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25/03/21

Libro del Giorno: "Le quattro ragazze Wieselberger" di Fausta Cialente

 



Vincitore del Premio Strega nel 1976, questo romanzo, Le quattro ragazze Weiselberger, tornò in libreria tre anni fa meritatamente ristampato dall'editore La Tartaruga con una lunga prefazione di Melania G. Mazzucco.

E' così l'occasione di recuperare uno dei migliori romanzi del Novecento italiano, frutto del lavoro di una scrittrice italiana oggi dimenticata, tra le più originali, Fausta Cialente, nata a Cagliari nel 1898  e morta in Inghilterra a Pangbourne, Berkshire, nel 1994).

Sorella dell’attore Renato Cialente, Fausta firmò per parecchio tempo con il cognome da sposata, Terni Cialente. Nel corso della sua vita densa e avventurosa, si stabilì nel 1921 ad Alessandria d’Egitto, trasferendosi poi al Cairo nel 1940, dove svolse attività radiofonica e giornalistica in opposizione al regime fascista; tornò in Italia dopo la Liberazione nel 1947. Esordì nel 1930 con un romanzo, Natalia; cui seguirono: Pamela o la bella estate (1935); Cortile a Cleopatra (1936), Ballata levantina (1961), Un inverno freddissimo (1966).  Nell'ultimo periodo della sua vita si trasferì definitivamente in Inghilterra dove si occupò principalmente di grandi traduzioni.  E dove morì all'età di 96 anni. 

Il suo capolavoro, Le quattro ragazze Wieselberger racconta la suggestiva Trieste di fine Ottocento, vivificata dall’aria mitteleuropea e dalla bora dell’irredentismo, in cui si muovono, aggraziate e come consapevoli di un loro tragico destino, le quattro sorelle appartenenti a una “giudiziosa, benestante famiglia” della buona società: la madre è una tranquilla signora, che si divide tra la casa di città, odorosa di cera e pulito, e la grande casa di campagna, con giardino, orto e vigna; il padre è uno stimato musicista, che dirige con autorità affettuosa sia la famiglia sia l’orchestra dei “dilettanti filarmonici”, che fa le prove in casa sua. A una delle quattro ragazze può capitare di danzare, una sera, con il signor Ettore Schmitz, industriale in vernici sottomarine, non diventato il grande Italo Svevo. Narrando la loro storia, che è poi quella della sua ramificatissima e sempre un po’ imprevedibile famiglia, Fausta Cialente racconta mezzo secolo di storia italiana, in una prospettiva rivelatrice, gettando una luce nuova e inquietante su certi fautori “liberalmassoni di destra” dell’irredentismo triestino, che non solo liquidavano in termini razzisti la questione slovena, ma intendevano applicare analoghe discriminazioni nei confronti dei lavoratori, escludendoli dal governo della città, quando fosse “divenuta italiana”.


Fausta Cialente

05/09/16

La poesia della domenica: "Quando io morirò, nessuno saprà dire" di Anna Maria Ortese.



Quando io morirò, nessuno saprà dire


Quando io morirò, nessuno saprà dire
nessuno ricorderà la tua dolce bellezza
quando, vestito di celeste e di rosso,
stendevi la tua giovinezza su un prato
e la luna splendeva sulla tua fronte, gli occhi
ridenti e azzurri, la bocca rosa.
... Sei come una fanciulla e un soldato
Sei tenero e sei grave, fiducioso e sconsolato,
hai collere e scherno, e un sorriso timido.
... Presso la porta, sembrava che il sole
avesse sbagliato la strada, invece che l'orizzonte
avesse salito le scale di casa.
.... Eri là, splendente.
... Non posso dirti come sono in ginocchio
davanti a te, caro,
mio caro, mio splendore.
...Oh non è bella la casa che visiti,
non è importante la donna che ti aspetta,
non è questo un palazzo di cristallo,
né questa una signora.
... Ma tu, mio caro, mio tenero amore,
mia nuvola dorata, mio canto del mattino,
mio uccellino celeste, mio mazzetto di ciliege,
e anche spina per pungere, coltello per ammazzare,
tu non ti accorgi se non sono una signora.
...Tu cerchi l'erba. Oh, stenditi a riposare.


Anna Maria Ortese, tratto da Il mio paese è la notte, Empirìa, 1996.