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26/05/18

ll Libro del Giorno: "Marx" di Mario Cingoli.



Nell'anno del bicentenario della nascita di Karl Marx (1818-2018), il prezioso volume curato dal filosofo Mario Cingoli (Ascoli Piceno, 1943), nella collana Grandangolo curata da Armando Torno ripercorre biografia e opere del pensatore di Trier, che più di ogni altro ha forse influenzato la vita politica mondiale del Novecento. 

Come scrive Peter Sloterdijk, il problema di Marx è stato sempre quella di una dominazione degli interpreti sui testi, "una dittatura ermeneutica moderata dalla burocrazia", cosicché è forse oggi propizio - dopo che sono cadute molte delle grandi ideologie al cui pensiero si erano ispirate - ritornare all'origine, alla pregnanza dei testi, dell'immensa mole prodotta dall'uomo che volle rivoluzionare il concetto stesso di filosofia, sradicandola dal pensiero astratto e immergendola nella prassi. 

La vita colma di peripezie, di dolori, sofferenze e crisi di indigenza, le difficoltà di riuscire a farsi ascoltare, il ruolo decisivo svolto da Friedrich Engels, senza il quale sarebbe praticamente forse esistito il sistema filosofico elaborato da Marx, la derivazione da Hegel, il capitalismo medievale della Germania, la rivoluzione industriale inglese, i moti europei del 1848, il ruolo che tutto questo ha avuto nel pensiero di Marx che - come scrive Cingoli - dato irrimediabilmente come sepolto, riemerge ciclicamente come un fiume carsico e mostra ancora una forte attualità

Dai manoscritti economico-filosofici del 1844 alla concezione materialistica della storia, alla elaborazione delle linee guida del suo pensiero: Il valore delle merci, La teoria del salario, a quella del Plusvalore, al saggio del profitto; quello di Marx è un pensiero magmatico, di non facile lettura - per questo fu decisivo l'apporto di Engels - ma di incredibile profondità, nel quale emergono anche lucide profezie sul mondo a venire, il mondo moderno, dalla globalizzazione alla crisi delle economie mondiali, allo sfruttamento dei lavoratori più poveri, sempre più marginalizzati. 

 Un saggio ben scritto, veloce, ma tutt'altro che banale. 



15/12/15

Società schiumosa, "siamo sfere che esplodono e implodono". Intervista a Peter Sloterdijk di Donatella di Cesare.






Vorrei iniziare il nostro dialogo dal tema del terrore. Ho letto in questo periodo commenti che mi sono parsi dettati da una forte reazione emotiva. Come se il clima bellico influisse anche sui media. In diverse circostanze lei ha detto che il terrore moderno ha una lunga storia e risale almeno alla rivoluzione francese e all’uso della ghigliottina. Il terrore è inscritto nella democrazia? 

PETER SLOTERDIJK — Certamente. Democrazia vuol dire non avere più bisogno del terrore. Qui parla l’hegeliano che è in me: il terrore è uno stadio inaggirabile nel cammino verso lo Stato moderno. Bisogna avere attraversato il terrore per aprirsi alla democrazia. Ma proprio per questo il terrore resta un aspetto della politica nella modernità. 

DONATELLA DI CESARE — Ritengo però che il terrorismo attuale sia un fenomeno postmoderno. Sbaglia chi usa con una certa facilità l’etichetta «barbarie», perché questo impedisce di considerarne la complessità. E credo che sia anche una grossolana semplificazione interpretare quel che avviene come il conflitto tra la religione (o le religioni) da un canto e la democrazia illuminata dall’altro. 

PETER SLOTERDIJK — Non vorrei fare dell’islamismo una ideologia. Pur essendo un critico della religione, vedo qui un abuso della religione che, ridotta a un legame costrittivo, viene piegata a fini politici, primo fra tutti quello di costituire una comunità. 

DONATELLA DI CESARE — A questo proposito credo che il presunto «Stato islamico» sia anche una disposizione d’animo molto diffusa non solo in Medio Oriente, ma nelle periferie delle metropoli occidentali. 

PETER SLOTERDIJK — I terroristi sono per me attivisti del «terzo sogno», del sogno islamico che si oppone a quello americano. Ecco perché sono postmoderni: da un canto abitano nella realtà virtuale del XXI secolo, dall’altro fuggono nel passato del VII secolo. Mentre usano internet, attraversano il deserto — la testa piena di miti e sogni. E a questa paranoia favolistica ed eroica convertono molti giovani

DONATELLA DI CESARE — Che cosa li spinge a farsi esplodere? Non mi convince l’idea che — come alcuni hanno insinuato — abbiano un concetto di vita diverso dal «nostro». Ho l’impressione che ci sia un tratto apocalittico nella loro decisione di dare e darsi la morte.

PETER SLOTERDIJK — Direi che sono acceleratori dell’incendio. Per capire l’esito nichilistico delle enormi frustrazioni accumulate da questi giovani, occorre rileggere le analisi di Nietzsche e di Schiller sul risentimento. Parlerei di una fenomenologia della umiliazione. È grazie a un contatto più o meno superficiale con l’ideologia jihadista che una enorme riserva di sentimenti negativi assume una direzione politica. La criminalità spicciola assurge ad azione bellica. Il piccolo delinquente — e nessuno di questi giovani vuole esserlo, sebbene molti di loro purtroppo lo siano — si muta allora in combattente. 

DONATELLA DI CESARE — Ecco allora il loro riscatto, la loro redenzione. 

PETER SLOTERDIJK — Sì, vengono riscattati dalla guerra. Qualcosa di analogo è accaduto d’altronde nell’agosto del 1914, quando in migliaia celebrarono l’inizio del conflitto mondiale, pervasi quasi da un’estasi, come se, diventando vittime sacrificali, venissero nobilitati. Questo per me vuol dire che occorre evitare di conferire alla lotta al terrorismo lo statuto di guerra. E vuol dire anche che questa ondata di terrorismo non durerà più di un paio di anni. Il rischio è invece che la democrazia regredisca a non-democrazia

DONATELLA DI CESARE — Non crede allora che ci troviamo all’inizio di una guerra globale dove non esistono più fronti? 

PETER SLOTERDIJK — Certamente. Ma già da decenni siamo in questa mobilitazione totale che volge verso l’incerto, dove tutti combattono contro tutti, e dove — come aveva già detto Karl Jaspers nella sua opera del 1930 La situazione spirituale del tempo — non ci sono più fronti. 

DONATELLA DI CESARE — Convivere con chi è estraneo è la sfida del nostro tempo. 

PETER SLOTERDIJK — Proprio così. Il fenomeno epocale del nostro secolo è l’enorme spostamento di masse che con un termine troppo riduttivo chiamiamo emigrazione. Questo fenomeno non finirà in tempi brevi. 

DONATELLA DI CESARE — Vede come causa di questo fenomeno motivi peculiari oltre, s’intende, le guerre locali, le dittature e la fame? 

PETER SLOTERDIJK — Non dobbiamo sottovalutare la portata enorme del cambiamento climatico. La spogliazione della terra ha assunto proporzioni inimmaginabili. Continuiamo a chiudere gli occhi. Anche i filosofi dovrebbero occuparsi molto di più della questione delle fonti di energia. È una filosofia sociale che non è stata ancora scritta. 


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