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05/12/23

Il capolavoro di Martin Amis: "La storia da dentro", un libro che si vorrebbe non finisse mai

 



Ho chiuso oggi pag. 680 e il libro è finito.

Mi sono accorto di rallentare, mano a mano che procedevo, perché questo è uno di quei rari libri che vorresti non finissero mai per davvero e continuassero ancora, con quel rumore di fondo e quelle continue sollecitazioni che danno corpo alle tue giornate, restano dentro, non smettono di parlarti come una bella conversazione.
Martin Amis, un paio d'anni prima di morire a 73 anni - ci ha lasciato il 23 maggio di quest'anno - della stessa identica malattia di due dei 3 amici dei quali questo libro parla: cancro all'esofago, ha scritto l'ultimo libro e il più bello.
E' un libro che è memoriale, romanzo, saggio sulla letteratura, cronaca, autobiografia, confessione e l'insieme di queste cose, quello che una volta si sarebbe chiamato "testamento spirituale" e che in questo caso non può andare bene perché Amis era - come il suo più grande amico Christopher Hitchens, uno dei tre protagonisti del libro, oltre all'autore - convintamente ateo e rigorosamente refrattario ad ogni forma di credenza spirituale o sovrannaturale.
Ho pensato spesso che in questo personalissimo amalgama, la scrittura di Amis ricorda, con alcune sostanziali differenze, quella di Carrère. Differenze evidenti: Amis è formalmente più "alto", la sua è letteratura concentrata e distesa, ma sempre di altissimo livello, in ogni riga. Carrère è, da francese, più ironico e narrativo, innamorato della storia che vuole raccontare, senza cambi di direzione, fino alla fine. Amis è più (apparentemente) sommesso; Carrère è più ostentato (quando serve): entrambi sono scrittori che non se ne restano dietro, e vogliono stare sulla scena con quello che scrivono e con quello che vivono.
Il fuoriclasse Amis imbastisce dunque un lungo (il SUO lungo) commiato della vita, quasi presentendo (e lo scrive espressamente) che presto andrà a far compagnia ai 3 amici morti prima di lui: il poeta Philip Larkin, il romanziere e premio Nobel Saul Bellow e il saggista e polemista Christopher Hitchens.
Scorrono lungo il racconto di queste meravigliose pagine, il senso umano della vita, l'amicizia più profonda, la sofferenza lacerante e l'amore, la gioia della sessualità e delle donne e degli amori, la bellezza sconfinata della vera letteratura, capace di trasformare tutto e di rendere sopportabile perfino le più grandi infamie della storia.
La storia di Amis è (anche) quella del mondo contemporaneo, gli argomenti della storia, che Hitchens, l'amico ribelle e iconoclasta, amava cavalcare e vivere sulla pelle (come quando decide di sottoporsi alle tecniche di tortura per annegamento utilizzate a Guantanamo): l'11 settembre, il fondamentalismo islamico, l'elezione di Trump in America, la Brexit, la furia ideologica del Novecento, il comunismo sovietico, il declino occidentale. E naturalmente l'eterna questione ebraica, l'antisemitismo, le guerre in medio oriente, i palestinesi (come sempre di strettissima attualità). La storia che sembra diventare sempre più incomprensibile e che pure bisogna cercare di comprendere, perché noi ci siamo dentro tutti. Il punto di vista di Amis, i brani delle sue conversazioni su tutto questo con Hitchens e con Saul Bellow, sono di livello assoluto.
Ma è la storia anche di uomini e soprattutto di letteratura. Amis, che nella letteratura e dalla letteratura è nato - il padre era Kingsley Amis, la matrigna Elizabeth Jane Howard, due enormi scrittori - ha questo da offrire e da lasciare al mondo.
I capitoli del libro, infatti, specie nella terza parte, sono alternati a "lezioni di scrittura" che vengono impartiti a un misterioso e (si suppone) giovane ospite.
Su tutto quanto, aleggia la morte. Una morte priva di senso - perché come Amis ripete spesso: "la morte è il nulla" - eppure che apre crepe di senso nel sentimento che ci lega misteriosamente agli amici, alle loro sofferenze e alla loro leale esistenza, alle donne, ai figli, alla celebrazione di una avventura esistenziale che vogliamo vivere sempre e fino al fondo, perché forse non esiste qualcuno di più fortemente legato alla vita di Amis stesso (e di Saul Bellow, gigante di vita e di scrittura, e di Hitchens, attaccato in modo furibondo alla vita e alle passioni che la vita dipana).
E' un libro vitale, vivo, creaturale. Perché è di questo che è fatta la vita. E nessuna cosa più della letteratura - quando è come "questa" letteratura - è capace di restituirne la materia e la sostanza (visibile e invisibile).
Il libro più bello degli ultimi anni.

Fabrizio Falconi - 2023

31/05/10

L'attacco ai Pacifisti a Gaza : una meditazione attuale di Carlo Maria Martini.


Leggendo oggi le spaventose notizie giunte da Israele con l'attacco assurdo alla flottiglia dei pacifisti, che ha lasciato per terra 19 morti (!) mi sono tornate alla mente queste parole del Cardinale Carlo Maria Martini, sulle quali forse oggi più che mai è importante meditare.

Il Cardinale Carlo Maria Martini, tornando da Gerusalemme

Torno da Gerusalemme avendo ancora negli orecchi il suono sinistro delle sirene della polizia e delle ambulanze dopo il terribile attentato di martedì 19 agosto. Ma ciò che sempre più ascolto dentro di me non è soltanto il dolore, lo sdegno, la riprovazione, che si estende a tutti gli atti di violenza, da qualunque parte provengano. È una parola più profonda e radicale, che abita nel cuore di ogni uomo e donna di questo mondo: non fabbricarti idoli! Questa parola risuona nella Bibbia a partire dalle prime parole del Decalogo e la percorre tutta quanta, dalla Genesi all'Apocalisse.

È dunque un comandamento che tocca profondamente il cuore di ebrei e cristiani e segna un principio irrinunciabile di vita e di azione. Ed è un comandamento anche molto caro all'Islam, che ne fa uno dei pilastri della sua concezione religiosa: c'è un Dio solo, potente e misericordioso, e nulla è comparabile a lui. Ma è anche un precetto segreto che risuona nel cuore di ogni persona umana: chi adora o serve in ogni modo un idolo ha una coscienza almeno vaga di voler «usare» la divinità o comunque un principio assoluto per i propri scopi, sente che sta strumentalizzando e sottoponendo ai propri interessi un sistema di valori a cui occorre invece rendere onore. Per questo chiunque adora un idolo intuisce che in qualche modo si degrada, sta facendo il proprio male e sta preparandosi a fare del male agli altri.

Ma non ci sono soltanto gli idoli visibili. Più radicati e potenti, duri a morire, sono gli idoli invisibili, quelli che rimangono anche quando sembra escluso ogni riferimento religioso. Tra essi vi sono gli idoli della violenza, della vendetta, del potere ( politico, militare, economico...) sentito come risorsa definitiva e ultima. E' l'idolo del volere stravincere in tutto, del non voler cedere in nulla, del non accettare nessuna di quelle soluzioni in cui ciascuno sia disposto a perdere qualche cosa in vista di un bene complessivo. Questi idoli, anche se si presentano con le vesti rispettabili della giustizia e del diritto, sono in realtà assetati di sangue umano.

Essi hanno una duplice caratteristica: schiavizzano e accecano. Infatti, come dice tante volte la Bibbia, chi adora gli idoli diviene schiavo degli idoli, anche di quelli invisibili: non può più sottrarsi ad esempio alla spirale perversa della vendetta e della ritorsione. E chi è schiavo dell'idolo diventa cieco riguardo al volto umano dell'altro. Ricordo la frase con cui alcuni giovani ex - terroristi degli anni '80 cercavano di descrivere come avessero potuto sparare e uccidere: "non vedevamo più il volto degli altri".

Le violenze che si scatenano oggi in tante parti del mondo sono il segno che c'è un'adorazione di questi idoli e che essi ripagano con la loro moneta distruttrice chiunque renda loro omaggio. Chi ha fiducia solo nella violenza e nel potere prima o poi tende a eliminare e distruggere l'altro e alla fine distrugge se stesso. Già san Paolo ammoniva: "se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!". E ancora: "Non vi fate illusioni: non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato" (Lettera ai Galati 5,15 e 6,7).

Siamo nel vortice di una crisi di umanità che intacca il vincolo di solidarietà fra tutto quanto ha un volto umano. Nell'adorazione dell'idolo della potenza e del successo totale ad ogni costo è l'idea stessa di uomo, di umanità che viene offesa, è l'immagine stessa di Dio che viene sfigurata nell'immagine sfigurata dell'uomo. Ma proprio da questa situazione, dalla presa di coscienza di trovarsi in un tragico vicolo cieco di violenza - a cui ha fatto più volte allusione il Papa Giovanni Paolo II - può scaturire un grido di allarme salutare e urgente, più forte dell'idolatria del potere e della violenza.

È un grido che si traduce concretamente nel proclamare che non vi sono alternative al dialogo e alla pace. Lo sta da tempo ripetendo in tanti modi Giovanni Paolo II. Ma esso è un grido che precede le dichiarazioni pubbliche, per quanto accorate. Risuona infatti nel cuore di ogni uomo o donna di questo mondo che si ponga il problema della sopravvivenza umana. Di alternativo alla pace oggi vi è solo il terrore, comunque espresso. Quando la sola alternativa è il male assoluto, il dialogo non è solo una delle possibili vie di uscita, ma una necessità ineludibile. Per questo i leader di tutte le parti tra loro contrastanti debbono rischiare senza esitazioni il dialogo della pace.

Tutto ciò fa emergere ancora più chiaramente le responsabilità della comunità internazionale, quelle dell'Onu e quelle dell'Europa, quelle degli Stati Uniti, della Russia e dei paesi arabi. È necessario che tutti aiutino il processo di pace che si era appena iniziato, con una pressione forte e convinta a favore della Road Map e anche con la prontezza a fornire un sostegno politico e finanziario alle comunità che hanno il coraggio di rischiare la pace. Alla costruzione di muri di cemento e di pietra per dividere le parti contrastanti è preferibile un ponte di uomini che, pur garantendo la sicurezza di entrambe le parti, consenta alle due comunità di comunicare e di intendersi sempre più sulle cose essenziali e su quelle quotidiane.

Certamente l'odio che si è accumulato è grande e grava sui cuori. Vi sono persone e gruppi che se ne nutrono come di un veleno che mentre tiene in vita insieme uccide. Per superare l'idolo dell'odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell'altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l'odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente a sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta.

Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell'altro, dell'estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l'inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace. Non fabbricarti idoli: idolo è anche porre se stesso e i propri interessi al disopra di tutto, dimenticando l'altro, le sue sofferenze, i suoi problemi. Il superamento della schiavitù dell'idolo consiste nel mettere l'altro al centro, così da creare quella base di comprensione che permette di continuare il dialogo e le trattative.


16/01/09

UN' APPELLO PER GAZA.



APPELLO DELLA CUSTODIA DI TERRA SANTA:

AIUTARE SUBITO LE VITTIME
DELLA GUERRA DI GAZA

La Custodia di Terra Santa lancia con forza l’appello alla solidarietà verso le vittime della guerra che si sta combattendo nella Striscia. Il Custode, padre Pierbattista Pizzaballa ha espresso l’urgenza di un aiuto immediato alle popolazioni colpite nel conflitto, mettendo a disposizione ATS, Associazione di Terra Santa, l’ong della Custodia, per realizzare una raccolta fondi che andrà a beneficiare due realtà cristiane di Gaza: la parrocchia cattolica e le suore di Madre Teresa.

Padre Manuel Mussallam è il parroco della parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza e il direttore della omonima scuola: in questi giorni è sempre rimasto tra la sua gente, instancabilmente ha gridato alle atrocità della guerra, correndo in soccorso -con aiuti, presenza e preghiere- delle persone colpite dal conflitto; "E' una tragedia umanitaria: manca acqua, elettricità, cibo, supporto umanitario. Migliaia di bambini stanno sperimentando il trauma della guerra -ha raccontato il parroco-. Migliaia di persone sono ferite, e rimarranno per sempre disabili. Tutte le famiglie della Striscia di Gaza stanno soffrendo e piangendo le loro vittime". Le suore di Madre Teresa, le Missionarie della Carità, invece sono presenti da anni nella Striscia e si occupano, come è loro consuetudine in tutto il mondo, dei più poveri e dei bambini.


Chi volesse dare un’offerta per Gaza può indirizzarla a:

ATS Associazione di Terra Santa, via Matteo Boiardo 16 00185 Roma
Banca Popolare Etica –
Codice Iban: IT67 W050 1812 - 1010 0000 0122 691

Per accrediti da fuori l’Italia:
Codice Swift: CCRTIT2184M
Donazioni online con carta di credito sul sito:
www.ats.custodia.org
Oppure: Conto corrente postale n. 756205
Terrasanta Gerusalemme Via Gherardini 5, 20145 Milano

Causale per tutti i versamenti: “Gaza”


per altre informazioni: http://www.terrasanta.net/


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