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10/11/13

Intervista a Ian Mc Ewan su 'Stoner' di John Williams:




Vi propongo oggi una intervista a Ian Mc Ewan, di  Sarah Montague: spiega perché Stoner, il romanzo di John Williams sia stato salutato (seppure pubblicato nel 1965) come uno dei più grandi del XX secolo: Stoner di John Williams. 

In Italia molti hanno amato e stanno amando questo libro e anche io qui ne ho parlato tempo fa. E' una intervista acuta e consapevole, che spiega anche il motivo perché nessuno dei romanzi scritti fin qui da Mc Ewan (con l'eccezione di Bambini nel tempo) o quelli di Javier Marias (altro ottimo scrittore, forse troppo prolifico e prolisso) possa essere paragonato ad un semplice, meraviglioso romanzo come Stoner. 


Cosa c'è di così bello in questo romanzo?
"Appena lo inizi a leggere senti di essere in ottime mani. Ha una prosa molto lineare. La trama, se ci si limita a elencare i suoi elementi, può suonare molto noiosa e un po' troppo triste. Ma di fatto è una vita minima da cui John Williams ha tratto un romanzo davvero molto bello. Ed è la più straordinaria scoperta per noi fortunati lettori".

È piuttosto singolare che dopo così tanto tempo un romanzo di cui non si è scritto né parlato, quindi sconosciuto, improvvisamente sia sulla bocca di tutti come sta accadendo adesso.
"È una vecchia storia. È successo con altri scrittori, pensi a Irène Némirovsky, che era piuttosto conosciuta in vita, poi dimenticata e poi di nuovo riscoperta. E poi anche il caso di Hans Fallada, che visse a Berlino, un altro caso di scrittore morto ed escluso dalla mappa culturale. E ora accade di nuovo, credo sia una scoperta gioiosa".

Dunque il romanzo parla della vita di William Stoner, che appare relativamente povera di accadimenti. 
"Relativamente. Stoner viene da una povera famiglia di contadini, frequenta la scuola di agraria, dove accede nel 1910 e segue, come ne esistono in un altro migliaio di università americane, un corso di Lettere e Filosofia. Il professore di letteratura durante una lezione legge il sonetto di Shakespeare n. 73 ("In me tu vedi quel periodo dell'anno") e qui lo studente ha un'epifania. Stoner lo ascolta e ne è trasformato, l'insegnante gli chiede cosa voglia dire il sonetto e tutto ciò che Stoner riesce a dire, flebilmente, è "significa...". E l'insegnante capisce immediatamente che il ragazzo è stato colpito dalla letteratura inglese. Stoner poi diventa un professore associato all'università e insegnerà fino alla sua morte, che avverrà molte decadi più tardi. Si sposa, il matrimonio va male, ha una figlia e anche la figlia va male, entra in una faida amara, o meglio è perseguitato da un collega per venticinque anni e conosce l'unico momento di riscatto della sua vita in una tenerissima storia d'amore che poi svanirà. C'è tutta la sua vita".

Ma è la scrittura, ovviamente, che ha conquistato lei e tutti gli altri. 
"Sembra aver toccato la verità umana come succede nella grande letteratura. È quel tipo di prosa che non vuole mostrarsi. È quel tipo di scrittura simile a una superficie di vetro, riesci a vedere immediatamente le cose di cui parla. E credo che questo sia entusiasmante di per sé. Ha una tale chiarezza, è una scrittura molto limpida. È straordinario ed è un avvertimento per tutti noi scrittori: potresti essere anche molto conosciuto in vita e poi, qualche anno dopo la tua morte, essere dimenticato".


Lei ha detto che la rappresentazione della morte di Stoner è un passaggio supremo della letteratura contemporanea. 
"Sì, noi esperiamo la morte di Stoner. È raccontata in terza persona, ma è molto in soggettiva, è scritta in maniera molto diretta. E quindi vediamo la rappresentazione della sua morte attraverso la percezione di quel momento dello stesso Stoner, tutta la vita che scorre davanti ai suoi occhi. E da lettore hai quasi la sensazione che il libro stesso stia morendo tra le tue mani e che il personaggio stia morendo tra le tue mani, tu stesso sembri percepire un po' della tua morte. La lettura delle ultime pagine è un'esperienza piuttosto forte".

Questo non sembra esattamente il tipo di storia da leggere sotto l'ombrellone.
"Semmai è vero il contrario. Non sarò mai abbastanza convincente nel sostenere che è questo il libro da portare in vacanza. Si insinuerà nelle stanze d'albergo, ovunque. Questa è una scoperta meravigliosa per tutti gli amanti della letteratura".

tratto da Repubblica.it


11/08/13

Libro sotto l'ombrellone: lasciate a casa le orride trilogie e portatevi dietro Conrad, Stendhal o Fitzgerald.




L'estate è la stagione dei lettori occasionali.  

Chi legge molto, di solito legge tutto l'anno.   In tanti invece, riescono a leggere soltanto d'estate. Interpretano, molti tra costoro, la lettura, come una delle forme diversive,  di divertimento o di svago.  Al pari del cruciverba, della rivista facile e dei vari compendi tecnologici che si infilano nella stessa borsa della spiaggia. 

Eppure un libro non è (solo) un diversivo. 

Un libro può arricchire - e di molto - la nostra vita reale.  Non bisognerebbe dunque sprecare l'occasione, almeno un mese all'anno, di conoscere, di crescere.  Attraverso un buon libro.

Vedo sotto la spiaggia in tanti violentarsi inutilmente con le trilogie trash o con il giallo un tanto al chilo d'importazione o fatto in casa.  E fuoriuscire da queste letture ancora più instupiditi di prima. 

Si pensa che un libro importante sia necessariamente  pesante o noioso
Ma lo dice soprattutto gente che non ha mai nemmeno provato a leggere qualcosa di un pochino più evoluto. Si tratta semplicemente di pigrizia mentale.  E come in tutte le cose simili, basterebbe cominciare, per scoprire un mondo. Per scoprire quanto ci si può arricchire. 

Provate anche con i vostri amici. Fatevi promotori dei buoni libri e della buona lettura. 

Chi legge male, di solito, vive anche male. 

Fatelo anche per loro.  Lasciate a casa, e fate lasciare a casa, o nell'ignobile dispenser dell'autogrill, il brutto seller americano, la puntatona della saga finto-medievale, il polpettone erotico a basso voltaggio. 

Portatevi dietro e consigliate all'amico di portare dietro un grande romanzo.  L'ultimo Conrad ristampato in Italia, per esempio (Il Caso, Adelphi, un romanzo straordinario dove sembra non accadere nulla e invece il lettore è risucchiato in un meccanismo narrativo perfetto), lo Stoner di John Williams (di cui, dopo un anno, si sono accorte finalmente, dopo un anno, addirittura, anche le pagine culturali di Repubblica),  La Certosa di Parma di Stendhal, Tenera è la notte di Fitzgerald. 

Vi divertirete anche, è sicuro.  Ma quando chiuderete uno di questi libri, sarete anche un uomo (o una donna) diversi. E scusate se questo è poco.  

Fabrizio Falconi


28/03/13

'Stoner' di John Williams - Recensione.




Non è facile trovare un romanzo come questo. 

Stoner, il nome del protagonista, ci fa pensare ad una pietrificazione.  Eppure, nulla in questo romanzo è pietrificato. Tutto vibra, tutto si muove, tutto vive di vita interiore. 

Si sa poco di John Williams,  per decenni oscuro docente universitario e autore soltanto di una manciata di romanzi, morto nel 1994.

Stoner però è diventato un piccolo grande caso letterario, prima negli Stati Uniti, poi in Italia dove il passa parola lo ha trasformato in successo, e dove ha suscitato l'entusiasmo di molti scrittori, tra cui Emanuele Trevi.

La vicenda dell'oscuro, anonimo professore di Letteratura Inglese alla Missouri University, a partire dagli anni della depressione fino al dopoguerra, sembrerebbe - come scrive Peter Cameron nella postfazione - l'antitesi di quello che oggi il mercato editoriale, soprattutto in Italia, considera come gli ingredienti sicuri per un libro di successo. 

Una vita apparentemente grigia, quella di Stoner. 

Una vita dove sembra non succedere niente. 

John Williams, però, è un vero maestro.   Se ne ha la riprova perché descrive la vita di un uomo virtuoso: di gran lunga l'operazione più difficile oggi (anzi, quasi impossibile).   E' molto più semplice cimentarsi con un Limonov, tanto per dire. 

Ma tutti sanno, dai tempi di Dostoevskij, che descrivere il bene è enormemente più difficile, in narrativa specialmente, che descrivere il male. 

Stoner è virtuoso anche senza volerlo. Segue la sua via. Tende o spera a ciò che è meglio.  Ma nulla di quello che ha immaginato o sperato, si verifica nei modi in cui egli auspica. 

Il suo unico punto fermo, la sua ciambella di salvataggio, sembra essere il suo lavoro, il suo insegnamento: eppure anche qui sembra non eccellere, non sembra nulla di speciale. 

La sua mid-way, la sua common-life è però solo apparenza appunto: grazie alla lingua sublime, di cui Williams fa uso, lentamente caliamo nella profondità di questo uomo. 

Scopriamo quanto esso ci parli. 

Svela, lentamente e inesorabilmente, la sua più inquieta umanità.    Ciò che rende una vita, in definitiva, vissuta. 

Senza giri di parole, e senza artifizi inutili,  la prosa di Stoner affonda come un bisturi nella coscienza, e la fende con naturalezza, tenerezza e decisione brutale. 

Abbiamo la vita davanti.  La (nostra) vita.

Quel che di più sublime, la letteratura, la grande letteratura, riesce - quando è in stato di grazia - a donarci. 

Fabrizio Falconi