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02/11/15

(L'universo, i morti) - 2 novembre di Mario Luzi.



(L'universo, i morti)

                                                                                              2 novembre




L'universo, i morti. Ne immagina
nell'etere gli opachi
o cristallini insediamenti. Loro
dove stanno ? - intende i suoi più cari.
Ne fissa per un attimo quel vago
sfavillio di firmamento,
                                       si sposta
lui, si sposta il desiderio
                                       col suo ago
da stella a stella
in tutto il mirifico quadrante,
e qualcuno ne ravvisa
o crede "ma è un'insidia
del rimpianto, quella" il senso
si ravvede. Con esso gioca, a volte,
nelle sue perenni ondate
                                        l'incessante
loro e nostro mutamento.
                                        E' vero, è vero
ma persiste il cuore,
                                        l'umano non si arrende.



Mario Luzi (1914 - 2005)
Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini,
Milano 1994, p.145

02/11/14

La poesia della domenica - 'Stamattina, il fosso' di Fabrizio Falconi.




Stamattina, il fosso.


Stamattina
sono passato sotto un albero
le sue fronde cadenti
mi hanno carezzato i capelli,
- un tocco morbido e duro
allo stesso tempo.

Non me ne ero accorto:
quando, molto tempo dopo,
mi sono guardato allo specchio
ho scoperto
di avere tra i capelli
minuscoli frammenti
di foglie, rami
e polvere di terra
come una ghirlanda bruna
mi adornava la testa.

E ho pensato:
sarà così quando sarò morto,
gli alberi e la terra
sfioreranno la mia testa
se ne impadroniranno
dolcemente
con terribile silenzio
mi copriranno
nello stesso modo
- tocco morbido e duro
allo stesso tempo.

Ma poi un coro vittorioso
e perduto, come di bimbi afflitti
- per tutto quel non vissuto,
la vita gettata al vento del rischio –
ho sentito sussurrarmi
un poema nuovo:

“ E’ già ora così.
Non correre, non andare
non oltre.
E’ qui, ora il tuo fosso
da aprire, da svellere
e vivere,  bonificare
e nutrire nel fondo del fondo
di tutte le ere che lo hanno generato.

Tu sei l’odore di salvia
l’umidore del mattino, la luce
che fa il giro nuovo 
nei segreti dell'ombra."



Fabrizio Falconi -  tratto da M.C. Biggio (a cura di) - Luci da "Il Fosso" – Ventiquattro segni terrestri per Laudomia Bonanni (nel centenario della nascita). Poesie di Anedda, Biggio, Bre, Buffoni, Calandrone, Cavalera, Falconi, Giancarli, Gualtieri, Kinsella, Loi, Loreto, Mariani, Marzaioli, Merini, Pecora, Pizzi, Precht, Sica, Spaziani, Stewart, Tocci, Valesio. In copertina un olio di A. Arrivabene. Pp. 63, La Vita Felice, Milano 2008.

02/11/12

2 novembre: Nabokov e la Morte.



La vita è una grande sorpresa. Non vedo perché la morte non potrebbe esserne una anche più grande. 

Vladimir Vladimirovič Nabokov  (Pietroburgo 23 aprile 1899 - Montreux, 2 luglio 1977)

01/11/11

La dignità dei morti (e dei vivi).



Ho spesso riflettuto sulla “dignità” dei morti. I morti sono “dignitosi” perché sono meritevoli quasi sempre – a meno che la loro vita non sia stata particolarmente ignominiosa – del rispetto nell’opinione comune.

Il rispetto deriva soprattutto dal fatto che un morto non ha più voce.

L’ultima parola è quella del suo epitaffio sulla gelida lapide. Poi, nessun diritto di parola – secondo le convenzioni dei viventi – è più concesso a un morto.

Anche se dovremmo tutti ricordarci che i morti continuano a parlare, eccome, dopo la loro morte, in forme e modi spesso incontrollabili (ed è per questo che spesso anche la sepoltura di un corpo, l’identificazione e la presenza di una tomba fa così paura o diventa ingombrante, come insegna la storia passata e recente).

Ma la dignità è riconosciuta primariamente proprio in virtù di questo silenzio in-contestabile che cala sulla vita di un uomo, e questo silenzio è dignitoso, perché non ammette più ragioni o repliche. E’ silenzio, appunto, e basta.

Ma perché la dignità deve essere tirata in ballo anche per i sopravvissuti ? Perché di qualcuno che vive un lutto si dice o si giudica che sia “dignitoso” ? Esiste un modo “dignitoso” di affrontare la morte di una madre, di un padre, di un figlio, di una moglie o un marito ?

Chi ha stabilito un “codice deontologico” del lutto ?

Chi ha stabilito – soprattutto oggi, che le lacrime e il dolore devono essere banditi possibilmente da ogni consesso socialmente utile - che una persona che trattiene il pianto o non mostri sofferenza sia più dignitosa di qualcuno che si abbandona alla lacerazione o alla disperazione ? 

Davvero non possiamo fare a meno, anche in ‘rigor mortis’ di enunciare il nostro freddo giudizio, ad uso e consumo di una sofferenza che turba o disturba e che vogliamo mantenere ad una distanza di controllo ?

I morti sono dignitosi e non hanno bisogno di lacrime.

I vivi però, i sopravvissuti in specie, hanno bisogno anche di lacrime per attraversare il grande lago, misterioso, della separazione dagli affetti umani.

Ci sarà tempo poi, forse, in questa o in un’altra vita di partecipare e vivere un nuovo dolore, una nuova sofferenza e forse una via nuova per ritrovare quei perduti affetti.


F. Falconi