Visualizzazione post con etichetta paolo borsellino. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta paolo borsellino. Mostra tutti i post

25/03/22

La famosissima (e commovente) foto di Falcone e Borsellino: chi l'ha scattata? E come nacque?

Falcone e Borsellino nella iconica foto scattata da Tony Gentile 

Anche se non ci vediamo più da qualche anno, conservo un ricordo di stima incondizionata per Tony Gentile, uno dei migliori fotoreporter italiani, in assoluto. 

Ho incrociato Tony per la prima volta molti anni fa nelle lunghe attese come cronista nelle aule dei processi più controversi che si sono tenuti in Italia. Ho apprezzato subito il suo sorriso, le sue parole parche, la pazienza, l'intelligenza che emanava e emana dal suo sguardo. Non eravamo propriamente amici, non avevamo questa confidenza, ma credo che ci stimassimo vicendevolmente e in quelle lunghe ore di attese, condividevamo opinioni, impressioni, idee. Mi sembrava che il suo cognome si adattasse magnificamente alla sua personalità. 

Tony, nato a Parlermo nel '64, ha un curriculum notevole: fotoreporter e giornalista iniziò a fotografare nel 1989 collaborando con l'Agenzia fotografica Sintesi grazie alla quale pubblicò i suoi reportage dalla Sicilia sui maggiori quotidiani e periodici italiani e stranieri. E in questi anni raccontò con le sue  immagini l'attacco stragista della mafia contro lo Stato, fotografando le stragi di Capaci e di via D'amelio.  Dal 2003 si trasferisce a Roma dove entra a far parte dell'Agenzia di stampa internazionale Reuters per la quale ha coperto, fino al 2019, storie di attualità, cronaca, costume e sport di interesse internazionale viaggiando tanto in giro per il mondo e fotografando alcuni degli eventi che sono rimasti nella memoria collettiva. 

Ma pochi sanno che Gentile è l'autore della fotografia dei magistrati Falcone e Borsellino che sorridono, diventata icona del riscatto di un popolo intero alla violenza della mafia. 

Qualche tempo fa, Gentile ha raccontato a Francesca Marani de Il Fotografo, quando e come nacque quella magica fotografia, che oggi è nel cuore di tutti gli italiani

«Il giorno in cui ho realizzato quello scatto» dice Tony Gentile, «non avrei certo potuto prevedere il percorso che l’immagine avrebbe fatto, la vita che avrebbe avuto, anche indipendentemente da me. Mi trovavo a un convegno al quale erano presenti i due giudici come relatori, dovevo coprire l’evento su commissione di un giornale locale. A un certo punto Falcone si avvicina a Borsellino, i due si dicono qualcosa e poi scoppiano in una risata fragorosa che richiama l’attenzione degli astanti. È una frazione di secondo, salto davanti a loro e colgo l’attimo. È solo dopo la strage di Capaci del 23 maggio che recupero lo scatto e lo invio a vari giornali che prontamente l’archiviano in un cassetto e dopo quella di via D’Amelio del 19 luglio, la foto è pubblicata sulle prime pagine di tanti quotidiani italiani. Da quel giorno, sarà stampata sulle magliette, appesa ai muri, conosciuta da tutti. E questo è senza dubbio il lato positivo: aver creato una fotografia che ha il tempo dell’eternità, un’immagine che i ragazzi possono osservare sui libri di storia, un simbolo positivo per le future generazioni» 

Tony all'epoca aveva solo 28 anni. 

Questa è la stampa dei provini di quel preziosissimo rullino, con le foto scattate quel giorno:

Borsellino

Nella medesima intervista a Il Fotografo, Tony Gentile ricorda i suoi anni giovani, le manifestazioni che frequentava assiduamente, che erano seguite da grandi fotografi come Letizia Battaglia e Franco Zecchin. 

Racconta anche il suo veloce apprendistato, quando fin da subito si trovò calato all’interno di un universo di grandi conflitti e cambiamenti politici che investivano, in quegli anni la città di Palermo. 

"L’idea di un giovane fotoreporter," dice, "solitamente, è quella di andare per il mondo, partire alla volta di un Paese lontano, ma io non avevo bisogno di andare da nessuna parte. La guerra era lì, di fronte a me. In casa, nella mia città. Essere un fotografo di cronaca in quegli anni in Sicilia significava scontrarsi inevitabilmente con i morti ammazzati per strada e doversi misurare con la documentazione di un fatto mafioso. Attendevo con ansia il momento in cui avrei dovuto fotografare un morto ammazzato perché non sapevo quale sarebbe stata la mia reazione. La mia memoria visiva tuttavia era già costellata di immagini di morte, ero cresciuto con quelle fotografie stampate sui giornali. Quando poi è successo sul serio, quando sono stato chiamato a fotografare il mio primo omicidio, nel maggio del 1990, la macchina fotografica, come spesso accade, ha fatto da filtro e, nonostante l’impressione iniziale, sono riuscito a portare a termine il mio compito. In fondo, un po’ cinicamente, ti concentri solo sul lavoro: portare a casa una buona fotografia. Forse, è un bene perché così non hai il tempo per lasciarti coinvolgere emotivamente". 

Quel che è certo è che oggi, certamente non solo e non soltanto per la famosa foto a Falcone e Borsellino, Tony Gentile è uno dei migliori fotoreporter, uno di quelli che hanno fatto - consumando la suola delle scarpe e a prezzo delle cicatrici sul proprio cuore - la storia degli ultimi decenni in questo paese. 

Tony Gentile davanti a una foto di Giovanni Falcone

Fabrizio Falconi - 2022 

06/08/12

Paolo Borsellino - Un ricordo personale.




Nell'estate del 1988 - quattro anni prima della sua morte - intervistai Paolo Borsellino a casa sua, a Palermo. Un ricordo indelebile.

Avevo proposto al direttore Corrado Guerzoni - lavoravo all'epoca per Radiodue 3131 - di realizzare una inchiesta sul fenomeno degli scomparsi, quelle persone che si dissolvono nel nulla ogni anno (non esisteva allora nessuna Chi l'ha visto?). 

Tra le diverse idee per il programma, avevo in mente di ricostruire anche la vicenda del più famoso scomparso italiano. Ettore Majorana. Dissolto nel nulla il 27 marzo 1938.

La storia del fisico italiano aveva suscitato, come è noto, l'interesse di Leonardo Sciascia che gli aveva dedicato un celebre libro, La scomparsa di Ettore Majorana.

Sciascia avanzava lì l'ipotesi che il grande fisico si fosse ritirato - dopo una finta messinscena di suicidio - nel Convento di Serra San Bruno, in Calabria. 

Ma la curiosità di Sciascia, riguardo alla sorte di Majorana era sempre in allerta, pronta a valutare ogni altra ipotesi. Finì dunque per interessarsi alla stravagante ricostruzione di due fratelli di Mazara del Vallo - i Romeo, i quali si dicevano convinti di aver trovato il vero Majorana, nientemeno che sotto le mentite spoglie di un povero barbone, che i pescatori di Mazara chiamavano da sempre l'uomo cane, e che aveva l'abitudine di dormire all'aperto, sotto il monumento sulla piazza principale.


Sciascia, seppure recalcitrante aveva accettato di incontrare i Romeo, aveva ascoltato la loro versione dei fatti: che quell'uomo sapeva di matematica, che non era certamente del luogo, che lui stesso, prima di morire, aveva confidato di essere il grande fisico. 

Pur dubbioso, Sciascia per escludere ogni possibilità, aveva interessato del caso Paolo Borsellino, che era procuratore capo della Repubblica di Marsala e con il quale vi era stato qualche dissapore nel recente passato per via della nota polemica sui professionisti dell'antimafia, innescata dallo stesso Sciascia. 

Fu così che partii per la Sicilia, per ricostruire il caso dell'uomo cane: l'ultima ipotesi sulla scomparsa di Majorana. 

Dopo qualche giorno passato a Mazara - e dopo aver parlato con i Romeo, e con tutti quelli che potevano dare notizie del barbone - mi trasferii a Palermo per incontrare Borsellino. 

Mi ricevette nel suo appartamento, insieme alla moglie Agnese.  Un'ospitalità molto semplice. Seduti nel salotto buono, l'appartamento di un tranquillo borghese, dai modi cortesissimi. 

Restammo a parlare a lungo. Mi fece vedere le foto dell'uomo cane, mi spiegò come i dettagli delle foto, ma soprattutto le perizie calligrafiche (c'erano alcune firme lasciate dal barbone nel commissariato locale quando lo avevano fermato per controlli di rito) escludessero in modo categorico qualsiasi identificazione con il grande fisico siciliano. 


Ettore Majorana 

Realizzammo l'intervista.   Al termine, ci fu un episodio che non ho più potuto dimenticare.   Borsellino, con affabilità - aveva rispetto formale per l'interlocutore, insieme a curiosità vivissima - si interessò riguardo la prosecuzione del mio viaggio. Gli spiegai che stavo per partire per Catania, dove mi aspettavano altre 'verifiche' su Majorana.

"Ma è qui con la sua macchina?" mi chiese.  "Non è mia, ho una macchina a noleggio," risposi.  I suoi occhi si illuminarono. "Non mi dica che l'ha parcheggiata qui sotto."  

In effetti, arrivando, avevo constatato con meraviglia, nella giungla di parcheggi congestionati delle vie di Palermo, un grande spazio libero, sterrato, proprio di fronte al portone di casa del magistrato. 

"Sì," risposi.  Sorrise: "Allora gliel'hanno portata via."   Sbirciò fuori dalla finestra: in effetti della mia auto restavano solo le strisce degli pneumatici sulla sabbia dello sterrato.  

"Venga," mi disse infilando un gilet di cotone. L'ascensore ci portò nel sotterraneo del palazzo dove c'era la sua auto. Uno della scorta si offrì di salire al volante, lui gli fece cenno di no.  Mi aprì la portiera, salii a bordo: non avevo mai visto una macchina blindata, con le portiere e i vetri spessi come quelle di un mezzo militare. 

Mi accompagnò dunque, guidando, al garage poco distante dove avevano portato la mia auto, che in effetti era lì, con due o tre tizi che vi armeggiavano intorno.  

Borsellino rivolse loro un sorriso: "E' un giornalista". 

Lo ringraziai.  Mi strinse la mano, mi augurò buon viaggio e mi pregò di aggiornarlo se per caso fossero emerse novità importanti.

L'estate di quattro anni dopo, in quel 19 luglio del 1992, mi tornò - e non mi abbandonò più - il ricordo forte del chiaro sorriso e dello sguardo triste dell'uomo che aveva provato ad essere se stesso nella terra dove tanti - prima e dopo Majorana - si erano perduti per sempre. 

Fabrizio Falconi  

© riproduzione riservata.