Visualizzazione post con etichetta pietà di michelangelo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta pietà di michelangelo. Mostra tutti i post

12/02/18

Quella volta (L'unica) che la Pietà di Michelangelo lasciò Roma e il Vaticano e attraversò l'Oceano. 1964.



Questa foto documenta un fatto storico di cui si è persa memoria. E' una delle fotografie scattate in occasione dell'unica trasferta effettuata dalla Pietà di Michelangelo in tutta la sua storia. Lontano da Roma, lontano dal Vaticano. 

Avvenne nell'ormai lontano 1964.  Nella occasione della grande Esposizione Universale di New York di quell'anno. 

L'idea di omaggiare New York e l'America di un prestito così straordinario era venuta a Papa Giovanni XXIII.  Ma Papa Roncalli morì un anno prima dell’inaugurazione dell’Esposizione e non poté vedere la sublime statua nella sua collocazione americana

L'opera fu portata a compimento dal suo successore Papa Paolo VI. E così fu che nell’aprile del 1964, dalla sua Cappella in San Pietro l’opera parte alla volta degli Stati Uniti. Esperti di varie tecniche sono stati chiamati a raccolta in Basilica: si trattava di far scendere la statua a livello pavimentale, imballarla per affrontare un lungo viaggio in nave, far scendere la cassa a livello della piazza S. Pietro, caricarla prima su un camion poi sulla nave Cristoforo Colombo che dal porto di Napoli l’avrebbe portata a New York. 

E la foto qui sopra ritrae proprio il Container contenente il capolavoro di Michelangelo in attesa di essere imbarcata, al Porto di Napoli. Come si vede, sull'esterno, la targa porta la iscrizione: PIETA' - from his Holiness Pope Paul VI to His Eminence Francis Cardinal Spellman, il vescovo di New York. 


L'imballaggio in Vaticano era stato minuziosamente completato con ogni accortezza, come si vede da questa foto.  E la cassa contenente l'opera era stata riempita di poliuretano espanso, per evitare al gruppo marmoreo ogni possibile scossone, durante il trasporto, come si vede dalla foto successiva, in cui si vede il capo della Madonna affiorare dal poliuretano. 


Un solo sbaglio poteva avere conseguenze disastrose. Non si potevano correre rischi. Per questo il Vaticano si era affidato ai migliori: a persone di esperienza e fiducia, professionisti di massimo livello. Tra questi, i Minguzzi, specialisti nel trasporto delle opere d’arte che da generazioni effettuavano spostamenti di capolavori colossali, da obelischi a gruppi equestri, a basamenti di colonne monumentali ad intere collezioni di musei.

La Pietà venne dunque caricata a bordo della motonave Cristoforo Colombo con un sofisticato meccanismo che - nel caso in cui la nave fosse colata a picco - avrebbe consentito alla cassa verniciata di arancione contenente la Pietà Vaticana di sganciarsi in maniera autonoma mediante un complesso sistema di cavi d’acciaio, emergendo a pelo dell’acqua con boe luminose, per essere facilmente individuata dagli aerei.  Il viaggio durò 8 giorni fra la traversata oceanica e la risalita del fiume Hudson e subito esposta al Padiglione Vaticano dell'Expo.




In sei mesi fu vista da più di 27 milioni di persone. Il 4 ottobre 1965 Paolo VI, primo papa a metter piede sul suolo americano e ad aver parlato lo stesso giorno alle Nazioni Unite, fece visita al padiglione nel quale erano esposta la Pietà e riprodotti gli scavi della tomba di san Pietro.

Nel suo discorso alla fiera di New York il Pontefice ricordò le convinzioni religiose che spinsero Michelangelo a quelle vette artistiche, aggiungendo: «We feel that these same religious convictions can move men in a similar way to seek peace and harmony among the peoples of this world».


Le stesse apprensioni accompagnarono il viaggio di ritorno che però, per fortuna, andò bene come quello dell'andata.  Alla fine però le autorità vaticane decisero che quello sarebbe stato il primo e ultimo viaggio della Pietà: troppi rischi, troppi patemi. 

Sbarcato a Napoli, il capolavoro di Michelangelo fece ritorno in Vaticano a bordo di un camion della Gondrand in un giorno di dicembre. E sicuramente anche i romani, allora, tirarono un sospiro di sollievo. 




Fonte Raffaella Cortese per Raiexpo

19/03/17

Perché il Cristo della Pietà scolpito da Michelangelo ha un dente in più ? Una scoperta inquietante che ha una risposta.




C'e' qualcosa che forse gli appassionati di arte non hanno notato guardando la Pieta' di Michelangelo, custodita nella Basilica di San Pietro a Roma

Un dettaglio per certi versi impercettibile ma intrigante. La presenza, nel volto del Cristo, di un dente in piu', il quinto incisivo centrale, che all'epoca veniva considerato il 'dente del peccato', il 'dente bastardo', ma in realta' dal punto di vista odontoiatrico ha un nome ben preciso: mediodens (presenza di denti in sovrannumero).

Perche' il Cristo viene scolpito con un incisivo in piu'? 

Sappiamo che Michelangelo non faceva mai nulla di casuale

La ragione e' che cosi' sembra assumere, prendere su di se',tutti i peccati del mondo

A evidenziarlo lo storico dell'arte Marco Bussagli, dell'Accademia di Belle Arti di Roma, in una lettura inaugurale al XVIII Congresso Internazionale su Parodontologia e Salute Orale a Rimini della SIdp (Societa' italiana di parodontologia e implantologia)

"L'idea del quinto incisivo come dente del peccato in realta' e' precedente a Michelangelo, l'esempio piu' antico e' la Pieta' di Lorenzo Salimbeni - evidenzia lo storico, che per primo ha identificato questo dettaglio dedicando al tema diversi testi, l'ultimo dei quali nel 2014 - oltre a Michelangelo, che lo utilizzo' pure in alcuni volti del Giudizio Universale, compare anche in Botticelli, nel Demonio delle illustrazioni della Divina Commedia". 

 Anche la bellissima Cleopatra di casa Buonarroti ne possiede uno, perche' considerata 'lussuriosa'. 


particolare della Bocca socchiusa del Cristo scolpito da Michelangelo con indicato il quinto incisivo.

10/05/16

La bellezza è fragile (di Fabrizio Falconi).



Ieri sera passavo con la macchina per i Lungotevere. La luce declinava, la radio trasmetteva Billie Holliday, e all'altezza della Mole di Adriano, mi sono accorto che diversi alberi - i meravigliosi platani del Lungotevere - erano stati sfregiati con uno spray bianco.  Un grande simbolo insensato (di qualche gruppo neofascista o non so cosa) era vistosamente verniciato in bianco sui tronchi dei grandi alberi. 

Riflettevo quanto è fragile la bellezza. 

Riflettevo quanto tempo ci hanno messo quei meravigliosi platani a crescere, dalle nuda fondamenta di terra degli argini, a elevarsi maestosi, con chiome abbondantissime e fluenti: forse cento, forse più di cento anni.  La corteccia maculata, di senape e verde bruno, è il frutto del passaggio del tempo eterno, di mille stagioni che hanno forgiato il tronco lentamente, pazientemente. 

Il gesto del demente di turno invece, deve essere stato molto rapido. Soltanto qualche secondo per sfregiare un tronco.  E poi, come si fa a pulire ? Non si può coprire la vernice con altra vernice, non si può scrostare la superficie, perché si farebbe ancor più male all'albero.  Bisognerà aspettare il tempo necessario perché i grandi alberi facciano la loro muta, e lascino cadere in terra la corteccia verniciata. 

E' per questo che la bellezza è così rara. 

La bruttezza ha tempi rapidissimi. Il gesto di Laszlo Toth col suo martello addosso alla Pietà di Michelangelo, sarà durato solo pochi istanti.  Ma quanto tempo, quanti giorni, quante notti, quanti sforzi il divino scultore ha dovuto investire per il raggiungimento di una così compiuta bellezza ?

Brodskij scrive che la bellezza è l'eccezione alla regola. E ha ragione.  La regola non è la bellezza. La regola è la bruttezza. E proprio perché la bellezza è così rara, che è anche fragile, del tutto in balia dell'evento, dell'umore, dell'insensatezza, del caos.  La bellezza chiede (o chiederebbe) soltanto di essere conservata, preservata.  Ma l'uomo NON è la bellezza.  L'uomo è capace di bellezza, anche nei suoi rapporti, nella costruzione della sua vita, nei gesti che compie, in quello che dona, in quello che crea.   

Ma l'insidia della bruttezza è dentro l'uomo, sempre.  Anzi, l'uomo ha portato (anche) la sua bruttezza nella creazione, l'ha portata e sparsa a piene mani.  L'incongruo è l'essere incapaci di preservare e conservare la bellezza.  L'incongruo è lasciarla sfiorire, appassire. L'incongruo è deturparla con un solo gesto vendicativo, dell'uomo che non può arrivare alla Luna e che per questo, insensatamente, è fortemente tentato sempre di distruggerla, di abbatterla, di tirarla giù dal cielo. 

Fabrizio Falconi 
(C) riproduzione riservata 2016

21/05/13

40 anni fa il restauro 'miracoloso' della Pietà di Michelangelo.






Un restauro esemplare, ancora oggi in ottime condizioni, quello che 40 anni fa restitui' all'originario splendore il gruppo marmoreo della Pieta' di Michelangelo dopo le 12 martellate inferte il 21 maggio 1972 dal geologo australiano di origini ungheresi Laszlo Toth sul volto e sul busto della Vergine.

A consentire (in soli sei mesi) il recupero almeno formale del capolavoro giovanile del Buonarroti contribui' senza dubbio l'esistenza di un calco in gesso, fatto auspicabile per tutte le opere d'arte a rischio di gesti vandalici e che al giorno d'oggi puo' essere sostituito dalla messa a punto di piu' economici modelli virtuali in 3D. 

A discuterne, un convegno dal titolo 'La Pieta' di San Pietro, in memoria del 21 maggio 1972. Storia di un restauro', che nell'anniversario della vicenda che sconvolse il mondo intero ha riunito ai Musei Vaticani gli esperti che a suo tempo si occuparono del caso e le nuove generazioni di studiosi per proporre ulteriori strategie per mirati interventi di recupero. 

Prima di tutto, pero', l'incontro presieduto dal direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci ha voluto indagare ancora una volta la magia sprigionata da quel marmo che sotto lo scalpello di Michelangelo si e' fatto carne. 

"Miracolo di suprema bravura", tanto da volerla firmare, la Pieta' del Buonarroti, ha detto Paolucci, vede nella sua straordinaria "finitezza formale il carattere distintivo dell'opera, la ragione del suo fascino". 

Proprio questa caratteristica ha imposto, dopo la devastazione inflitta dalle martellate di Toth (spezzato il braccio di Maria, la mano, le dita, parte del velo, l'occhio sinistro, il naso), di contravvenire a principi consacrati del restauro e optare per un intervento integrale invece che critico.

"Lo stesso Cesare Brandi la pensava cosi' - ha proseguito Paolucci - in qualsiasi altra scultura la visibilità della lesione, ancorché dolorosa, sarebbe stata tollerabile", ma il capolavoro firmato nel 1499 da un Michelangelo appena ventiquattrenne era da secoli una "figura base della devozione popolare". 

Grazie a una copia in gesso dell'opera realizzata nel 1930 e conservata nella Sagrestia della basilica, i restauratori dei Musei Vaticani e della Fabbrica di San Pietro poterono puntare "alla restituzione perfettamente mimetica dell'immagine violata". 

Sei mesi di lavori, raccontati nel documentario del regista Brando Giordani (co-produzione dei servizi culturali Rai e della Ds Cinematografica, oggi in versione Hd) riproposto in apertura del convegno, in cui vennero recuperati i circa 50 frammenti, realizzato un mastice trasparente, ripulito il marmo, colmate tutte le lacune con precisione millimetrica. 

"Attualmente il restauro sta bene, e' duraturo - dice Nazareno Gabrielli dei Musei Vaticani - nella forma ora tutto cio' che vediamo e' Michelangelo. Quel calco fu provvidenziale". "Oggi non avremmo potuto fare di meglio", conclude Ulderico Santamaria, nuova generazione di restauratori che ipotizza una 'Gipsoteca virtuale', dove la tecnologia tridimensionale sostituisca il calco in gesso.

fonte ANSA - Nicoletta Castagni.