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29/06/19

Eccezionale a Roma ! Spunta all'Aventino un affresco medievale intatto.





Nascosto da un muro per quasi 900 anni, riemerge a Roma in un'intercapedine nella chiesa di Sant'Alessio all'Aventino, un grande affresco medievale dai colori in incredibile stato di conservazione.

"Un ritrovamento assolutamente eccezionale", illustra in esclusiva all'ANSA, la storica dell'arte Claudia Viggiani, autrice della scoperta, "anche per l'iconografia rarissima dei due personaggi che si riconoscono nella parte del dipinto al momento visibile, con tutta probabilita' Sant' Alessio e il Cristo pellegrino".

Il grande mantello color della porpora sulle vesti succinte del pellegrino, la mano alzata quasi a voler presentare la maesta' del Cristo che accanto a lui benedice i fedeli.

La scoperta e' il frutto di un'indagine lunga anni e un po' ha il sapore del giallo.

"Tutto e' partito durante una ricerca d'archivio", racconta Viggiani, che al lavoro di ricercatrice ha alternato quello di consulente culturale di sindaci e ministri. Ad accendere la sua curiosita', una lettera scritta nel 1965 dall'Ufficio speciale del Genio Civile per le Opere edilizie della capitale alla Soprintendenza ai monumenti per il Lazio, nella quale si parla di "un affresco in ottimo stato di conservazione" casualmente rinvenuto durante i lavori per il consolidamento di una torre campanaria.

Gia', ma di quale chiesa? il documento, racconta Viggiani, non lo diceva. L'oscuro funzionario che negli anni Sessanta si era trovato di fronte alla meraviglia di quei colori aveva alla fine richiuso la porta lasciando il dipinto al suo secolare oblio.

"C'e' voluto un po', ma alla fine l'ho trovato", sorride oggi la studiosa. In questa storia, racconta, la determinazione e' stata determinante. Qualche mese fa l'opera e' stata messa in sicurezza dalla restauratrice Susanna Sarmati con un progetto realizzato grazie alla soprintendenza speciale di Roma guidata da Francesco Prosperetti con la direzione lavori di Mariella Nuzzo e Carlo Festa. Il portoncino sul retro di Sant'Alessio che nasconde l'intercapedine del tesoro e' pero' ancora inaccessibile per evidenti problemi di sicurezza. Tant'e'. Varcare quella porta con il permesso di don Bruno, storico parroco di Sant'Alessio, e' una sorpresa che toglie il fiato, con l'esplosione dei colori, il nero cosi' intenso dello sfondo, il cinabro del mantello, la lucentezza delle aureole. Ma anche lo sguardo penetrante nel volto roseo del Cristo, la serenita' ieratica nei tratti del Santo che lo imita e un po' gli rassomiglia, quasi volesse presentarsi come una copia 'umana' del Messia.


Riferibile alla meta' del XII secolo, il dipinto e' inquadrato da una cornice policroma che la restauratrice Sarmati definisce di una "eccezionale raffinatezza", difficile soprattutto "trovarne di cosi' complete e integre", spiega, mentre indica sulla parete le pennellate originali che e' ancora possibile distinguere.

Anche per lei e' un'emozione. Perche' e' vero che a Roma esistono altri affreschi medievali, dice citando tra gli altri le decorazioni pittoriche dell'Oratorio mariano di Santa Prudenziana, quelle della chiesa di San Giovanni a Porta Latina o dell'Oratorio di San Giuliano in San Paolo. "Ma il loro stato di conservazione, nonostante i restauri e' mediocre, mentre questo, che pure non e' stato mai toccato e' quasi perfetto".

Nella chiesa delle origini, illustra Viggiani, il dipinto occupava la parete della controfacciata, in una posizione di rilievo dovuta anche alla fama che accompagnava in quell'epoca le vicende di Sant'Alessio. E proprio il rispetto devozionale per il santo che si diceva fosse figlio del senatore romano Eufemiano e che in qualche modo sembra aver fatto da trait d'union tra la Roma pagana e quella medievale, sarebbe alla base dell'incredibile conservazione del dipinto. "Chi ristrutturo' la chiesa nei secoli successivi murando la controfacciata fece comunque attenzione a proteggere l'affresco", fa notare. Tanto che probabilmente una piccola parte di questo, con il volto di Sant'Alessio, rimase per secoli a disposizione dei fedeli attraverso una feritoia aperta sull'interno della navata. Attualmente il dipinto misura 90 centimetri di larghezza per oltre 4 di altezza. Un'altra porzione, grande almeno altrettanto, e' ancora nascosta dal muro. Viggiani e' decisa a riportarla alla luce: "Lo dobbiamo ai romani - dice - e ci aspettiamo ancora sorprese".

10/01/14

Un luogo meraviglioso: La piazza dei Cavalieri di Malta all'Aventino, a Roma e il genio di Piranesi.




La Piazza dei Cavalieri di Malta, sull’Aventino, a Roma. 


C’è un luogo a Roma che rappresenta una tappa fissa nei percorsi turistici per spiriti romantici e si trova sul colle dell’Aventino, in posizione defilata rispetto al circuito tradizionale dei grandi monumenti del centro storico.

E’ il celebre buco della serratura – così viene chiamato familiarmente dai romani – nella Piazza dei Cavalieri di Malta: si tratta del foro sul portone della Villa, che consente di inquadrare, come attraverso la lente di un cannocchiale, in una prospettiva perfetta incorniciata dai cosiddetti giardini del Priorato, il Cupolone di San Pietro. Grazie alla fuga del viale e alla particolare illusione ottica che se ne ricava, la Basilica infatti appare magicamente più vicina di quel che sembrerebbe.

E’ un rituale al quale si sottopongono volentieri i molti turisti che ogni giorno salgono l’antica Via di Santa Sabina, alla scoperta di quello che sin dall’antichità viene chiamato il grande Aventino - il colle compreso tra le pendici sud del Circo Massimo, la riva sinistra del Tevere e la valle attraversata attualmente da Viale Aventino – per distinguerlo dal piccolo, identificabile dall’attuale quartiere di San Saba. Oltrepassati così lo splendido Giardino degli Aranci e le chiese di Santa Sabina e di Sant’Alessio, si giunge così sulla sommità del colle, teatro di molti e importanti eventi nella storia di Roma antica, scoprendo la quiete apparentemente surreale della Piazza dei Cavalieri di Malta, recintata verso sud dal muro di cinta della chiesa e dal monastero di Sant’Anselmo, e a nord dal perimetro murario della Villa dei Cavalieri di Malta, che comprende al suo interno la Chiesa del Priorato, di cui ci occuperemo tra breve.

La Piazza dei Cavalieri di Malta, vero gioiello architettonico partorito dal genio di Giovan Battista Piranesi nel 1765, ha suscitato e suscita da sempre interessi esoterici per diversi motivi, per la sua forma, per i simboli che ospita al suo interno e per la vicinanza con gli edifici che abbiamo appena nominato. In effetti, a ben guardare, la Piazza sembra essere uscita proprio da una delle fantasie grafiche del grande Piranesi, il geniale architetto, inventore di quel rovinismo capace di restituire vita ai fasti della storia romana attraverso l’utilizzo di simboli classici, come gli obelischi, i triangoli, le piramidi, le sfere reinterpretandoli con gusto moderno in centinaia e centinaia di incisioni, disegni, acqueforti.



Ma assai prima del Piranesi, e del progetto della piazza settecentesca, questo luogo era già stato segnato dalla presenza inconfondibile dell’Ordine dei Cavalieri Templari. Il complesso che si vede oggi, infatti, sorto nell’anno 939 d.C. come monastero benedettino (fu importantissimo e fu retto da Oddone di Cluny) passò a metà del 1100 d.C. di proprietà dei Templari. Allo scioglimento, cruento in Francia e poi in Italia, dell’Ordine, nel 1312 tutti gli edifici passarono poi ai Cavalieri Gerosolimitani – i Cavalieri di Malta – che alla fine del XIV secolo vi posero il loro priorato. Per comprendere la simbologia della Piazza disegnata dal Piranesi su incarico del Cardinale Carlo Rezzonico che divenuto Gran Maestro dell’Ordine nel 1764 gli affidò i lavori, dobbiamo innanzitutto risalire alle origini del Colle, che per molto tempo rimase al di fuori del tracciato cittadino delle mura romane, collegato al Foro Boario da una sola via d’accesso che era il Clivus Publicius, la più antica strada lastricata, costruita nel 240 a.C. e che corrisponde grosso modo all’attuale percorso di Via di Santa Prisca.

Questa zona, proprio per la sua posizione defilata, fuori dal Pomerio – cioè dal vero e proprio recinto cittadino - a partire dall’età regia fu scelta dapprima come sede dei culti di divinità straniere, come testimonia ad esempio il santuario intitolato a Giove Dolicheno, che sorgeva nell’attuale area di via di San Domenico. 

Luogo di santuari dunque e di mitrei – nella zona ce ne sono di belli e importanti, basti pensare a quello riportato recentemente agli antichi fasti, alle Terme di Caracalla, quello del Circo Massimo, a fianco della chiesa di Santa Maria in Cosmedin e quello di Santa Prisca, ancora ottimamente conservato – la cui costruzione era dovuta, oltre che alla collocazione dell’Aventino, anche al fatto che in questa zona - prima che in età imperiale divenisse un quartiere residenziale - erano soliti accamparsi gli eserciti, prima della partenza o al ritorno dalle continue missioni belliche e il culto di mitra era particolarmente diffuso tra i milites romani.

tratto da Monumenti esoterici d'Italia .


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.