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04/05/18

Il Libro del Giorno: "La taverna del Doge Loredan" di Alberto Ongaro.



Morto poche settimane fa a Venezia (il 23 marzo scorso) la città dove era nato e dove ha quasi sempre vissuto, Alberto Ongaro pubblicò questo romanzo nel lontano 1980, che è divenuto negli anni un piccolo best-seller italiano, caldeggiato da lettori e recensori che - esagerando non poco - lo hanno definito uno dei migliori romanzi degli ultimi decenni in Italia. 

Ongaro amava l'avventura e i viaggi e la sua stessa vita ha obbedito a questa passione, dai tempi lontani in cui fu incarcerato per attività antifascista, durante la guerra, fino all'amicizia strettissima con Hugo Pratt che lo portò - oltre che a divenire uno degli sceneggiatori delle sue novelle grafiche - a intraprendere lunghi viaggi con lui in Sudamerica, firmando lunghe corrispondenze per l'Europeo. 

Dal 1979, tornato a Venezia, si dedicò esclusivamente alla sua attività di scrittore, e i suoi romanzi, pieni di storie di avventure e intrecci storici hanno conquistato un seguito considerevole. 

Anche la Taverna del Doge Loredan non sfugge al mix di ingredienti amato da Ongaro.  Perlopiù con il pretesto - a far da supporto alla storia - del ritrovamento di un misterioso libro, che diventa pagina dopo pagina il protagonista della storia.

Si susseguono fino alla fine del romanzo dunque i due piani narrativi, uno riferito all'oggi che riguarda l'editore e tipografo Schultz che vive in una vecchia casa veneziana ed è anche un ex capitano di marina mercantile e del suo misterioso alter ego Paso Doble che interloquisce con lui, rivangando storie di amori passati e di viaggi in treno; l'altro, quello raccontato nel libro ritrovato, riguardante una storia ambientata nella Londra di due secoli fa, che ha per protagonista un giovane aristocratico Jacob Flint, alle prese con la bellissima e disinibita Nina e con l'amante di lei, Terry Fielding, capo della malavita inglese. 

E' perfino ovvio che le due storie si intreccino con riferimenti che vanno dall'una all'altra in continuazione, fino ad un rocambolesco finale. 

Non v'è dubbio che Ongaro sia abile nel concertare una avventura picaresca e dai toni libertini, ma il romanzo non è mai seriamente avvincente, perché la qualità della scrittura è di grana ordinaria, sembrando più adatta a far da testo ad una storia a fumetti, seppure nobili, come quelle che disegnava il grande Hugo Pratt. 

Sembra più che altro di leggere parodia - nemmeno ben riuscita - di vera letteratura. Tutto ha un suono posticcio, come i nomi dei protagonisti, come le avventure fasulle, come i dialoghi scontati, come il ritmo che da un passaggio all'altro delle due storie non riesce mai a farsi vera letteratura, vera narrativa.