 

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23/05/22

La Somiglianza del Divin Pittore - Raffaello - con Cristo

 


L'Autoritratto con un amico, uno dei quadri più celebri di Raffaello Sanzio, dipinto a olio su tela,  databile al 1518-1520 e conservato nel Museo del Louvre a Parigi, ci restituisce una immagine inconsueta del sublime pittore, che vediamo barbuto e in un ritratto quasi "realistico". 

E' un quadro bellissimo e misterioso: non si conosce infatti l'identità dell'uomo ritratto davanti a Raffaello con una sua mano sulla spalla. 

La tradizione indica il suo maestro di scherma, perché appoggia la mano sull'elsa di una spada, mentre la critica vi ha letto la rappresentazione di un allievo (magari Polidoro da Caravaggio o Giulio Romano) o di un amico e committente, come Giovanni Battista Branconio per il quale Raffaello aveva progettato in Borgo il distrutto Palazzo Branconio dell'Aquila, o ancora Pietro Aretino, Baldassarre Peruzzi o Antonio da Sangallo il Giovane.

Gli inventari sei-settecenteschi si sbizzarriscono facendo i nomi del Pordenone o del Pontormo, ma tali ipotesi sono smentite da altre effigi note e meglio documentate.

Si ignora anche la provenienza del dipinto e se appartenne a Francesco I di Francia; la sua presenza nel castello di Fontainebleau è documentata solo agli inizi del Seicento. 

L'attribuzione a Raffaello è invece ormai ampiamente consolidata (Berenson, Adolfo Venturi, Pallucchini...), anche se in passato si fece il nome anche di Sebastiano del Piombo. 

Su uno sfondo scuro uniforme, Raffaello, che ha la barba e somiglia all'autoritratto degli Uffizi e a quelli nelle Stanze vaticane, guarda lo spettatore come a presentargli il personaggio davanti a lui, che si volge all'indietro.

Interessante è il dialogo con lo spettatore invisibile, sottolineato dalla mano distesa che indica chi guarda, come se fossimo davanti a un vero e proprio scambio di presentazioni. Inoltre lo spadino è un dettaglio che ci mostra l'animo senz'altro attivo e vivo del personaggio che lo porta alla cinta. 

Il taglio dei personaggi è ravvicinato, a mezza figura, la luce proveniente da sinistra, con giochi di sguardi e gesti di immediata colloquialità. Oltre al gesto amichevole tra i due della mano sulla spalla, evidente è il loro legame anche dall'analogia della veste e della barba, come andava di moda tenere nei primi decenni del Cinquecento. 

Ciò che colpisce e che colpì molto anche i suoi contemporanei fu anche una certa rassomiglianza del  volto di Raffaello con quello che la tradizione riconosce a Gesù Cristo. 

Si tratta infatti di un leit motiv dei contemporanei del Sanzio che, all'apogeo del suo successo, lo consideravano tanto "divino" da paragonarlo a una reincarnazione di Cristo: come lui era morto di Venerdì santo e a lungo venne distorta la sua data di nascita per farla coincidere con un altro Venerdì santo. 

Lo stesso aspetto con la barba e i capelli lunghi e lisci scriminati al centro, visibili in questo Autoritratto con un amico, ricordavano da vicino l'effige del Cristo, come scrisse Pietro Paolo Lomazzo: la nobiltà e la bellezza di Raffaello "rassomigliava a quella che tutti gli eccellenti pittori rappresentano nel Nostro Signore". 

Al coro di lodi si unì Vasari, che lo ricordò "di natura dotato di tutta quella modestia e bontà che suole vedersi in colore che più degli altri hanno a certa umanità di natura gentile aggiunto un ornamento bellissimo d'una graziata affabilità"


26/02/22

Libro del Giorno: "Le muse nascoste" di Lauretta Colonnelli

 


In tempi come questi, fa veramente bene leggere queste pagine che Lauretta Colonnelli, una delle migliori giornaliste e scrittrici di divulgazione sull'arte e sulla storia dell'arte, ha scritto e dedicato alle "Muse Nascoste", cioè alle donne poco famose o affatto famose che sono dietro alla storia e alla rappresentazione di quadri famosi o famosissimi, e dietro le vite stesse dei grandi pittori che le hanno realizzate.

E' oltretutto un libro meravigliosamente illustrato che consente di seguire, lungo tredici intensi capitoli, le vicende delle donne che nelle loro vite hanno avuto la fortuna e la sfortuna di incontrare grandi artisti che, oltre ad esserne spesso ossessionati, le hanno immortalate nelle loro opere. 

Si scoprono così e si leggono così con grande interesse le vicende di Alma Mahler e di Oskar Kokoschka - che arrivò al punto di essere così ossessionato dalla sua "musa" da  commissionare una bambola di peluche a grandezza naturale, quando lei lo lasciò; quella di Grant Wood e di sua sorella che comparve nel celebre "American Gothic" (in copertina anche nel libro), del terribile Edward Hopper che maltrattò e umiliò per una vita intera la moglie artista, pittrice; e ancora le storie di Jusepe de Ribera e Maddalena, la celebre donna barbuta che visse a Napoli; di Botticelli e di Simonetta Vespucci, le cui sembianze ritrasse nei suoi quadri più famosi; e tanti altri. 

Ci sono insomma opere d'arte, anche celebri, che devono molto alle figure femminili che vi compaiono. Eppure, sorprendentemente, molte di quelle donne, ragazze, a volte bambine, non hanno identità, a volte neanche un nome. Figure nascoste dall'ombra ingombrante dell'uomo-artista. 

Il lungo lavoro di indagine della Colonnelli permette di ricostruire i ritratti di queste donne, di epoche diverse, le vicende biografiche, il rapporto con l'artista, le ragioni e i segreti della loro presenza, riportando alla luce storie di amore e complicità ma anche casi di violenza e di negazione. 

Una serie di ritratti intensi e appassionanti, che mette in luce il ruolo subordinato, abusato, discriminato che hanno avuto le donne nella lunga storia dell'arte, destinate ad essere usate e cancellate dall'ego creativo di geniali inventori di immagini, che spesso però si rivelavano uomini assai poco evoluti, sentimentalmente primitivi. 

Un atto di giustizia e di attenzione per quelle muse indispensabili eppure dimenticate.

Lauretta Colonnelli 

20/10/21

Chi è la coppia ritratta in "American Gothic", una delle opere iconiche del Novecento?

 


E' uno dei quadri più famosi in assoluto del Novecento. 

Parliamo di American Gothic, dipinto nel 1930 dall'americano Grant Wood, e conservato all'Art Institute di Chicago. 

Una immagine che abbiamo visto tutti mille volte. 

Ma chi sono i due soggetti ritratti nel quadro e qual è la sua storia?

La vicenda racconta che Grant Wood che era nato nel 1891 nello Iowa, mentre nel 1930, percorreva la città di Eldon nello stato dov'era nato, l’Iowa, osservò una piccola casa in legno, dipinta di bianco, costruita con la consueta architettura “gotica del carpentiere”. 

Wood decise così di dipingere la casa assieme a «quel tipo di persone che mi sarei potuto immaginare come abitanti di quella casa»

Chiese a sua sorella Nan di fargli da modella, facendole indossare un pesante abito coloniale rassomigliante quelli della tradizione americana del XIX secolo, e come modello per il contadino scelse il proprio dentista.  

Quest’opera divenne ben presto un simbolo della vita e degli ideali dei pionieri americani e lo consacrò fra i protagonisti del regionalismo americano. 

Il dipinto venne esposto all’Istituto d’Arte di Chicago dove vinse un premio di 300 dollari, diventando immediatamente famoso.  

Al giorno d’oggi il quadro è spesso parodiato, anche se rimane uno dei maggiori esempi di regionalismo ed arte americana: ad esempio in una delle scene iniziali di The Rocky Horror Picture Show si nota un’inquadratura che si rifà al quadro, nel cartone disneyano Mulan appare brevemente una coppia di spiriti identici ai personaggi ritratti nel quadro. Ma sono solo due dei tantissimi esempi. 


Nella rara foto qui sopra, i due veri soggetti ritratti da Grant Wood, davanti al celebre quadro. 


22/06/21

L'incredibile ritrovamento di un Rembrandt a Roma


Scoprire in modo inaspettato la mano di uno degli artisti più celebrati della storia in un dipinto rimasto sconosciuto per secoli, mettere insieme come un puzzle ogni piu' piccolo indizio, riuscendo infine a vedere il momento ideativo dell'opera d'arte nell'attimo prezioso in cui ha preso forma
: una storia appassionante e miracolosa, frutto della felice unione di casualita' fortunate, intuito e scienza, quella al centro del simposio "Rembrandt: individuare il prototipo, vedere l'invisibile", che si è tenuto a Roma all'Accademia di Francia di Villa Medici, promosso dalla Fondazione Patrimonio Italia. 

Nell'ambito dell'incontro, primo appuntamento del progetto "Discovering Masterpiece" della stessa Fondazione, e' stato infatti rivelato il ritrovamento casuale ed eccezionale, avvenuto a Roma, di un dipinto a olio su carta applicata su tela, eseguito nel 1632-33 e attribuito sulla base di studi approfonditi a Rembrandt, un'opera mai mostrata fino a ora: il soggetto - tra i piu' classici della storia dell'arte e ampiamente trattato dal pittore fiammingo - mostra una splendida "Adorazione dei Magi", il cui prototipo e' stato considerato perduto e sopravvissuto solo in alcune copie celebri, conservate a San Pietroburgo e Göteborg.

L'opera - ora a disposizione di ulteriori indagini da parte della comunita' scientifica internazionale e il cui valore, se confermata l'attribuzione, potrebbe essere valutato tra i 70 e i 200 milioni di euro - e' di proprieta' di una famiglia romana, parte di un fondo storico artistico parzialmente risalente a fine '500 (in cui e' presente un filone di provenienza olandese al quale appartiene il dipinto in questione) ed e' protagonista di una vicenda che ha dell'incredibile

Dopo essere caduto accidentalmente, il dipinto (oggi custodito in in caveau a Milano) nel 2016 e' stato sottoposto a un restauro: proprio durante il recupero e la pulizia dell'opera annerita dalla vernice antica, grazie all'intuito e all'esperienza della restauratrice Antonella Di Francesco, il capolavoro ha abbandonato l'oblio ed e' emerso piano piano

Da questa scoperta ha avuto poi inizio una serie di studi approfonditi e di esami tecnici specifici e sofisticati sostenuti dalla Fondazione Patrimonio Italia che hanno aperto le porte alla conoscenza del dipinto.

Il quadro, di dimensioni 54x44 cm, e' collegato alla realizzazione di una serie di incisioni di tale identico formato di Rembrandt.

Le informazioni emerse rivelano i vari interventi di restauro realizzati nel corso di tanti anni ma soprattutto la presenza di un disegno preparatorio (non visibile a occhio nudo ma rilevato dalla riflettologia infrarossa). 

Gli studi fatti permettono di tornare indietro nel tempo e far conoscere la tecnica esecutiva di Rembrandt: una tecnica rarissima, fondata su sketch (con pennello, matita o altro medium) velato a olio su carta con successiva applicazione su tela.

I disegni portati alla luce, quasi invisibili osservando il quadro, sono stati realizzati da Rembrandt a mano libera, prima con una punta umida molto sottile e poi ricalcati con una penna: si tratta di figure che si mostrano come un piccolo, grande capolavoro, tutte dotate di vitalita' e di una propria potenza espressiva. 

Dalle indagini emergono anche i "pentimenti" dell'artista, sia nello sketch che nella stesura pittorica, e poi diversi dettagli presenti nel disegno che nella versione finale dell'opera non sono stati piu' evidenziati. 


21/06/21

Venezia compie 1600 anni ! Un ponte la unisce a Vicenza con la magia di Pietro Longhi, il grande pittore del Settecento e un Elefante


Da un elefante sbarcato in laguna nel 1774 nasce un ponte di arte e bellezza, di parole ed immagini, che unisce Venezia a Vicenza.
 

L'occasione sono le celebrazioni per i 1600 anni dalla fondazione di Venezia (421 - 2021): le Gallerie d'Italia - Palazzo Leoni Montanari a Vicenza e la Fondazione Querini Stampalia a Venezia hanno avviato una collaborazione che e' un ponte fra due citta' e due istituzioni, all'insegna dell'arte. 

Il legame e' il celebre pittore veneziano del Settecento Pietro Longhi le cui opere - un vero viaggio nel tempo nella Venezia dell'epoca attraverso ritratti di vita della nobilta' e del popolo - sono fra i capolavori delle collezioni d'arte esposte al pubblico nei due musei.

Il progetto si intitola In viaggio con Pietro Longhi. Da Vicenza a Venezia: un ponte di immagini e parole, e' realizzato dai Servizi educativi di Gallerie d'Italia - Palazzo Leoni Montanari e della Fondazione Querini Stampalia ed e' dedicato ai ragazzi della scuola primaria. 

Due quadri dell'artista Longhi vengono messi a confronto per raccontare agli studenti un'unica storia. 

Tutto ha inizio con il ritratto di un elefante sbarcato in laguna nel 1774, custodito a Vicenza, a Palazzo Leoni Montanari, per proseguire a Venezia, alla Fondazione Querini Stampalia, per conoscere la misteriosa dama che commissiona al Longhi il quadro con il pachiderma chiamato Condolio. 

Il volto della nobildonna Marina Sagredo, nascosto da una maschera nel dipinto di Vicenza, e' svelato nel suggestivo quadro esposto alla Querini Stampalia. 

Il progetto e' digitale, fruibile attraverso un video racconto e un video tutorial con l'obiettivo di realizzare in classe il laboratorio creativo. 

Per docenti e alunni rappresenta un'anticipazione di quanto sara' possibile approfondire con la visita in presenza, per conoscere "dal vivo" i capolavori, non appena le scuole potranno riprendere le uscite didattiche. 

L'attivita' e' strutturata in tre parti: "racconto un video" per immergersi nello spirito del Settecento, attraverso il racconto di due dipinti del celebre Pietro Longhi. Un'unica storia che inizia con il ritratto di un elefante, custodito a Vicenza, a Palazzo Leoni Montanari, per proseguire a Venezia, alla Fondazione Querini Stampalia, sulle tracce di un misterioso legame della stessa opera con la storia di una nobile famiglia; la seconda parte e' un "laboratorio creativo", un video tutorial a cui ispirarsi per realizzare, in classe, una coloratissima pagina pop-up sull'avventura veneziana dell'elefante Condolio; l'ultima parte e' una "scheda didattica", un utile supporto didattico, nella quale sono riportati la biografia dell'artista, le immagini delle due opere a confronto e l'elenco dei materiali utili per il laboratorio creativo.

08/04/21

Spunta a Madrid un possibile Caravaggio perduto - stava per andare all'asta per 1500 euro

 

L'Ecce Homo che doveva andare in asta a Madrid, bloccato perché forse di Caravaggio

Il ministro della Cultura spagnolo, Jose' Manuel Rodríguez Uribes, ha confermato su Twitter che un quadro su quale sono state avanzate ipotesi di una possibile attribuzione a Caravaggio è stato dichiarato non esportabile. 

"Il quadro e' di valore", ha detto Uribe ai media iberici, "siamo stati rapidi". Si tratta del dipinto "La Coronación de espinas", attribuito al circolo di Jose' de Ribera (secolo XVII), ritirato dall'asta della Casa Ansorena. 

La presenza dell'opera era prevista in una vendita in programma per oggi alle 18 a Madrid, con una base d'asta di 1.500 euro

Fonti ministeriali spiegano che serve "uno studio tecnico e scientifico approfondito" per valutare se il dipinto messo all'asta a Madrid e poi ritirato e' davvero un'opera originale di Caravaggio

Le stesse fonti hanno spiegato che il ministero della cultura e' stato avvertito martedi' dal Museo del Prado dell'esistenza del quadro, messo all'asta dalla Casa Ansorena a un prezzo base di 1.500 euro. 

A questo punto, e' stata convocata una riunione d'urgenza della Giunta di qualificazione, valutazione ed esportazione dei beni del patrimonio storico spagnolo, tenutasi mercoledi'. 

Da qui, la decisione di dichiarare il dipinto non esportabile come "misura cautelare". 

Il ministero ha chiesto alla Comunita' Autonoma di Madrid di dichiarare il quadro come Bene d'Interesse Culturale, una misura che permetterebbe di proteggere l'opera mentre viene analizzata. L'amministrazione regionale non ha ancora risposto a una richiesta di informazioni a riguardo. 

Fonte ANSA 

15/08/20

Ferragosto: Gli Uffizi celebrano con una mostra On-Line la Festa dell'Assunta


L'Assunta Panciatichi di Andrea del Sarto

Gli Uffizi celebrano con una mostra virtuale, online, la Festa dell'Assunzione di Maria in cielo, che coincide con Ferragosto, grazie alla valorizzazione di due opere della collezione, due capolavori 'gemelli' di Andrea del Sarto (1486-1530): l'Assunta Panciatichi e l'AssuntaPasserini, realizzate tra il 1523 e il 1526 ed entrambe custodite nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti. 

Perpetua virginitas e' il titolo dell'ipervisione a cura di Anna Bisceglia e da oggi su Internet all'indirizzo www.uffizi.it/mostre-virtuali/assunta-andrea-del-sarto

Spiega il direttore degli Uffizi Eike Schmidt: "Nel giorno di Ferragosto ricordiamo l'Assunta con una rassegna di immagini ad alta definizione e schede esplicative: l'intento e' indurre a osservare opere sublimi delle nostre collezioni con occhio attento ai significati, ai contenuti, ai processi esecutivi dei manufatti artistici"

L'ipervisione offre la possibilita' di avvicinarsi ai due dipinti di Andrea del Sarto, spiegandone l'iconografia, la committenza, il passaggio alle collezioni granducali (che nel caso dell'Assunta Passerini fu davvero traumatico, perché venne comperata dal Granduca Ferdinando II che pago' si' alla chiesa dei Serviti di Cortona una cospicua somma di danaro, ma non riusci' ad evitare una vera e propria insurrezione popolare dei fedeli inferociti per la sottrazione). 

Svelati (o ricordati ai piu' esperti) i particolari piu' suggestivi e curiosi dei dipinti, rivelando anche il processo utilizzato da Andrea del Sarto nel preparare i suoi lavori. 

Una serie di disegni conservati al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe permette infatti di entrare nei meccanismi creativi dell'artista: il tratteggio minuzioso dei singoli dettagli e soprattutto lo studio del corpo umano dal vero, per renderlo piu' vivo e reale nella stesura finale dell'opera. 

Oltre ai dipinti di Andrea del Sarto vengono presentate altre raffigurazioni dell'Assunzione di Maria e di episodi che precedono l'evento: tra questi anche l'Annuncio dell'Angelo a Maria nell'incisione di Federico Zuccari (1539-1609) e la splendida 'Incarnazione di Gesu' e santi' di Piero di Cosimo (1461-1522). 


L'Assunta Passerini di Andre del Sarto

19/06/20

Incredibile scoperta: Il "Volto Santo" di Lucca è la più antica scultura lignea di tutto l'Occidente .



Le indagini diagnostiche con il carbonio 14 fatte per la prima volta sul celebre Volto Santo di Lucca hanno dato un risultato eclatante: l'opera e' databile tra l'VIII e il IX secolo.

E' la conferma, si spiega, che si tratta del primo e unico Volto Santo, che un antico testo creduto leggendario affermava essere arrivato a Lucca nel 782 d.C. e non di un'opera del XII secolo, replica di un originale piu' antico andato perduto, come gli studi di storia dell'arte ritenevano finora. 

Alla luce dei nuovi dati, il Volto Santo di Lucca e' la piu' antica scultura lignea dell'Occidente. 

L'indagine diagnostica e' stata avviata per le celebrazioni per i 950 anni dalla rifondazione della Cattedrale lucchese. 

L'opera e' una delle icone piu' venerate della cristianita': il suo culto nel Medioevo si estese a tutta Europa. 


16/06/20

Arriva Caravaggio ai Musei Capitolini - Fino al 13 settembre



Ai Musei Capitolini arriva la grande mostra "Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi", rimandata per l`emergenza Covid-19, che sara' ora nelle sale di Palazzo Caffarelli fino al 13 settembre

L`esposizione curata da Maria Cristina Bandera comprende il famoso "Ragazzo morso da un ramarro" e piu' di 40 dipinti degli artisti influenzati dalla rivoluzione figurativa di Michelangelo Merisi. 

Lo storico dell`arte Roberto Longhi seppe riconoscere la portata rivoluzionaria della pittura del Merisi tanto da considerarlo come il primo pittore dell`eta' moderna

"Il Ragazzo morso da un ramarro", che risale all`inizio del soggiorno romano di Caravaggio e databile intorno al 1596-1597, fu acquistato da Longhi negli anni Venti del `900

Al Caravaggio e ai cosiddetti "caravaggeschi" lo storico dell`arte dedico' un`intera vita di studi: secondo lui "il Caravaggio suggeri' un atteggiamento, provoco' un consenso in altri spiriti liberi, non defini' una poetica di regola fissa; e insomma, come non aveva avuto maestri, non ebbe scolari".

Ai musei capitolini i visitatori potranno ammirare, fra gli altri, quattro tavolette di Lorenzo Lotto e due dipinti di Battista del Moro e Bartolomeo Passarotti, che aprono il percorso espositivo, con l`intento di rappresentare il clima artistico del manierismo lombardo e veneto in cui si e' formato Caravaggio. 

Oltre al "Ragazzo morso da un ramarro" e' in mostra "Il Ragazzo che monda un frutto", una copia antica da Caravaggio, che Longhi riteneva una "reliquia". 

Nella mostra sono rappresentati artisti che per tutto il secolo XVII sono stati influenzati da quella rivoluzione figurativa. 

Spiccano tre tele di Carlo Saraceni, "l`Allegoria della Vanita'", una delle opere piu' significative di Angelo Caroselli; "l`Angelo annunciante" di Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo; la "Maria Maddalena penitente" di Domenico Fetti; la splendida "Incoronazione di spine" di Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone. 

Tra i grandi capolavori del primo caravaggismo spiccano inoltre cinque tele raffiguranti Apostoli del giovane Jusepe de Ribera e la "Deposizione di Cristo" di Battistello Caracciolo, tra i primi seguaci napoletani del Caravaggio. La "Negazione di Pietro" e' poi il grande capolavoro di Valentin de Boulogne, recentemente esposto al Metropolitan Museum of Art di New York e al Museo del Louvre di Parigi, la cui ambientazione e' un preciso riferimento alla famosa Vocazione di San Matteo di Caravaggio

29/02/20

Sabato d'Arte: "Autoritratto come Gesù sul Monte degli Ulivi" di Paul Gauguin, 1889


E' complessa l'opera di Paul Gauguin il cui lavoro nella corrente del postimpressionismo, influenzò il movimento simbolista e tutta l'arte moderna per molti anni dopo la sua morte. 

Persona estremamente religiosa, Gauguin ha concentrato la maggior parte del suo lavoro su temi di religione e Dio. 

Come scrive lo storico dell'arte Thomas Buser, "Sembra che Gauguin credesse in un Dio che respirava la vita in un caos originale di atomi privi di sostanza e quindi stabiliva la sua rotta. In tal modo, Dio si materializzò da solo."  

Avendo quella che all'epoca era considerata una credenza non convenzionale sulla religione, il modo in cui Gauguin trattava temi religiosi all'interno del suo lavoro era diverso dai suoi contemporanei. 

Come un Teosofo, Gauguin usava il rapporto tra Cristo e il mondo come metafora del proprio rapporto con l'arte. 

E' quello che accade in Cristo sul Monte degli Ulivi, dove Gauguin si colloca direttamente al posto di Gesù Cristo.

Oltre a Cristo e ad altri temi religiosi, verso l'ultima parte della sua carriera e vita, una grande parte delle opere create da Gauguin si occupava della sua comprensione e feticismo di "popoli anormali". Facendo molto affidamento sull'astrazione, una grande distinzione tra Gauguin e altri postimpressionisti durante questo periodo, come Vincent Van Gogh , era sua convinzione che gli artisti non dovessero fare affidamento su immagini di riferimento, ma piuttosto sulla propria immaginazione. 

Allo stesso tempo con la sua amara sensazione che nessuno lo capisse, crebbe in lui la convinzione che fosse il" prescelto "," il salvatore "e" il redentore "della pittura moderna".

Gauguin credeva di essere stato scelto per essere il salvatore della pittura moderna e dipinti come Autoritratto e Cristo sul Monte degli Ulivi mostrano come egli combini  la sua figura con quella di Cristo nel tentativo di rafforzare questa argomentazione.

Un dipinto ad olio stranamente accattivante, il Cristo sul Monte degli Ulivi: un autoritratto che pone l'artista al posto di Cristo mentre intraprende un viaggio verso l'ignoto. 

Creando sia un senso di profondità che una gerarchia, si possono vedere due figure che sembrano seguire il personaggio in primo piano

Oltre alle dimensioni e alla spaziatura delle figure nell'opera creando una gerarchia implicita, Gauguin raffigura intenzionalmente le figure sullo sfondo senza facce, al fine di garantire che non attirino l'attenzione dalla figura centrale. 

Gauguin sceglie con cura ogni tratto di pennello per creare una trama sfumata, facendo apparire il lavoro quasi come una visione. 

Nonostante utilizzi colori caldi per costruire la figura centrale, lo sfondo dell'opera, un terreno all'aperto, è composto quasi interamente da colori freddi. 

Dipinto a Le Pouldu in Bretagna nel novembre del 1889, Gauguin era a quel tempo emotivamente sconvolto a causa dei suoi recenti fallimenti nelle esposizioni di Parigi.

In una lettera a Emil Schuffenecker scrisse: "Le notizie che ricevo da Parigi mi scoraggiano così tanto che mi manca il coraggio di dipingere e trascino il mio vecchio corpo, esposto al vento del nord, lungo la riva del mare a Le Pouldu. Automaticamente faccio qualche studio. Ma la mia anima è lontana e guarda tristemente in un abisso nero che si apre di fronte a me. " 

La figura centrale nell'immagine, Gauguin è raffigurata con la testa rivolta verso il suolo e una faccia piena di dolore e disperazione a causa del rifiuto che ha dovuto affrontare. Mettendosi nella posizione di Cristo, Gauguin tenta di paragonare la sua sofferenza a quella del salvatore e continua a ritrarsi come qualcuno che alla fine sarà un messaggero per i suoi contemporanei, nonostante sia stato respinto da loro.

Interrogato sul senso del quadro, Gauguin disse: "deve simboleggiare il fallimento di un ideale, la sofferenza che era sia divina che umana, Gesù abbandonato da tutti i discepoli e l'ambiente circostante è triste come la sua anima ". 

Palm Beach

01/02/20

Sabato d'Arte: "(Auto)Ritratto dell'Artista" di Christian Seybold


Christian Seybold 1697-1768 Ritratto dell'artista Foto (C) RMN-Grand Palais (museo del Louvre) / Adrien Didierjean Museo del Louvre http://www.louvre.fr


Christian Seybold (19 marzo 1695, Neuenhain, Bad Soden - 28 settembre 1768, Vienna ) è stato un pittore tedesco di stile barocco

È noto soprattutto per i suoi ritratti dettagliati e realistici (oltre due dozzine di se stesso), che si distingue da quelli idealizzati preferiti in quel momento

Alcune sue opere potrebbero essere classificate come incompiute. 

Poco si sa della sua infanzia o educazione e potrebbe essere stato in gran parte autodidatta

Era uno degli undici figli di una famiglia originaria di Oberursel . 

Apparentemente visse a Bad Soden fino al 1715, quindi si trasferì a Vienna. 

Nello stesso anno si sposò e divenne padre solo un mese dopo. 

Sia la moglie che il figlio morirono nei due anni seguenti, e si risposò nel 1718. 

Il suo primo ritratto noto (1728) è quello del conte Johann Adam von Questenberg, un importante mecenate delle arti e del collezionista di strumenti musicali. 

Nel 1742, si trasferì a Dresda dopo aver ricevuto un incarico come pittore di corte per il re Augusto III , che era anche elettore della Sassonia . 

Sette anni dopo, tornò a Vienna quando fu nominato per ricoprire la stessa posizione alla corte dell'imperatrice Maria Teresa . 

Il suo stile di ritratto è stato in qualche modo influenzato da Balthasar Denner e Jan Kupecký . 

A causa dei dettagli minori meticolosamente resi, come i peli e le rughe, si ritiene che abbia usato una lente d'ingrandimento durante la pittura. 

Oggi i suoi dipinti sono ampiamente dispersi, dal Louvre agli Uffizi e all'Ermitage. Molti sono scomparsi, in quanto sembrano essere stati particolarmente apprezzati dai collezionisti illegali.

10/01/20

A Livorno trovate le pagelle di Modigliani, con la mostra dedicata al pittore per il centenario della morte.

 Modigliani nel suo studio fotografato da Paul Guillaume

 
Livorno ritrova ed espone le pagelle di un ginnasiale Amedeo Modigliani (1884-1920), mentre prosegue con grande successo la super-mostra dedicata all'artista. 

Frutto di una ricerca all'Archivio storico del Liceo Ginnasio Niccolini Guerrazzi di Livorno, dove Modigliani fu studente, e' allestita nei locali della biblioteca di via Ernesto Rossi dell'attuale Liceo Niccolini Palli, la mostra 'A scuola di Dedo', quadro d'insieme della vita del liceo negli anni in cui Modigliani lo frequento'. 

La rassegna e' stata possibile dopo il ritrovamento di documenti e materiali inediti, tra i quali il registro dei voti, i libri dei verbali e il tabellone della sessione autunnale del 1898 consentono di ricostruire la carriera scolastica dell'artista, che fu iscritto al Liceo Classico Niccolini Guerrazzi negli anni 1893-98 in I, II, III, IV, V Ginnasio.

L'esposizione sara' visitabile al pubblico (ingresso gratuito) dal 16 gennaio al 17 febbraio. 

Nel frattempo resta aperta la mostra 'Modigliani e l'avventura di Montparnasse', al Museo della Citta' fino al 16 febbraio che finora ha registrato oltre 45mila presenze

Ci sono esposte 133 opere rappresentative della Ecole de Paris: Modigliani di cui si celebra quest'anno il centenario della morte (24 gennaio) e' rappresentato dai suoi inconfondibili ritratti e da una collezione di disegni raramente esposti, opere accompagnate da capolavori di Soutine, Utrillo, Derain, Kisling. 



04/01/20

Sabato d'arte: Michelangelo vide la giugulare 100 anni prima della medicina



C'e' un dettaglio nel David di Michelangelo sfuggito a 500 anni di osservazioni e che conferma il genio del grande scultore, pittore, architetto e poeta italiano, in grado col suo 'occhio clinico' di anticipare la scienza. 

Se in molte sculture, e nella fisiologia quotidiana delle persone, la vena giugulare dalla parte superiore del busto attraverso il collo non e' visibile, infatti, nel capolavoro del Rinascimento esposto a Firenze e' chiaramente "distesa" e in rilievo sopra la clavicola di David. 

Come accadrebbe in ogni giovane in salute che si trova ad un livello di eccitazione perche' deve affrontare un avversario potenzialmente letale - in questo caso, Golia. 

Un particolare che indica come lo spirito di osservazione abbia portato Michelangelo a scolpire qualcosa che poi sarebbe stato descritto nel dettaglio 100 anni dopo, cioe' la meccanica del sistema circolatorio

A rilevarlo e' un articolo di Daniel Gelfman, del Marian University College of Osteopathic Medicine di Indianapolis, su Jama Cardiology. 

Il medico americano che ha visto la statua quest'anno durante una visita in Italia e' stato il primo a notare il dettaglio. 

La distensione della vena giugulare secondo quanto spiega l'esperto puo' verificarsi anche con problematiche come "elevate pressioni intracardiache e possibili disfunzioni cardiache", ma il David e' giovane e in ottime condizioni fisiche

Solo in un altro contesto - uno stato di eccitazione temporanea - si distingue bene. 

"Michelangelo, come alcuni dei suoi contemporanei - scrive Gelfman - aveva una formazione anatomica. Mi sono reso conto che deve aver notato una distensione venosa giugulare temporanea in soggetti sani che sono eccitati"

"All'epoca della creazione del David - osserva - nel 1504, l'anatomista e medico William Harvey non aveva ancora descritto la vera meccanica del sistema circolatorio. Cio' non avvenne fino al 1628". 

Anche nel Mose' vi e' lo stesso particolare anatomico, mentre la vena giugulare di Gesu' nella Pieta' non e' distesa o visibile (anche in questo caso anatomicamente corretta nel contesto)

Per i cardiologi uno dei messaggi importanti che arrivano da questo articolo e' che anche i medici devono avere spirito di osservazione quando visitano i loro pazienti. 

Nell'era odierna delle scansioni e degli esami del sangue ad alta tecnologia, spiega Marcin Kowalski, dello Staten Island University Hospital, "mi stupisce sempre quando gli studenti di medicina sono in grado di diagnosticare le malattie con la semplice osservazione. Spero che l'arte dell'esame fisico non scompaia dal repertorio dei nostri giovani medici". 

21/12/19

Sabato d'Arte: "Autoritratto" di Tiziano Vecellio




Autoritratto Intorno al 1562. Olio su tela, 86 x 65 cm. Museo del Prado di Madrid, Stanza 041 

Tiziano dipinse il suo primo autoritratto prima di partire per Roma nel 1545. Fu, tuttavia, dopo il soggiorno romano quando mostrò un maggiore interesse a diffondere la sua immagine per stabilire la sua posizione in un contesto di forte rivalità con Michelangelo

Di tutti quelli che ha realizzato, solo due si sono conservati. Il primo (Berlino, Gemäldegalerie) sarebbe datato intorno al 1546-1547, mentre quello conservato al Prado si identificherebbe con quello che Vasari vide nel 1566 nella casa del pittore, dove Tiziano si raffigura con un aspetto secondo la sua età, che nel 1562 sarebbe intorno tra settantatré e settantacinque anni.

L'aspetto più sorprendente dell'autoritratto di Prado è la sua tipologia

A metà del XVI secolo, il ritratto del profilo era insolito (Tiziano lo usava solo per le persone decedute: Francisco I e Sisto IV ), quindi l'autoritratto di profilo era eccezionale, in parte a causa della difficoltà che comportava, che richiedeva diversi specchi o un modello per la sua realizzazione. 

La scelta non fu quindi casuale e risponderebbe all'associazione con la fama di questa tipologia, derivata dalla numismatica romana e che Tiziano conosceva bene.

Sembra plausibile che Tiziano, già nella sua vecchiaia, volesse definire la sua immagine da tramandare ai posteri, ignorando il particolare spettatore a beneficio di uno universale. 

Ciò non è incompatibile con il destino di un autoritratto di famiglia, poiché sembra che, quattro anni dopo la pittura, fosse ancora di proprietà del suo autore. 

Come nell'autoritratto di Berlino, Tiziano ha anche messo in evidenza la sua nobiltà attraverso la catena d'oro che lo accredita come cavaliere dello Sperone d'oro e il suo vestito nero - colore raccomandato per i signori da Baldassare Castiglione in Il cortigiano, libro II, 27 (1527-), ma tenendo nella mano il pennello, voleva affermare che doveva la sua ascesa alla sua esperienza di pittore. 

Come tale, l' Autoritratto visualizza sia la leggenda che accompagnava la medaglia Leoni : PICTOR ET EQUES, sia le parole di Vasari quando lo visitò nel 1566: e lo trovò, anchorè vecchissimo fusse; con i penelli in mano per dipingere

L'immagine che Tiziano proiettava di se stesso nei suoi autoritratti non era casuale. Come ha sottolineato Jaffe (2003), presentandosi con una lunga barba, il berretto e una fronte chiara, Tiziano si assimilava alle immagini contemporanee di intellettuali derivati ​​da una certa iconografia di Aristotele molto popolare in Italia dalla fine del XV secolo . 


Tiziano Vecellio
Autoritratto
olio su tela, 1562
Museo del Prado, Madrid


18/12/19

Si svela un mistero durato secoli: Trovata nella Torre di Pisa la "firma" del suo autore.



Un'incisione non decifrata su una matrice in pietra per la fusione di una lastra di bronzo, ritrovata per caso nel 1838 e finora mai rivelata nel contenuto, nasconderebbe la 'firma' di colui che sarebbe l'autore della Torre Pendente di Pisa, ossia lo scultore e bronzista medievale Bonanno Pisano. 

Lo rivela uno studio di Giulia Ammannati, ricercatrice di paleografia alla Scuola Normale di Pisa, che pubblica uno studio nel libro 'Menia Mira Vides. Il Duomo di Pisa: le epigrafi, il programma, la facciata' (ed. Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali). 

Secondo quanto riporta il quotidiano La Nazione, Giulia Ammannati ricostruisce il testo di quell'epigrafe, che fu redatto dall'autore in forma poetica in latino: "Mi'rificu'm qui ce'rtus opu's conde'ns statui u'num, Pi'sanu's civi's Bona'nnus no'mine di'cor, ('Io che sicuro ho innalzato, fondandola, un'opera mirabile sopra ogni altra, sono il cittadino pisano chiamato Bonanno'). 

Bonanno Pisano, in base alla ricostruzione di questa iscrizione adesso 'decrittata', sarebbe dunque il progettista della Torre in base al nuovo indizio, anche se l'attribuzione dovra' corroborarsi di ulteriori ricerche storiche, visto che di Bonanno non e' definito il periodo di vita, mentre l'inizio dei lavori della torre risale al XII secolo

La ricerca della studiosa pisana, tuttavia, conferma la tesi di Giorgio Vasari che ne 'Le vite' attribuiva proprio a Bonanno la fondazione del campanile divenuto il piu' famoso al mondo. 



26/10/19

Sabato d'Arte: Il "Fregio" della Casa di Gauguin nelle Isole Marchesi conservato al Museo d'Orsay di Parigi



Paul Gauguin trascorse gli ultimi mesi della sua vita a Atuona, nelle isole Marchesi. 

L'artista decorò la porta della grande capanna su palafitte di legno di palma e bambù, che fu anche la sua ultima dimora, con un insieme di pannelli scolpiti direttamente su misura, nel legno di sequoia.

I tre pannelli orizzontali recano iscrizioni che rivelano la ricerca di una primitiva età aurea che occupò l'artista fino alla fine della sua vita: la capanna si chiama, con un intento provocatorio, "Casa del Piacere", mentre i due pannelli del basamento sembrano specificare le condizioni di questo eden: "Siate misteriose" e "Siate innamorate e sarete felici ".



I nudi e i busti femminili che illustrano queste massime, figure massicce e serene, sono scolpiti in intagli grossolani ed efficaci, mischiati ad animali e piante.

La sensuale semplicità di questo tipo di decorazione segna la nascita di un'estetica "primitivista" che, nel XX secolo, conoscerà brillanti sviluppi con Matisse, Derain, Lhote e Picasso.

I pannelli della "Casa del Piacere" di Gauguin sono oggi conservati al Museo d'Orsay di Parigi, mentre sul frontone della  capanna delle Isole Marchesi sono state apposte delle copie.



Paul Gauguin (1848-1903) 
Basso rilievo in legno della Casa del Piacere 1902 
Bassorilievo policromo di legno di sequoia 
Cm 284 x 732 
Musée d'Orsay


25/10/19

Arriva il Michelangelo di Andrej Konchalovskij ! Il film che è stato girato nelle cave originali del Monte Altissimo.




Verrà proiettato in anteprima mondiale, come evento speciale di chiusura della XIV Festa del Cinema di Roma, domenica 27 ottobre 2019,  il film di Andrei Konchalovsky “Il Peccato - il Furore di Michelangelo” (Sin)

Il film, una produzione Andrei Konchalovsky Studios, Jean Vigo Italia e Rai Cinema, uscirà in Italia il 28 novembre, distribuito da 01 Distribution. 

Le riprese del film sono iniziate sul Monte Altissimo il 28 agosto 2017 nelle cave di Henraux, le stesse che furono scoperte da Michelangelo nel 1517. 

Per la produzione le cave dovevano soddisfare una serie di requisiti: dovevano comprendere un ampio piano di lavoro con una prospettiva verso l’infinito; essere in prossimità un terreno scosceso, su cui Michelangelo in scena doveva arrampicarsi, e rendere possibile l’ambientazione di una via di lizza, un percorso rudimentale attraverso il quale il marmo veniva trasportato a fondo valle.

Il regista cercava uno spazio lunare, affascinante e impervio che restituisse il senso della fatica cui erano sottoposti i cavatori. 

Nel film le montagne di marmo dovevano apparire simili alla fisionomia del tempo, così le cave del Monte Altissimo - che Michelangelo aveva esplorato e scelto per la qualità del suo marmo statuario 500 anni fa - sono divenute l’unica grande location in cui sono stati rinvenuti tutti gli ambienti previsti in sceneggiatura. 

 Dopo una ricerca durata otto anni, il Maestro Konchalovsky mette in scena un Michelangelo inedito, un uomo pieno di difetti che si cela dietro il genio incomparabile e che in pochi conoscono. Un racconto cinematografico per rappresentare la sua proverbiale terribilità che allude sia all'impetuoso tormento del suo carattere - modesto e vanitoso, stravagante e misantropo, avaro e generoso, violento, permalosissimo e intransigente - sia all'altezza sublime e inarrivabile della sua arte

 IL PECCATO si dispiega su un preciso periodo della vita di Michelangelo raccontato attraverso la lente visionaria e immaginifica di Konchalovsky. 

Uno sguardo privo di patine accademiche o mitizzazioni agiografiche ma capace di restituire il sapore di un’epoca e una versione tutt'altro che addomesticata del Rinascimento. 

La produzione ha infatti interpellato una serie di consulenti ed esperti che hanno offerto il loro contributo in modo che tutte le scelte artistiche avessero un riscontro storico, per le soluzioni scenografiche e gli oggetti di scena, per i costumi, ma anche per le musiche, le acconciature e il trucco.

Perché ogni scena doveva avere il sapore della vita vera. “Non voglio vedere ritratti nell'inquadratura. Ho bisogno di gente con abiti sporchi, pieni di sudore, vomito, saliva. L’odore deve passare attraverso lo schermo e arrivare allo spettatore.” 

Questo l’intento di Konchalovsly. Fra gli apporti degli esperti al lavoro del Maestro Konchalovsky è stato fondamentale quello di Costantino Paolicchi, autore di Michelangelo. Sogni di marmo che racconta l’avventura di Michelangelo sul Monte Altissimo, fra i primi testi che Konchalovsky ha letto per la preparazione del film, ed è stato Costantino Paolicchi ad accompagnare il regista anni fa nelle cave di Seravezza. 

“Sono particolarmente onorato di aver ospitato il Maestro Konchalovsky, gli attori, i tecnici e l’intero staff di produzione nelle nostre cave sul Monte Altissimo. – ha dichiarato Paolo Carli, Presidente di Henraux Spa e della Fondazione Henraux – Essere parte di un progetto culturale di così grande levatura internazionale ha reso orgogliosi tutti gli uomini e le donne di Henraux che avranno l’opportunità, insieme ad un pubblico mondiale, di avere una visione storica ed emozionante delle nostre cave. In questi luoghi, scoperti proprio da Michelangelo, è stato emozionante vedere come le scene si scolpissero nella pellicola per rivelare un ritratto inedito di Michelangelo secondo la straordinaria visione di Konchalovsky che racconta l’umanità più profonda del genio del Rinascimento”. 

Paolo Carli ha sottolineato come la messa a disposizione delle cave per un progetto come questo faccia parte della mission dell’Azienda che affonda le sue bicentenarie radici nella storia, nell’architettura, nell’arte e oggi anche nel design internazionale. 

I personaggi ed interpreti principali del film sono: Michelangelo, Alberto Testone; Peppe, Jakob Diehl; Pietro; Francesco Gaudiello; Sansovino, Federico Vanni; Raffaello, Glenn Blackhall; Marchese Malaspina, Orso Maria Guerrini; Marchesa Malaspina, Anita Pititto; Francesco Maria Della Rovere, Antonio Gargiulo; Papa Giulio II, Massimo De Francovich; Papa Leone X, Simone Toffanin.