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01/10/15

Folgoranti citazioni da 'Tipi psicologici' di Carl Gustav Jung






Nulla turba tanto il sentimento quanto il pensiero.
(pag.390)
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Quanto più i sentimenti sono rimossi, tanto maggiore è l'influenza dannosa che essi esercitano segretamente sul pensiero, il quale altrimenti funzionerebbe perfettamente.
(pag.382)
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La tendenza monistica appartiene all'atteggiamento introverso, quella pluralistica all'atteggiamento estroverso.
(p.345)
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Il gran parlare che si fa del progresso umano è infatti divenuto sospetto e non ispira fiducia.
(p.308)
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Ogni eccessiva "purezza" manca di vita. Ogni rinnovamento della vita passa attraverso zone torbide per procedere verso la chiarezza.
(p.265)
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Normalmente l'uomo, oltre a uno suo stato deve avere anche lo stato opposto, per trovarsi necessariamente nel mezzo. In omaggio alla sola ragione egli non potrà mai rinunciare alla pienezza di vita e alla ricchezza di sensazioni offertegli direttamente dal suo stato momentaneo.  E' necessario che contro la potenza e il piacere di ciò che è temporale vi sia in lui la gioia dell'eterno, e contro la passione della realtà sensibile vi sia l'estasi del soprasensibile. Come l'uno è per lui innegabilmente reale, così occorre che anche l'altro sia per lui coercitivamente imperante.
(p.246)
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L'optimum di vita non è rappresentato dal crudo egoismo; né l'uomo raggiungerà mai il suo optimum di vita attenendosi all'egoismo, giacché in fondo egli è fatto in modo che la gioia del prossimo, della quale egli è causa, costituisca per lui qualcosa di indispensabile.
(p.231)
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Il mondo ha sempre da soffrire a causa delle coppie di opposti. E' quindi un dovere etico di essenziale importanza non lasciarsi influenzare dagli opposti (nirdvanda= libero, non tocco dagli opposti), ma elevarsi al di sopra di essi, giacché la liberazione dagli opposti conduce alla redenzione.
(p.212)
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"Pensare è così difficile che la maggior parte degli uomini emette giudizi". Riflettere richiede innanzitutto tempo, perciò chi riflette non può continuamente esprimere giudizi.
(p.171)
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Vi sono non solo verità razionali, ma anche verità irrazionali e le cose umane che sembrano impossibili mediante il ricorso all'intelletto, si sono spesso realizzate mediante il ricorso alle facoltà irrazionali. E infatti i più grandi mutamenti intervenuti nell'umanità non sono accaduti grazie ad un calcolo dell'intelletto , ma per vie che sfuggirono agli occhi dei contemporanei o che essi rigettarono come assurde e di cui l'intima necessità fu compresa solo molto più tardi.
Ma ancor più spesso esse non vengono affatto comprese, giacché per noi le leggi più importanti dell'evoluzione spirituale dell'umanità sono ancora un libro chiuso con sette sigilli.
(p.98)
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Non l'artista soltanto, ma ogni uomo creativo deve alla fantasia tutto ciò che di più grande gli accade di compiere nella sua vita.
(p.70)
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La verità non è eterna, è un programma. Quanto più una verità è "eterna", tanto più è priva di vita e di valore in quanto che, essendo divenuta intelligibile da sè, non ci dice più nulla.
(p.67)
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non bisogna dimenticare che la scienza non è la "summa" della vita, ma soltanto uno degli atteggiamenti psichici, o meglio una forma del pensiero umano.
(p.47)

citazioni tratte da:

Carl Gustav Jung, Tipi psicologici. 2011, XX-584 p., brossuraTraduttore Musatti C. L.; Aurigemma L.Editore Bollati Boringhieri (collana I grandi pensatori).



19/03/15

"Perché Narciso non vale l'amore" di Umberto Galimberti.

Caravaggio, Narciso alla fonte, 1597-1599. Olio su tela, cm 112 x 92 cm. Galleria Nazionale d'Arte Antica, Palazzo Barberini, Roma


“Perché Narciso non vale l’amore” - Umberto Galimberti 29 marzo 2014 

Secondo il mito, quando amiamo chi non sa amare, dobbiamo attenderci le punizioni di Eros. Nella realtà, vuol dire imparare a non credersi onnipotenti Sono una psicoterapeuta e insegno in una scuola di formazione in psicoterapia relazionale, dove le sue pagine sono un utile materiale di riflessione e di confronto per le discussioni con i miei allievi. Le scrivo a proposito del narcisismo, tema che più volte lei ha affrontato, e che secondo me oggi è di grande attualità. Vorrei interrogarmi e interrogarla circa la “relazione narcisistica”, ampliando lo sguardo sulla ninfa Eco che, nel mito, di Narciso è vittima – per intenderci – e tornare al “miracolo dell’amore” che Lei auspicava per il collega psicologo narcisista che in una lettera le sottoponeva i suoi tormenti.

Nella mia esperienza clinica vedo tante donne spesso belle, intelligenti e affascinanti, che fanno a pezzi la propria vita rincorrendo questo “miracolo d’amore”. Non smetto mai di sorprendermi per la quantità di energia che sono disposte a investire in questa relazione “disperante” che, proprio nell’accanimento onnipotente a diventare “qualcuno” per il partner (per il quale sono invece solo estensione narcisistica del sé) trova la sua marca patologica. 

Quando pare che, ridotte ormai come Eco nel mito, si decidano a mollare, ecco che si riattiva il gioco del partner che, proprio nella conquista di donne così importanti, alimenta il senso del suo sé (il cosiddetto “amore”). 

Poiché poi il narcisista è un magnifico incantatore, ci riesce e tutto ricomincia, anche il dolore che si cronicizza in sofferenza. Vorrei che nelle sue pagine, che sono un riferimento per tante donne, lo scrivesse, che il miracolo dell’amore non consiste nel cambiare l’altro, semmai nella possibilità che, attraverso l’altro, ci è data di cambiare noi stessi. Per esempio facendo quanto è possibile per ritrovare in noi stessi il senso del nostro vivere, senza delegarlo al valore che l’altro è disposto a riconoscergli. 

Maria Luisa 
Campobasso 


Narciso era un giovane bellissimo circondato dall’amore e dall’ammirazione di quanti lo incontravano, ma alle profferte d’amore, che pure lo gratificavano, restava indifferente. 

Un giorno, di Narciso si innamorò la ninfa Eco che, non ricambiata e respinta, si consumò di dolore fino a morirne. Di lei rimase solo il ritorno della sua voce, l’eco appunto. 

Questo è il destino che attende le donne che amano i narcisisti, spinte dalla persuasione, tutta femminile, di poter cambiare col tempo e con le loro premure gli uomini che amano.

Questa convinzione, che penso abbia le sue radici nello sfondo di onnipotenza presente in ogni donna – forse derivato dal fatto che, in quanto generatrice, la donna ha il potere di vita e di morte – è tipico non solo di colei che ama i narcisisti, sopportando ogni sorta di frustrazione e delusione, ma anche di chi ama i violenti, subendo ogni sorta di brutalità, maltrattamento, abuso, sopraffazione, come ogni giorno le cronache ci riferiscono.

E allora è bene che le donne ricordino che possono generare i bambini, ma non ri-generare gli adulti, ormai solidificati e direi anche pietrificati nella loro identità.

L’amore, è vero, è una potenza che può trasformare gli uomini. Ma non i narcisisti, che sono tali proprio perché, oltre a se stessi, non sanno amare nessun altro.

Lo stesso Freud riteneva che non ci fosse cura per loro, per il semplice fatto che, incapaci di una relazione con l’altro da sé, non sono in grado di instaurare una relazione emotiva neppure con il loro terapeuta.

Eppure incontrare un narcisista e innamorarsi di lui non è del tutto inutile, perché la sofferenza che si accumula in questa relazione può indurre la donna, se saggia, a ridurre il suo vissuto di onnipotenza ed evitare così l’autoinganno che le fa credere che, insistendo, possa cambiare le cose.

Capisco che l’idea di riuscire a cambiare le cose costituisce per la donna a sua volta una gratificazione narcisistica, ma siccome il tentativo non approda, è inutile sprecare la propria esistenza per gratificazioni narcisistiche che comunque non arrivano.

E allora la conclusione è quella indicata dalla psicoterapeuta che ha scritto questa lettera, ove si lascia intendere che amore non è solo conoscenza dell’altro, ma innanzitutto conoscenza di sé, nelle regioni, mai frequentate, dove veniamo a trovarci quando ci innamoriamo.

Nello scenario tutto nuovo che amore dischiude possiamo conoscere, oltre alle nostre virtù che prima ignoravamo, anche i nostri limiti che nessun desiderio, neanche il più spasmodico, può superare. E il primo limite che dobbiamo riconoscere è quello della onnipotenza che la follia d’amore alimenta in noi, lasciando il narcisista, che non sa amare, nella più assoluta indifferenza. 

di Maria Luisa Campobasso e Umberto Galimberti,

D Repubblica, 22 marzo 2014

26/11/14

"Abbastanza" non è (mai) abbastanza.



La parola abbastanza è una delle più misteriose, inafferrabili. 

L'etimologia dice il riferimento a qualcosa che basta (a-bastare).

Ma cosa basta davvero ? Chi stabilisce quanto basta, quanto è abbastanza ? Sembra del tutto aleatorio: non lo è. 

Nelle ricette di cucina, si scrive comunemente, di alcuni ingredienti, 'q.b.', 'quanto basta'. Per alcuni ingredienti c'è il peso esatto, il numero esatto, ma per alcuni - sale, olio, ecc... - è indicato solo 'q.b.' .  E si sa che quel q.b. nelle mani di un non esperto può rovinare tutto quel che si è fatto prima.

Il soggettivo è bastante. Ciascun bravo cuoco SA 'quanto basta'. Ciascun essere umano sa quando ha mangiato 'abbastanza', o quando ha dormito 'abbastanza'. Eppure 'abbastanza' non è mai affermabile in via definitiva. 

Ciò che sembra per qualcuno o per qualcosa 'abbastanza' può essere o non è mai 'abbastanza'. C'è un margine di incompletezza, uno scompenso, un di più, avvertibile soltanto da chi vive la mancanza dell'abbastanza e che chiede di essere colmato per giungere alla completezza del quanto basta.

La misura, si direbbe, è interiore.  Solo qualcosa di molto vicino alla nostra natura di dice ogni volta quanto basta. E qualche volta questo quanto basta è indefinibile, oltre che per sé anche per gli altri, sempre. 

Il gioco degli innamorati lo dimostra:

'mi ami dunque ?'
'sì.'
'ma mi ami quanto? mi ami abbastanza ?'

Ma abbastanza per che cosa ? Forse per essere fedeli a se stessi nella misura (essendolo quindi anche per gli altri).

Fabrizio Falconi

23/11/14

5 domande per sapere chi sei - Interpretazione delle risposte.




Ieri ho pubblicato qui un piccolo gioco da me escogitato (e sperimentato) per tentare di decifrare qualcosa di più sulla propria personalità (o indole, o carattere, o anima). 

Ecco la chiave per interpretare le vostre risposte. 

Il tipo di risposta appartiene ad un genere che ho suddiviso in:

- intelligenza classica: e sono le risposte  1A - 2A - 3B - 4B - 5A.

- intelligenza romantica: e sono le risposte 1B - 2B - 3A - 4A - 5B. 

Le due definizioni sono prese in prestito da R.M.Pirsig (Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta) e rappresentano due diversi atteggiamenti mentali, due diversi modi di guardare la vita.

Per sapere a quale categoria - o meglio, filosofia - si appartiene, basta conteggiare quante risposte abbiamo dato, in un senso o nell'altro. 

Se ci sono 5 risposte tutte nel segno classico - ad esempio AABBA - vuol dire che si dispone di una intelligenza prettamente classica.   Se ci sono 5 risposte opposte: BBAAB, vuol dire che si dispone di una intelligenza precipuamente romantica.  

Se le risposte sono miste, bisognerebbe valutare il confronto: 3 a 2 o 4 a 1, e si stabilirà comunque una prevalenza dell'uno o dell'altro fattore caratteriale. 

Generalizzando molto, possiamo dire che:

L'intelligenza classica è fondata su una preponderanza della ragione: il rigore perseguito come fine a se stesso, che ha dato luogo a un modello di cultura dove predominano un'esattezza e un ordine stabiliti in base ai criteri del misurabile e del dimostrabile, in una parvenza di scientificità che esclude altri parametri. Essa concepisce la realtà come ordine, schema, struttura logica, in cui è possibile riconoscere delle leggi generali che regolano il tutto. I sostenitori di tale uso della ragione sono dei formidabili teorici, propensi a dedurre più che ad osservare, a ragionare più che a imparare dall'esperienza.

L'intelligenza romantica invece, concepisce la vita come ispirazione, intuizione, autenticità. C'è qui una preponderanza del sentimento, del fattore emotivo come termometro del fenomeno.  C'è la fiducia in una conoscenza del cuore che viene prima e va oltre la comprensione del fenomeno, del visibile, del reale e quindi anche dei rapporti umani, dei legami, ecc.. Il privilegio dell'essere rispetto al come deve essere.

Da questi due atteggiamenti mentali di fronte alla vita, discendono molte delle cose che incontriamo, molte di quelle che facciamo.  Delle volte si vorrebbe essere l'uno o l'altro, ma sul contenuto della natura umana (cioè da quel dato da quale partiamo) è molto difficile prescindere. Come diceva un vecchio proverbio cinese, se nasci sasso, non puoi essere albero (e viceversa).

Fabrizio Falconi

02/12/11

Dostoevskij: l'Idiota, una scommessa contro ogni ragionevolezza. Così è il bene.




Non si finirà mai di riscoprire la grandezza di Dostoevskij e dei suoi eterni romanzi.  Nell'Idiota c'è la scommessa vinta - e difficilmente ripetuta in termini moderni - di descrivere il bene. La purezza di spirito.

Oggi che conosciamo ogni geografia del male - vissuto, vivisezionato, e parossisticamente dilatato - nella letteratura e nell'arte contemporanea (dove il bene è bandito come se fosse di cattivo gusto), sorge il sospetto che scrivere del bene sia troppo difficile (come lo fu per Dostoevskij, evidentemente) e molti preferiscono rinunciare, essendo ogni male troppo a buon mercato per potervi rinunciare.

Eppure, rileggendo questo libro, ogni pagina sussurra profondità difficili da immaginare.

Potete star certi che Colombo non era felice nel momento in cui scoperse l'America, bensì quando era in viaggio per scoprirla [...] L'importante non era quel Nuovo Mondo, che magari poteva anche inabissarsi. [...] L'importante sta nella vita, solo nella vita, nel processo della sua scoperta, in questo processo continuo ed ininterrotto, e non nella scoperta stessa! [...] Del resto, voglio aggiungere che ogni idea nuova o geniale concepita da un uomo, o anche, semplicemente, ogni idea seria gemmata nella mente di qualcuno, resta sempre qualcosa che è impossibile trasmettere agli altri uomini, anche se si scrivessero interi volumi e si impiegassero anche trentacinque anni nell'intento di interpretarli; rimarrà sempre qualcosa che si rifiuterà in ogni modo di uscire dalla vostra testa e resterà sempre chiuso in voi...

Il principe Myskin è prigioniero del suo bene. Non si placa e non si rassegna, anche se ogni volta l'onda del suo spirito nobile, primitivo, incontaminato, si infrange sulla scogliera dei mille mali, delle mille crudeli chiusure che gli uomini hanno escogitato, da sempre, per negare la forza e la verità di un sentimento (umano).

Vi sono uomini che non hanno mai ucciso, eppure sono mille volte più cattivi di chi ha assassinato sei persone.


Myskin soccombe senza lasciare apparentemente traccia. Come una nave che sprofonda in mare con tutte le  luci accese.  Eppure, la grande onda di quella nave affondata, ancora lambisce così da vicino i nostri passi.


17/09/11

RI-COMINCIARE. Da dove ? (12 cose da cui ripartire): 10. TEMPITERNITA'




Non aspetterò che la felicità scenda di me come una epifania o come una grazia inaspettata.

Soprattutto non farò in modo di pensare che solo creando certe condizioni, la mia felicità potrà arrivare in questa vita.

 Non farò l’errore di pensare che soltanto trovando la persona giusta, il modo giusto, il denaro giusto, la casa giusta, il lavoro giusto, io potrò finalmente essere felice.

E’ un modo naturale di pensare, ma porta fuori strada.

E’ un modo di proiettare la felicità fuori di me. Di farla dipendere unicamente da cause oggettive, come un bimbo che vuole o pretende uno zuccherino. E' anche l'alibi mediante il quale io potrò continuare a lamentarmi sempre, nella mia vita: "non ho quel che voglio, non è quel che voglio".

La felicità non è questo. 

La felicità raggiunta in questo modo, evapora come la nebbia al sole appena raggiunta.

L’unica felicità che conti, dovrò ricordarlo, è quella che deriva dalla pienezza. Pienezza interiore, non esteriore. Noi non siamo otri che debbano essere riempiti. Siamo già riempiti, e lo siamo sin dall’inizio.

La felicità che deriva dalla consapevolezza di sé, e dalla pienezza, è reale e concreta, e finalizza il senso della vita, lo rende tangibile e prezioso oltre che durevole, ci avvicina a un tempo eterno.

Si tratta allora di scoprire la felicità che si nasconde – eternizzata – in un solo attimo.

Magari apparentemente insignificante della nostra vita.

Se sarò capace di riconoscere in quell’attimo, la sospensione esatta e in perfetto equilibrio tra ogni aspettativa futura e ogni rimpianto passato, io sarò realmente felice.

Come scrisse il grande Raimon Panikkar, La realtà non si esaurisce nella temporalità; non è ora temporale e dopo eterna, ma al contempo tempiterna. L’esperienza di tempiternità è vivere il presente come esperienza intensa dell’istante senza riferimento al passato che fu o al futuro che sarà. E’ il presente sempiterno nel quale si realizza un’azione veramente tale, ovvero autentica e, quindi, unica.

Fabrizio Falconi