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06/06/23

L'oscura Via del Mandrione, a Roma, amata da Pasolini


Fa una certa impressione immaginare che dalla costruzione dell’ultimo dei grandi maestosi acquedotti romani (i cui resti ancora giganteggiano per l’Italia) trascorsero ben tredici secoli prima che si sentisse la necessità a Roma di realizzarne uno nuovo

L’impresa fu voluta da Papa Sisto V a cui si deve la completa ristrutturazione urbanistica di Roma (con il celebre Piano Sistino), il quale la commissionò nel 1585 all’architetto Matteo Bortolani. 

Tanto per comprendere quale fosse la grandezza dei romani, Bortolani commise degli errori di progettazione del nuovo acquedotto, e il Papa dovette ricorrere a Giovanni Fontana (lo stesso architetto che aveva spostato l’obelisco di Piazza San Pietro) per rimediare e correggere il difettoso deflusso delle acque. 

In onore di Sisto V (che la secolo si chiamava Felice Peretti) il nuovo acquedotto fu chiamato Felice e aveva il compito di utilizzare le antiche sorgenti dell’Aqua Alexandrina, per approvvigionare le zone del Viminale e del Quirinale. 

Il tracciato originale del nuovo acquedotto superava la Via Tuscolana all’altezza della Porta Furba e giungeva fino nel cuore di Roma con il trionfo finale della Mostra della Fontana del Mosè, in Piazza San Bernardo. 

Oggi una gran parte del circuito cittadino dell’Acquedotto Felice è affiancata dalla lunga Via del Mandrione, che dà il nome ad un quartiere, o meglio, ad una porzione del quartiere Tuscolano

In questa Via, una specie di tortuoso serpente che si snodava e in parte si snoda ancora sul confine tra la periferia della città e la campagna, furono trovati i resti di una splendida villa romana e parte di un lastricato. 

Il nome, Mandrione, deriva proprio dal fatto che qui, nella campagna sotto gli archi del vecchio acquedotto, venivano portate le mandrie a pascolare

Era però, già anticamente, una zona di scorribande, adatta agli agguati da parte di briganti e di sabotatori e per questo motivo, lungo questa via transitavano i sorveglianti degli acquedotti, arruolati dalle autorità pontificie. 

I solenni archi divennero però con il passare dei secoli anche un ideale rifugio: dapprima in tempo di guerra quando sotto l’Acquedotto Felice trovarono riparo gli sfollati del bombardamento di San Lorenzo del 1943, che costruirono le prime baracche, e poi, nel dopoguerra comunità di nomadi e prostitute. 

Ben presto dunque la zona del Mandrione divenne malfamata e territorio di studio per le condizioni abitative di disagio in città, che richiamarono nel dopoguerra l’interesse di personalità come Pier Paolo Pasolini, Gian Giacomo Feltrinelli, Elsa Morante, Goffredo Parise. 

Da qui partirono però anche progetti rivoluzionari (come quelli della pedagogista Angelina Linda Zammataro) di integrazione delle comunità nomadi e di recupero della zona archeologica con lo sgombero delle baracche e l’assegnazione di alloggi popolari alle numerose famiglie che vi abitavano

Oggi l’oscura Via del Mandrione ha – come altre parti della periferia romana – cambiato pelle, ospitando locali, botteghe artigiane e vita notturna.


Fabrizio Falconi, tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, 2013 


30/04/22

Libro del Giorno: "La Roma di Pasolini" (Dizionario urbano) di Dario Pontuale

 


Tra le molte, moltissime uscite editoriali (anche troppe) concomitanti con il centenario della nascita del poeta, si segnala degno di nota questo volume uscito dalla Nova Delphi e firmato da Dario Pontuale, che si concentra sulla Roma di Pasolini, scandagliando in trecento serrate pagine, il rapporto e la vicenda sentimentale esistenziale e letteraria che Pasolini ha intessuto con la città che lo accolse, nel gennaio del 1950, insieme alla madre, entrambi sfollati dal nord-Italia dopo i tragici accadimenti della sua famiglia, con la morte dell'amato fratello diciannovenne Guido, ucciso nel 1944 durante i fatti di Porzus. 

A Roma, come è noto, Pasolini cambiò vita e poi anche mestiere. In un irrequieto e continuo spostamento, insieme alla madre, di quartiere in quartiere, alla ricerca di una sistemazione e di un lavoro, Pasolini, durante il periodo dell'insegnamento in una scuola privata di Ciampino, fece il suo apprendistato romano appropriandosi soprattutto di quel mondo di diseredati e poveracci che popolava le borgate e le periferie della Capitale, le quali a partire da quegli anni, conobbero una espansione micidiale e incontrollata, "effetto collaterale" del cosiddetto "boom economico" che avrebbe trasformato rapidamente gran parte della gente di Roma, per l'orrore di Pasolini, testimone furibondo di questi cambiamenti, in piccoli borghesi o aspiranti tali. 

La vita di Pasolini a Roma si svolgeva, rutilante, in quegli anni, su un doppio binario: quello della sua vita privata, consumata a metà tra la gente di periferia, dove inseguiva il mito di un "buon selvaggio" ormai in via di estinzione, e i salotti intellettuali di Roma dove venne molto gradatamente accolto grazie all'amicizia di poeti e scrittori (in primis Sandro Penna, Attilio Bertolucci, Caproni, poi Moravia); e quello della sua vita pubblica, con i primi romanzi pubblicati, le controversie con i critici e con la censura e poi il folgorante esordio cinematografico con Accattone (1961) che gli aprì le porte della riconoscibilità, della considerazione internazionale, del mondo polemico e controverso delle battaglie civili di quegli anni, dentro una Italia fossilizzata nella gabbia di valori cattolici non più sentiti veri, molto lontani dal reale sentire di un popolo che era stato stremato dalla dittatura, dalla terribile guerra e voleva ricominciare a vivere, a modo suo. 

Il libro di Dario Pontuale racconta tutto questo e lo fa in modo originale, sotto forma di un pratico dizionario - quasi una sorta di moderno baedeker - che riassume in più di un centinaio di voci i luoghi romani che appartengono a quella che ormai è la mitologia pasoliniana: i suoi ristoranti, i suoi quartieri, le sue strade, le sue case, le tappe che hanno scandito la sua vita romana, consumata in appena venticinque anni eppure densissima di cose, avvenimenti, eventi tragici, fino al suo assassinio nella terribile notte di novembre del 1975. 

Ogni voce, nel libro di Pontuale è minuziosamente descritta; ogni borgata o quartiere periferico di Roma che ha visto il passaggio di Pasolini, la sua presenza. Il libro inoltre sfrutta un pratico espediente ipertestuale, per collegare tra di loro le diverse voci pasoliniane, permettendo al lettore, anche quello più attrezzato, di orientarsi, scovando dettagli e cose nuove. 

Oggi più che mai, riscoprire il cammino di Pasolini dentro Roma, il suo sviscerato amore e il suo sviscerato odio per la città che meglio di ogni altra rappresentava il collasso del mondo arcaico/contadino/proletario italiano e il trionfo del nuovo conformismo borghese, aiuta a capire meglio il nostro paese e anche a riscoprire la città della grande bellezza, in una veste del tutto nuova e ancora più autentica. 



05/04/21

Una Pasquetta a Roma di tanti anni fa - 1944: Il Gobbo del Quarticciolo, eroe e bandito tra realtà e leggenda

 


Il quartiere Alessandrino, alla estrema periferia est di Roma, che prende il nome dall’acquedotto fatto costruire dall’imperatore Alessandro Severo,  si è sviluppato a partire da un nucleo originario conosciuto come Quarticciolo, una borgata costruita al quarto miglio della Via Prenestina, proprio lì dove sorgeva una grande tenuta agricola di proprietà della famiglia Santini, durante gli anni trenta e quaranta del Novecento, per accogliervi soprattutto gli immigrati del sud d’Italia che in quel periodo venivano a cercare lavoro a Roma e gli sfollati delle zone del centro città interessati dai vari sventramenti urbanistici che furono attuati durante il Ventennio per la realizzazione delle vie imperiali.

Il Quarticciolo fu realizzato con criteri di architettura razionalista – gli stessi utilizzati per l’edificazione delle nuove città dell’Agro pontino – con vie lineari, edifici a quadrilateri compresi in giardini, la piazza rettangolare, con la chiesa, polo di attrazione del complesso.

Questa stessa struttura si può vedere ancora oggi, nonostante i grossi cambiamenti esteriori ed un certo degrado, causato dallo sviluppo della metropoli e dalla urbanizzazione massiccia della zona.

Il Quarticciolo, negli anni della occupazione nazista, della resistenza romana e del dopoguerra, ospitò una delle figure più note e controverse della storia recente della città: quella di Giuseppe Albano, un partigiano nato in provincia di Reggio Calabria, giunto a Roma con la sua famiglia all’età di dieci anni, nel 1936, divenuto noto per tutti con il soprannome di Gobbo del Quarticciolo:  a capo di una banda di piccoli malfattori, a partire dagli anni Quaranta, Giuseppe Albano si rese protagonista di una serie di episodi e imprese che lo fecero identificare, agli occhi della popolazione di allora, come una sorta di Robin Hood, le cui finalità erano quelle in primis di combattere gli odiati invasori tedeschi e poi quella di punire gli italiani che approfittando della situazione avevano, in tempo di guerra, malversato i loro concittadini, con il mercato nero e l’usura.

Le avventure di Giuseppe Albano e della sua banda divennero così note in quegli anni che anni dopo, nel 1960, il regista Carlo Lizzani, recentemente scomparso, pensò bene di realizzarvi un film, cui prese parte, tra i vari protagonisti, anche Pier Paolo Pasolini.

Il Quarticciolo, con le sue vie nascoste, con i suoi sentieri che sbucavano nell’aperta campagna, divenne per Albano, una sorta di Quartier Generale. All’età di sedici anni cominciò a mostrare le sue doti di coraggio nelle lotte partigiane che si svolsero dopo l’8 settembre nella zona di Porta San Paolo.

Seguirono numerose azioni di sabotaggio ai danni delle truppe naziste compiute insieme ad una piccola banda, che rispondeva principalmente agli ordini di un altro partigiano, Franco Napoli, detto Felice Se Napoli era la mente, Albano era però il braccio: in breve tempo tutta Roma cominciò a parlare delle sue imprese, che rinfrancavano il popolo soggiogato dalla occupazione tedesca.  Riusciva sempre a farla franca, dopo ogni azione di sabotaggio, durante la quale veniva ucciso uno o più soldati nemici, o veniva fatta saltare in aria una garitta o un mezzo blindato.   Albano appariva e scompariva senza lasciare traccia, nonostante la sua evidente malformazione dovesse rendergli più facile l’essere identificato dai nemici.  Eppure l’efficiente polizia tedesca non riusciva a catturarlo.  I primi mesi del 1944 registrarono una vera e propria escalation di azioni della banda del Gobbo del Quarticciolo. Centocelle e Quarticciolo, le borgate dove Albano e i suoi si nascondevano, divennero zona off-limits da parte dei nazisti che avevano timore ad entrarvi per la paura di imboscate.  Fu perfino emanato un ordine di arresto che riguardava tutti i gobbi di Roma.  E lo stesso Albano fu preso, al seguito di un sanguinoso episodio accaduto il lunedì di Pasqua del 1944, quando in una osteria del Quadraro furono uccisi a sangue freddo tre soldati tedeschi.  Herbert Kappler, al comando delle truppe di occupazione, decise che si era passato il segno e fece rastrellare Quadraro e Quarticciolo.  Albano fu preso tra gli altri, ma incredibilmente riuscì a farla franca anche stavolta, e poco dopo fu liberato.

Terminata la guerra,  Albano non rinunciò al suo ruolo di vendicatore. Con l’arrivo degli alleati, il Gobbo fu assoldato dalla questura per rintracciare i responsabili delle torture di Via Tasso. Albano andò oltre il compito che gli era stato assegnato, mettendosi personalmente alla ricerca di tutti quelli che si erano resi colpevoli, negli anni dell’occupazione di usura e borsa nera. 

Per mettere fine alle scorribande del Gobbo fu organizzata una vera e propria operazione militare che riguardò il Quarticciolo. Albano riuscì in un primo momento a fuggire,  ma poco tempo dopo, il 16 gennaio del 1945, fu rintracciato e ucciso in una casa del quartiere Prati, in Via Fornovo 12, dopo uno scontro a fuoco con i carabinieri.  Albano non aveva ancora compiuto vent’anni.

Le circostanze della sua morte non furono mai chiarite del tutto: sono state ipotizzate trame più o meno oscure e soprattutto un regolamento di conti tra diverse bande di partigiani, una delle quali sarebbe stata strumentalizzata dai servizi segreti di allora, per creare destabilizzazione e favorire il ritorno della  monarchia.

Resta il fatto che dopo la morte del Gobbo, anche il resto della banda fu presto sgominato con un’altra operazione militare concentrata nel Quarticciolo, casa per casa.

Oggi, di tutto questo nel quartiere rimane ben poca cosa. Ma la fama del Gobbo del Quarticciolo è ancora ben viva nell’immaginario popolare.

30/03/21

Il pozzo segreto e il "Mikwe" di Via dell'Atleta a Trastevere

 


Il pozzo segreto e il Mikwe di Via dell’Atleta.


Nel cuore di Trastevere  fu ritrovata ai primi del secolo, durante scavi occasionali, una delle più pregevoli statue dell’antichità. Il cosiddetto Apoxyómenos, l’Atleta che si deterge il sudore, fu infatti rinvenuto nel piccolo Vicolo delle palme, che proprio a causa di quel ritrovamento e a partire da allora prese poi il nome di Vicolo dell'atleta. Unitamente alla statua furono ritrovate anche le statue del Toro frammentario e il Cavallo di bronzo.

L'Atleta che si deterge il sudore è la più famosa copia romana (in marmo pentelico proveniente dall’Attica e attribuibile all'Età Claudia) di un'opera di Lisippo e ritrae un atleta che si pulisce con l'aiuto dello strigile, il raschietto in bronzo che in epoca romana serviva a cospargersi di olio o a detergere la pelle.

Questa magnifica scultura abbelliva un tempo le Terme di Agrippa in Roma, ma non è l’unico segreto custodito da questa minuscola via di Trastevere.

A Via dell’Atleta, infatti – nei sotterranei di quello che è oggi un frequentato ristorante -   si trovano i resti  di una delle più antiche sinagoghe della capitale, forse addirittura la più antica in assoluto, eccezion fatta per quella di Ostia Antica, come è confermato dalla iscrizione in ebraico rinvenuta in una loggetta di questo edificio medievale. 

Nel sottosuolo del locale si trovano le strutture ancora perfettamente integre di un Mikwe, il bagno rituale, la vasca purificatrice, atto fondante di ogni comunità ebraica, confermato anche dalla presenza dell’acqua. Al di sotto dell’edificio infatti scorre un fiume sotterraneo e un antico e profondo pozzo segreto, protetto da una robusta grata in ferro battuto, mostra l’acqua, la stessa acqua che alimentava molti secoli fa – almeno dall’epoca medievale - il Mikwe.

Come si sa, a Roma gli ebrei vivono da oltre venti secoli (la Comunità ebraica romana è la più antica d’Europa), e la prima zona nella quale si insediarono fu proprio il Trans Tiberim, il futuro Trastevere, zona di porto e di commerci.  

Il Ponte Fabricio, che collega Trastevere al quartiere Regola, dall’altra parte del fiume, era chiamato Pons Judaeorum, il ponte degli ebrei.

E la zona con il Mikwe di Via dell’Atleta era frequentata da filosofi, cabalisti, poeti, oltre che da commercianti, prima della istituzione del Ghetto, nell’XI secolo d.C., che fu realizzato invece proprio nel quartiere della Regola, sull’altra sponda del fiume, dove oggi sorge la grande Sinagoga o  Tempio Maggiore che ospita anche il prezioso archivio storico della Comunità.


Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e Segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, Roma, 2013-2017 

07/09/20

Il Pigneto, da set di Pasolini a movida romana



Una scena di Accattone di Pier Paolo Pasolini 
girato in gran parte al quartiere Pigneto


Il Pigneto, da set di Pasolini a movida romana.

Quello che oggi è conosciuto come Pigneto, uno dei quartieri più vivaci e dediti alla vita notturna, riscoperto negli ultimi anni grazie alla proliferazione di locali e ristorantini alla moda era, agli inizi del secolo scorso, come molti quartieri oggi periferia di Roma, per gran parte un latifondo appartenente ad una ricca famiglia romana, i Tavoletti, i quali disponevano di questi sconfinati prati estesi a perdita d'occhio, delimitati da filari di pini mediterranei, alcuni dei quali sono sopravvissuti e visibili in via Fanfulla da Lodi.

Agli inizi degli anni Venti, il Pigneto, come molti altri latifondi, divenne terreno di una rapidissima urbanizzazione,  che popolò di grandi caseggiati questa porzione di territorio tra la via Casilina e la via Prenestina. Da Acuto, un paesino in provincia di Frosinone, Enrico Necci raggiunge il miraggio della capitale nel 1921. Sarà lui ad aprire, tre anni più tardi, il primo bar della zona, che poi prenderà il pomposo nome di "Gelateria Impero". 

Il terreno tufaceo all'epoca, era pieno di cavità che presto cominciarono ad essere usate dai residenti come cantine. E ancora oggi, le grotte dove i bambini giocavano a nascondino, e dove durante la seconda guerra mondiale furono allestiti rifugi antiaereo, sono ancora visitabili (i bombardamenti degli alleati nel 1943, che colpirono soprattutto San Lorenzo, fecero molti danni anche al Pigneto, dove un intero palazzo fu raso al suolo in quella che una volta si chiamava Via Benito Mussolini, e oggi si chiama Via Fortebraccio; e altri furono gravemente danneggiati in Via Fanfulla da Lodi.

A dare notorietà internazionale al quartiere, pensò però, indirettamente, Pier Paolo Pasolini, il quale, nel 1961 riuscì finalmente a realizzare il sogno di girare questo film, estremamente semplice, che voleva raccontare la vita del sottoproletariato di Roma, città dalla quale il poeta friulano era stato adottato, ai tempi in cui insegnava nella scuola media a Ciampino e nei quali cominciò il suo apprendistato nel cinema al seguito dei grandi maestri di allora.

Proprio in Via Fanfulla da Lodi (tutti gli esterni e gli interni del bar nel quale si ritrovano i protagonisti del film furono girati in questa strada) Pasolini ambientò infatti una gran parte di Accattone, che dopo le polemiche suscitate alla sua presentazione al Festival di Venezia del 1961, divenne in breve tempo uno dei film più studiati all’estero,  straordinario affresco di una generazione dimenticata dall'Italia del boom economico, ritratta con crudezza e poesia allo stesso momento.

Diversi documentari furono realizzati in seguito, con le foto di scena di quel film e il backstage pasoliniano, dove sono perfettamente riconoscibili i luoghi, le case del quartiere del Pigneto, che ancora mantiene la memoria di quella epopea memorabile del cinema italiano.


Una foto d'epoca della Gelateria Impero al Pigneto


30/04/19

"La Piccola Londra a Roma" - Un mio video per Idealista.it




Pubblico il video-intervista che ho realizzato - grazie all'invito e alla cortesia di Stefania Giudice - alla cosiddetta Piccola Londra, uno dei quartieri (anche se qui si tratta soltanto di un paio di strade) più curiosi e pieni di fascino di Roma. 



31/01/18

La "Piccola Londra" - un angolo di Roma straniante.




I Romani la chiamano da sempre, affettuosamente, La Piccola Londra,  anche se si tratta di una semplice via (dedicata a Bernardo Celentano, pittore verista napoletano dell'800) - chiusa al traffico - che nel quartiere Flaminio fa però in effetti pensare di essere in una città completamente diversa da quella che vanta 3.000 anni di storia. 

La Piccola Londra è opera di un architetto marchigiano, Quadrio Pirani (nato a Jesi nel 1878), al quale si debbono altri importanti quartieri residenziali dello storico Istituto delle Case Popolari, come quelli all'Ostiense, a San Saba e Testaccio, oltre alle case per gli impiegati statali realizzate in quel periodo tra via Chiana e via Tagliamento. 

Era il periodo in cui l'urbanistica romana si sviluppava attraverso piccoli o grandi quartieri omogenei: la Piccola Londra è del 1910, il Coppedè del 1919, la città-giardino Aniene nel 1920. 

Sulla architettura della Piccola Londra sicuramente influì il fatto che all'epoca il sindaco di Roma fosse Ernesto Nathan, ebreo di origini inglesi, un vero cosmopolita, di convinta fede repubblicana, la cui madre (Sara Levi Nathan) fu amica e finanziatrice di Giuseppe Mazzini. Alla morte della madre, di Mazzini Ernesto Nathan divenne a tutti gli effetti l'erede.  E ottenuta la cittadinanza italiana, fu prima consigliere, poi assessore e infine sindaco della neo-Capitale d'Italia.

Nel quadro del progetto urbanistico di Roma, una città che si andava espandendo con l'arrivo di impiegati e burocrati statali, sicuramente si tenne conto anche della nuova veste cosmopolita della città, che dopo decenni e secoli di emarginazione, tornava ad aprirsi al mondo e al turismo internazionale. 

Nacque così anche la Piccola Londra. poco più di duecento metri di strada, che a Roma non hanno eguali: palazzine liberty, ingressi indipendenti preceduti dai classici sei scalini inglesi, cancelli in ferro battuto, portoncini in legno e lampioni vittoriani. L'ingresso, per chi vuole affacciarsi a visitare questo angolo londinese di Roma, immerso in una invidiabile quiete molto rara nella città, è doppio: o da viale del Vignola, oppure da Via Flaminia al civico 287. 


Fabrizio Falconi