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13/12/12

Prima conosci te stesso.





Molte persone non fanno altro che interrogarsi sul destino: vogliono sapere del futuro, di come e se verrà realizzato il proprio talento, di come e se si riceveranno amore o doni dalla vita. 

Sono sempre alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che sappia divinare, gettare un lume di chiarezza sul proprio destino, sul perché - fondamentalmente - si è venuti al mondo. 

Molti non sono nemmeno coscienti di avere un qualsivoglia talento (non si parla qui di talento solamente creativo, si parla di tutti i talenti della vita, quello per esempio di saper amare, o di essere generosi o di saper comunicare..).   

Eppure ciascuno ne possiede uno, si tratta di conoscerlo. E soprattutto di farlo fruttare come indica anche il racconto evangelico (Mt 25, 14-30)

Ciò che però spesso sfugge è l'esistenza di una premessa importante senza la quale nessun destino (o daimon o vocazione) può mai essere raggiunto o intra-visto.

Si dovrebbe sapere che proprio al di sotto dell'Omphalos del più famoso oracolo dell'antichità, a Delfi, era scritto a chiare lettere: Γνῶθι σεαυτόν, ovvero:  'Conosci te stesso'.

Nessun responso sul futuro, nessuna conferma o smentita mai arriverà a nessuno, se prima non si lavora su se stessi, duramente, se prima non si conosce veramente chi si è.

Questo vale per ogni campo della vita, da quello affettivo a quello delle relazioni umane, del lavoro, della creatività.

Ad un giovane scrittore che ardeva dal desiderio di raccontare, di diventare poeta e narratore e che al medesimo tempo, si sentiva indeciso su cosa scrivere, cosa raccontare, Aleksandr Sergeevič Puškin rispose con una lapidaria sentenza:  prima conosci te stesso. 


Fabrizio Falconi

Foto in testa: Omphalos di Delfi (copia ellenistica-romana dell'originale andato perduto), conservata nel Museo Archeologico di Delfi. 


21/05/09

La Compassione - Il primo valore cristiano.


Sto leggendo un bellissimo saggio di un tedesco, Henning Ritter, dal titolo sottilmente inquietante: ' Sventura Lontana'.

Ritter è uno dei più importanti filosofi tedeschi, oggi.

Si tratta di una serie di riflessioni sulla compassione.

Un tema che apparirebbe oggi, a prima vista, quasi desueto. Eppure di una stringente attualità, specie per noi cristiani.

Compassione, è bene dirlo subito, non vuol dire 'pena' come oggi va di moda pensare : 'ho compassione di qualcuno = mi fa pena'.

Tutt'altro.

Compassione ha radici ben più profonde e deriva direttamente dal latino: cum patire: soffrire insieme.

Soffrire insieme con qualcuno.

Parlando dell'Evgenij Onegin di Puskin, Dostoevskij si fece questa domanda: se un uomo può fondare la propria felicità sulla infelicità altrui.

In che modo placare lo spirito "se dietro a una persona vi è un gesto indegno, privo di compassione, quasi disumano ", che tipo di felicità è mai quella che si basa sull'infelicità altrui ?

Saresti disposto ad essere felice, poniamo il caso, veramente felice a scapito della sofferenza di un povero vecchio, causata (anche per necessità) da te, e sapendo che nessun altro al mondo saprà mai il tuo segreto ?

Dostoevskij allora si figura quello che avrebbe risposto Tatjana, nell'Onegin di Puskin, una pura anima russa, a quella domanda:

" fossi anche la sola a non conoscere la felicità e fosse la mia infelicità incomparabilmente più grande dell'infelicità di quel vecchio uomo, e nessuno, nessuno mio marito venisse a conoscenza del mio sacrificio o lo apprezzasse, ebbene NON VORREI ESSERE FELICE A SPESE DI UN ALTRO. "

Bene.

Ma quanti di noi, nel mondo di oggi condividono il principio, il valore che NESSUNA felicità (anche la più piccola) può essere costruita sull'infelicità (anche la più piccola) di un altro uomo ?

La compassione è proprio l'antidoto a questo principio: io NON posso essere felice, se la mia felicità dipende dall'infelicità altrui, perchè L'INFELICITA' ALTRUI E' LA MIA STESSA INFELICITA'.

Ma già Dostoevskij intravedeva nella MANCANZA di compassione il segno del proprio tempo, nel quale ciascuno rifugge dalla compassione per evitare ulteriori sofferenze personali.

Oggi, potremmo dire, questa sembra essere la regola.

Il mondo sembra dominato dall'interesse. E in nome dell'interesse personale (politico, economico, monetario, sociale, ecc..) la compassione viene sacrificata.

Se posso essere ricco costruendo una fabbrica che produce diossina e rende infelice migliaia di persone, cosa importa ?

Se posso guadagnarmi il posto in ospedale, all'università, al lavoro, a scapito di un altro al quale spetterebbe forse più di me, cosa importa ?

Se posso divertirmi sapendo che il mio divertimento causerà la sofferenza di altre persone, cosa importa ?

Ovviamente la mancanza di compassione non è estinta. Però è gravemente minacciata.

E chi ce l'ha nel sangue, chi ce l'ha professata nel proprio credo religioso, perchè la compassione E' un grande valore cristiano (anzi, forse il principale ?? Ama il prossimo tuo come te stesso..), oggi fa fatica.

Ma non bisogna stancarsi.

Bisogna fare il piccolo, bisogna essere umili, bisogna ascoltare il nostro cuore.

E se lo ascoltiamo davvero sentiamo che lui ci dice sempre la stessa cosa, e cioè che la nostra felicità slegata da quella degli altri non è felicità, e che noi siamo uomini, veramente, solo insieme agli altri uomini.