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26/11/17

I Fantasmi di Roma: Storia infelice di Berenice, l'amante dell'imperatore Tito.



Storia infelice di Berenice, l’amante dell’imperatore Tito, e del suo fantasma

      Un fantasma romano molto popolare è quello di Berenice.
      E il suo luogo di elezione sembra essere il Portico d’Ottavia, a Roma, in quello stretto dedalo di vicoli e strade che si snodano tra il quartiere del vecchio Ghetto ebraico – il più antico d’Europa – e la Via del Teatro Marcello, alle spalle.  In particolare, il fantasma di Berenice pare scelga di manifestarsi proprio tra i ruderi romani sparsi in terra nello spazio antistante il teatro che fu dedicato nell’anno 13 a.C.  al generale Marco Claudio Marcello, nipote di Augusto (era infatti il figlio della sorella, Ottavia).

      Ma chi era Berenice ?
   
     La fortuna letteraria di questo personaggio è legata soprattutto, ovviamente, alla storia del teatro, e in specie al testo che a lei dedicò, nel 1670, Jean Racine, uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi.
      Di Berenice, della vera Berenice, sappiamo che nacque nel 28 d.C. in Asia Minore,  e che era la figlia di Erode Agrippa, detto il Grande, che fu quel membro della dinastia dei re di Giudea che più ebbe contatti con il mondo romano, visto che fin da giovanissimo fu inviato nella capitale dell’Impero e divenne intimo dello stesso imperatore (Tiberio). 
      
     Berenice doveva essere davvero bellissima se è vero che a vent’anni era già stata sposata due volte, e alla morte del secondo marito – che era nientemeno che lo zio paterno -  si trasferì in Grecia, alla corte del fratello Agrippa II.   Ma anche in questo nuovo ambiente, decisamente più sofisticato del precedente, Berenice trovò il modo di ritrovarsi al centro di un nuovo scandalo, e per mettere fine alle voci di un incesto con il fratello, accettò di sposare il Re di Cilicia Polemone, molto più anziano di lei,  che la riportò in Asia Minore. 
      Ma il temperamento irrequieto di Berenice la portò ben presto a stancarsi di Polemone e della sua noiosa corte: riuscì a fuggire, e tornò nuovamente dal fratello.
      
      Ed è a questo punto della storia che nel cuore di quella che già era definita una meretrice si fece largo addirittura il nuovo imperatore di Roma, Tito, salito al potere nel 79 d.C. alla morte del predecessore, il padre Vespasiano.

     In realtà la tresca amorosa tra Tito e Berenice era cominciata ben prima della morte di Vespasiano,  allorquando l’imperatore aveva mandato proprio il suo prediletto figlio, Tito, che era stato allevato ai più nobili principi ed era un esempio di moderazione, in Palestina, per sedare le rivolte che erano scoppiate. Tito diede alle fiamme Gerusalemme, dove si erano asserragliati gli ebrei, distruggendo completamente il Tempio, e ottenne una vittoria completa.
     
      Quando tornò in patria, trovò che suo padre gli aveva preparato un tributo eccezionale (con l’erezione del celebre Arco che ancora fa mostra di sé nel foro Romano), ma l’anziano genitore rimase interdetto quando si accorse che il valoroso figlio attraversava l’Arco, tra le grida osannanti del Popolo Romano, portando al braccio una preda bellica imprevista, e cioè proprio quella bellissima principessa ebrea – Berenice -  che già numerosi cuori aveva infranto dall’altro lato del Mediterraneo, ma che aveva ben ventuno anni più di suo figlio.
      
       
Uno scandalo in realtà non v’era, perché questa di presentare le proprie conquiste amorose – specie se di rango regale – non era inconsueto per un comandante militare.  Il problema sorse però quando Tito comunicò al padre che non intendeva semplicemente inserire la nuova fiamma nell’elenco delle concubine, ma voleva addirittura sposarla, cioè inserire un’estranea nella linea di successione imperiale.  La vicenda divenne esemplare quando Vespasiano – ripetendo un copione consueto dei padri – cercò in ogni modo di convincere il figlio, adducendo anche la propria esperienza personale: anche lui, rimasto vedovo, aveva ceduto alle grazie di una concubina, ma s’era ben guardato dall’idea di sposarla. In questo caso poi, si trattava di un ebrea e la faccenda era ancora più grave.
           
          I dubbi e le insinuazioni paterne si unirono alle malelingue di corte, alle calunnie interessate, ma per qualche tempo non ottennero risultati e Berenice rimase al suo posto.  Soltanto, però, fino alla morte dell’imperatore Vespasiano: forse in un rigurgito di riconoscenza filiale, Tito, divenuto imperatore, trovò la forza di sottrarsi alla schiavitù amorosa impostole dalla bella e appassionata Berenice, e la cacciò – in omaggio alla ragion di stato – da Roma.  L’infelice, a quanto pare, stremata dai suoi tiramolla per sposarla, aveva finito anch’essa per disamorarsi del suo compagno, e come sintetizza eloquentemente Svetonio, Berenice statim ab urbe dimisit, invitus, invitam, ovvero Tito una volta diventato imperatore, controvoglia allontanò da Roma Berenice che anch’essa non lo voleva.    
      
      La vicenda di questo amore contrastato, che ripercorre l’antico tema del conflitto tra sentimento e doveri,  trovò come abbiamo detto in Racine un cantore memorabile, il quale rovesciò completamente gli stereotipi su Berenice, omettendo del tutto i suoi trascorsi scandalosi e incestuosi, trasformandola in un personaggio totalmente virtuoso, inventando un triangolo amoroso con il principe Antioco, re di Comagene (regione meridionale dell’Anatolia),  e facendone una vittima della bruta ragion di stato.   Nelle memorabili scene finali del dramma scritto da Racine, le reciproche minaccie di suicidio di Tito, di Antioco e di Berenice, finiscono in un nulla di fatto, e i tre decidono di accettare la volontà superiore e di separarsi, sacrificando totalmente l’amore, o quel che ne resta.
      
        È dunque senza alcun dubbio questo elemento romantico ante litteram, ad aver alimentato la leggenda dell’esistenza del fantasma di Berenice che ancora aleggerebbe sulla città di Roma: perché se quella dolorosa separazione fu accettata obtorto collo in vita,  essa brucerebbe ancora nell’intreccio delle anime.  E questo spiega perché la caratteristica attribuita al fantasma di Berenice sia proprio quella di manifestarsi nella zona del Portico d’Ottavia – non è un caso che la tradizione popolare abbia scelto questa zona, dunque,  ricordando le origini ebree della principessa -  per cercare di incontrare nuovamente il suo amante, l’imperatore Tito, e ottenere un tardivo risarcimento a quella inopinata cacciata.

       Il Portico d’Ottavia però, è legato strettamente anche al simbolo del potere esercitato da Tito, e quindi è davvero lo scenario perfetto per le ansie notturne del fantasma di Berenice:  è proprio in questo luogo infatti,  raccontano le cronache dell’epoca, che nel 71 d.C.  Tito e suo padre si presentarono dei tradizionali vestiti di seta color porpora, e con la corona d’alloro sul capo, circondati dai membri del senato e dai più alti magistrati, per ricevere l’omaggio delle truppe prima di iniziare il sacrificio  e la processione trionfale davanti a tutto il popolo di Roma festante.
      Per questo, sembra dire il fantasma di Berenice, per questo potere, oggi divenuto rovina,  tu mi hai sacrificato.