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08/08/18

La serie dell'anno: "Patrick Melrose", un doloroso viaggio verso la consapevolezza.



Ecco una serie televisiva che ti apre il cuore - per chi ne ha ancora uno - come una noce. 

Patrick Melrose, appena andata in onda su Sky Atlantic, e recuperabile sul BoxSet o in streaming, è tratta dalla saga dei romanzi dello scrittore inglese Edward St Aubin (finalista del Man Booker Prize)  tra il 1992 e il 2012: cinque, come sono cinque le puntate della mini-serie. 

Si tratta della lunga tranche de vie del protagonista e come i romanzi si basa sulla vita dell'autore, cresciuto in una disfunzionale famiglia dell'alta borghesia britannica, il quale ha affrontato la morte di entrambi i genitori, problemi di alcolismo, una dipendenza da eroina, e successivamente la guarigione, il matrimonio e la paternità.

La serie è stata ideata e scritta dall'inglese David Nicholls, diretta sontuosamente da Andrew Berger per la produzione di Showtime e fortemente voluta dal carismatico Benedict Cumberbatch nei panni del protagonista.

Cinque puntate brillanti e livide, di un'ora ciascuna, in cui viene descritta senza compiacimenti e senza cadute di stile, la discesa agli inferi di Patrick, abusato da bambino dal padre-orco, un ricco e crudele aristocratico represso, con la complicità muta della disastrosa madre, in balia di alcool e psicofarmaci.

Le vicende si alternano tra la vita presente di Patrick - in lotta per liberarsi dalla dipendenza radicale dall'eroina e dall'alcool - e i frammenti agghiaccianti della vita altoborghese della sua infanzia, nel villone in Provenza, dove il padre e la madre portano il ragazzino ogni estate.

Non molto viene risparmiato allo spettatore, non certo in termini di effettacci, come oggi va molto di moda, quanto in clima di angoscia spirituale e materiale, intorno alle vicende di un bambino di dieci anni, impossibilitato a diventare un adulto responsabile e ossessionato dalla presenza-incubo dei due genitori.

La storia comincia con la telefonata che annuncia la morte del padre, dall'altra parte dell'Atlantico, in America.  Lentamente scopriamo la vita dissoluta, rovinata, consapevolmente rovinata di Patrick, il suo galleggiare sull'orlo di una impossibile normalità; i suoi anni terribili, la lotta feroce con se stesso; l'ambiente paranoico e cinico degli amici di famiglia; l'importanza di almeno due rapporti che salvano Patrick e lo guidano verso l'utopistica speranza di poter uscire fuori: l'amico e una moglie (il vero personaggio chiave della storia, nella riabilitazione alla vita, faticosissima di Patrick).

L'allestimento è da grande produzione, la regia è meravigliosamente misurata e allo stesso tempo brillante, i dialoghi sono di alto livello sempre, l'ironia e l'auto-sarcasmo percorrono tutta la vicenda attraverso la faccia, il corpo, lo stile di Cumberbatch, un attore dalle capacità espressive mostruose (come scrisse una volta Callisto Cosulich a proposito dei De Niro e Minnelli visti in New York, New York  di Scorsese), attorniato da un cast fantastico in cui spicca la grande Jennifer Jason Leigh oltre a Hugo Weaving, Indira Varma, Jessica Raine, Prasanna Puwanarajah, Pip Torrens, Anna Madeley, Allison Williams e Holliday Grainger.

Patrick Melrose conquista, turba e affascina perché è un grande racconto sulla impossibilità del perdono, sul lasciare andare, sulla consapevolezza, sul sacrificio, sulla deriva sanguinosa e sanguinaria che è generata dall'ignavia e dalla indifferenza, dalla cinica obbedienza all'egoismo.

Temi su cui è quanto mai importante riflettere oggi.

Fabrizio Falconi

riproduzione riservata



12/08/15

Torna Twin Peaks, David Lynch e Mark Frost al lavoro !



Per qualcuno, e io sono tra questi, Twin Peaks è davvero l'inizio di tutta l'epopea della moderna serialità tv di alta qualità che rappresenta la vera novità nel linguaggio culturale dei primi anni 2000.

Farà dunque piacere ai molti appassionati di allora - e agli appassionati alle serie di oggi - questa notizia: 

Partiranno a settembre le riprese del sequel di Twin Peaks, thriller cult della Abc del 1990-91, che andrà in onda su Showtime

In pista entrambi i co-creatori della serie, David Lynch e Mark Frost, dopo il momentaneo addio al progetto da parte del regista, annunciato ad aprile via twitter con grande sconforto dei fan. 

Lo ha spiegato il presidente del gruppo Showtime, David Nevins. 

Lynch e Frost stanno scrivendo la nuova stagione, la terza, e lo stesso Lynch dirigerà tutti gli episodi.

"Non ho mai avuto dubbi sul fatto che gli avremmo fatto cambiare idea", ha commentato Nevins parlando del momentaneo forfait del regista. Superato l'intoppo relativo al numero degli episodi - "saranno piu' di nove", ha spiegato Nevins, senza specificare quanti - nel cast "ci saranno molti dei personaggi che il pubblico aspetta, ma anche sorprese"

Resta ancora un mistero la messa in onda, attesa comunque nel 2016.

18/09/12

Homeland - Una serie tv "dostoevskiana."




Avrà pensato a Dostoevskij lo sceneggiatore israeliano Gideon Raff che ha inventato la serie Hatufim, negli USA tradotta come Prisoners of War, che poi il canale americano Showtime ha realizzato nella nuova versione per il mercato USA e occidentale (in Italia è trasmessa dai canali Fox e Cielo).

L'interminabile messe di premi ricevuta da questa serie si giustifica con l'originalità dell'assunto e con la qualità del prodotto - che significa livello degli interpreti, messa in scena, sceneggiatura impeccabile, senza sbavature, senza nessuno di quegli effetti/orpello che di solito appesantiscono le serie tv.

Homeland parte da uno spunto molto semplice:  Nicholas Brody, un sergente dei Marine ritenuto scomparso in azione nella guerra d'Iraq, viene liberato dopo otto anni di prigionia. Una volta ritornato a casa, l'intera nazione lo elegge immediatamente eroe di guerra; Carrie Mathison, un'analista della CIA, è l'unica a credere che in realtà egli rappresenti una seria minaccia per il Paese: venuta a conoscenza del fatto che uno sconosciuto prigioniero di guerra americano era passato al servizio di al-Qaida, Carrie ritiene che quel prigioniero sia proprio Brody.

Qui siamo però ben oltre la nota paranoia americana sul nemico invisibile che minaccia la nazione, e oltre il noto stereotipo dei politici (americani) corrotti che cinicamente sfruttano queste paranoia.  

Ciò che interessa Raff e gli sceneggiatori americani sono i personaggi.  

Homeland è interamente giocata sul tema della ambiguità umana - come si vede anche dall'eloquente trailer qui sopra.   Chi tradisce ? Chi dice la verità ? Chi è contemporaneamente innocente e colpevole ? Chi si illude ? Chi crede a quel che vede ? E più in generale: dov'è il male e dove il bene ?  Chi è 'buono' può fare il male ? Chi è 'cattivo' può fare il bene ?

Homeland indaga - senza compiacimenti e senza sporcature - l'abisso del cuore umano.  Interroga profondamente lo spettatore su cosa resta, alla fine, all'estremo, nel cuore di ciascuno di noi al netto di tutti gli infingimenti, i mascheramenti, le auto-giustificazioni che ciascuno di noi si dà nel corso della propria esistenza.

Fabrizio Falconi