15/01/23
Poesia della domenica - "Amore e amicizia" di Emily Bronte
Amore è come una rosacanina,
Love is like the wild rose-briar,
05/12/22
Poesia del Lunedì - "Tutto ciò che" di Harold Pinter
All of That
All of that I made
And, making, lied.
And all of that I hid
Pretended dead.
But all of that I hid
Was always said,
But, hidden, spied
On others’ good.
And all of that I led
By nose to bed
And, bedding, said
Of what I did
To all of that that cried
Behind my head
And, crying, died
And is not dead.
(1970)
04/06/22
* La bellissima e infelice Assia Wevill, poetessa, musa e amante di Ted Hughes, il cui destino si intrecciò al suo e a quello di Sylvia Plath.*
21/04/22
"L'uomo è un distruttore": La profezia della "Terra Desolata" di Eliot
16/05/21
Poesia della Domenica: Sonetto 29 di William Shakespeare
Sonetto 29
Talora, venuto in odio alla Fortuna e agli uomini,
io piango solitario sul mio triste abbandono,
e turbo il cielo sordo con le mie grida inani,
e contemplo me stesso, e maledico la sorte,
agognandomi simile a tale più ricco di speranze,
di più belle fattezze, di numerosi amici,
invidiando l’ingegno di questi, il potere di un altro,
di quel che meglio è mio maggiormente scontento;
di quel che più amo maggiormente scontento
ma ecco che in tali pensieri, quasi spregiando me stesso, hai detto
la tua immagine appare, e allora muto stato,
e quale lodola, al romper del giorno, si innalza
dalla terra cupa, lancio inni alle soglie del cielo:
poiché il ricordo del dolce tuo amore porta seco
tali ricchezze, che non vorrei scambiarle con un regno.
14/03/21
Poesia della Domenica: "La piccola stanza" di Raymond Carver
LA PICCOLA STANZA
Ci fu una grande resa dei conti.
Le parole volavano come pietre attraverso le finestre.
Lei urlava e urlava, come l'Angelo del Giudizio.
Poi il sole balzò su di colpo, e un scia
apparve nel cielo del mattino.
Nell'improvviso silenzio, la piccola stanza
divenne stranamente derelitta, mentre lui le asciugava le
lacrime.
Divenne come tutte le altre piccole stanze della terra,
che la luce ha difficoltà a penetrare.
Stanze dove le persone urlano e si offendono l'un l'altra.
E dopo provano dolore, e solitudine.
Incertezza. Bisogno di confortare.
26/02/21
Morti 2 grandi poeti: Lawrence Ferlinghetti e Philippe Jaccottet
Raro caso di poeta, insieme a Rene' Char e Saint-John Perse, ad essere pubblicato ancora in vita nella prestigiosa collezione della Biliothe'que de la Ple'iade, Philippe Jaccottet, morto a 95 anni nella notte tra il 24 e il 25 febbraio, e' stato piu' volte candidato al Premio Nobel.
06/01/21
La statua di Lord Byron a Villa Borghese e una decapitazione a Piazza del Popolo
7. La statua di Lord Byron a Villa Borghese e i fantasmi
Figlio di un padre che non
conobbe mai e di una madre che lo asfissiò, ossessionandolo sia fisicamente che
psicologicamente, George Gordon Noel Byron, più conosciuto come Lord Byron,
nato a Londra nel 1788, divenne come è noto il più celebre poeta dei suoi
tempi. Non solo: la sua vita faticò molto a dividersi dalla sua arte: Byron
anzi fu in un certo senso il vero, perfetto dandy. Chiacchieratissimo da vivo per i suoi
scandali e per le continue eccentricità (come quando si fece rinchiudere nella
Cella del Tasso, a Ferrara o come quando attraversò a nuoto lo stretto dei
Dardanelli), Byron morì nel 1825 in Grecia, a Missolungi, in seguito a una
febbre reumatica contratta a Cefalonia, che degenerò in meningite delirante. E
proprio come accade per le rockstars
di oggi, la sua morte divenne un evento, lasciando inconsolabili fans a lamentarne la dipartita.
Poco tempo dopo la morte,
alcuni amici si misero insieme raccogliendo la somma di mille sterline per
commissionare una statua dello scrittore. Tra i vari scultori pretendenti fu
scelto il danese Bertel Thorvaldsen, il quale si trovava in quel periodo in
Italia.
La scelta non fu casuale: lo
scultore aveva già ritratto Byron vivo nel brevissimo e intenso soggiorno
romano del poeta a Roma, nel suo studio di piazza Barberini, per incarico di
John Cam Hobhouse, che del poeta era compagno di viaggio e studio. Con tanto di
lodi sull’artista da parte dello stesso Byron, il quale l’aveva definito nei
suoi diari «Il migliore dopo Canova, al quale anzi alcuni lo preferiscono».
Il busto, dopo varie
peregrinazioni, era finito a Londra nella sede della casa editrice di John
Murray, e fu dunque utilizzato come modello per la nuova e più grande opera.
La statua fu iniziata dallo
scultore nel 1829 ma Thorvaldsen impiegò molto tempo per completarla poiché,
proprio a causa della fama scandalosa che avvolgeva ancora la figura di Byron, fu
rifiutata da tutte le istituzioni che avrebbero dovuto ospitarla: il British
Museum, la Cattedrale di Saint Paul, l’Abbazia di Westminster e la National
Gallery, trovando finalmente la sua collocazione nel 1834 nella biblioteca del Trinity
College di Cambridge. Thorvaldsen contraddisse, non si sa quanto consciamente,
la volontà di Byron, che in vita, proprio avendo a cuore la promozione della
sua immagine, aveva chiesto agli artisti che lo effigiavano (erano
numerosissimi: il merchandising intorno a Byron aveva prodotto ritratti,
bassorilievi su medaglioni di marmo e perfino anelli con la sua immagine) di
ritrarlo non come un poeta, e cioè con il libro e la penna in mano, ma come un
“uomo d’azione”. Thorvaldsen, invece, raffigurò Byron proprio nella posa
classica dei poeti, seduto su di uno scranno di marmo, con un libro aperto
nella mano sinistra, la penna nella destra, poggiata sul mento.
La statua comunque, dopo le
difficoltà iniziali, ebbe grande successo e vi fu una produzione numerosa di
copie, nel corso degli anni, una in ogni città dove Byron aveva soggiornato:
una fu realizzata anche a Roma, inaugurata nel 1959, e si può ammirare nel cuore
di Villa Borghese, in via della Pineta.
Sul piedistallo della copia
romana, sono incisi brani tratti dal poema di Byron, Childe Harold Pilgrimage,
dedicati all’Italia:
of the world, the home
Of
all Art yields, and Nature can decree,
Even in
thy Fair Italy!
Thou
art the garden desert, what is like to thee?
Thy
very weeds are beautiful, thy waste
More
rich than other climes’ fertility;
Thy
wreck a glory, and thy ruin graced
With an immaculate charm which cannot be defac’d.
Sullo scranno di marmo poi,
dalla parte sinistra sono raffigurati alcuni simboli esoterici: un teschio, un
gufo e due lettere greche, l’alfa e l’omega.
Il perché di questa
simbologia si spiega con l’enorme fascinazione di Byron per il mistero, che a
Roma, in quei ventidue giorni trascorsi nella capitale, aveva trovato terreno
assai fertile.
A Roma Byron arrivò nella
primavera del 1817, interrompendo un gaio soggiorno veneziano, proprio per
realizzare il sogno di vedere da vicino quella città che lo aveva sempre – da
lontano – ammaliato. Un medico infatti prescrisse al poeta di allontanarsi dall’umidità
veneziana, per guarire da un “mal di petto”. Byron non se lo fece ripetere e colse l’occasione
per realizzare il suo sogno, attraversando l’Italia con il suo corteo al
seguito, una carrozza con i sedili reclinabili e una quantità enorme di
bagagli.
Giunto nella capitale, andò
abitare nella centralissima piazza di Spagna, al numero 66. E non aspettò
nemmeno un minuto per cominciare a esplorare la città in sella al suo cavallo.
L’impressione che ne ricavò fu immediata e stordente: «Sono incantato da Roma
come lo sarei da una cappelliera di pizzi», scrisse al suo editore John Murray,
«e di Roma non vi dirò nulla: è indescrivibile. La guida qui vale più di ogni
altro libro. Ho passato tutta la giornata a cavallo…» (3).
Le sue peregrinazioni lo
portarono al Colosseo, al Pantheon, a San Pietro, sul Palatino e perfino fuori
Roma, a Frascati, Albano e Ariccia.
Byron sentì le rovine e i
monumenti come muti testimoni di una tragedia immane, popolati di presenze
ancora vive. Nel Pellegrinaggio di Aroldo
rievoca – come in una visione – l’episodio del gladiatore agonizzante nell’arena:
Stavo tra le mura del Colosseo,
In mezzo ai grandi resti della potente Roma.
Gli alberi che crescevano lungo gli archi spezzati
Oscillavano oscuramente nell’azzurro cupo della notte,
E le stelle splendevano tra gli squarci delle rovine;
Un cane da guardia latrava oltre il Tevere;
E più vicino, dal palazzo dei Cesari, veniva
Il lungo lamento del gufo e, a tratti,
Il canto inquieto di lontane sentinelle
Sorgeva e si smorzava sul vento leggero[U2] .
Un brano talmente straziante
che Stendhal, anche lui in quei giorni di passaggio a Roma, riprende nelle sue Passeggiate Romane, animandolo in una
notte di suggestiva luce lunare. (4)
E nell’arco di quei ventidue
intensissimi giorni, il dandy pallido e fascinoso ebbe modo anche di scoprire
il lato tragico contemporaneo di Roma. In un’altra lettera del 30 maggio di
quell’anno, sempre indirizzata a Murray, Byron descrive minuziosamente l’esecuzione
capitale cui gli accadde di assistere: riguardava tre ladri (erano, come risulta
dal puntiglioso diario di Mastro Titta, il boia: Giovan Francesco Trani, Felice
Rocchi e Felice De Simoni) decapitati nella piazza del Popolo con l’accusa di “omicidi
e grassazioni”. Byron racconta il
macabro spettacolo: i preti con la maschera, i carnefici mezzi nudi, i
criminali bendati, il Cristo nero e il suo stendardo, il patibolo, le truppe,
la lenta processione, il rapido rumore secco e il pesante cadere della lama, lo
schizzare del sangue e l’apparizione spettrale delle teste esposte. Tutto
questo, scrive Byron, «è nel suo insieme più impressionante del volgare rozzo e
sudicio new drop e dell’agonia da cani inflitta alle vittime delle sentenze». (5)
Forse fu proprio l’aver
assistito a questo spettacolo cruento uno dei motivi che spinsero Byron ad
interrompere presto il suo soggiorno a Roma: dopo ventidue giorni e notti di ruderi
e cavalcate, di frequentazioni dell’alta società romana e di soste al Caffè
Greco, il poeta decise di far ritorno al Nord, portandosi dietro i fantasmi di
Roma che ritornarono a farsi vivi nei suoi poemi.
Tratto da: Fabrizio Falconi, Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, Roma, 2015
1. Il primo a parlare di una corrispondenza tra il profilo della
Villa Strohl Fern e l’Isola dei morti di Boecklin fu Gianni Rodari in Quel
pasticciaccio di Villa Strohl-Fern. La bistrattata isola di verde sopra
Piazzale Flaminio, «Paese Sera», 23 settembre 1975.
2. A. Trombadori, Villa
Strohl Fern, «Strenna dei Romanisti», 21 aprile 1982.
3. Vedi G. Scaraffia, Quella Roma di Lord Byron, «Il
Messaggero», 27 luglio 2015.
4. Vedi C. Rendina, Le notti di luna di Byron sospeso sui
misteri di Roma, «la Repubblica», 24 luglio 2007.
5. Vedi C. Rendina, ibidem.
09/08/20
Poesia della Domenica - "Amore dopo amore" di Derek Walcott
AMORE DOPO AMORE
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. È festa: la tua vita è in tavola.
LoVE AFTER LOVE
when, with elation
you will greet yourself arriving
at your own door, in your own mirror
and each will smile at the other’s welcome,
You will love again the stranger who was your self.
Give wine. Give bread. Give back your heart
to itself, to the stranger who has loved you
for another, who knows you by heart.
Take down the love letters from the bookshelf,
peel your own image from the mirror.
Sit. Feast on your life.
15/11/19
Libro del Giorno: "Bye Bye Blackbird" di Moniza Alvi
17/03/19
Poesia della Domenica: "Tenendo le cose assieme" di Mark Strand.
Tenendo le cose assieme
In un campo
io sono l'assenza
di campo.
Questo è
sempre opportuno.
Dovunque sono
io sono ciò che manca.
divido l'aria
e sempre
l'aria si fa avanti
per riempire gli spazi
che il mio corpo occupava.
per muoverci
io mi muovo
per tenere assieme le cose.
11/11/18
Poesia della Domenica - Sonetto n.40 di Shakespeare. "Prendi ogni mio amore, amor mio".
40.
Prendi ogni mio amore, amor mio, sì, prendili tutti:
cos’altro avrai di più di quanto avevi prima?
Nessun amore, amor mio, che tu possa chiamar sincero;
ogni mio era già tuo prima che tu avessi questo.
Se quindi per amor mio, l’amor mio accogli,
non posso rimproverarti di come te ne servi;
ma biasimato sii se invece tu m’inganni
per capriccioso gusto di quel che tu disprezzi.
Ladro gentile, io ti perdono il furto
anche se mi spogli del poco che possiedo;
eppure amore sa che è maggior dolore
soffrir d’amor l’inganno che d’odio la ferita.
Grazia lasciva, che nell’amor detergi il male,
osteggiami come vuoi, ma non diventiam nemici.
Take all my loves, my love, yea, take them all;
What hast thou then more than thou hadst before?
No love, my love, that thou mayst true love call;
All mine was thine before thou hadst this more.
Then if for my love thou my love receivest,
I cannot blame thee for my love thou usest;
But yet be blamed, if thou thyself deceivest
By wilful taste of what thyself refusest.
I do forgive thy robbery, gentle thief,
Although thou steal thee all my poverty;
And yet, love knows, it is a greater grief
To bear love’s wrong than hate’s known injury.
Lascivious grace, in whom all ill well shows,
Kill me with spites; yet we must not be foes.
William Shakespeare
28/10/18
Poesia della Domenica - "Canzone d'amore" di Ted Hughes.
e i suoi baci le succhiavano via l’intero passato e futuro o così tentavano
lui non aveva altro appetito
lei lo mordeva lei lo morsicava lei suggeva
lo voleva completamente dentro di sé
sano e salvo per sempre e poi sempre
le loro piccole urla svolazzavano nelle tende
gli occhi di lei volevano che nulla si perdesse
gli sguardi di lei gli inchiodavano polsi mani gomiti
lui la avvinghiava stretta così che la vita
non la trascinasse via da quel momento
lui voleva che tutto il futuro cessasse
lui voleva buttarsi con le sue braccia intorno a lei
dall’orlo di quel momento e nel nulla
o durevole o quel che ci fosse
l’abbraccio di lei era un torchio immenso
a stamparselo nelle sue ossa
i sorrisi di lui erano soffitte d’un palazzo incantato
ove non vi giungerebbe mai il mondo reale
i sorrisi di lei erano morsi di ragno
così lui giacerebbe immoto fino a che lei non si sentisse affamata
le parole di lui erano esercizi d’occupazione
le risate di lei erano tentativi d’assassino
gli sguardi di lui erano proiettili pugnali di vendetta
le occhiate di lei erano spettri nell’angolo con orribili segreti
i sussurri di lui erano fruste e stivali
i baci di lei erano avvocati che non smettevano di scrivere
le carezze di lui erano gli ultimi ami di un naufrago
i trucchi d’amore di lei erano frantumazione di legami
e i loro gemiti profondi strisciavano sul pavimento
un animale trascinante una grossa trappola
le promesse di lui erano il bavaglio del chirurgo
le promesse di lei scoperchiavano il teschio
lei se ne farebbe fare una spilla
i giuramenti di lei gli mettevano gli occhi in formalina
sul fondo del suo cassetto segreto
le loro urla si appiccicavano alla parete
d’un melone spaccato, ma è duro da smettere l’amore
nei loro sogni i loro cervelli prendevano l’un l’altro a ostaggio
His kisses sucked out her whole past and future or tried to
He had no other appetite
She bit him she gnawed him she sucked
She wanted him complete inside her
Safe and sure forever ad ever
Their little cries fluttered into the curtains
Her eyes wanted nothing to get away
Her looks nailed down his hands his wrists his elbows
He gripped her hard so that life
Should not drag her from that moment
He wanted all future to cease
He wanted to topple with his arms round her
Off that moment’s brink and into nothing
Or everlasting or whatever there was
Her embrace was an immense press
To print him into her bones
His smiles were the garrets of a fairy palace
Where the real world would never come
Her smiles were spider bites
So he would lie still till she felt hungry
His words were occupying armies
Her laughs were an assassin’s attempts
His looks were bullets daggers of revenge
Her glances were ghosts in the corner with horrible secrets
His whispers were whips and jackboots
Her kisses were lawyers steadily writing
His caresses were the last hooks of a castaway
Her love-tricks were the grinding of locks
And their deep cries crawled over the floors
Like an animal dragging a great trap
His promises were the surgeon’s gag
Her promises took the top off his skull
She would get a brooch made of it
His vows pulled out all her sinews
He showed her how to make a love-knot
Her vows put his eyes in formalin
At the back of her secret drawer
Their screams stuck in the wall
Of a lopped melon, but love is hard to stop
In their dreams their brains took each other hostage