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24/10/22

Umberto Galimberti: La fede cristiana non è "la fede nei miracoli"

 

Michelangelo Merisi da Caravaggio, L'incredulità di Tommaso 

In un suo recente intervento su La Repubblica - D del 15 ottobre - Umberto Galimberti torna a riflettere sulla Fede e in particolare sulla fede miracolistica, la fede nei miracoli, quella che secondo il filosofo, "sottrae ai credenti la qualità spirituale alimentando le parti più infantili di noi."

E' un intervento come sempre stimolante, su cui si può discutere. Mi preme però riportare qui un passo particolarmente interessante sul quale tutti - anche i cristiani - riflettono spesso molto poco. 

"Vorrei spostare l'attenzione sulla devozione, peraltro molto diffusa, che riduce la fede cristiana a fede nei miracoli. 

Guai se una fede trova nel miracolo il sigillo della verità, adunando le folle intorno a un santuario costruito a seguito di una apparizione o di un evento considerato miracoloso, perché questo significa contravvenire al monito che Gesù rivolge all'apostolo Tommaso che dubita della sua resurrezione: "Perché hai visto, o Tommaso, hai creduto; beati coloro che non hanno visto e hanno creduto."(Giovanni, 20,29)

Se Gesù ha mostrato a tutto il popolo di Gerusalemme lo strazio della sua passione e a pochissimi il miracolo della resurrezione, ciò forse significa che non intendeva consegnare la fede, che da allora si sarebbe detta "cristiana", allo stupore del miracolo, ma intendeva affidarla alla sua partecipazione al dolore del mondo, che da quel giorno, nella religione cristiana, acquistò un senso, peraltro testimoniato dal fatto che il simbolo di quella religione divenne il crocefisso." 

Parole su cui è bene meditare.

Fabrizio Falconi - 2022 


04/04/21

Pasqua insolita a Roma: Parlando di Resurrezione, la visita alle incredibili cripte dei Cappuccini in Via Veneto

 


Una visita a Roma nei giorni di Pasqua, può riservare molte sorprese

Ne è un esempio la cosiddetta Chiesa dei Cappuccini in Via Veneto – il cui nome esatto è in realtà Santa Maria dell’Immacolata - celebre soprattutto per l’antico cimitero nel sotterraneo dell’edificio: la cripta,  le cui cinque cappelle sono interamente ricoperte e decorate con parti di scheletri – omeri, femori, vertebre, teschi, scapole, clavicole -  appartenenti a frati cappuccini che vissero per secoli nell’adiacente convento: più di quattromila scheletri formano una fantasmagorica e lugubre scenografia che serviva come memento mori, come ammonimento riguardo alla caducità della vita terrena.

Oggi alle cripte si accede attraverso un modernissimo e funzionale Museo dedicato alla confraternita dei Cappuccini (adiacente alla Chiesa), molto interessante, che ricostruisce la storia dell’Ordine attraverso i suoi personaggi, le curiosità, i luoghi e  gli strumenti della predicazione, sull’esempio del Santo assisiano.

Noi eravamo quello che voi siete e quello che noi siamo voi sarete, ammonisce un cartello all’entrata, piantato direttamente nella terra delle sepolture.

Ma i cappuccini professavano la loro fede nella Resurrezione e l’ultima delle Cappelle è in questo senso, liberatoria, perché si assiste, in una tela, alla raffigurazione del miracolo della resurrezione di Lazzaro. L’intera cripta è quindi un passaggio pasquale, attraverso la morte, nella sua rappresentazione più gotica,   fino alla Resurrezione. E non è un caso che questo luogo nei secoli abbia suscitato l’interesse di illustri e diversi artisti, da Nathaniel Hawthorne e Goethe, fino al Marchese De Sade, che ne rimase fortemente impressionato.
Ma se ancora oggi la Chiesa richiama molti visitatori per questa particolarità,
molti altri sono i motivi di interesse, prima di tutto quella grande tela d’altare nella prima cappella a destra firmata dal genio di Guido Reni e raffigurante San Michele Arcangelo che schiaccia con il piede la testa di Satana. 

Questo dipinto ha una storia molto particolare, che pochi conoscono.  Il bolognese Guido Reni era quel che si dice uno spirito inquieto. Ammirato e ricercatissimo nella Roma di allora, era quello che si potrebbe definire un dandy ante-litteram. Sempre elegante e azzimato, orgoglioso e curioso, si sentiva attratto dal soprannaturale, dalla magia e dall’azzardo. 

Quando nel 1635 ricevette da Antonio Barberini, che era il fratello del Papa di allora – Urbano VIII, al secolo Maffeo Vincenzo Barberini – l’incarico di realizzare una grande pala d’altare per la Chiesa dell’Ordine al quale lo stesso Antonio apparteneva, Guido Reni pensò bene di prendersi una rivincita, a modo suo, nei confronti di uno dei personaggi più influenti della Capitale, quel Giovanni Battista Pamphilj, destinato a diventare qualche anno più tardi anch’esso Papa, succedendo ad Urbano VIII con il nome di Innocenzo X.

Barberini e Pamphilj si contendevano la scena a Roma, in quel periodo. Erano le due famiglie più facoltose, le più potenti, quelle che con più numeri ambivano alla elezione del Pontefice. 

Guido Reni era dalla parte dei Barberini. Anche per motivi personali che gli avevano reso inviso Giovanni Battista Pamphilj, brillante avvocato di curia. Non si conosce bene il motivo di questa antipatia: se si trattò di un affronto personale,  di una maldicenza o  di un danno alla reputazione del pittore.  Forse per vendicarsi di qualche torto subito, Guido Reni ritrasse nella tela della Chiesa dei Cappuccini la testa del demonio schiacciata dall’Arcangelo con i lineamenti di Giovanni Battista Pamphilj: lo stesso viso allungato, la fronte stempiata e quel pizzetto che lo rendevano un ottimo soggetto per la rappresentazione del Diavolo..

Quel che è certo è che sin da quando il quadro fu esposto, la somiglianza parve a molti innegabile.  E lo stesso Giovanni Battista, all’epoca Cardinale, ne rimase scandalizzato, chiedendo anche per vie diplomatiche che si provvedesse a nasconderlo.  Ma quella Chiesa era territorio dei Barberini e nonostante le rimostranze, furono creduti i motivi di discolpa dell’artista il quale si giustificò dicendo che si era semplicemente ispirato all’immagine del Demonio che più volte aveva segnato, nel corso dei suoi incubi notturni..

Dunque il quadro non fu mai spostato. Anche se i motivi di imbarazzo crebbero ulteriormente qualche anno più tardi quando Giovanni Battista divenne addirittura Papa. 

E qualche voce maligna, nella Roma di allora, si affrettò a constatare che “anche se in quella città si era visto di tutto, dall’epoca di Romolo e poi di Nerone, non s’era mai visto un Papa assomigliare così tanto ad un Demonio!”


Fabrizio Falconi - riproduzione riservata 2021 




27/03/16

La Resurrezione di Grunewald, un quadro meraviglioso e misterioso.


La Resurrezione di Matthias Grünewald (1480-1528) - Trittico dell'altare di Issenheim

I Vangeli sono tutti di una sconvolgente discrezione: annunciano la Risurrezione senza descriverla; ne proclamano la realtà senza dire come Cristo è risorto dai morti

Essi preservano così il cuore del mistero e scelgono di comunicarlo attraverso le apparizioni di Cristo che, dopo la Risurrezione, è in un’altra condizione — può essere presente senza essere riconosciuto, può attraversare le porte sbarrate — e si rivela rivolgendosi ai suoi, come fa con Maria di Magdala, quando la chiama per nome, o attraverso le parole che accendono in quelli che ascoltano il fuoco della fede. Cristo risorto si comunica già attraverso una sottigliezza della parola in grado di farci vedere con gli occhi dello spirito e del cuore. 

È lo stesso e tuttavia è diverso, portatore di un’alterità che non altera l’identità della persona, ma la colloca in una realtà in cui il corpo non veste lo spirito, ma lo svela; non è contro lo spirito, ma ne è proprio l’espressione e manifesta il volto interiore.

Il mondo che Cristo rende presente attraverso la sua Risurrezione è il mondo della trasparenza, della piena coincidenza del corpo con lo spirito, della loro unità trasfigurata attraverso la vittoria sulla morte. Ciò che i Vangeli non dicono non è rimasto, tuttavia, nella zona dell’ineffabile e dell’invisibile, non era possibile. La storia del cristianesimo è anche una storia delle forme che riflettono significati che attribuiamo alla Risurrezione.

In questa prospettiva, tra i maestri dell’arte occidentale, Matthias Grünewald (1480-1528) trasmette in modo diverso il mistero della Risurrezione, con un’intensità e una profondità teologale mai raggiunte prima di lui.

Sull’altare di Isenheim la sua singolarità artistica si manifesta pienamente nella rappresentazione del Cristo risorto che non vediamo uscire vittorioso dal sepolcro mentre solleva il vessillo crociato come, per esempio, in Piero della Francesca o in tanti altri.

Sebbene la parte inferiore della tavola conservi la scena tradizionale delle guardie del sepolcro, sorprese dal sonno e terrorizzate da ciò che accade, Grünewald dipinge un Cristo trasfigurato che infilza il “velo” della notte cosmica del silenzio e dell’attesa.

Il suo corpo diffonde la luce interiore della natura divina; è, di fatto, una concentrazione di luce, un «riflesso della divinità», come diceva Gregorio Nazianzeno, che si fa visibile attraverso una creatura trasparente, di una mitezza infinita, la cui vittoria ha il volto eterno dell’amore.

Il potere di Cristo risorto è, nella visione di Grünewald, l’espressione del suo amore che si mostra ai nostri occhi attraverso la manifestazione riconciliata — sotto la forma di una croce che comprende tutto l’universo — dei segni della sofferenza divenuti sorgente di luce.

fonte Osservatore Romano, 4 aprile 2015.

La Resurrezione di Matthias Grünewald (1480-1528) - Trittico dell'altare di Issenheim, particolare

10/11/15

La "Resurrezione" di Piero della Francesca al Restauro: emergono grandi sorprese.





A pochi mesi dall’avvio del restauro della Resurrezione di Piero della Francesca per mano dei restauratori Paola Ilaria Mariotti e Umberto Senserini, il Comune di Sansepolcro, il Museo Civico, l’Opificio delle Pietre Dure e Soprintendenza di Arezzo (costituenti la direzione dei lavori) comunicano i primi, importanti, risultati delle indagini e delle operazioni effettuate in questo primo periodo

L’intervento conservativo e di restauro sull’opera, che era già stata oggetto di una ampia campagna di indagini preliminari, è iniziato con test mirati ad effettuare le operazioni di prima pulitura. 

Dopo aver approfondito lo studio delle sostanze estranee soprammesse all’originale, è stato deciso di procedere nella pulitura asportando selettivamente gli strati di accumulo superficiali, utilizzando solventi ad azione contenuta che operassero limitatamente alle sostanze da asportare. 

I metodi di pulitura saranno diversi in base alle campiture cromatiche diverse, questo per adeguarsi alla tecnica di esecuzione e ai pigmenti impiegati.

I metodi di pulitura sono stati prima testati in base alla loro specifica idoneità chimico-fisica su micro-aree di prova, poi estesi alla intera campitura cromatica; l’operazione, si ribadisce, è finalizzata, al momento, solo alla asportazione delle sostanze estranee di deposito e di accumulo e dei fissativi applicati sulla superficie pittorica in passato, che hanno subito trasformazioni chimiche che li rendono dannosi

In tal modo si è recuperata la visibilità di alcuni particolari, prima osservabili solo in fotografia all’infrarosso, come piccoli borghi, torri e castelli che popolano le colline dello sfondo. 

La Resurrezione di Piero della Francesca, collocata sulla parete di fondo della sala Piero della Francesca del Museo Civico di Sansepolcro, anche se in restauro, è attualmente visibile grazie ad un ponteggio progettato ed realizzato ad hoc

Il restauro è stato voluto dall’amministrazione comunale in seguito ad una campagna diagnostica, condotta dall’Opificio delle Pietre Dure nel 2008-2010, che aveva constatato la presenza di fenomeni di degrado in atto in corrispondenza della pellicola pittorica e degli intonaci dipinti. 

Tali fenomeni di degrado sono principalmente identificabili in solfatazioni, decoesione della superficie pittorica e degli intonaci, sollevamento e distacco dello strato pittorico in alcune parti. 

Anche i materiali superficiali derivati da interventi pregressi hanno un’incidenza negativa non solo sulla lettura dell’opera in quanto offuscano il colore originale, ma anche sulla sua conservazione in quanto l’invecchiamento dei secoli li ha trasformati in ossalati. 

Fra i più preoccupanti fenomeni di degrado vi sono quelli relativi al distacco dell’intonaco pittorico in numerose zone della superficie dipinta

Numerosi ritocchi antichi sono presenti in corrispondenza delle cadute di colore: nel tempo tali ritocchi si sono alterati cromaticamente rispetto all’originale, come ad esempio sul manto rosa del Cristo dove adesso risultano di colore arancio; o sull’elmo verde del soldato dove si sono alterati in azzurro.

Più goffi nel loro intento erano alcuni ritocchi a pastello giallo che erano stati apposti sul colmo delle colline per attenuare la tonalità bruna che le velature di verde rame trasparente hanno assunto a causa dell’invecchiamento naturale del materiale. 

Nonostante non siano ancora completamente note le vicende conservative della pittura, un antico intervento di pulitura che usò sostanze aggressive risulta evidente da questi fenomeni di degrado e anche dalle scolature visibili sotto i cespugli bruni, conseguenza di un parziale scioglimento del verderame dovuto ad una reazione con una sostanza basica.

 Proprio per chiarire queste vicende accanto al restauro procedono le ricerche di archivio che si spera possano dare risposta ai tanti interrogativi che segnano la vita di questo capolavoro. 

Sul fronte dello studio della tecnica esecutiva sono emersi nuovi particolari.

Possiamo dire che la Resurrezione è stata realizzata tramite 18 giornate, cioè 18 stesure intonaco: questo non significa che Piero abbia impiegato 18 giorni per dipingere l’opera. 

Una giornata poteva infatti corrispondere ad un periodo di tempo superiore al giorno solare o, in caso di scelta di non usare una tecnica ad affresco puro, poteva essere dipinta anche in vari giorni e ripresa anche successivamente per apportare finiture

E’ risultato, inoltre, evidente che tutta la cornice perimetrale dell’opera, integrata perché fortemente lacunosa, è stata completata in varie riprese (almeno 4)

Piuttosto interessante è stato poter appurare come fosse rimasto incompleto fino a tempi relativamente recenti come dimostra una documentazione fotografica del 1961 grazie alla quale si possono vedere alcune le zone perimetrali di colore bianco o stuccature angolari di colore neutro.

 Il rifacimento perimetrale è documentato con esattezza attraverso un rilievo grafico. Come tecnica di trasporto del disegno, Piero ha impiegato il metodo dello spolvero che ha lasciato sul muro la memoria di un esattissimo e ammirevole disegno. La tecnica pittorica è attualmente oggetto di indagini scientifiche (a cura del Laboratorio Scientifico dell’OPD, da parte dei chimici Giancarlo Lanterna e Carlo Galliano Lalli) ma possiamo già affermare che Piero ha qui impiegato una tecnica mista, di cui la maggior parte della campiture cromatiche, fu realizzata a secco. 

Le indagini termografiche (a cura di Facoltà di Ingegneria dell’Aquila), ripetute in quattro diverse campagne, a seconda della stagione e su varie porzioni architettoniche della sala, hanno consentito di ubicare esattamente la canna fumaria presente dietro la parete della Resurrezione in tutta la sua estensione, nonché di comprendere la tessitura muraria della pittura e della intera parete. 

Il Restauro della Resurrezione di Piero della Francesca conservata nel Museo Civico di Sansepolcro è realizzato da: Opificio delle Pietre Dure di Firenze: Marco Ciatti, Soprintendente; Cecilia Frosinini, Direttrice del Settore Restauro Dipinti Murali e Stucchi Paola Ilaria Mariotti, Restauratore e Conservatore Soprintendenza BAP SAE di Siena, Grosseto e Arezzo: Anna Di Bene, Soprintendente Paola Refice, Funzionario di zona Umberto Senserini, Funzionario Diagnosta Restauratore Ente proprietario: Comune di Sansepolcro Daniela Frullani, Sindaco di Sansepolcro Chiara Andreini, Assessore alla Cultura del Comune di Sansepolcro Museo Civico di Sansepolcro: Mariangela Betti, Direttrice Enti coinvolti: Istituzione culturale Biblioteca Museo Archivi storici - Città di Sansepolcro Daniele Piccini, Presidente Il Restauro è realizzato grazie ai contributi di: Comune di Sansepolcro, Ente proprietario Dr. Aldo Osti, Mecenate e finanziatore Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo MUSEO CIVICO DI SANSEPOLCRO Via Niccolò Aggiunti, 65 – 52037 Sansepolcro, Arezzo, Italy Telefono e fax: +39 0575 732218 e-mail: museocivico@comune.sansepolcro.ar.it Prenotazioni visite: tel. +39 0575 732218 Orari di visita: tutti i giorni (mai chiuso), dalle ore 10.00 alle ore 13,00 e dalle 14,30 alle ore 18 Ingresso: intero € 8, ridotto e gruppi € 5 Sito web: www.museocivicosansepolcro.it 

22/04/15

"La morte? Risorgeremo tutti !" - intervista di Piergiorgio Odifreddi a Frank J. Tipler, uno dei più grandi fisici moderni.

La Galassia denominata "Eye of God", o Nebulosa Helix (Elica) si trova a 650 milioni di anni luce dalla Terra.

"La morte ? Risorgeremo tutti. " Intervista di Piergiorgio Odifreddi a Frank Tipler, uno dei più grandi fisici moderni. 

Arrivederci in Paradiso 

Nel 1961 il premio Nobel per la fisica Paul Dirac formalizzò nel postulato della vita eterna un suo desiderio: che la vita continui nell'Universo fino allo scadere del tempo. Visto però che il nostro pianeta è destinato a scomparire piuttosto presto, in senso cosmico, per essere seguito alla breve dall'intero sistema solare, il postulato richiede che la vita continui in altri modi e luoghi: il problema è sapere come e dove. La fantascienza si era sbizzarrita a dare risposte preventive a queste domande, ma la novità è che ora sono gli scienziati a farlo. Il primo ad affrontarle seriamente è stato il noto fisico Freeman Dyson, che in Infinito in ogni direzione' (Rizzoli, 1989) ha divulgato una serie di speculazioni sostenute da effettivi calcoli, basate sulle ipotesi che la vita sia un fenomeno essenzialmente organizzativo, indipendente dal substrato fisico-chimico, e che essa si possa adattare nel tempo a qualsiasi condizione ambientale. Le conclusioni di Dyson sono che la vita non può sopportare un Big Crunch, cioè un'implosione finale simmetrica all'esplosione iniziale del Big Bang. Quindi la sua durata indefinita richiede un universo aperto, infinito nello spazio e nel tempo, e in eterna espansione. In tali condizioni la vita potrà pulsare sempre più lentamente, senza però mai fermarsi, anche se essa sarà costretta a smaterializzarsi progressivamente: trasferendosi, ad esempio, in nuvole di polvere interstellare.

Più recentemente, Frank Tipler ha proposto ne La fisica dell'immortalità (Mondadori,1995) una teoria alternativa: che la vita sia invece incompatibile con un universo aperto, e che la sua sopravvivenza richieda dunque un Big Crunch. L'abbiamo intervistato per sentire direttamente da lui lo sviluppo di questa storia.

D.Che cosa critica, lei, nel modello di Dyson della vita nel futuro remoto?
R. Nel suo modello, che tiene conto della relatività ma non della meccanica quantistica, la vita continua in eterno. Ma solo in una piccola parte dell'universo, che nel frattempo si espande e si raffredda indefinitamente. C'è una contrazione energetica, a fronte di un'espansione spaziale, che rende la vita futura sempre più lenta e noiosa.

D.Che succede, invece, nel suo modello?
R. L'esatto contrario. Una contrazione spaziale, ma un'espansione energetica. Il che significa che tutto sarà più eccitante. Io prevedo che la vita riempirà l'intero universo e ne assumerà il controllo, diventando onnipotente. E che acquisterà sempre maggiori conoscenze, per poter sopravvivere, diventando onnisciente.

D. Suona un po' come fantascienza, e un po' come religione. Che, d'altronde, sono due facce di una stessa medaglia.
R. La vita onnipotente e onnisciente dell'estremo futuro si può effettivamente identificare con Dio. Io ci arrivo in maniera scientifica, ma si può arrivarci anche attraverso la Bibbia. Quando Mosè chiede a Dio quale sia il suo nome, la risposta nell'originale ebraico è: “Io sono colui che sarà''. Dio stesso si definiva come l'estremo futuro.

D. : Io trovo molto sospetto che lei pretenda di procedere scientificamente, e poi trovi concordanze non in una religione generica, ma nella specifica tradizione monoteistica occidentale.
R.: Io invece lo trovo irrilevante. Sono concordanze a posteriori. Se non ci fossero, direi: “tanto peggio per la Bibbia”. L'importante è mettere la fisica al centro, non la religione. Ad esempio, quand'ero studente alla fine degli anni sessanta, il mio professore Steven Weinberg mi diceva che la teoria del Big Bang era sbagliata perché somigliava troppo alla Genesi. Questo era un modo di dare priorità alla religione, invece che alla fisica.

D.: Che ne pensano i teologi delle sue teorie? Per esempio, è stato invitato al Giubileo degli Scienziati?
R.: Certo che no! Io dico cose certe e precise su Dio. Non sono come gli scienziati che vincono il Premio Templeton. Dyson, per esempio, che è agnostico e di Dio non vuole parlare. O Paul Davies, che lo mette nei titoli dei suoi libri ma non all'interno. Io dico chiaramente che Dio è ciò in cui l'universo si evolve, secondo le leggi della fisica.

D. : Dunque Dio non sarebbe l'Alpha, ma l'Omega. Non il Creatore, ma il Terminator. Non dovrebbero però essere la stessa cosa, se leggi della fisica sono invarianti rispetto alla direzione temporale?
R.: Si può pensare che il tempo vada avanti o indietro. È come pensare alla Terra al centro del Sistema solare, oppure come un pianeta attorno al Sole. Dal punto di vista matematico, si tratta solo di un cambiamento del sistema di coordinate. Ma il sistema copernicano è molto più semplice di quello tolemaico, e si capisce molto meglio. La stessa cosa avviene con Dio.

D.: Prima lei ha detto che la vita invaderà l'intero universo. Come potrà farlo? Certo non con organismi come i nostri.
R.: La vita è iniziata da microrganismi, tre miliardi di anni fa, e si è espansa e diversificata. Nessuna specie sopravvive indefinitamente: lo sapeva già Darwin. I nostri discendenti saranno molto diversi da noi. Io li immagino come supercomputer, piuttosto che come organismi. Il DNA non sopravvive alle alte temperature che ci saranno con la contrazione dell'universo, mentre l'informazione può essere codificata in mille modi.

D. : Se la vita del futuro sarà così diversa dalla nostra, perché la cosa dovrebbe interessarci?
R. :Con computer sufficientemente potenti, si potrebbe emulare la vita umana. Nel senso di riprodurla esattamente, in maniera perfetta. I nostri discendenti ci riporteranno in vita con l'emulazione, e non moriremo più. Ecco perché la cosa dovrebbe interessarci.

D.: Questa sarebbe la resurrezione dei morti?
R. : Certo. E possiamo dedurla dalla fisica. Non c'è bisogno della fede.

D. : A me sembra, più che altro, una versione della Realtà Virtuale.
R. : Sarebbe una Realtà Virtuale perfetta, non come quella che abbiamo oggi e che non inganna nessuno.

D. : E se fossimo già ora parte di una Realtà Virtuale? Se quello che lei dice fosse già avvenuto?
R. : Sarebbe un imperativo morale di coloro che ci emulano farcelo sapere, oltre che trattarci bene. E io credo che lo faranno, perché la moralità va di pari passo con la conoscenza. Più gli esseri sono intelligenti e colti, e più sono morali.

17/02/14

Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (1./)



  Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (1./)



Quando Pavel Florenskij scriveva, nel 1914: Tutto scivola dalla memoria, passa attraverso la memoria, si dimentica. Il tempo …  divora i propri figli. L'essenza stessa della coscienza, della vita, di ogni realtà, sta nella transitorietà, cioè in una specie di dimenticanza metafisica (1) probabilmente non poteva certo immaginare che proprio la sua opera – unitamente alla parabola della sua vita – avrebbe così evidentemente contraddetto questa legge.   La nascita e la morte, aggiungeva,  sono i poli di un'unica realtà: chiamala vivere, chiamala morire, ma il nome più esatto è destino o tempo. Questo tempo uno, questo destino, consta a sua volta di nascita-morte unite polarmente, e così via fino agli ultimi elementi della vita, cioè ai minimi fenomeni di attività vitale. (2)

Il destino di Pavel Florenskij era stato quello di morire fucilato vicino Leningrado -  insieme ad altri 500 deportati dal Gulag delle isole Solovki, brandelli di terra nel nulla del Mar Bianco, dove Florenskij era stato internato dopo essere stato arrestato  il 26 febbraio del 1933 -  con questa accusa: “svolge attività controrivoluzionaria, inneggiando al nemico del popolo Trockij”.

Davvero uno strano destino, per lui, ordinato sacerdote della Chiesa Ortodossa nel 1911 finire i suoi giorni in un campo di prigionia - nell’estremo nord della Russia, esattamente sulla linea del Circolo Polare Artico -  che era in origine un antico complesso monastico, uno dei maggiori centri di spiritualità dell’ortodossia russa, trasformato dal regime bolscevico nel 1923 in SLON, ovvero Lager a destinazione speciale delle Solovki.        

Pavel ci era finito proprio perché ad ingrossare le fila dei detenuti di questo gulag erano soprattutto credenti, in particolare vescovi, preti, monaci e religiosi. 

Eppure, Florenskij non si era mai sognato di essere un controrivoluzionario militante, e pagava l’unica colpa di testimoniare la libertà di pensiero e di aver scelto l’esperienza ecclesiale al termine di un lungo percorso di consapevolezza, in un tempo in cui tutta l’intelligencija russa virava verso un forte sentimento anticlericale e antireligioso.   

Non v’è dubbio alcuno che quella che fu spenta in quel giorno d’ottobre, nel massacro di Sandormoch, fu una delle menti più brillanti dell’intero Novecento.  E la personalità, il pensiero scientifico, la filosofia di Florenskij sono sfuggite all’oblio. Non solo: oggi fioriscono ovunque saggi e studi a lui dedicati, e il suo lascito spirituale  - specialmente dopo l’apertura degli archivi del KGB -  oltre che puramente letterario continua ad apparire un luminoso esempio per le generazioni future.

Nato il 9 gennaio del 1882 nella città di Evlach, nell’Azerbaigian, Florenskij era il primogenito di sette figli nato dall’unione tra un ingegnere e la colta erede di una famiglia armena.   Su di lui, studente precoce e portato per la scienza, ebbero  una grande influenza le  opere dell’ultimo  Tolstoj:  il grande romanzo di Resurrezione,   e soprattutto La confessione. 

All’inizio del 1900, dopo molti anni passati in Georgia con la famiglia, intraprese gli studi all’Università di Mosca, dove si laureò in Matematica e Fisica quattro anni più tardi, discutendo una tesi di laurea sul principio di discontinuità che suscitò immediato interesse nel mondo accademico.   Ma lo studio della fisica e della matematica non bastavano ad una sete di conoscenza famelica: Florenskij negli stessi anni, cominciò a nutrire interesse per la filosofia antica, per la storia, per la poesia.   Infine nel 1904 la decisione di iscriversi alla Facoltà teologica di Mosca, dove come se non bastasse, cominciò ad approfondire le materie bibliche, liturgiche, insieme allo studio delle lingue antiche.  Forse più e meglio di altri Florenskij finì per incarnare un modello di aspirazione per un nuovo sapere multidisciplinare, sintesi di un modo di ri-pensare il mondo che – a cavallo del Novecento – si andava disfacendo, disgregando in una nuova (per molti aspetti spaventosa) complessità.

Nella religione Florenskij cercava il necessario complemento a quella metafisica completa capace di affrontare la lettura del mondo come un insieme.  Il cammino verso l’unità e quindi verso la verità era, per lui, fatto di passaggi attraverso i contrari, fino a congiungerli insieme, ma senza mai  fare confusione  e mantenendo le distinzioni; nella sintesi del Simbolo perfetto (Uno e Trino),  separato e inseparabile - era il pensiero di Florenskij -  c’è la formula che si può estendere a qualsiasi simbolo relativo, e a qualsiasi opera d’arte.


Cari figli miei, scriveva nel Testamento – iniziato l’11 aprile del 1917 , pochi giorni dopo lo smantellamento dell’Accademia Teologica moscovita nella quale Florenskij insegnava, e la cui redazione si protrasse per diversi anni fino al 1922 nel presagio dei drammi futuri che lo aspettavano - non permettete a voi stessi di pensare in maniera grossolana. Il pensiero è un dono di Dio ed esige che si abbia cura di sé. Essere precisi e chiari nei propri pensieri è il pegno della libertà spirituale e della gioia del pensiero. (3)

(1./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

1.      Pavel A. Florenskij, La colonna e il fondamento della Verità, tr. it. di P. Modesto, Rusconi, Milano 1974, p. 54.   Questa è la prima traduzione mondiale di un’opera di Florenskij, e certamente contribuì in modo rilevante alla sua riscoperta in tutto l’occidente.
2.     Pavel A. Florenskij , Lo spazio e il tempo nell'arte, a cura di N. Misler, Adelphi, Milano 1995, p. 261
3.     Il Testamento di Pavel Florenskij è contenuto nella edizione italiana di Non dimenticatemi, a cura di Natalino Valentini e Lubomir Zak,  edizioni Mondadori, Milano, 2000.  Cit. pag. 418. 

07/04/12

Pasqua: l'evento della resurrezione.



Su cosa è basata la fede di coloro che si dicono cristiani ?

Viviamo in tempi non semplici per le religioni in generale e per il cristianesimo e il cattolicesimo in particolare che al di là delle interpretazioni dei numeri e delle nuove conversioni  nei paesi dell'Asia o dell'Africa - sono costrette dalla rapida evoluzione dei tempi e dei costumi, a ri-pensare seriamente le proprie origini: su cosa è realmente radicata la propria fede. Su quale principio si appoggia, su 'cosa' si crede esattamente, come mette in luce anche la pregevole inchiesta sull'ultimo numero di Sette, il supplemento del Corriere della Sera.  

Il fondamento del Cristianesimo - che è una religione personificata, cioè una religione che crede sostanzialmente in una persona e cioè Gesù Cristo, che è figlio di Dio- e non solo e semplicemente in un insieme di precetti morali -  è la resurrezione dell'uomo Gesù.

Resurrezione che per i credenti cristiani non è affatto un evento simbolico o astratto, ma del tutto concreto, cioè storicamente avvenuto.  Questo fondamento paradossale è però il cardine sul quale si edifica l'intera costruzione della fede cristiana e senza del quale la fede cristiana non ha senso alcuno. 

Su questo insisteva, fino a rischiare di essere noioso, Paolo di Tarso.

Il quale nella Prima lettera ai Corinzi, fornisce un dettaglio di cronaca, sul quale spesso anche i cristiani tendono a sorvolare. 

Ma che invece è bene non dimenticare, anche perchè la Prima Lettera ai Corinzi è stata scritta intorno al periodo di Pasqua del 57 d.C. 

Si tratta quindi di uno dei più antichi (o del più antico in assoluto )scritti neo-testamentari - precedente alla stessa redazione dei Vangeli - e redatto a breve distanza dai fatti raccontati, cioè ad appena venticinque anni dalla morte di Gesù Cristo.  

Quando dunque molte delle persone che 'avevano visto' , dovevano essere ancora in vita. 

Ecco infatti quel che scrive Paolo:

Vi ho trasmesso dunque, anzitutto. quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto (1Cor 15,3-8). 

 Molto si è discusso e si continuerà a discutere sul senso di queste misteriosissime parole (specie le ultime). Ma su di esse, non bisognerebbe smettere di ragionare, quando si parla di Cristianesimo.

27/04/11

La Resurrezione ha per teatro dei dormienti ?


Esiste la teologia (indagine di Dio) delle immagini. Sicuramente uno dei casi più limpidi è quello del celebre affresco dipinto da Piero della Francesca tra il 1450 e il 1463 e conservato nel Museo Civico di San Sepolcro (per celebrare il nome stesso di quel Borgo). Una immagine nota nel mondo – secondo Aldous Huxley “il più bel dipinto del mondo” - enigmatica e complessa seppure apparentemente elementare nella sua raffigurazione. La Resurrezione di Piero offre anche a noi – specie in questo tempo Pasquale – molti motivi di riflessione e meditazione.

Innanzitutto in questa che è a tutti gli effetti una icona – cioè espressione grafica del messaggio cristiano affermato nel Vangelo – viene celebrata la Resurrezione di Gesù. Ma come noi sappiamo bene,questa scena, la scena cioè in cui Gesù si solleva dal sepolcro mortale e lo lascia, è assente nei Vangeli.

In nessuno dei quattro racconti dei Vangeli c’è descritta la scena della Resurrezione, per il semplice fatto che la scena avviene, come si direbbe oggi, senza testimoni.

Il racconto che viene fatto della Resurrezione è ‘a posteriori’: noi conosciamo la storia dal dopo, da quando cioè la Maddalena prima e i discepoli poi, recatisi al sepolcro per omaggiare il Cristo sepolto, si trovano di fronte una verità inaudita e razionalmente inaccettabile. Al punto tale che la Resurrezione del Maestro porterà, nei loro cuori oltre allo stupore, anche confusione e sconcerto.

Piero dunque immagina e descrive una scena che ‘nessuno ha mai visto’. E ciò è particolarmente simbolico anche per noi. Il Gesù che per certi versi appare trionfante, uscire dal sarcofago – il gesto del braccio sul ginocchio, il vessillo impugnato nell’altra mano, lo sguardo fisso sull’osservatore – riemerge dalla morte nel silenzio e, sembrerebbe di poter dire, nella desolazione (il panorama circostante) e nella indifferenza: i quattro soldati di guardia al sepolcro dormono infatti pesantemente. Uno, addirittura usa il marmo del sepolcro come poggiatesta (e diversi critici sostengono si tratti dell’autoritratto di Piero). Non vedono e non odono. Gli uomini sono addormentati. La terra è addormentata e oscura.

In questa ‘Terra desolata’ (Eliot), umanamente e naturalmente, prorompe l’evento misterioso e stupefacente della Resurrezione: il Cristo – vivo più che mai, il sangue ancora fuoriesce dalla ferita al costato, le guance sono di porpora – torna ad affermarsi presente nel mondo, torna come prima e diverso da prima.

Torna potremmo dire come torna ogni ricorrenza pasquale, eppure torna senza che gli uomini avvertano la sua presenza. In fondo sembra realizzarsi la profetica domanda – retorica – che il Maestro stesso aveva fatto ai discepoli poco prima di morire: “Ma quando il Figlio dell’uomo tornerà troverà ancora fede sulla terra?” (Lc. 18,8).

Ed è piuttosto simbolico che i discepoli dormano profondamente sia nell’ultimo atto della vita terrestre di Gesù in mezzo al loro - nell’Orto di Getsemani quando Egli chiede di vegliare e loro non riescono a farlo nemmeno per un ora – sia nel primo atto della nuova vita di Gesù.

La sorte di Gesù, così come la sua venuta rivoluzionaria nella nuova veste nella quale dovrà venire per quel tempo in cui “saranno giudicati i vivi e i morti (e dunque ogni ingiustizia sarà appianata) e il suo Regno non avrà fine” ha come testimoni uomini che non hanno saputo fare di meglio che addormentarsi.

Verrà probabilmente un tempo nuovo anche per loro. E forse, quella chiamata nuova che comincia dal prodigio della Resurrezione e che scuote i discepoli a “darsi finalmente da fare” si trasmetterà ad ogni uomo. E’ il nostro compito anche oggi, sembrerebbe di poterlo dire: svegliarci da questo sonno profondo, prendere finalmente coscienza di una presenza viva, chiederci cosa vuole realmente da noi, cosa ci chiama a fare, non a sognare. Il tempo del sonno non è quello della nuova vita.

Fabrizio Falconi

30/01/11

Sperare contro ogni speranza.


“La resurrezione dei morti per la vita del mondo che verrà” è il fondamento dell’essere cristiani. Eppure ognuno, nella vita, sperimenta come questa semplice affermazione – espressa nel Credo dei cristiani e nel Symbolum Apostolorum - carnis resurrectionem et vitam aeternam – sia quanto di più lontano dall’esperienza comune, quanto di più distante dalle ragionevoli aspettative umane, da apparire, probabilmente oggi ancor più che nel passato, bizzarria o superstizione.

Eppure i racconti evangelici parlano chiaro. E anche se non siamo obbligati a pensare alla Resurrezione nei termini in cui la descrive il Nuovo Testamento – Gesù mangia, parla, cammina insieme ai suoi discepoli, dopo essere morto – è perfino ovvio che quel che si chiede a un cristiano è di “avere fede sperando contro ogni speranza” (Rm, 4,18).

Come scrive Sergio Quinzio, “il cristiano è tale perché fa della propria fede il criterio per giudicare il mondo, mentre non v’è dubbio che se volesse giudicare la fede secondo i criteri del mondo, non potrebbe far altro che respingerla.”

Ma per l’appunto: cosa è il mondo ? Cosa è quello che chiamiamo mondo ? Potremmo davvero dire che la nostra concezione di mondo è assai limitata. E’ celebre e folgorante l’aforisma di Lao-tse: Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla.

E’ un modo illuminante per comprendere come quello che noi chiamiamo ‘mondo’ dipende soltanto ed esclusivamente da quello che siamo noi. E la domanda allora si sposta: chi siamo noi ?

Noi, potremmo rispondere, siamo nella posizione più scomoda: come ha detto un celebre astrofisico recentemente, noi siamo esseri sospesi esattamente a metà strada tra il nulla e il mondo.

I cristiani, però, credono – perché lo hanno ascoltato – che proprio in questa sospensione esista un Senso, che è precisamente il Senso divino: siamo sospesi, e cioè a metà strada tra il nulla (la possibilità di essere nulla) e il mondo, cioè il tutto. Siamo creati, e quindi esistenti e siamo in un mondo creato ed esistente. Ma la nostra vera Vita – è quello che ci è stato detto – NON è di questo mondo.

Non si tratta qui, di rifiutare il mondo. Ma di ribaltarlo sulla base di quell’unica asse in sospeso che è Cristo, uomo – e quindi anche lui ‘a metà tra nulla e mondo, tra nulla e tutto’ – e Dio. La differenza tra Lui e noi, è che, come scrive Giovanni, Gesù Cristo “ha detto di essere la verità” (e lo ha manifestato con la sua resurrezione) - "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv.14,6) - mentre ai credenti è richiesto di “fare la verità” - Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv.3,21) - esercitare cioè la conformità a Cristo e alla sua promessa, vissuta nella manifestazione della sua giustizia. Qui sta l’evangelica contrapposizione tra Dio e il mondo. Che forse, mai come in questi tempi dissolutivi, è così evidente.

Fabrizio Falconi

08/11/10

Non sarà così lasciare questa vita ?



Proprio ieri riecheggiavano in me quelle parole: "Dio non è dei morti, ma dei viventi." Una delle pagine più oscure del Vangelo, tra le parole più oscure che Cristo pronuncia di fronte ai sadducèi i quali, come molti oggi, sono increduli sul contenuto stesso della resurrezione. Che significa risorgere?

Gesù non offre una risposta chiara. Sembra anzi, voler restare nell'ambiguo. Dio non è dei morti, ma dei viventi. Sembra dunque che quel qualcosa che ci attende - per chi crede - è qualcosa che non è 'dominio della morte', come scriveva Dylan Thomas.

Nell'aldilà, nell'oltremorte, non sarà la morte a dettare il suo dominio. I viventi non sono i viventi di questa terra. Sono i nuovi viventi, quelli che attraverseranno la morte, e saranno perdonati dal Padre, o accolti direttamente nel suo Regno.

L'incomprensibilità di cosa sia la resurrezione - di come essa si manifesti - è stato sempre un problema per chi crede. E ancora oggi sono pochissimi i cristiani (specie i cattolici) che credono effettivamente alla resurrezione dei corpi.

Eppure, costoro dovrebbero ricordare che dichiarano di credere proprio ad una religione che si basa, che è edificata sulla resurrezione del suo fondatore, resurrezione avvenuta e raccontata dai Vangeli, con il suo vero corpo reale, con le sembianze conosciute e addirittura con le ferite della morte ancora visibili e fresche.

Come sarà dunque risorgere ? Qualcosa di suggestivo per noi, è immaginare un seme. Un piccolo seme di sicomoro. Cosa ha a che vedere l'albero gigantesco di sicomoro con il seme da cui è generato ?? E' la stessa cosa ? Non è vero che il seme deve morire per far nascere il germoglio, che è cosa diversissima (apparentemente) dal seme ?

Oppure provare ad immaginare il confronto tra vita intrauterina e vita extrauterina. Che rapporto ha il bambino prima della nascita con quello che vivrà dopo ? Sono indubbiamente la stessa cosa, ma non sono anche due cose diversissime ? la vita intrauterina non è completamente DIVERSA ? Non è proprio un'altra dimensione ? Che ne sa il bambino nell'utero di cosa esiste dopo ?? Non è per quel bambino nell'utero, il parto una specie di MORTE a tutti gli effetti ? E la nascita al mondo una SECONDA nascita ?

Non sarà così lasciare questa vita ?


11/04/10

Il perdono, l'auto-assoluzione, le parole di Cristo.


Le parole di Gesù Cristo sono sempre di fuoco, sono sempre nette, e sempre precise, e sempre chiare e vanno dritte ai cuori, e a quelle bisogna ritornare, sempre.

Ed è così che mi hanno fatto molto riflettere quelle parole che Gesù appena risorto indirizza ai suoi apostoli che sono sconcertati dalla sua presenza viva. Gesù, dopo aver detto 'Pace a voi' e dopo aver mostrato le mani e il fianco con le piaghe ancora fresche, impone quel famoso e tremendo mandato (in base al quale molti di loro andranno dritti incontro al martirio): "come il Padre ha mandato me, io ho mando voi."

Ma subito dopo aggiunge: " Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati." (Giovanni 20,19-31).

Sono parole che fanno molto riflettere, e che non ammettono equivoci. Ci dicono che il perdono - il vero perdono - non è mai scontato, non è mai gratuito, non è mai incondizionato, non è mai per tutti, sempre.

E' una cosa che nella mentalità del cattolicesimo moderno sembra del tutto dimenticata. L'introduzione del sacramento della confessione ha fatto ritenere, fa ritenere, che TUTTO possa/debba essere perdonato.

Non è così. Il facile perdono è più dannoso del male originario, a quanto pare. Perdonare troppo facilmente - senza che vi sia un vero, autentico pentimento - o peggio ancora auto-perdonarsi, auto-assolversi è qualcosa che è molto difficile giustificare nell'ottica del Cristo.

Bisognerebbe ricordarlo, ricordarselo sempre, quando - in presenza di omissioni e peccati, anche molto gravi - la prima cosa che si fa è scaricare la colpa sugli altri, su presunti o veri nemici, e pretendere o, peggio ancora, concedersi un facile e immediato perdono auto-assolutorio.


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04/04/10

Domenica di Pasqua - Notturno di Margherita Guidacci




Col viso vòlto ad Oriente
per aspettare l'alba
e il cuore vòlto ad un più chiaro Oriente
da cui verrà la risurrezione,

io mi sono coricata. Che importa
se per una sola notte o per tutte ?
Uno stesso Signore mi è guida
verso l'alba e la risurrezione !



Margherita Guidacci (1921-1992)
La preghiera nella poesia italiana, Caltanissetta-Roma 1969, p.515



E Buona Santa Pasqua di Resurrezione a tutti da Il Mantello di Bartimeo !

12/04/09

E' risorto !


Anche oggi risorge nel cuore degli uomini. Anche oggi, e sono passati duemila anni. Intere generazioni hanno portato consapevolmente o inconsapevolmente dentro le loro storie, la fatica di tutti i giorni, le vite di anni e anni, le Sue parole, l'esperienza della Sua presenza viva, e l'hanno trasmessa alle generazioni future, fino a noi, uomini del ventunesimo secolo.

Anche oggi lo scandalo della pietra rotolata è inaccettabile per molti, ma come ha detto il Papa pochi minuti fa, nel messaggio Urbi et Orbi, i cristiani sono 'follemente' convinti che questa non sia un mito ne' un sogno, non una visione ne' un'utopia, e nemmeno una favola, ma un evento unico ed irripetibile.

E sanno che senza questa 'follia' lo stesso Cristianesimo - e tutta la loro fede con esso - non avrebbe alcun senso.

Sì, Cristo è risorto. Apparve alla Maddalena, apparve ai discepoli: essi lo hanno testimoniato. E molti di loro, dopo sono morti per testimoniarlo. A questo crediamo. Questa è la nostra speranza in vita, e in morte e dopo la morte.

Buona Pasqua a tutti !
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04/08/08

Perchè Maria Maddalena resta davanti al Sepolcro Vuoto ?




Come è noto, Maria di Magdala, è secondo il racconto di Giovanni (20,1-18) la prima persona alla quale Gesù Cristo risorto appare, e anche la prima a ricevere da Lui la missione formale di annunciarne la Resurrezione, l'ascesa al Padre, il termine del suo cammino, del suo esodo nel Regno dei Cieli.

Maria, come sappiamo, si reca al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio fuori. Arriva al Sepolcro, si accorge che la pietra è stata ribaltata, poi corre da Simon Pietro e dall'altro discepolo (Giovanni ?) per riferire che "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'abbiano posto ! "

L'evangelo racconta poi della corsa di Pietro e di Giovanni al Sepolcro. Il racconto su Maria riprende al v.11.

"Maria invece stava all'esterno vicino al Sepolcro e piangeva".

Maria, dunque, è l'unica che nell'ora della dis-illusione (il Corpo non c'è più, e ancora nessuno crede che sia Risorto, ma solo che sia stato 'rubato') resta lì, non si muove, come paralizzata.

Ed è qui che si presentano i due angeli in bianche vesti. E poi, dopo essersi 'voltata', Gesù, che sta lì in piedi, e lei "non lo riconosce".

E avviene quel meraviglioso dialogo che sappiamo ("Donna, perchè piangi, chi cerchi?") al termine del quale Maria riceve quell'incarico importantissimo e gravoso ( "Non mi trattenere, perchè non sono ancora di salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e dì loro: "Io salgo al Padre mio e Padre Vostro, Dio mio e Dio vostro").

Ed è una missione che Maria adempie, come descritto nel versetto 18: " Andò subito ad annunciare ai discepoli: "Ho visto il Signore" e anche ciò che le aveva detto.

Ora: leggendo questi brani risulta - almeno per me - davvero sconcertante ammettere che per molto tempo in Teologia - soprattutto Sant'Ambrogio - questo atteggiamento di Maria è stato duramente rimproverato !

A Maria, frotte di teologi hanno rimproverato un atteggiamento riduttivo, mondano, quel suo restare vicino al Sepolcro come un 'non credere', come se fosse morto tra i morti, e dunque cercarlo ancora nell'ambito di questo mondo.

Ma cosa avrebbe dovuto fare Maria di Magdala ???

Cosa avremmo fatto noi al suo posto ? Non avremmo fatto esattamente lo stesso ???

Non è invece, quel suo restare accanto al Sepolcro vuoto, disperata e piangente, proprio una dimostrazione di fede vera, totale, di abnegazione quasi, che infatti - non a caso - verrà premiata dal Signore, essendo il primo essere umano a cui appare Egli risorto ???

Mi sembra che a volte la Teologia, nello spaccare il capello in quattro, dimentichi la grandezza dei semplici comportamenti umani - perfino istintivi - che fanno grande l'Uomo (e in esso includo, anzi intendo soprattutto le donne!).

03/05/08

Gialal ad-Din Rumi - Il Giorno della Morte



Quando il giorno della morte, si muoverà la mia bara,
non pensare che il cuore mio sia rimasto nel mondo.

Non piangere per me, non dire "ahimè! Ahimè!"
Cadresti nella rete del diavolo, ahimè, allora !

Quando vedrai il mio feretro non dire: "è partito lontano !"
E' proprio quel giorno, per me, giorno d'unione e d'incontro!

E quando mi deporrai nella tomba non dire: "addio, addio !".
Perchè la tomba è un velo che cela l'eterna comunione col cielo.

Hai visto lo sprofondamento, contempla la resurrezione:
reca forse danno, il tramonto al sole e alla luna ?

A te sembra tramonto, mentre invece è aurora;
la tomba sembra un carcere ma è, all'anima, liberazione.
Qual seme mai sprofondò in seno alla terra che non germinò poi ?
Perchè questo dubbio, allora, per quel seme che è l'uomo ?

Qual secchio scese nel pozzo che non tornò pieno d'acqua freschissima ?
Perchè dunque il Giuseppe dell'anima avrebbe paura del pozzo ?

Chiudi la bocca da questa parte e riaprila dall'altra parte del cosmo,
chè il suo canto trionfale risuoni alto nell'Oltrespazio !

Scritta da Gialal ad Din Rumi intorno all'anno 1250.

Vita di Rumi:
http://it.wikipedia.org/wiki/Gialal_al-Din_Rumi
Movimento Sufi:
http://www.movimentosufi.com
Dervisci Rotanti:
http://www.youtube.com/results?search_query=dervisci+rotanti&search_type=