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06/11/15

"Il desiderio è una malattia, tutti vogliono sempre quello che gli altri vogliono." E' morto il grande René Girard.


E' passata quasi completamente inosservata in Italia, la scomparsa di uno dei grandi protagonisti del novecento filosofico: René Girard. 

Il grande antropologo è morto mercoledì 4 novembre, a Stanford, negli Stati Uniti, dove abitava e insegnava, a  91 anni. 

Fondatore della "teoria mimetica" quella scena intellettuale anticonformista aveva costruito un lavoro originale, che unisce la riflessione accademica e la predicazione cristiana.

I suoi libri hanno formato e  formano i passi di una vasta indagine sul desiderio umano e la violenza sacrificale in cui qualsiasi società, secondo Girard, trova la sua origine vergognosa.

Nato il giorno di Natale, il 25 Dicembre, 1923 ad Avignone, René Théophile è cresciuto in una famiglia di piccola borghesia intellettuale. Suo padre, socialista radicale e anticlericale, è curatore della biblioteca e il museo di Avignone e il Palazzo Papale. 

Sua madre è una cattolica, appassionata di musica e letteratura. In serata, lei legge i romanzi italiani o Mauriac ai suoi cinque figli. La famiglia non naviga nell'oro, lei è preoccupata per la crisi.

Piuttosto felice, l'infanzia di René Girard è quanto meno caratterizzata dall'ansia. Alla domanda su quale sia il suo primo ricordo della politica, ha risposto senza esitazione:
"Sono cresciuto in una famiglia borghese decrepito, che era stato impoverita dai famosi prestiti russi dopo la prima Mondiale Guerra. Abbiamo avuto una profonda consapevolezza della minaccia nazista e la guerra stava per arrivare. Anche nel parco giochi avevo paura della grande brutalità imperante. E ho invidiato gli studenti del college gesuiti che sono andati a sciare sul Monte Ventoux ... "

Dopo gli studi irrequieti (anche lui espulso dalla scuola per un cattivo comportamento), il giovane Girard finalmente nel 1940, si recò a Lione ma le condizioni materiali sono troppo dure, e lui decide di andare ad Avignone. Suo padre gli suggerì di entrare nella scuola di Charters.

A Parigi in tempi difficili, accetta l'offerta di diventare assistente di francese negli Stati Uniti. Questo è l'inizio di un'avventura americana che si concluderà solo con la sua morte, tutta la traiettoria accademica di Girard si svolge principalmente negli Stati Uniti. Poi arriva il primo salto: responsabile per l'insegnamento della letteratura francese ai suoi studenti, commenta davanti a loro i libri che hanno segnato la sua giovinezza, Cervantes, Dostoevskij e Proust. Quindi, confrontando i testi, inizia a studiare le risonanze in Stendhal e Flaubert o Proust. 

Emerge così quale sarà il grande progetto della sua vita: tracciare il destino del desiderio umano attraverso le grandi opere della letteratura.

Nel 1957, Girard si trasferì  alla Johns Hopkins University di Baltimora. Qui si svolgerà il secondo turno decisivo della sua storia, quello della antropologia religiosa 

"Tutto quello che dico è stato dato a me in una sola volta. E 'stato nel 1959, stavo lavorando sulla relazione dell'esperienza religiosa e scrittura di romanzi. Ho pensato: è lì che la tua strada, è diventato una sorta di difensore della cristianità ", confidò Girard nel 1999.

A quel tempo risale il libro che rimarrà uno dei suoi più noti saggi: Truth Lies romantiche e romantici (1961).

Ci sono esposte per la prima volta come parte della sua teoria mimetica: per comprendere il funzionamento della nostra società, è necessario partire dal desiderio umano e dalla sua profondità patologica: il desiderio è una malattia, tutti vogliono sempre quello che gli altri vogliono, che è la molla principale di qualsiasi conflitto. 

In questa competizione è  nato il ciclo di rabbia e di vendetta. Questo ciclo non si risolve con il sacrificio di un "capro espiatorio", come testimoniato gli episodi più diversi della storia, come lo stupro di Lucrezia o l'affare Dreyfus.

E' qui una distinzione fondamentale per Girard occhi: "La differenza insormontabile tra le religioni arcaiche e giudaico-cristiane. "Per pienamente cogliere le differenze tra loro, dobbiamo cominciare identificando il loro tratto comune: a prima vista, in un caso come nell'altro, si tratta di una narrazione di crisi che risolve una linciaggio trasfigurato in epifania. Ma se le religioni arcaiche si risolvono in una forma di moderna caccia alle streghe -  sopraffare il capro espiatorio - è il cristianesimo a proclamare ad alta voce l'innocenza della vittima. 

Contro coloro che riducono la Passione di Cristo a un mito tra gli altri, Girard ribadisce la singolarità irriducibile e scandalosa verità della rivelazione cristiana. Non solo rompe la logica infernale della violenza mimetica ma scopre definitivamente il substrato sanguinoso di qualsiasi cultura umana: il linciaggio che lenisce la folla e ripara la comunità. 

Così Girard, a lungo scettico, così a poco a poco ha indossato i panni del predicatore cristiano, con l'entusiasmo e la combattività di un esegeta convertito dai testi. Di libro in libro, La violenza e il sacro (1972) fino a Vedo Satana cadere come la folgore (1999), esalta la forza sovversiva dei Vangeli. Un impegno religioso criticato Questo impegno religioso è stato spesso indicato dalla critica, per la quale la sua prosa è più una apologetica cristiana che la scienza umana. Per loro, l'antropologo ha risposto che i Vangeli sono vera scienza dell'uomo ... "

Per lui, la teoria mimetica ha permesso di illuminare non solo la costruzione di desiderio e genealogia miti umani, ma questa violenza, l'infinita spirale di risentimento e rabbia, lo ha portato ad asserire che l'Apocalisse sta arrivando. "Oggi non c'è bisogno di essere religiosi per sentirsi che il mondo si trova in uno stato di totale incertezza ".


Tratto da La morte di René Girard, antropologo e teorico della "violenza mimetica" Le Monde, 2015/05/11, di Jean Birnbaum 

19/03/15

"Perché Narciso non vale l'amore" di Umberto Galimberti.

Caravaggio, Narciso alla fonte, 1597-1599. Olio su tela, cm 112 x 92 cm. Galleria Nazionale d'Arte Antica, Palazzo Barberini, Roma


“Perché Narciso non vale l’amore” - Umberto Galimberti 29 marzo 2014 

Secondo il mito, quando amiamo chi non sa amare, dobbiamo attenderci le punizioni di Eros. Nella realtà, vuol dire imparare a non credersi onnipotenti Sono una psicoterapeuta e insegno in una scuola di formazione in psicoterapia relazionale, dove le sue pagine sono un utile materiale di riflessione e di confronto per le discussioni con i miei allievi. Le scrivo a proposito del narcisismo, tema che più volte lei ha affrontato, e che secondo me oggi è di grande attualità. Vorrei interrogarmi e interrogarla circa la “relazione narcisistica”, ampliando lo sguardo sulla ninfa Eco che, nel mito, di Narciso è vittima – per intenderci – e tornare al “miracolo dell’amore” che Lei auspicava per il collega psicologo narcisista che in una lettera le sottoponeva i suoi tormenti.

Nella mia esperienza clinica vedo tante donne spesso belle, intelligenti e affascinanti, che fanno a pezzi la propria vita rincorrendo questo “miracolo d’amore”. Non smetto mai di sorprendermi per la quantità di energia che sono disposte a investire in questa relazione “disperante” che, proprio nell’accanimento onnipotente a diventare “qualcuno” per il partner (per il quale sono invece solo estensione narcisistica del sé) trova la sua marca patologica. 

Quando pare che, ridotte ormai come Eco nel mito, si decidano a mollare, ecco che si riattiva il gioco del partner che, proprio nella conquista di donne così importanti, alimenta il senso del suo sé (il cosiddetto “amore”). 

Poiché poi il narcisista è un magnifico incantatore, ci riesce e tutto ricomincia, anche il dolore che si cronicizza in sofferenza. Vorrei che nelle sue pagine, che sono un riferimento per tante donne, lo scrivesse, che il miracolo dell’amore non consiste nel cambiare l’altro, semmai nella possibilità che, attraverso l’altro, ci è data di cambiare noi stessi. Per esempio facendo quanto è possibile per ritrovare in noi stessi il senso del nostro vivere, senza delegarlo al valore che l’altro è disposto a riconoscergli. 

Maria Luisa 
Campobasso 


Narciso era un giovane bellissimo circondato dall’amore e dall’ammirazione di quanti lo incontravano, ma alle profferte d’amore, che pure lo gratificavano, restava indifferente. 

Un giorno, di Narciso si innamorò la ninfa Eco che, non ricambiata e respinta, si consumò di dolore fino a morirne. Di lei rimase solo il ritorno della sua voce, l’eco appunto. 

Questo è il destino che attende le donne che amano i narcisisti, spinte dalla persuasione, tutta femminile, di poter cambiare col tempo e con le loro premure gli uomini che amano.

Questa convinzione, che penso abbia le sue radici nello sfondo di onnipotenza presente in ogni donna – forse derivato dal fatto che, in quanto generatrice, la donna ha il potere di vita e di morte – è tipico non solo di colei che ama i narcisisti, sopportando ogni sorta di frustrazione e delusione, ma anche di chi ama i violenti, subendo ogni sorta di brutalità, maltrattamento, abuso, sopraffazione, come ogni giorno le cronache ci riferiscono.

E allora è bene che le donne ricordino che possono generare i bambini, ma non ri-generare gli adulti, ormai solidificati e direi anche pietrificati nella loro identità.

L’amore, è vero, è una potenza che può trasformare gli uomini. Ma non i narcisisti, che sono tali proprio perché, oltre a se stessi, non sanno amare nessun altro.

Lo stesso Freud riteneva che non ci fosse cura per loro, per il semplice fatto che, incapaci di una relazione con l’altro da sé, non sono in grado di instaurare una relazione emotiva neppure con il loro terapeuta.

Eppure incontrare un narcisista e innamorarsi di lui non è del tutto inutile, perché la sofferenza che si accumula in questa relazione può indurre la donna, se saggia, a ridurre il suo vissuto di onnipotenza ed evitare così l’autoinganno che le fa credere che, insistendo, possa cambiare le cose.

Capisco che l’idea di riuscire a cambiare le cose costituisce per la donna a sua volta una gratificazione narcisistica, ma siccome il tentativo non approda, è inutile sprecare la propria esistenza per gratificazioni narcisistiche che comunque non arrivano.

E allora la conclusione è quella indicata dalla psicoterapeuta che ha scritto questa lettera, ove si lascia intendere che amore non è solo conoscenza dell’altro, ma innanzitutto conoscenza di sé, nelle regioni, mai frequentate, dove veniamo a trovarci quando ci innamoriamo.

Nello scenario tutto nuovo che amore dischiude possiamo conoscere, oltre alle nostre virtù che prima ignoravamo, anche i nostri limiti che nessun desiderio, neanche il più spasmodico, può superare. E il primo limite che dobbiamo riconoscere è quello della onnipotenza che la follia d’amore alimenta in noi, lasciando il narcisista, che non sa amare, nella più assoluta indifferenza. 

di Maria Luisa Campobasso e Umberto Galimberti,

D Repubblica, 22 marzo 2014

13/10/11

RI-COMINCIARE. Da dove ? (12 cose da cui ripartire): 12. SACRIFICIO.



Per ripartire, dopo la caduta di senso che rischia di travolgere ogni cosa, dovrò ricordarmi di una parola che è stata cancellata dagli anni e dalla frenetica illusione di un eterno presente: sacrificio.


Cosa è che 'fa sacra'  (sàcer fàcere) la mia vita ? Cosa può renderla sacra, e cioè in definitiva degna di essere vissuta ?

Certamente nessuna delle cose mondane, nessuna delle cose che il mondo mi offre in soprannumero, mi offre senza nemmeno chiedermi un volgare contrassegno, nessuna di queste cose può e potrà rendermi migliore, potrà arricchirmi di nulla.

Sin da bambino ho imparato che OGNI crescita è legata ad un sacrificio.

Non c'è nessuna crescita se non si è disposti a perdere qualcosa di sé: senza sacrificio, si resta eterni bambini, si rinuncia alla vita.

E io non voglio rinunciare alla vita. Questa vita delittuosamente appesantita dalla mancanza di un orizzonte futuro. Questa vita stesa a stendere sotto il peso di un eterno presente che ritorna e che non aggiunge e che non toglie.

Cosa potrò mai diventare, se non offrirò me stesso, se non lo lascerò andare via, in dono o a pegno, se non lo farò fruttare per una buona causa umana, se non sarò capace di trasformarmi, di rendermi maturo come fa un frutto quando si stacca dall'albero ?

Qualunque sia il cammino, la mia anima deve compierlo e sa che deve compierlo. Fare il proprio, dare il meglio, e guardare oltre.  Da quanto saprò essere generoso, si misurerà la riconoscenza dell'avere.  E se anche non avrò avuto, non avrò vissuto indegnamente o inutilmente.

C'è uno spirito antico che vive dentro di me.  Una lunga storia di cui io sono simbolo e frammento.  Che io sono, anche se non lo so.

Come scrisse C.G. Jung:

ma lo spirito del profondo disse: 
"Nessuno può o deve impedire il sacrificio. Il sacrificio non è distruzione, il sacrificio è la pietra miliare di ciò che verrà. Non avete forse avuto i conventi ? Non sono forse andati a migliaia nel deserto ? dovete dunque portare i conventi dentro di voi. Il deserto è in voi. il deserto vi chiama e vi attira e, se pure foste legati col ferro al mondo di questo tempo, il richiamo del deserto spezzerà ogni catena. in verità, io vi preparo alla solitudine." quindi il mio lato umano tacque. ma al mio lato spirituale accadde qualcosa che devo chiamare grazia.


(foto di Henri Cartier-Bresson)