Visualizzazione post con etichetta raimon panikkar. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta raimon panikkar. Mostra tutti i post

11/01/18

Esce a Febbraio 2018 "Cercare Dio", il nuovo libro di Fabrizio Falconi.




E' in uscita a Febbraio 2018 "Cercare Dio", il nuovo libro di Fabrizio Falconi

Sinossi

Dieci ritratti di grandi personalità, di grandi anime che hanno fatto della ricerca interiore spirituale lo scopo di vita, ciascuno nel proprio campo: filosofi come Panikkar, poeti come Antonia Pozzi, morta suicida per amore e troppa sensibilità o registi di film che fanno parte del patrimonio dell’umanità come Ingmar Bergman e Andrej Tarkovskij, scrittori come C.S. Lewis, l’inventore di Narnia, guide spirituali come Krishnamurti il cui pensiero continua fortemente a influenzare la modernità o Frère Roger, fondatore della Comunità di Taizé, dove vanno ogni anni migliaia di persone, testimoni del dialogo interiore che oggi vengono riletti in tutto il mondo come Etty Hillesum, morta ad Auschwitz o il segretario generale dell’ONU Dag Hammarskjold, ucciso in un attentato, che ha lasciato un diario interiore tra le testimonianze più alte del Novecento.  I dieci agili profili  ripercorrono le vicende umane e personali – attraverso citazioni, brani di meditazione, scritti, diari – con gli interrogativi, i dubbi e le illuminazioni di cui questi uomini hanno lasciato testimonianza, e che restano come orientamento e traccia sulle  questioni fondamentali di sempre, in tempi apparentemente sempre più confusi.

  
Quotes

Saper ascoltare e vedere ciò che dentro di noi è nel buio. E nel silenzio. (Dag Hammarskjold); Dobbiamo abbandonare i nostri pregiudizi. Noi non sappiamo vedere. Dio solo vede e ci insegna ad amare il nostro prossimo. (Andrej Tarkovskij); Signore, per tutto il mio pianto,/ridammi una stilla di Te,/ch’io riviva. (Antonia Pozzi); Dio è qualcosa di cui non si può parlare. (Krishnamurti); E se la fede non trasforma la mia vita, allora questa fede è morta. (Raimòn Panikkar); Non so se l’amore dimostri l’esistenza di Dio o se l’amore sia Dio stesso… Questo pensiero è il solo conforto alla mia miseria e alla mia disperazione (Ingmar Bergman); In fondo la mia vita è un ininterrotto ascoltar dentro me stessa, gli altri, Dio. (Etty Hillesum).




Dov’è Dio ? La domanda che i nostri anni sembrano aver seppellito e che invece è sempre viva, più che mai viva nel cuore di ogni uomo. 


22/12/14

Lo stato del mondo, ora (Raimon Panikkar)

Raimon Panikkar

Qualche tempo fa Raimon Panikkar, prima di morire tracciava un bilancio dei cosiddetti anni zero, il primo decennio del terzo millennio. 

Non è con enorme dispiacere che salutiamo questi Anni Zero - 01,02,03,04, ecc... - era in sintesi il suo pensiero.  Chi è sufficientemente vecchio per ricordarlo, sa che alla fine del Ventesimo secolo si pensava al Duemila, come ad un obiettivo di progresso universale, ad una data fatidica che avrebbe segnato il raggiungimento di storici traguardi e la soluzione di molti problemi. 

Invece, diceva Panikkar, questi anni zero non hanno portato granché. Alcuni problemi mondiali si sono aggravati. Le disuguaglianze del mondo sono rimaste immutate. 

Ecco come descriveva lo stato globale il grande filosofo-teologo. 
Una descrizione sintetica che purtroppo non è mutata nemmeno quando stiamo per entrare nell'anno 2015.

Immaginiamo il villaggio globale. Supponiamo che questo villaggio planetario sia formato da cento famiglie.

Di queste 100 famiglie, 60 non sanno leggere. 1 sola ha un'educazione a livello di scuola secondaria. 70 non hanno acqua potabile sicura; 80 vivono in abitazioni inadeguate, ciò che viene considerato come una condizione di vita normale.
6 hanno metà del reddito totale del villaggio, comprese le risorse naturali e il denaro, in modo che 94 famiglie vivono dell'altra metà.

Uno sguardo sulle caratteristiche poi di queste 6 famiglie ci può essere utile: di queste 6 famiglie, 4 e 1/2 sono indottrinate dalle notizie televisive; 5,3 trascorrono ogni settimana una media di tre ore e 1/2 davanti al televisore e 5 guardano 40.000 messaggi pubblicitari l'anno, che le rendono più condizionate dei topi di Skinner

 Raimon Panikkar

07/04/14

Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (4.fine)




Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (4./fine)


Ma anche negli ultimi anni della vecchiaia, Panikkar, non ha perso di vista il momento storico, le sfide che al cristianesimo vengono imposte dal rapido sviluppo dei tempi.  Oggi, per questo pensatore, non si può fare a meno di chiedersi: chi è Gesù Cristo per l'Oriente, per l'Africa, per il terzo mondo? Come Gesù può divenire realmente il Salvatore per quei popoli, per le nazioni dell'emisfero povero del Sud che sono le protagoniste del presente, ma lo saranno ancor più, presumibilmente, del prossimo futuro? Ovvio che, in tale chiave, l'assise conciliare del domani dovrà essere un Vaticano III, chiamato a focalizzarsi sulle tematiche della mondializzazione del vangelo, sullo sforzo di adattamento della liturgia, dell'ascolto della Parola di Dio e dell'essere chiesa nei più svariati linguaggi e stili di vita. (9)

La speculazione teologica e filosofica di Panikkar, dunque, non si è ancora fermata, così come il suo interrogarsi dentro il mondo e la chiesa di oggi. 

Nel contempo, a rendere la sua figura esemplare e di forte richiamo per i giovani che accorrono a sentirlo parlare, è la serenità e la piena consapevolezza che dimostra anche di fronte ai temi irrisolti della modernità, come l’accettazione della morte.

Ad un uomo che ha oltrepassato splendidamente la soglia dei novant’anni, è stato chiesto di recente se non abbia paura di morire. E questa è stata la risposta di Panikkar:  Una gran parte dell’umanità non ha paura della morte; ha paura della sofferenza, il che è un’altra cosa.  La paura della morte è un fenomeno molto occidentale: se il tempo è un'autostrada che mi porta al cielo, all'inferno, al limbo, o al nulla, o a dove che sia, allora ho paura di non arrivarci. Ma se il tempo non è questo, se la realtà è piuttosto tempiternità - come uso dire con una parola di mio conio - allora la mia vita ha un senso adesso; e benvenuta sia la mia umana finitudine che mi fa scoprire l'unicità di ogni cosa, il valore di ogni momento, di ogni incontro, di ogni bicchiere d'acqua. Nessuna paura, dunque: Cotidie morior, dice San Paolo. E se la fede non trasforma la mia vita, allora questa fede è morta. (10) .

(4./fine) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 
   
9.     Panikkar espresse queste opinioni in un colloquio informale con Bruno Hussar, fondatore in Israele del villaggio della pace di Nevè Shalom.  Il contenuto di questo colloquio è stato riferito da Brunetto Salvarani nella presentazione del vol.12 – Gesù – del mensile CEM mondialità, collana Le parole delle fedi.
10.     Giovanni Ruggeri, Se Dio diventa un’ipotesi inutile, intervista a Raimon Panikkar, pubblicata sulla rivista on line www.24sette.it



05/04/14

Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (3./)




Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (3./)

Si potrà obiettare che anche con queste parole, una definizione chiara non è ancora arrivata.  Ma Panikkar ha preferito semplicemente rispondere a questa domanda - cosa sono io allora? che in definitiva corrisponde a: in cosa credo, quale è la mia percezione di Dio ?  -  con tutta la sua vita.  Una vita che, come si è visto finora, è stata vissuta in rivolta a quella ossessione moderna che è la certezza, la dichiarazione di appartenenza. Per Panikkar essere cristiani vuol dire senza mezzi equivoci scoprire in e attraverso Gesù, figlio di Maria, il mistero di Cristo,  ma al contempo la creazione si produce ogni giorno, ogni giorno è qualcosa di assolutamente nuovo e imprevedibile.  
      Per questo vale la pena vivere: per dare inizio a qualcosa di nuovo, scrive Panikkar, Non è questione di ripetere il passato né soltanto di criticarlo. La religione non è archeologia, non è come prima; è nuova ogni giorno: lo Spirito fa nuove tutte le cose, costantemente. La novità però,  se è il risultato di una creazione non ha modello, non ha paradigma: ci dà la libertà, e pertanto la responsabilità di partecipare attivamente nel dinamismo della storia e della realtà.  (6)
     
La testimonianza di un pensiero – e di uno spirito – libero, emana anche dalla stessa figura di Panikkar, che ogni qual volta viene avvicinato per una intervista colpisce l’interlocutore per la luce del suo sguardo, per la eleganza sobria del suo vestire, per il modo con cui riesce ad esprimere, anche di fronte a numerose ed eterogenee platee, il suo pensiero, in forma semplice e diretta.
     
Anche in questo,  il segreto è forse nel coniugare la pazienza, la calma e la meditazione nel parlare degli orientali, con la capacità analitica degli occidentali, anche se ormai queste categorie di distinzione cominciano davvero ad apparire superflue in un mondo sempre più ‘accorciato’.
     Ho avuto la fortuna di avere una madre spagnola e cattolica e un padre indiano e induista, ha detto in una intervista del 2004,  per me è stato un meraviglioso arricchimento. Mi ha insegnato a guardare ogni realtà con l'occhio dell'apertura e dell'amore. Io sono un sacerdote cattolico, ma che cosa sarebbe il mio sacerdozio, se pensassi di appartenere esclusivamente a una setta religiosa nata solo duemila anni fa? Ogni uomo è il punto in cui si incontrano il divino e il creato. Ma oggi molti giovani respingono o ignorano il messaggio cristiano perché in realtà non sanno che cos'è. "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra... Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio...": queste sono le parole dette da Gesù nel Sermone della montagna. Basta ripeterle ai giovani ed ecco che loro scoprono le radici e il significato eternamente valido del messaggio cristiano. (7)
      
Il completamento del ciclo vitale di Panikkar – e al contempo del suo lungo e proficuo cammino di ricerca spirituale – si è manifestato nel 1987 quando dopo più di venti anni trascorsi a cavallo tra due continenti e due realtà del mondo contrapposte,  il filosofo ha fatto ritorno a casa, nella sua catalogna.   Tracciando un bilancio di quel ventennio così movimentato, Panikkar così lo ha sintetizzato: Trascorsi un quarto di secolo tra una delle città più ricche, dello stato più ricco, della nazione più potente, e l’esatto contrario (a dodici ore di fuso orario): una delle città più caotiche, in uno degli stati più ‘sottosviluppati’, di uno dei paesi più poveri del mondo: tra Santa Barbara, in California, negli Stati Uniti, e Varanasi, nell’Uttar Pradesh, in India. La mia vita interiore era, letteralmente, l’unico punto di unione tra due sfere della mia vita.

      

Il ritorno a casa ha coinciso con l’elezione a luogo dell’anima, di Tavertet, un paesino dei pre-Pirenei catalani, dov’era già stato una prima volta qualche anno prima.   Qui, oggi Panikkar vive da monaco, dedicandosi completamente alla preghiera, allo studio, e alla cura del suo centro studi -  chiamato Vivarium - diventato con il tempo punto di incontro e scambi interculturali. 

 (3./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

      
5.     Il testo al quale si fa riferimento è pubblicato ne La stella del Mattino –  Laboratorio per il dialogo religioso, nuova serie – trimestrale n. 3 - luglio/settembre  2002.
6.     Raimon Panikkar, Esame di Coscienza in tre punti, pubblicato in www.dimensionesperanza.it
7.      Un guru moderno: Raimon Panikkar, intervista di Elena Missori, PerMe, n. 6 Agosto 2004.

04/04/14

Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (2./)






Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (2./)

Quello che sperimentò Panikkar durante i lunghi vent’anni seguenti a quella prima visita in India, che trascorse vivendo soprattutto nella città santa di Varanasi, in una piccola casa sul Gange all’interno di un vecchio tempio di Shiva,  dedicandosi alla meditazione, alla preghiera, a studi biblici e vedantici comparati  è proprio che il messaggio religioso di Cristo non appartiene ad alcun particolare gruppo umano. Quindi lo stesso significato del nostro essere cristiani è sempre aperto a nuovi raggi di luce. (3)

A Varanasi, fra l’altro, Panikkar fondò la Abhishiktananda Society, collaborando con i monaci Jules Mochanin, Henri Le Saux  e Bede Griffiths, che erano stati pionieri del dialogo interreligioso tra il mondo indiano e quello occidentale.

Dopo qualche tempo, l’indubitabile evidenza di essere uno dei maggiori conoscitori cattolici del mondo orientale, portarono Panikkar ad essere chiamato nel 1966 nell’Università di Harvard come Visiting Professor di religione comparata  e quattro anni più tardi, nel 1971 ad essere insignito della cattedra di Filosofia comparata delle religioni all’Università di California, a Santa Barbara, incarico che ha ricoperto fino al 1987.

Prima c’erano state le lauree  conseguite:  quella in Scienze all’Università di Barcellona, nel 1941,  quella in Lettere all’Università di Madrid nel 1942 – e il dottorato ottenuto nel 1946 con una tesi intitolata: El concepto de Naturaleza -   e quella in teologia all’Università Lateranense di Roma, nel 1961. 

E ancora, un incessante susseguirsi di conferenze in giro per il mondo – sempre intervallati da lunghi soggiorni in India – seminari, premi e riconoscimenti conferiti da istituti di cultura e università di ogni continente, nell’arco di tempo di quarant’anni, hanno fatto di Panikkar un simbolo riconosciuto di  quella ricerca che, in campo spirituale, non si ferma all’apparenza dei riti e dei dogmi, ma si sforza di ascoltare ovunque la voce di Dio.  La religione non è per Panikkar, una ideologia o un  fatto già assodato, ma un’esperienza, non una teoria ma un’esperienza di vita per mezzo della quale l’uomo – senza preoccupazione né ansia – partecipa all’avventura cosmica. (4)

Una esperienza nella quale, però, esiste il rischio concreto di perdere o di confondere la propria identità. Molte volte, infatti, in questo lungo cammino di conoscenza e di pellegrinaggio spirituale, a Panikkar è inevitabilmente capitato di dover rispondere a richieste precise riguardo al contenuto della propria fede o delle proprie convinzioni religiose. Molte volte - in nome dell’ortodossia - gli è stata più o meno velatamente  contestata una opportunistica ambiguità.

Panikkar, però, anche su questo terreno insidioso, non si è mai tirato indietro.
       Spesso mi hanno domandato di parlare senza ambiguità e dire con chiarezza se io sono un indù oppure no, ha scritto in un testo (5), Se la persona chi mi interroga è cristiana, so molto bene che se rispondo di sì, ne dedurrà che non sono cristiano – e se è al corrente che sono un prete cattolico, presumerà che sono un apostata, che non sono più cristiano. Se dico "no", non sarei sincero e questa non sarebbe più una vera risposta. Lo spirito occidentale, che ha impregnato la mentalità cristiana – aggiunge Panikkar - è generalmente dominato (non riesco a trovare un termine migliore) dal "sacrosanto" principio di non-contraddizione (è il caso di S. Tommaso d’Aquino), secondo cui, se confesso di essere indù non posso essere cristiano, presumendo che i due siano contraddittori.

       Se è un indù a porre la domanda, ciò non sarà più facile per me. So bene che se rispondo "Sì" e so che questa persona è al corrente della mia appartenenza cristiana, immaginerà che io creda che tutte le religioni siano simili e che finalmente, sia una o l’altra non è importante. Presumerà che abbassi tutte le religioni poiché mi pongo al di sotto di tutte. Se dico "No", nuovamente non sarei sincero.

(2./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 


3.     Questa e la citazione precedente sono tratte da: Raimon Panikkar, Vangelo e Zen, prefazione a Il Vangelo secondo Giovanni e lo Zen, di p. Luciano Mazzocchi e Jiso Forzani, edizioni Dehoniane, Bologna, 2001.
4.     J.M.Terricabras, Laudatio in onore di R.Panikkar, op.cit.

03/04/14

Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (1./)



  

Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (1./)

Raimon Panikkar, che ha peregrinato tanto, propone il pellegrinaggio come simbolo della vita ma non come la vita stessa, perché il pellegrinaggio deve essere non solo esteriore, ma anche interiore.
Sono le parole che furono pronunciate nel 1977  per il conferimento della laurea honoris causa dell’Università di Girona, nella Catalogna, al grande filosofo e teologo spagnolo. (1)

E in effetti, se si potesse riassumere in una sola parola la vicenda umana di Raimon Panikkar, si potrebbe usare il termine: pellegrinaggio.  Un continuo, utile errare per un uomo che ha fatto dello studio, dell’approfondimento, della conoscenza, lo scopo della sua vita, fino a renderlo – come egli è considerato oggi –  “una delle più grandi figure spirituali del nostro tempo, vero punto di incontro fra Oriente e Occidente”. (2)  

Il pellegrinaggio era inscritto già nel dna di Panikkar, visto che egli è nato il 3 novembre del 1918 a Sarrià, un quartiere di Barcellona, da padre indiano - Ramuni Panikkar, nato a Malibar, di orgine aristocratica e con passaporto britannico - di religione hindù, e da madre catalana -  Carme Alemany, morta nel 1975 -  appartenente ad una famiglia borghese cattolica.  Il padre di Panikkar, alla ricerca di un paese neutrale nel conflitto mondiale appena iniziato,  si era trasferito in Spagna nel 1916.  Dal matrimonio con Carme erano nati quattro figli cresciuti in un clima di armonia, seppure nella differenza evidente delle due tradizioni familiari.  

Educato dai gesuiti di Barcellona, Panikkar si dedicò sin da giovane allo studio delle scienze, della filosofia e della teologia, spostandosi in diverse università europee.  Poi,  allo scoppio della guerra civile spagnola -  per il pericolo che incombeva sulla sua famiglia -  si trasferì con i genitori e i fratelli  in Germania, per fare poi ritorno in Spagna nel 1939, all’inizio della seconda guerra mondiale.

Questo fece di Panikkar, sin dai primissimi anni dell’infanzia, un viaggiatore, un pellegrino senza dimora fissa, con frequentazioni di città e ambienti universitari che gli resero famigliari tradizioni e culture diverse, preparando il terreno per la sua teologia – sviluppata nella maturità -  che Panikkar definì cosmoteoandrica, indicando con questo termine la interrelazione di tre dimensioni, la realtà materiale (cosmos), il divino (theos) e l'umano (anthropos): i tre mondi  - umano, divino e cosmico -  pur distinguibili e gerarchicamente ordinabili, per Panikkar, non erano e non sono cioè separabili;  così come non si può parlare di un uomo che non abbia un corpo materiale, allo stesso modo non ha senso parlare di un Dio auto-sussistente, privo di qualsiasi corporeità e di qualsiasi rapporto con il mondo. 

Questa visione del mondo, e di Dio, oggi paradigma del pensiero filosofico di Panikkar, si spiega con un percorso di vita lungo e complesso, che una volta egli stesso ha riassunto in questi termini: “Sono partito cristiano, mi sono scoperto hindù e ritorno buddhista senza aver smesso di essere cristiano.”

Il che potrebbe renderlo, agli occhi del mondo - che oggi appare sempre più insofferente alle contaminazioni culturali e sempre più alla ricerca di forti identità nazionali o locali (magari anche soltanto apparenti, di facciata) -  un incomprensibile coacervo vivente, un simbolo di sincretismo religioso.  

Niente di più lontano da quello che Panikkar si riconosceva, visto che è stato ordinato sacerdote cattolico nel 1946, e che nel mondo cattolico – nonostante (o forse proprio in virtù di questo) la sua forte apertura nei confronti delle grandi religioni orientali – è diventato un autorevole punto di riferimento.  

Il suo avvicinamento alla Chiesa cattolica è stato graduale e coerente: già al ritorno dal viaggio in Germania, infatti, nel 1940, Panikkar si era unito ad un gruppo di secolari - i quali aspiravano ad una pienezza di vita cristiana nello svolgimento dei loro compiti professionali – che avrebbe fatto parlare molto di sé e che si sarebbe poi chiamato Opus Dei.  E proprio dal fondatore di quella organizzazione religiosa -  Escrivà de Balaguer -  con il quale Panikkar intrattenne una lunga relazione di amicizia,  gli venne la proposta di ricevere il sacerdozio.   Una scelta, quella di aderire all’Opus dei, che se oggi appare a qualcuno contraddittoria con lo sviluppo della sua teologia, pure non è stata mai rinnegata dal diretto interessato.   Non sono pentito di quella scelta della mia vita… ha scritto nel testo di rievocazione della sua vita che compare nel sito ufficiale del centro studi che porta il suo nome,  la linea della vita non è retta, né spezzata.    

A testimonianza che la linea “non sia spezzata” è il fatto che pur nella continuità delle peregrinazioni, Panikkar non ha mai interrotto, nel corso di una vita molto movimentata, lo stretto legame con la Chiesa Cattolica e con Roma in particolare.  A Roma arrivò infatti la prima volta nel 1953, fermandosi per un anno per terminare gli studi di teologia, presso l’Università Lateranense, per poi farvi ritorno nel 1961,  quando cominciò a tenere i corsi come libero docente di Filosofia della Religione all’Università di Roma.  Ma a Roma partecipò anche al Sinodo e alle attività preparatorie per il Concilio. 

Le cronache raccontano che quando Paolo VI,  nel corso dei lavori per il Vaticano II,  lo ricevette  in udienza chiedendogli su che cosa stesse riflettendo, Panikkar rispose con questa frase eloquente: Sto pensando a come essere cristiani in India senza essere culturalmente greci e spiritualmente semiti. L’imperativo, era dunque, già all’epoca, per il filosofo catalano, quello, di spogliare il cristianesimo del suo manto mediterraneo.

Eppure un aspetto piuttosto curioso di questa scoperta della centralità del mondo induista è che Panikkar – nonostante i molti viaggi già compiuti da studente e con la famiglia – si recò per la prima volta in India, soltanto nel 1954, quando già aveva compiuto trentasei anni.  Era una “missione apostolica”, ma era anche la prima volta che metteva piede nella terra dei suoi padri, e sicuramente, l’impatto emotivo con quella terra  - fortissimo – era stato preparato da anni di studi e di conoscenza del mondo nel quale affondavano le sue radici famigliari paterne.  In quella occasione dovette realizzare con precisione ciò che già stava meditando nel suo cuore, e cioè – come scrisse  in seguito -  che stiamo assistendo alla crisi del mito che ha prevalso in Occidente: il mito che una sola cultura sia sufficiente per abbracciare l’intera gamma dell’esperienza umana: in base a tale  mito re, imperatori, papi, presidenti, governi ed eserciti in buona fede, hanno fomentato il progetto di unificazione politica, religiosa o economica del mondo.  Ora il mito è in crisi, se non in procinto di crollare.  

(1./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

1.      La Laudatio in onore di Raimon Panikkar fu pronunciata dal professor Josep-Maria Terricabras della Università di Girona.

2.     La definizione è di Julien Ries (Arlon, Belgio, 1920), quello che oggi è riconosciuto il più grande storico delle religioni vivente.

05/05/12

Raimon Panikkar e il senso della vita.


Pensare di poter sistemare e risolvere tutto è un errore. Il mistero della vita è che il male esiste, che le tensioni non possono essere soppresse e che noi ci siamo dentro; che si deve fare il possibile, senza lasciarsi dominare e senza mai ritenere di possedere la verità assoluta. Bisogna accettare la condizione umana, sapere che un certo dubitare non si oppone alla fede; sapere che il senso di contingenza è necessario alla nostra vita. Devo rendermi conto che sono una parte di questa realtà e che non spetta a me controllarla; scoprire il senso della vita nella gioia, nella sofferenza, nelle passioni; invece di lamentare la difficoltà del vivere, rimandando ad un giorno che non arriva mai il momento di godere profondamente di questa vita, trovare questo senso in ogni istante.

Raimon Panikkar (Barcellona 3.11.1918 - Tavertet 26.8.2010)