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14/03/20

Covid-19: L'inattività come prova collettiva



Costretti all'inattività. Questo cui stiamo partecipando - con la pandemia da Covid-19 - è un interessante (oltre che angoscioso) - e inedito - esperimento sociale collettivo

Blaise Pascal in uno dei suoi famosi Pensieri, scriveva impietosamente che "Tutta l'infelicità dell'uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo." 

Ora siamo costretti obtorto collo, a farlo, come non era mai stato fatto prima, almeno qui. 

Certo, non è la solitudine invocata da Pascal. 

La solitudine obbligata e ritirata del Covid-19 è attenuata parecchio dall'onnipresente schermo dello smartphone, che consola, accompagna, fa viaggiare virtualmente ovunque, intrattiene, diverte, riempie gli spazi, non lascia mai soli, proibisce di annoiarsi, esaudisce ogni desiderio e soprattutto come scriveva Pascal proibisce di starsene nella propria stanza da solo.

Perché come sappiamo, chi è dotato di quella protesi - TUTTI - ormai non è mai VERAMENTE solo. 

E però stavolta, la prova è assai interessante. Perché la versatilità infinita del nostro apparato tecnologico potrebbe - alla lunga - non bastare

Cominciamo ad avvertire, avvertiamo la nostalgia della non virtualità, del contatto soprattutto. Il famoso contatto umano. 

Che abbiamo dato per scontato, ma non lo è.

L'inattività obbligata, alla lunga ci trasformerebbe tutti come gli omini obesi nell'astronave di Wall-E, che vivono mangiando e guardando uno schermo. Non sembra una prospettiva allettante.

Fabrizio Falconi
marzo - 2020 


04/03/14

Human Dystopia - La profezia di Wall-E


                 

La profezia si è già avverata.

Sotto forma di innocuo cartone (meraviglioso, spettacolare), Wall-E, rilasciato nel 2008, la Pixar, in collaborazione con la Disney, ci ha raccontato tutto della nostra distopia, ovvero della nostra utopia umana al contrario. 

Il pianeta è sommerso dai rifiuti, come profetizzato da Wall-E soltanto 6 anni fa. E come profetizzato da Wall-E una grande parte degli uomini di questo pianeta (che il film immaginava già in fuga, a bordo di una moderna Arca, in viaggio nell'Universo alla ricerca di un altro pianeta abitabile), vive ormai con uno schermo incollato agli occhi. 

Non era esattamente il sogno - o l'utopia - che avevamo immaginato.  Ritenevamo che l'uomo, l'essere umano, nel suo cammino evolutivo - che immaginavamo infinito - avrebbe continuato a riempire di sé, cioè di umano, il mondo. 

Qualcuno vagheggiava un ritorno dell'uomo alle origini, alle sue propensioni, alla sua natura. 
Lì, si diceva, c'è il nostro nucleo vero, quello che ci salverà. 

Ma invece la téchne, la tecnica si è impadronita di tutto e anche dei nostri occhi e dunque anche della nostra anima. Se è vero quello che ritenevano i padri, e cioè che tutto quello che passa attraverso gli occhi viene o va direttamente alla nostra anima. 

Saremo davvero come questi pupazzoni ovoidali di Wall-E, incapaci di concepire e concentrarsi su qualcosa che diverga dalla inquadratura, dalla cornice di un supporto ? Per quanto minimo esso sia, anche un paio di occhiali, la nostra visuale si restringe, si sta restringendo, si restringerà sempre di più. 

E ci accorgeremo di un mondo più grande (il nostro ambiente sociale, terrestre e cosmico, dal quale pro-veniamo, dal quale siamo pro-venuti) solo quando un folle automa verrà a sbriciolare l'algido schermo che ci illude di vedere.


Fabrizio Falconi ©