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21/04/12

Il relativismo contemporaneo filosofia inevitabile e virtuosa - Dario Antiseri sul "Corriere della Sera".




Vi riporto questo interessante articolo comparso ieri sul Corriere della Sera a firma Dario Antiseri, nelle pagine della cultura. 


«Non esiste un principio etico razionale che valga più di altri» «Nel campo di coloro che cercano la verità non esiste nessuna autorità umana e chiunque tenti di fare il magistrato viene travolto dalle risate degli dèi». È questo il messaggio epistemologico di Albert Einstein. 

Lo stesso di quello di Karl Popper: «Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congetturale. Il vecchio ideale scientifico dell' episteme - della conoscenza assolutamente certa, dimostrabile - si è rivelato un idolo. 

L'esigenza dell'oggettività scientifica rende ineluttabile che ogni asserzione della scienza rimanga necessariamente e per sempre allo stato di tentativo. Non il possesso della conoscenza, della verità irrefutabile, fa l'uomo di scienza, ma la ricerca critica, persistente e inquieta della verità». Tutta la ricerca scientifica, in qualsiasi ambito essa venga praticata - in fisica e in economia, in biologia e in storiografia, in chimica come nella critica testuale - si risolve in tentativi di soluzione di problemi, tramite la proposta di ipotesi o teorie da sottoporre ai più severi controlli al fine di vedere se esse sono false. 

Cerchiamo, insomma, di falsificare, dimostrare false le nostre congetture per sostituirle, se ci riusciamo, con teorie migliori, vale a dire più ricche di contenuto esplicativo e previsivo. Ciò nella consapevolezza che, per motivi logici, non ci è possibile dimostrare vera, assolutamente vera, nessuna teoria: anche la teoria meglio consolidata resta sempre sotto assedio. La realtà è che evitare l'errore è un ideale meschino; se ci confrontiamo con problemi difficili è facile che sbaglieremo; conseguentemente, razionale non è un uomo che voglia avere ragione, ma è piuttosto un uomo che vuole imparare: imparare dai propri errori e da quelli altrui. 

Ancora Popper: l'errore commesso, individuato ed eliminato è il debole segnale rosso che ci permette di venir fuori dalla caverna della nostra ignoranza. Dunque, nello sviluppo della ricerca scientifica, non ogni teoria vale l'altra e, di volta in volta, accettiamo quella teoria che ha meglio resistito agli assalti della critica. Il fallibilismo, in breve, è la via aurea che, in ambito scientifico, consente di evitare sia il dogmatismo sia l'arbitrio soggettivistico. 

Ora, la storia delle vicende umane, come anche la realtà dei nostri giorni, ci mostra una Terra inzuppata di sangue versato in nome di concezioni etiche legate a differenti prospettive filosofiche e religiose. Partendo dall'esperienza, ripete Max Weber con John Stuart Mill, si giunge al politeismo dei valori. E con ciò siamo nel mezzo delle questioni connesse al relativismo etico. Certo, è falso sostenere che tutte le etiche sono uguali. «Ama il prossimo tuo come te stesso» è un principio ben diverso da quello dove si grida «occhio per occhio dente per dente», o da quello leninista per cui «la morale è in tutto e per tutto soggetta agli interessi della lotta di classe del proletariato», talché «non bisogna accarezzare la testa di nessuno: potrebbero morderti la mano. Bisogna colpirli sulla testa senza pietà». 

continua a leggere QUI

fonte Corriere della Sera.

in testa una tavola di Escher,  Encounter.

21/02/11

Ricostruzione morale ? Paul Ricoeur.


Quello che stiamo vivendo, in gran parte dell'Occidente oggi, mentre il sud del Mediterraneo islamico si infuoca giorno dopo giorno sulle parole d'ordine di 'grano' e di 'libertà' (due pretese che dalle nostre parti sembrano non costituire più un problema), è un ri-pensamento generale, di dove ci sta portando il nostro progresso. E se davvero, la caduta verticale di valori e riferimenti, lo scetticismo pratico e il relativismo etico (con conseguente immoralità o amoralità dilagante) siano l'unico scenario che ci aspetta.

Forse la nostra empasse, però, parte da lontano. E parte proprio da quel che noi crediamo di aver 'archiviato'. Questa frase del grande Paul Ricoeur, mi sembra molto indicativa, e degna di essere davvero meditata.

«Non abbiamo finito di estirpare in gran parte del mondo l'eredità del totalitarismo. Noi abbiamo compiuto l'opera di ricostruzione post-bellica, ma non abbiamo affrontato la ricostruzione morale dopo l'esperienza inaudita della violenza e della tortura che è ancora praticata nel mondo.»


15/06/09

Coscienza e verità - un articolo di Lucetta Scaraffia.



Nell'Osservatore Romano di ieri, domenica 14 giugno 2009, è comparso in prima pagina questo bell'articolo di Lucetta Scaraffia, del quale consiglio caldamente la lettura a tutti, perchè contiene, in pillole, un'analisi del pensiero dell'attuale Pontefice; e sul quale come sempre, siamo pronti a discutere insieme.


Coscienza e verità di Lucetta Scaraffia

Non è certo una novità che il Papa intervenga per rendere più chiara ai fedeli la comprensione dei problemi del tempo in cui vivono, ma possiamo dire senza timore di esagerare che nessuno l'ha fatto con l'acutezza e la profondità di Benedetto XVI.

Al punto che i suoi scritti dedicati alla lettura critica del presente sono ormai considerati dei classici che possono - e dovrebbero - interessare quanti vogliano capire meglio l'epoca in cui vivono, e non solo i cattolici.

Proprio per questo sono particolarmente illuminanti i saggi raccolti in un libro da poco pubblicato in Italia (Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, L'elogio della coscienza. La Verità interroga il cuore, Siena, Cantagalli, 2009, pagine 175, euro 13,50).

Con il consueto stile limpido e semplice, di quella semplicità che raggiunge solo il pensiero sedimentato e profondo, l'autore vi affronta i principali problemi teorici del nostro tempo, denunciandone i limiti e le manipolazioni, e proponendo una risposta chiara, tratta dal tesoro della tradizione cristiana.

Tutti gli scritti ruotano intorno a due questioni intimamente legate: la coscienza e la verità, entrambe cancellate dalla cultura contemporanea, che le sostituisce con la soggettività e il relativismo, pensando di garantire in questo modo la libertà individuale, unico vero feticcio moderno.

Nel primo saggio, L'elogio della coscienza, viene chiarito un tema complesso e mistificato, quello cioè del ruolo della coscienza. In una cultura che tende a contrapporre una "morale della coscienza" a una "morale dell'autorità", slegando il problema della coscienza da quello della verità, l'unica garanzia di libertà appare essere la giustificazione della soggettività, mentre l'autorità sembra "restringere, minacciare o addirittura negare tale libertà".

Qui tocchiamo il punto veramente critico della modernità: "L'idea della verità è stata nella pratica eliminata e sostituita con quella di progresso" che però, in apparenza esaltato, viene invece privato di ogni direzione. In un mondo senza punti fissi di riferimento, senza verità, non ci sono più direzioni.
La rinuncia ad ammettere che, per l'essere umano, sia possibile conoscere la verità conduce al disinteresse per i contenuti, per dare la preminenza alla tecnica, alla formalità. Un esempio chiaro in questo senso è quello dell'arte: oggi "ciò che l'opera esprime è del tutto indifferente: l'unico criterio è la sua esecuzione tecnico-formale".
Vivendo in una società che influenza e condiziona gli individui, è difficile sentire quella che veniva considerata "la voce della coscienza", cioè "la presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all'interno del soggetto stesso".

Anche se la via alla verità e al bene è stata abbandonata perché ardua, scomoda, considerata troppo difficile da seguire, non per questo dobbiamo rinunciarvi: "dissolveremmo il cristianesimo in un moralismo se non fosse chiaro un annuncio che supera il nostro proprio fare".

In queste condizioni, la stessa verità del bene diventa inattingibile, perché l'unico riferimento per ciascuno è ciò che egli può da solo concepire come bene, rinunciando così a quel minimo di diritti oggettivamente fondati, non accordati tramite convenzioni sociali, sui quali soli si può fondare l'esistenza di ogni comunità politica.

In sostanza, dove Dio scompare, "scompare anche la dignità assoluta della persona umana", e la dignità di ognuno non viene più a dipendere dal solo fatto di esistere, per essere stato voluto e creato da Dio.

Ecco perché "la radice ultima dell'odio e di tutti gli attacchi contro la vita umana è la perdita di Dio".

Benedetto XVI rivela una delle sue preoccupazioni principali, che ha varie volte ripetuta: il timore che la nozione moderna di democrazia non sappia emanciparsi dall'opzione relativista, in un mondo in cui il relativismo appare come l'unica garanzia della libertà.

Mentre il Papa sa bene e ripete senza sosta che "un fondamento di verità - di verità in senso morale - appare irrinunciabile per la stessa sopravvivenza della democrazia". E non dobbiamo dimenticare che, di fatto, "tutti gli stati hanno attinto le evidenze morali razionali - permettendo loro di dispiegare i propri effetti - dalle tradizioni religiose ad essi preesistenti".

Di frequente Benedetto XVI ritorna sul tema della ricerca della verità: "Se Dio è la verità, se la verità è il vero "sacro", la rinuncia alla verità diventa una fuga da Dio".

Persino quando avviene all'interno di una confessione religiosa perché - denuncia il Papa - esiste anche un "positivismo fideista" che "ha paura di perdere Dio nell'esporsi alla verità delle creature".

La verità è il presupposto fondamentale di ogni morale, ma se invece il criterio dell'utilità o del risultato, sostenuto da correnti di teoria politica affermate, prende il posto della verità, il mondo si frantuma in tante parzialità, perché l'utilità dipende sempre dal punto di vista del soggetto che agisce.

Cosa significa allora fare il teologo, in questa situazione culturale? E come si può pensare una nuova evangelizzazione? A queste domande rispondono in modo inedito ed esauriente gli ultimi saggi di un volume che si rivela fondamentale per comprendere il mondo di oggi, e per vivervi da cristiano. Peccato che l'editore a cui si deve l'ammirevole iniziativa di avere raccolto questi testi li abbia pubblicati senza precisare quando sono stati scritti, se dal cardinale Ratzinger o dal Papa. Come se per il lettore questa precisazione fosse irrilevante.

Fonte: Osservatore Romano

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20/05/08

André Glucksmann - Elogio del relativismo.



Ho letto di recente una intervista ad André Glucksmann e a suo figlio Raphael. Insieme, il filosofo (ex nouveau philosophe) e il figlio giornalista, hanno scritto un libro: Sessantotto, dialogo tra un padre e un figlio su una stagione mai finita, edito ora anche in Italia da Piemme.

Vi si trovano, in questa intervista, considerazioni ad ampio raggio sullo stato del mondo, della crisi delle religioni, e sull’etica. Alcune vale la pena di riportarle.

Domanda: Se non esiste più una fede politica e Dio – l’ha scritto lei – l’abbiamo ucciso in questa epoca per la terza volta, dove si va ?

E’ la domanda posta a Glucksmann padre, che risponde:

“Siamo in pieno relativismo, e non è detto che sia un disastro. Infatti io farei una distinzione tra relativismo e nichilismo, cosa che non fa per esempio Benedetto XVI. Il relativismo è rinunciare a imporre a tutti un’idea di bene comune, e questo è il laicismo che ha posto fine alle guerre. Il nichilismo è la negazione dell’esistenza del male, e porta alle stragi.”

Dal canto suo, Raphael, aggiunge:

“ Siamo in una situazione simile a quella del Rinascimento: non c’è più niente dietro e niente davanti, ma questo rende il mondo molto dinamico. Internet, i blog, You Tube e My Space, tutto orizzontale, non esistono più gerarchie. Ci possono ancora essere credenti, ma non chiese. Io non ho nostalgia dei padri.”

Tutto bene, tutto chiaro. Ma qualche domanda sorge spontanea.

1. Se il relativismo è cosa buona e giusta. E quindi bisogna rinunciare a imporre un’idea di bene comune, come faremo a non negare l’esistenza del male ? Cioè come potremo definire il male, se non esiste più un’idea di bene comune ? Cos’è il male, allora: una sensazione individuale ? Anche il male è relativo ?
2. Non c’è dubbio come dice Raphael che siamo in un mondo molto dinamico. Ma tutto questo dinamismo dove sta portando ? Sta portando a una rinascita delle arti e delle culture come avvenne nel Rinascimento ? O sta invece portando a una deriva ?

3. Siamo proprio sicuri che non esistano più gerarchie ? Il fatto che nel mondo il web abbia aperto nuove frontiere e milioni di persone ne facciano uso vuol dire che non ci siano più pochi potenti – sempre di meno – o potentati che governano le cose e i gusti del mondo e determinano le gerarchie ?

sito della Piemme: www.edizpiemme.it