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16/03/16

La meravigliosa Galleria Farnese affrescata da Annibale Carracci a Roma - Un volume di Silvia Ginzburg.



La Galleria Farnese affrescata da Annibale Carracci

Primo titolo della collana “In primo piano”, La Galleria Farnese, presenta la volta affrescata all’interno dell’omonimo palazzo oggisede dell’Ambasciata di Francia, da Annibale Carracci con la collaborazione del fratello Agostino tra il 1598 e il 1600 per il cardinale Odoardo Farnese: un ciclo di primaria importanza artistica che, a dispetto della sua fortuna nei secoli è oggi, tra i grandi monumenti della sua epoca, uno dei meno conosciuti.

Costruito attorno a una campagna fotografica eseguita per l’occasione da Zeno Colantoni, il volume permette di percepire, nell’avvicinamento progressivo dalla visione d’insieme ai macrodettagli, il susseguirsi delle invenzioni, le varianti di stile, le caratteristiche della tecnica esecutiva degli affreschi della Galleria Farnese. Oggetto di una simile lettura ravvicinata, la decorazione della Galleria, celebrata fino al XIX secolo quale modello della cultura classicista e d’accademia e proprio per questo poco considerata dalle stagioni critiche successive, dominate dal prevalere del gusto per il naturalismo, si rivela ricca di passaggi inaspettati proprio sul fronte della pittura di genere basso, a conferma dell’intento, già registrato dai contemporanei di Annibale, di dar vita a una decorazione in cui potessero trovar posto tutti i generi, dal tragico al comico, e il dispiegarsi di un linguaggio che fosse il risultato della fusione dei diversi accenti della tradizione pittorica italiana.

Palazzo Farnese

         I dati stilistici, tecnici, iconografici, resi facilmente leggibili dalla campagna fotografica e riletti alla luce delle testimonianze delle fonti più antiche e dei più recenti contributi storiografici, indicano infatti l’opportunità di tornare a considerare la Galleria Farnese, in piena consonanza con quanto indicato dalle voci più antiche, il momento più alto del tentativo compiuto dai Carracci e perseguito soprattutto da Annibale, di coniare un linguaggio pittorico che potremmo definire multidialettale, frutto dell’unione degli accenti proprii delle scuole pittoriche regionali quali si erano imposte all’apertura del Cinquecento. Come avevano inteso i suoi primi sostenitori, nella Galleria Annibale ha voluto combinare gli ingredienti distintivi della maniera moderna – i modelli della scultura antica, di Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Correggio, Parmigianino – rifondendoli in uno stile tanto più nuovo in quanto, per la prima volta dopo la lunga stagione del tardo manierismo, tornava a riverificare ogni invenzione sulla natura, come attestato dal ricchissimo corpus di disegni preparatori, di cui si esaminano nel saggio introduttivo alcuni esempi. Alla luce di questa analisi, e ancora una volta in accordo con quanto indicato dalle voci critiche più vicine ai Carracci, la Galleria Farnese si rivela come il testo figurativo più dichiaratamente e radicalmente antimanierista della storia della pittura italiana.
         Il volume ripercorre le tappe principali della vicenda critica degli affreschi farnesiani, tornando a considerarne i punti più spinosi, dalla questione relativa al significato dell’iconografia della decorazione, al rapporto tra la volta, i lati brevi e i lati lunghi della sala, al problema della datazione, fino ad aspetti più trascurati dagli studi, su cui il nuovo materiale fotografico permette di ragionare con nuovi elementi, quali la già ipotizzata partecipazione di Agostino alla decorazione della volta al di là delle due storie maggiori, da sempre ascrittegli dalle fonti, o il problema finora di fatto inesplorato relativo alla partecipazione della bottega di Annibale alla decorazione della volta. In questo modo il volume permette di studiare i molteplici aspetti di quella che davvero paradossalmente resta un’opera tra le meno note del suo tempo, pur essendo il capolavoro di un artista oggi oggetto di nuovo interesse da parte degli studi e del grande pubblico: un'opera di cui è tempo di riconoscere pienamente il ruolo e l’importanza nel panorama artistico italiano ed europeo.

Il volume Electa curato da Silvia Ginzburg


Silvia Ginzburg: già docente a contratto presso l’Università della Calabria, insegna dal 2004 Storia dell’arte moderna presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Il suo ambito di studio riguarda in particolare la cultura artistica del Cinque e Seicento. Ha pubblicato le sue ricerche sui Carracci, con nuove proposte di attribuzione e cronologia, in riviste scientifiche, in atti di importanti convegni (con Sybille Ebert-Schifferer, “Nuova luce su Annibale Carracci”, in corso di stampa), e in alcuni cataloghi di mostre, quali “Domenichino 1581-1641” (Roma 1996), e “Annibale Carracci” (Milano 2006). Gli affreschi della Galleria Farnese sono stati oggetto di una sua pubblicazione monografica, “Annibale Carracci a Roma. Gli affreschi di Palazzo Farnese”, Roma 2000. Ha lavorato inoltre sui rapporti tra Roma e Parigi attorno a Nicolas Poussin e sulla genesi della prima edizione delle Vite di Vasari (in Testi, immagini e filologia nel XVI secolo, Pisa 2007).
Con Barbara Agosti e Patrizia Zambrano cura una collana di saggi di storia dell’arte per Electa, nell’ambito della quale ha pubblicato la raccolta “Obituaries. 37 epitaffi di storici dell’arte nel Novecento” (Milano 2008).

10/05/12

Gli obelischi di Roma - 8.Obelisco Minerveo.



Nel nostro excursus attraverso gli Obelischi egizi romani (nell'ordine nel quale furono rieretti)- qui le precedenti puntate - tocca oggi a quello forse più caratteristico, detto anche popolarmente il pulcino, il più piccolo, quello che si trova oggi nella piazza antistante la splendida Basilica di Santa Maria Sopra Minerva.


8. Obelisco minerveo 

anno di rierezione: 1667 
– m. 3,47 - 12.68 (completo di basamento) 

Innalzato dal faraone Uahibre o Hopra (come è chiamato nella Bibbia) o Apries (nei testi greci) o Ouaphre, della XXIV dinastia, successo al fratello Psammetico II nel 588 a.C. nella città di Sais. 

Trasportato da ignoto a Roma per adornare il tempio di Iside e Osiride (pendant di quello trasferito a Urbino). 
Abbattuto in circostanze ignote. Ritrovato nella cosiddetta zona della Minerva Vecchia (nel convento della Minerva dalla parte dell’attuale Via del Seminario, sorto sulle ‘ruine’ di un tempio doppiamente dedicato alla Sapienza, prima l’egiziana Iside e poi la romana Minerva) intorno al 1650, sotto Alessandro VII

Lo stesso papa ne ordina l’erezione affidandone l’opera a due architetti: Gian Lorenzo Bernini come architetto, e il gesuita padre Paglia come direttore dei lavori. 

L’elefante come elemento del basamento viene imposto dallo stesso Alessandro VII, accettato dal Bernini e scolpito da Ettore Ferrata. 

Disputa tra Bernini e Paglia sul sostegno sotto la pancia dell’elefante, coperto dalla gualdrappa ideata dal Bernini, e voluta da Paglia di questa lunghezza. 

L’iscrizione voluta da Alessandro VI è una risposta ironica all’arroganza di Luigi XIV, che per vendicare un supposto complotto del papa contro l’ambasciatore francese a Roma, marchese di Crèqui, aveva umiliato Alessandro VI con la famosa ‘piramide’ nella quale il papa si inchinava al potere francese, vicino Palazzo Farnese, poi abbattuta nel 1668.


(Chi vuole può approfondire queste notizie. 

Quel che a noi interessa in questa sede, è sottolineare come in pieno '600, era questo lo Spirito della Roma Cristiana: collegare simboli dell'antica sapienza egizia ai 'nuovi' emblemi cristiani. 

Il fautore: Athanasius Kircher. In questa opera confluiscono: 

- Un simbolo animale esotico, il simbolo dell'Elefante. il 6 giugno 1655 a Roma era stato condotto un elefante, uno dei primi mai visti. Fu esposta, la povera bestia, a Monte Brianzo, dove le cronache riferiscono che si pagava 'un giulio' per l'ingresso. Era un elefante femmina. Che destò enorme impressione nella popolazione di Roma. Al momento di scegliere un simbolo di sapienza, Alessandro VII scelse l'elefante (sotto consiglio dello stesso Kircher), del quale esisteva finalmente un modello in carne ed ossa. - un reperto egiziano. L'obelisco. Per decifrare i misteriosi segni, subito dopo il ritrovamento, fu chiamato Kircher, l'unico esperto di letteratura arcana, come egli stesso si definiva. Anche in questo caso, Kircher interpretò i geroglifici a modo suo, senza azzeccarne una. Ma, come vedremo meglio Kircher aveva scoperto due cose fondamentali: la stretta relazione tra l'alfabeto copto e i geroglifici (intuizione che servì a Champollion), e il 'meccanismo logico' dei geroglifici, al punto tale che - come vedremo - egli era in grado di 'disegnare' con precisione le parti mancanti degli obelischi che venivano alla luce - azzeccandoci sempre. - i simboli cristiani.  
In questo caso la Croce sulla sommità dell'obelisco. 

Con le famose iscrizioni poste sulla base del monumento: 

VETEREM OBELISCUM | PALLADIS AEGYPTIAE | E TELLURE ERUCTUM | DIVINAE SAPIENTIAE | ALEXANDER VII DEDICAVIT | ANNO SAL: MDCLXVII 

Questo antico Obelisco, monumento della Pallade Egiziana, scavato dalla terra ed eretto nella piazza già di Minerva, e ora della madre di Dio, Alessandro VII dedicò alla divina Sapienza nell'anno della cristiana salvezza 1667. 

SAPIENTIS AEGYPTI | INSCULPTAS OBELISCO FIGURAS | AB ELEPHANTO | BELLURAM FORTISSIMA | GESTARI QUISQUIS HIC VIDES | DOCUMENTUM INTELLIGE | ROBUSTAE MENTIS ESSE | SOLIDAM SAPIENTIAM SUSTINERE 

Chiunque tu sia che vedi nell'obelisco le figure scolpite dal sapiente Egitto sostenute dall'elefante, il più forte degli animali, sappi che è proprio di una robusta mente alimentare una solida sapienza. 

Egitto, esoterismo (la zona della Minerva, da sempre 'pozzo' di significati esoterici, prima egizi, poi legati al culto di minerva), studio delle profondità, magico accordo unitario dei simboli. Kircher era tutto questo.)