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06/09/16

Terremoto a Roma ?? Questo l'elenco di quelli più disastrosi nella storia della Capitale.



Molti si chiedono, alla luce dei tragici eventi sismici di Amatrice e della zona limitrofa, quali sono le probabilità di un disastroso terremoto nella capitale.  Questo è uno studio aggiornato della Protezione Civile sui rischi della capitale. 

Il territorio del Comune di Roma ha una sismicità modesta, determinata soprattutto dagli effetti dei terremoti con epicentro nell'area dei Castelli romani e nell’Appennino abruzzese e umbro. Questa sismicità non è però trascurabile, per il valore elevato dei beni monumentali e architettonici della città e per la vulnerabilità del patrimonio edilizio.
Nel corso della storia, i terremoti con epicentro nelle aree dell'Appennino centrale (soprattutto Umbria e Abruzzo) e dei Colli Albani hanno prodotto danni agli edifici della Capitale generalmente non gravi, riferibili al VI-VII grado della scala Mercalli, come lesioni agli intonaci, caduta di comignoli e cornicioni. In alcuni casi, questi eventi hanno causato danni più gravi (fessure nelle pareti, crolli parziali di solai e mura), legati alla fatiscenza delle costruzioni o, probabilmente, a effetti locali causati dalla natura dei terreni.
I terremoti con epicentro nel Comune di Roma, invece, risultano poco frequenti e di bassa intensità, anche se hanno raggiunto il VI-VII grado Mercalli nel 1812 e nel 1909.



E' uno dei terremoti storici più importanti con origine nell'Appennino centrale e probabilmente l'evento sismico più fortemente risentito a Roma di cui si abbia notizia.Il terremoto interessò l'area dell'Appennino centro-meridionale compresa tra Perugia e Benevento, con danni riferibili ad intensità uguali e superiori all'VIII grado MCS. Il terremoto è attestato in numerose fonti documentarie e memorialistiche della stessa epoca ed è ampiamente ricordato nella tradizione cronachistica italiana. Secondo la testimonianza di Matteo Villani (secolo XIV), i danni in Roma furono decisamente consistenti: «[i terremoti] feciono cadere il campanile della chiesa grande di San Paolo, con parte della nobile torre delle Milizie, e la torre del Conte, lasciando in molte parti di Roma memoria delle sue rovine». Nel 1351 a Petrarca, che si trovava a Roma per il Giubileo del 1350, la città apparve prostrata: «Caddero gli antichi edifici trascurati dai cittadini ammirati dai pellegrini, quella torre, unica al mondo, che era detta del conte, aperta da grandi fenditure si è spezzata ed ora guarda come mutilata il proprio capo, onore della superba cima sparsa al suolo; inoltre, benché non manchino le prove dell'ira celeste, buona parte di molte chiese e anzitutto di quella dedicata all'apostolo Paolo è caduta a terra la sommità di quella Lateranense è stata abbattuta, tutto ciò rattrista con gelido orrore l'ardore del Giubileo». Petrarca tornò sull'argomento nel 1353 e nel 1368: in una lettera ricorda tra gli edifici danneggiati anche la «Virginis domus supremo colle consistens», da identificare probabilmente con la chiesa di Santa Maria in Ara Coeli. 
Forse anche in considerazione dell'afflusso dei pellegrini per il Giubileo, Clemente VI si preoccupò del restauro di alcune delle più importanti chiese della città che avevano subito danni a causa del sisma: le basiliche di S. Paolo, di S. Pietro e di S. Giovanni in Laterano.

Nel gennaio e febbraio 1703 Roma fu investita da una serie di violente scosse di terremoto, che raggiunsero un'intensità del IX e X grado MCS causando notevoli danni. Questa crisi sismica è uno dei più importanti eventi sismici dell'Italia centrale. Le scosse più violente ebbero origine nel tratto di Appennino umbro e abruzzese che comprende l'alta Val Nerina e l'Aquilano e distrussero numerosi centri abitati, provocando varie migliaia di vittime e feriti, con vistosi effetti sul terreno e sulle acque sotterranee.
Nei giorni di maggiore attività (gennaio-febbraio 1703) gli abitanti di Roma, spaventati dal succedersi delle repliche e dalle notizie provenienti dalle aree più colpite pernottarono all'aperto. In città non vi furono vittime, se non causate dalla paura o da incidenti. Delle numerose scosse avvertite a Roma nel corso del 1703, solo due produssero danni di rilievo: quella del 14 gennaio, disastrosa nella zona di Norcia, e quella del 2 febbraio, che provocò gravissimi danni all'Aquila. Fu quest'ultima a produrre i maggiori effetti in città. 
Numerosi gli edifici monumentali di Roma danneggiati dal terremoto, soprattutto chiese e palazzi; particolarmente gravi i danni al Colosseo. Effetti sulle acque sotterranee furono notati in molti pozzi della città: aumenti temporanei del livello, intorbidamenti, sapori ed odori insoliti. A Piazza di Spagna si verificò l'unico effetto sul suolo: "appresso la barcaccia si è aperto il terreno et ha mostrato un antico acquedotto". Inoltre, alla foce del Tevere si sarebbe verificato un leggero maremoto: "Nel medesimo momento pure del terremoto le acque presso la imboccatura del medesimo Tevere si depressero nel letto e poco dopo di nuovo si innalzarono”.


E' il più forte evento sismico di origine locale di cui si ha notizia. A Roma produsse danni generalmente leggeri, ma molto diffusi, e raggiunse un'intensità pari al VI-VII grado MCS. L'epicentro, pur ricadendo sicuramente nell'area di Roma, appare piuttosto incerto in quanto non sono state recuperate notizie precise sul risentimento in località vicine alla città. Il terremoto provocò a Roma danni generalmente leggeri, ma molto diffusi. Il panico fu tale che tutti uscirono dalle case e passarono il resto della notte per le strade e le piazze. Settele, testimone oculare, circa venti giorni dopo il terremoto scrive nel suo diario che “la gente ha avuto molta paura del terremoto, alcuni ancora non possono riaversi… ogni giorno dicesi che si è sentito il terremoto, io non l'ho sentito più, io credo, che la paura faccia credere terremoto qualunque moto si senta nelle case”. Il quadro del danneggiamento comprende il crollo totale di una casa rurale “fuori Porta San Paolo”, rari e limitati crolli parziali, la caduta di un grosso “pezzo di muro” dall'Arco di Dolabella al Celio il crollo di una “porzione di muro” e “rovina di una parte della facciata” della chiesa di San Paolo alle Tre Fontane in zona Eur. Danni gravi ad una loggia del complesso della chiesa del Gesù, successivamente demolita in quanto non più recuperabile e alle chiese di San Giovanni della Malva e di San Benedetto in Piscinula, che si trovavano in cattivissimo stato di conservazione. Alcune crepe o lesioni nei muri.
Caduta totale o parziale di alcuni camini e di intonaci; anche dal cornicione del Colosseo caddero alcuni frammenti. Notevole la diffusione di danni lievi, come leggere lesioni con caduta di calcinacci in oltre quaranta chiese e in numerosi palazzi ed abitazioni.



Il terremoto si verificò alle ore 3.38 del mattino (GMT- Greenwich Mean Time) e interessò con effetti massimi pari al VI grado MCS la zona compresa tra Roma ed il litorale, in particolare la parte a Sud del Tevere. Le località più colpite furono piccoli centri abitati a Sud e Sud-ovest di Roma L'epicentro del terremoto può essere individuato nell'entroterra nei pressi di Castel Romano, a 8 km dal litorale, dove si verificarono danni più gravi. In città l'evento produsse danni lievi e poco diffusi: moltissime persone uscirono dalle abitazioni per paura di crolli e passarono molte ore per le strade e le piazze. I danni agli edifici riguardarono l'aggravamento di lesioni già esistenti, con la caduta di calcinacci e di qualche raro comignolo probabilmente già lesionato. Nei rioni Trastevere, Borgo e Testaccio i danni risultarono più frequenti ed in rari casi più gravi: notevoli lesioni si manifestarono, infatti, al Monastero di Sant'Egidio, in alcune case molto vecchie nei rioni Trastevere e Borgo, ed in altre recenti, ma mal costruite nel quartiere Testaccio.

E' il terremoto con origine nell'area dei Colli Albani che ha prodotto il danneggiamento più severo nel centro storico di Roma (VI grado MCS circa), sebbene l'intensità epicentrale (VII grado) non figuri tra le massime dell'area stessa. Il motivo è probabilmente la relativa vicinanza dell'epicentro a Roma (circa 17 km), rispetto ai più forti terremoti dei Colli Albani, quelli del 26 agosto 1806, del 22 gennaio 1892 e del 26 dicembre 1927, con un epicentro più distante dalla città. L'evento interessò con i massimi effetti una ristretta area sul versante nord-occidentale dei Colli Albani e fu risentito in quasi tutto il Lazio. A Frascati e Marino si verificarono i danni più gravi, con gravi lesioni nei muri delle case, caduta di numerosi comignoli e crolli parziali di tramezzi, volte, soffitti e qualche cantonata.
A Roma il terremoto causò panico generale, che indusse quasi tutti gli abitanti a fuggire dalle abitazioni e a spargersi per le strade e le piazze, o addirittura “fuori le mura”, dove molti passarono anche la notte. Sembra che il sisma sia stato avvertito più fortemente nei “quartieri alti” della città (rione Monti). I danni agli edifici furono leggeri e diffusi praticamente in tutta la città: lesioni nei muri di numerosissime case, aggravamento di lesioni preesistenti, caduta di cornicioni, calcinacci ed alcune “volticelle nei casamenti rimasti incompiuti in seguito alla crisi”. In alcuni casi fu necessario eseguire dei puntellamenti e sgomberare alcuni edificii; non si ebbero vittime, mentre furono numerose le persone ferite a causa di incidenti durante la fuga dalle case, o per il crollo di calcinacci o pezzi di cornicioni.


Il terremoto, avvenuto alle ore 13.41 (GMT), fu risentito in tutta la provincia di Roma ed interessò una limitatissima area a nord-ovest di Monte Mario con i massimi effetti, riferibili al VI grado MCS. Leggeri danni ad edifici si verificarono nei dintorni sia dell'attuale chiesa di San Francesco d'Assisi (all'epoca chiamata "Sant'Onofrio in Campagna"), sia della vicina stazione Monte Mario della linea ferroviaria Roma-Viterbo. Nell'area danneggiata erano presenti all'epoca soprattutto case di tipo rurale. Grande fu il panico nei quartiere Trionfale e Prati, più vicini all'epicentro del terremoto, a Trastevere, nel quartiere Testaccio e nelle zone di Porta Pia e Porta San Lorenzo. I danni agli edifici furono molto lievi, limitati a pochissimi edifici (una quindicina) e quasi sempre costituiti dall'aggravamento di lesioni già esistenti.



Il terremoto del Fucino è l'evento più recente e quindi il più documentato. Si tratta di uno dei più grandi terremoti storici appenninici: è stato infatti avvertito in quasi tutta l'Italia ed in parte della Jugoslavia ed ha raggiunto l'XI grado MCS nell'area epicentrale, a circa 80-100 km da Roma. L'evento ha interessato quasi tutto l'Appennino laziale-abruzzese con intensità superiori all’VIII grado.
Tutti i rioni ed i quartieri furono interessati da danni, seppure in varia misura ed in maniera non omogenea. Dodici giorni dopo il terremoto, gli organismi del Comune avevano già proceduto a fare 625 sopralluoghi, presumibilmente in altrettante abitazioni ritenute danneggiate. Questo indica la notevole diffusione dei danni, che però nella maggior parte dei casi risultarono leggeri. Si segnala il crollo di alcuni metri di muro dell'acquedotto Claudio vicino a Porta Furba. Piuttosto diffusi gli effetti del terremoto su edifici monumentali: vengono segnalate lesioni non gravi alle Mura Aureliane nei pressi di Porta del Popolo e Porta Metronia e la caduta di cinque metri di muro della parte superiore dell'acquedotto Claudio vicino a Porta Furba. Seriamente lesionate furono le chiese di Sant'Agata dei Goti e Santa Maria della Scala, nonchè il campanile di Sant'Andrea delle Fratte e la cupola di San Carlo ai Catinari. Si nota una maggiore concentrazione e una maggiore severità di danneggiamento nel settore occidentale della città, che comprende quasi tutti i più antichi rioni di Roma.

Da Molin et al. (1995), Sismicità, in “Geologia della città di Roma”, Memorie descrittive della Carta Geologica d'Italia, n. 50, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma.