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15/09/16

"Le nostre vite sdraiate" - una lezione di Remo Bodei, al Festival di Filosofia domani a Modena.



Remo Bodei terrà domani, venerdì 16 alle ore 18 a Modena, in Piazza Grande una lezione nell'ambito del Festival della Filosofia 2016. 
Il Sole 24 ore di domenica scorsa ha anticipato una parte del testo della sua lezione, una interessantissima riflessione sui meccanismi competitivi della società, sui termini e gli scopi dell'educazione, sul duro confronto con se stessi, e sulle vite sdraiate di molti occidentali, oggi


«Il Sole» Domenica 11 settembre 2016
Vite «sdraiate». Antagonisti verso se stessi
di Remo Bodei

Dalla lotta del passato fatta di doveri, codici e imposizioni si è arrivati oggi a un io fragile, indifeso e narcisistico 

La lotta di cui parlerò è quella che ciascuno combatte, fin dall’infanzia, per costruire se stesso confrontandosi con gli altri e con il mondo.

Essa comporta, inevitabilmente, l’obbligo di sottomettersi a una dura disciplina, fatta di doveri, codici di condotta e modi «appropriati» di pensare e sentire, dapprima imposti dall’esterno e poi interiorizzati e rielaborati.

La vittoria su se stessi, ammesso che si consegua, non è mai, tuttavia, completa e definitiva. Implica un aspro conflitto che scinde la volontà, opponendo una parte di noi che cerca di prevalere a un’altra riluttante a piegarsi e sempre pronta a ribellarsi o a negoziare compromessi al ribasso.

Ogni persona porta in sé le ferite e le cicatrici di questa guerra per distaccarsi dalla propria vita meramente biologica. Nello steso tempo, tenta di emendarsi da idee e forme di condotta riprovevoli in modo da conquistare una sempre maggiore autonomia.

In tale confronto l’individuo, rischiando di logorarsi e di perdersi, avverte la tentazione di lasciarsi andare, di abbandonare l’arena del conflitto, di cedere al desiderio di irresponsabilità o di dare retta ai richiami della nostalgia, che lo invita a mettere indietro l’orologio della propria storia e ad abbandonare la battaglia.

Troppe appaiono le «spine» che i comandi e gli obblighi hanno conficcato nella sua carne, troppi gli insuccessi e le inadeguatezze cui è andata incontro.

Nella nostra tradizione la sfida a combattere contro se stessi si è modellata non solo secondo tecniche di autocontrollo, ma anche grazie all’elaborazione di fini in grado di includere e orientare l’intera esistenza, ossia mediante ideali di «vita buona» o di perseguimento del «sommo bene».

Tra gli innumerevoli paradigmi predisposti nel tempo e nello spazio, ho deciso di esaminarne soltanto due, quelli canonici di cui – mediante molteplici filtri e ibridazioni – siamo noi stessi gli eredi. Entrambi si basano sulla metafora sportiva della corsa, declinata, in modi sostanzialmente diversi, da San Paolo e da Thomas Hobbes.

Leggiamo nella prima Lettera ai Corinzi: «Non sapete che nelle corse dello stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però, ogni atleta si sottopone in tutto alla disciplina. Essi lo fanno per poter ottenere una corona corruttibile, noi invece incorruttibile. Anch’io, dunque, corro ma non come chi è senza meta. Faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria. Anzi, colpisco duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo aver predicato agli altri, io stesso venga squalificato».

Il cristiano corre, dunque, per conseguire la vita eterna, il paradiso. Entra in una gara alla quale tutti possono partecipare, ma che ha i suoi campioni: i martiri, gli atleti di Cristo, coloro che, subendo torture e morte, hanno strenuamente lottato per testimoniare la propria fede. Essi sono perciò rappresentati con in mano il ramo di palma dei corridori vittoriosi (la simbologia rinvia anche al fatto che l’albero di palma produce un’inflorescenza quando sembra ormai morto). Una volta cessate le persecuzioni, la lotta dei cristiani si interiorizza: non più la coraggiosa resistenza a sofferenze stoicamente sopportate. Ora gli anacoreti, i monaci, i santi combattono contro se stessi, diventando dei virtuosi nelle battaglie contro le sollecitazioni al peccato, attribuite al Maligno che è in loro.

tratto da  http://www.orientamentoirreer.it/

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Remo Bodei

17/09/14

Perché una tegola è caduta sulla mia testa ? Perché proprio a me ? Remo Bodei.



Il Sole 24 Ore di Domenica scorsa, 14.9.14 ha anticipato Esorcizzando le nostre incertezze, uno stralcio della lectio magistralis che Remo Bodei terrà venerdì 26 settembre alle 19.30 ai «Dialoghi di Trani» dal 23 al 28 settembre nella cittadina pugliese. 


L'emergenza sembra diventata la norma, una situazione quotidiana dovuta alla maggiore incertezza legata al futuro. Si potrebbe dire con una battuta di Kurt Valentin che «il futuro non è più quello di una volta». Diversi fattori contribuiscono oggi ad accrescere la percezione di una crescente incertezza del futuro, che si riverbera direttamente sulle nostre vite. Le ragioni le conosciamo, ma il solo elencarle aiuta a capire la gravità delle implicazioni. Se non bastassero i timori per gli effetti sul pianeta del riscaldamento globale o per la relativa scarsità o il deterioramento delle risorse naturali non rinnovabili (acqua potabile, idrocarburi, metalli, terre rare), altri fattori umani si aggiungono a rendere più enigmatiche le previsioni del nostro avvenire.

Sono: il terrorismo, il coinvolgimento, fin dagli anni Novanta, di molte nazioni occidentali in nuove guerre, lo spostamento di interi blocchi di potere verso Paesi fino a poco tempo fa considerati emergenti e, soprattutto, la recente crisi finanziaria (che si è trasformata in economica e politica e che ha dimostrato come neppure la democrazia riesca a «disinfettare la ricchezza»). Il futuro è per definizione incerto e rischioso, ma oggi la consapevolezza della sua incidenza si è enormemente accresciuta in un mondo globalizzato le cui le parti sono interconnesse, ma in cui la comprensione dei processi è diventata più opaca e i pericoli non sono sufficientemente calcolabili.

Qualcuno, come il filosofo politico francese Jean-Pierre Dupuy, sostiene addirittura che, da quando l'umanità è divenuta capace di auto-sopprimersi o con le armi di distruzione di massa o con l'alterazione delle condizioni necessarie alla sua sopravvivenza (clima, distruzione delle risorse), il peggio è già avvento e bisogna prepararsi lucidamente ad affrontare la catastrofe mediante una teoria che definisce «catastrofismo illuminato». Non potendoci più situare all'interno di un'epoca che si rapporta a un passato di tradizioni relativamente salde e ben individuate o a un futuro remoto di aspettative già stabilite, l'avvenire sembra riacquistare la sua natura di assoluta contingenza o di luogo di esplicazione di forze che sfuggono al controllo degli uomini (si mostra cioè sostanzialmente improgrammabile o, di nuovo, nelle mani di Dio, il che mostra come il processo di secolarizzazione si sia molto rallentato). Le conseguenze delle nostre azioni diventano sempre più imprevedibili, man mano che il loro raggio di influenza si estende.

Come orientarci allora nei confronti di un futuro aleatorio, preparandoci all'imprevisto? Da sempre le più varie strategie sono state elaborate per limitare i rischi e sconfiggere la casualità, l'incertezza e i rischi (da intendersi come messa in scena e anticipazione di una possibile catastrofe).

Da qui, nel campo specifico della teoria, l'urgenza di comprendere meglio i concetti che usiamo (caso, previsione, incertezza, rischio).

E, questo, per inquadrarli e contribuire così a chiarire le eventuali strategie tese ad aumentare le nostre capacità di previsione e di controllo. Si tratta, del resto di categorie che tutti usiamo quotidianamente e che servono per orientare i nostri pensieri, atti e passioni.

Cercherò di mostrarlo con un esempio popolare, che si può tradurre, per scoprirne le implicazioni, in un più preciso linguaggio filosofico. Immaginate che qualcuno, non voi, in una giornata ventosa decida di andare a prendere le sigarette. Nello stesso periodo, il vento ha smosso una tegola su un tetto. Quando questo qualcuno passa per strada, la tegola gli cade in testa. L'intenzione di andare a prendere le sigarette si chiama causa finale (il mio fine è, appunto, quello di comprare le sigarette); il vento che smuove e poi fa cadere la tegola si chiama causa efficiente, perché produce l'effetto della caduta.

Le due cause hanno una spiegazione immediata facilmente accettabile: la prima di tipo psicologico, legata a una decisione che poteva o non poteva essere presa, la seconda di tipo naturale, legata alla forza combinata del vento e della gravità.

Il caso si inserisce nell'intersezione tra le due cause, nel fatto che quella persona passa in quel punto proprio in quel momento. Due catene di eventi, a loro modo necessari, incrociandosi ne producono uno aleatorio. L'incidente era prevedibile? No, a meno che, per pura ipotesi, fossimo stati in possesso di conoscenze circostanziate sullo stato di ciascuna tegola di quel tetto in quel momento, sulla forza del vento o su eventuali ostacoli nella traiettoria. In questo caso avremmo anche potuto calcolare il punto esatto in cui sarebbe comunque caduta la tegola.

Resta però la questione riguardante la scelta di uscire. Essa dipende dalla volontà del soggetto, la quale a sua volta è mossa, poniamo, dall'urgente bisogno di fumare. Ma, sia per trovare le cause a questo atto forse solo apparentemente libero (come, ad esempio: il suo corpo, abituato al consumo di nicotina, avvertendo una piccola crisi di astinenza, ha mandato un messaggio al cervello), sia per risalire all'indietro ai motivi che hanno fatto cadere la tegola (perché il vento soffiava?), si avvierebbe una regressione all'infinito delle due catene causali che terminerebbe o in una confessione di ignoranza o nell'abbandonarsi alla volontà di Dio.

Estraendo una regola generale da questo esempio, si può dire che, da un lato, si ha una scelta di cui si è certo coscienti, ma di cui si ignorano le motivazioni remote, dall'altro, una serie concatenata di eventi necessari i cui anelli ci sfuggono.

Il prevedere è, tuttavia, un'attività che, più o meno consapevolmente, siamo tutti obbligati a esercitare di continuo. Non potremmo vivere senza quelle congetture che solo a posteriori possono trovare conferma o smentita. La nostra vita è inesorabilmente esposta alla fortuna, al presentarsi di eventi lieti o tristi e da millenni gli uomini cercano di esorcizzarli costruendo baluardi psichici e istituzionali.


foto in testa: Tegola angolare di gronda con testa di acheloo, 310-290 ac.