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05/01/18

Il "Sottotetto delle Meraviglie" : aperto lo scrigno di tesori a San Giovanni dei Fiorentini.



Dopo i recenti restauri, la facciata della Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, all'inizio di Via Giulia, è in assoluto una delle più eleganti e splendide della Capitale. 

Da qualche tempo però c'è una ragione in più per visitarla. 

Dal lunedì al sabato, infatti, la mattina è aperto al pubblico - grazie a 4 volontari che vi si alternano - il magnifico sottotetto dove è stato aperto il Museo della Basilica, che ospita reperti unici come il San Giovannino, scultura che Roberto Longhi attribuiva a un giovane Michelangelo o gli affreschi di Federico Zuccari. 

I motivi di attrazione di questa costruzione sono del resto già consolidati dal tempo: innanzitutto di carattere architettonico, visto che essa è il frutto del genio di alcuni tra i più grandi titani del Rinascimento e del Barocco, dal Sansovino (il primo progettista) al Maderno (cui si deve la Cupola), al Borromini, che vi lavorò negli ultimi anni prima della morte, e che qui è sepolto, come si legge in una delle lapidi interrate nel pavimento della Basilica, vicino all'altare principale.



Ma la Chiesa ospita anche molte altre illustri sepolture, come quella del celebre Marchese Onofrio del Grillo, immortalato dal film di Mario Monicelli. 


Il Museo della Basilica di San Giovanni dei Fiorentini è rinato grazie al curatore Simone Ferrari che in circa due decenni ha radunato statue, arredi, pitture, opere andate perdute dopo la demolizione dell'antico locale che lo ospitava, abbattuto per far posto al moderno Lungotevere, alle spalle della Chiesa. 
Così oggi, chi vuole visitare il Sottotetto delle Meraviglie, scoprirà, oltre alle opere già citate, due busti marmorei scolpiti dal giovane Bernini, la reliquia del piede di Santa Maria Maddalena, le reliquie di San Filippo Neri, le statue colossali del Battesimo di Cristo (opera di Francesco Mochi), la Madonna di Pierino da Vinci (allievo di Michelangelo), l'originale tabernacolo del '400 e la statua della Madonna donata alla chiesa da un suo parrocchiano famoso, Giulio Andreotti, che qualche tempo fa è andata danneggiata ad opera di uno squilibrato, e messa in sicurezza nel nuovo museo. 



Dulcis in fundo, la visita al Sottotetto, offre anche un incredibile affaccio interno sulla Navata della Chiesa.


Fabrizio Falconi - riproduzione riservata © 2017




12/12/15

Piazza dell'Oro a Roma - (da "Roma segreta e misteriosa").



tratto da Fabrizio Falconi, Roma segreta e misteriosa, Newton Compton Editori, appena uscito in libreria. 

Piazza dell’Oro a Campo Marzio e l’abisso infernale.

La bellissima chiesa di San Giovanni dei Fiorentini alla quale lavorò il genio dei più grandi architetti dell’epoca, da Jacopo Sansovino ad Antonio da Sangallo il giovane a Giacomo Della Porta a Carlo Maderno, e conosciuta dai Roma con il soprannome di “confetto succhiato”, a causa della sua forma allungata apre la sua facciata su una piccola piazza triangolare, risultato di moderne urbanizzazioni, proprio all’imbocco del rettifilo della Via Giulia (lungo un chilometro), chiamata Piazza dell’Oro. 

Esattamente in questo luogo, sul limitare del quartiere del Campo Marzio, esisteva anticamente un abisso spaventoso, dal quale emanavano fetidi odori di zolfo. 

Conosciuto sin dai tempi fondativi della città di Roma, l’abisso era creduto abitato da dèmoni ed esseri infernali, anzi una vera e propria porta d’ingresso o di comunicazione con l’Ade

Per questo ricevette da tempo immemorabile il nome di Tarentum che secondo gli studi più recenti, deriverebbe dal nome di una divinità dal corpo d’orso e dalla testa di cervo (o di renna) che si dice apparisse nelle notti di plenilunio

A questa divinità – diretta discendente a sua volta della divinità punica di Baal Kamon e da Molochsi offrivano riti orgiastici e sacrifici umani. Anche in questo luogo, dunque, riti dionisiaci andarono ripetutamente in scena, che finivano con la dispersione nell’abisso sotterraneo, degli animali e degli oggetti sacrificati (come avveniva parallelamente dall’altra parte del globo nei Cenotes messicani). 

Questa usanza si spezzò nei primi anni del 500 a.C. quando, forse per la crudeltà di questi riti sanguinari, un decreto ne vietò lo svolgimento. 

La tradizione fu ripresa proprio sotto Augusto, nel 17 d.C. quando l’imperatore nel quadro dei ludi saeculares (le celebrazioni che si svolgevano a Roma ogni secolo), volle far rientrare anche il Tarentum con baccanali, riti dionisiaci e sacrifici (di animali col mantello scuro) che venivano officiati da sacerdoti completamente vestiti di abito nero. 

E’ suggestivo immaginare questo rito, che si svolgeva all’aperto, aspettando il transito favorevole della luna, al canto del Carmen Saeculare composto dal divino Orazio per incarico diretto dell’Imperatore. Il canto era affidato a un coro di cinquantaquattro adolescenti, ventisette maschi e ventisette femmine, che lanciavano l’invocazione alle divinità infere per ottenere la loro protezione su Roma, sul destino, sui favori personali, nel corso di queste solenne cerimonie che ciascun cittadino romano poteva dire di aver visto una sola volta nella vita (se assistito da fortuna).