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23/10/22

Muore a 98 anni, Zilli Schmidt, sopravvissuta ad Auschwitz, portavoce del riconoscimento del genocidio nazista di Sinti e Rom

 


È morta Zilli Schmidt, una sopravvissuta ai campi di concentramento di Auschwitz, Lety e Ravensbrueck che si è fatta portavoce del riconoscimento del genocidio nazista di Sinti e Rom. Aveva 98 anni. 

Secondo la fondazione del Memoriale degli ebrei assassinati d'Europa, il memoriale dell'Olocausto di Berlino, la Schmidt è morta venerdì. Non è stata indicata la causa del decesso. 

Come uno degli ultimi sopravvissuti al genocidio di Sinti e Rom, ha dichiarato la fondazione in un comunicato, la morte di Schmidt "lascia dietro di sé un profondo vuoto". 

Sia i Sinti che i Rom sono popolazioni gitane che vivono prevalentemente nell'Europa orientale. 

Gli storici stimano che fino a 500.000 Sinti e Rom siano stati uccisi durante l'Olocausto. 

Nata come Zilli Reichmann nello stato tedesco orientale della Turingia nel 1924, la Schmidt è cresciuta in una famiglia sinti tedesca di commercianti di strumenti e gestori di cinema ambulanti. 

Fu arrestata e inviata al campo di concentramento di Lety nel 1942 e poi, insieme alla sua famiglia, ad Auschwitz-Birkenau nel 1943

Zilli Schmidt da giovane, prima dell'arresto nazista, con un amica


Nel 1944, la Schmidt fu deportata da Auschwitz al campo di concentramento di Ravensbrueck, in Germania. 

Lo stesso giorno in cui fu trasferita, gran parte della sua famiglia, compresi i genitori, la figlia e la sorella, furono uccisi insieme a molti altri Sinti e Rom ad Auschwitz

Dopo la guerra, la Schmidt si è battuta per il riconoscimento e l'aiuto delle vittime del genocidio nazista.

In seguito, ha iniziato a parlare pubblicamente delle sue esperienze contro il razzismo e l'estremismo di destra. 

Nel 2021 ha ricevuto la Croce Federale al Merito, che premia coloro che hanno dato un contributo notevole alla società tedesca. 

"Lei ci ha raccontato le sofferenze dei Sinti e dei Rom sotto la dittatura nazionalsocialista, a Lety, Auschwitz e Ravensbrueck, dove era stata deportata", ha detto all'epoca il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier. 

Dopo la notizia della sua morte, il ministro della Cultura tedesco Claudia Roth ha elogiato Schmidt come una persona con il "coraggio di affrontare le rimostranze" sia del passato che del presente. "Sono eternamente grata che Zilli abbia scelto di parlare della sua vita e degli orrori che le sono accaduti", ha dichiarato Roth in un comunicato. Schmidt mancherà "come testimone contemporaneo, come combattente per il riconoscimento del genocidio dei Sinti e dei Rom", ha aggiunto Roth. 

05/10/22

Libri: Arriva in Italia "Hitler, la manipolazione, il consenso, il potere"



"Hitler aveva una capacita' quasi medianica di comprendere le piu' profonde aspirazioni del popolo tedesco". A quasi ottant'anni dalla sua morte nel bunker della Cancelleria a Berlino ha ancora senso interrogarci sulla sua eredita' e sulla modernita' della sua leadership? 

La risposta e': ora piu' che mai

Basta leggere il volume Il leader, su Adolf Hitler: la manipolazione, il consenso, il potere scritto dallo storico Davide Jabes. 

Un libro scorrevole, divulgativo, con alla base la volonta' di non volere essere tanto una nuova ricerca sull'attivita' del dittatore tedesco, quanto una riflessione sulla sua 'presenza'. 

Sulla insondabile ma ricorrente seduzione esercitata dal despota sulle masse che lo acclamano.

Una necessaria lettura da fare superando "il naturale disgusto" verso la persona e la ricerca del nemico da annientare, a partire dagli ebrei, suggerisce l'autore, per iniziare "seriamente a preoccuparci di come avrebbe impostato l'esistenza dei suoi 'amici', ovvero di quel mondo che lo idolatrava o quanto meno gli ubbidiva". 

"In Italia, non molti anni fa, durante un quiz televisivo nessuno dei concorrenti seppe rispondere a una semplice domanda: quando era andato al potere Adolf Hitler", ricorda Jabes nella prefazione al libro. 

Il Fuhrer "diede risposta a masse di diseredati, di persone schiacciate da un presente terribile promettendo loro un futuro radioso, il tutto risultando credibile e onesto (questa forse la sua performance 'artistica' migliore). Perche' non considerare la sua pericolosa eredita' non degna della massima attenzione, quando oggi una moltitudine assai maggiore aspetta di essere sollevata dallo stato di costante miseria economica e sociale in cui versa?". 

Il volume analizza la giovinezza di Hitler, il condizionamento disturbante avuto dalla sua famiglia di origine nonche' la giovinezza trascorsa a Vienna, dove sviluppa quel rifiuto della societa' multiculturale, multilinguistica per abbracciare a Monaco sintesi piu' semplificatrici e rispondenti al suo bisogno di cercare il nemico a tutti i costi. 

Le trova nella destra bavarese e nell'antisemitismo che l'alimenta, nella sua disordinata e caotica costruzione di un modello illustrato con enfasi in un crescendo retorico ma quasi musicale

Per questo Jabes sottolinea l'importanza della passione di Hitler per Wagner e le sue frequentazioni dei teatri. Sono descrizioni e ricostruzioni molto suggestive, capaci di trasportarci nel vissuto di un uomo di cui vorremmo non parlare piu', mentre l'autore con professionale distacco ci mostra uno per uno quali sono i possibili agganci con l'attualita'. Sta a noi scegliere di interrogarci sul tema o chiudere il libro e ancora una volta far finta di niente, sperando che tutto si risolva da se'.

DAVIDE JABES
IL LEADER. ADOLF HITLER: LA MANIPOLAZIONE, IL CONSENSO, IL POTERE 
Solferino
pagine 251
18 euro 

29/08/22

Le incredibili circostanze che consentirono a Roman Polanski di salvarsi dall'Olocausto quando aveva 10 anni. L'emozionante incontro con i nipoti dei suoi salvatori

 

Roman Polanski adolescente, nel dopoguerra

Salvarono Roman Polanski durante la Shoah ed ora sono 'Giusti tra le nazioni', il massimo riconoscimento con cui il Mausoleo della Memoria di Yad Vashem a Gerusalemme onora chi ha protetto gli ebrei dai nazisti a rischio della propria vita. 

In Polonia un nipote di Stefania e Jan Buchala, la coppia di contadini cattolici che nascosero il piccolo Roman e lo salvarono, hanno ricevuto la legittimazione pubblica di un atto di grande coraggio. 

Quella di Polanski è una storia dal passato travagliata. Nato a Parigi nel 1933 da genitori polacchi - padre ebreo, Maurycy Liebling (in seguito Polanski), e madre cattolica, ma di origini ebraiche, Bula Katz-Przedborska - Polanski nel 1937, quando aveva solo 4 anni,  fu riportato in Polonia, mentre già la persecuzione anti ebraica era oramai all'apice nella vicina Germania e la guerra non sembrava poi così lontana.

Una scelta per molti versi incomprensibile e fatale, motivata, sembra, dal fatto che il padre di Roman temeva la persecuzione degli ebrei da parte dei francesi, sottovalutando in modo incredibile quel che stava succedendo in Germania, alle porte del suo paese. Non appena i tedeschi conquistarono la Polonia infatti, la sua famiglia fu confinata nel Ghetto di Cracovia: il padre fu poi deportato a Mauthausen mentre la madre finì ad Auschwitz. 

Roman Polanski con il padre Maurycy, sopravvissuto a Mauthausen, negli anni '70


Ma prima, i genitori cercarono di mettere in salvo il figlio, fiduciosi che potesse nascondersi in mezzo al resto della popolazione polacca. 

L'occasione fu fornita dalla madre: in quanto donna delle pulizie impiegata nel Castello Reale di Wawel, residenza del governatore nazista della Polonia Hans Frank in pieno centro di Cracovia, la donna poteva uscire dal Ghetto con un permesso

In una circostanza favorevole riuscì a portare con sé Roman insegnandogli la strada per arrivare all'appartamento di Heinrich e Casimira Wilk, una coppia di amici di famiglia cattolici

Nel marzo del 1943, prima di essere deportati, il padre portò il ragazzo nei pressi del reticolato che circondava il Ghetto e, dopo aver tranciato il filo metallico, lo fece scappare indirizzandolo verso la casa dei Wilk. 

Da loro Polanski restò nascosto per un certo periodo prima di essere trasferito da un'altra coppia di cattolici, Boleslav e Yadwiga Putek. Ma fu solo una tappa: la destinazione finale fu un isolato villaggio vicino Cracovia dove vivevano Stefania e Jan Buchala, poveri contadini con già tre figli. 

Roman Polanski sopravvisse ai nazisti e, alla fine della guerra, si riunì al padre scampato alla morte a Mauthausen. Ma non rivide più la madre, uccisa ad Auschwitz. 

Nella deposizione per Yad Vashem, il regista - come ricorda Haaretz - ha scritto: "Stefania, senza alcuna ricompensa, solo per amore degli altri, ha messo a rischio la sua vita, quella del marito e dei suoi figli, nascondendomi a casa sua per quasi 2 anni. Durante questo tempo, nonostante la povertà e la penuria di di cibo per la sua famiglia, mi ha nascosto e nutrito. Dopo la guerra, come regista, ho viaggiato per due volte in Polonia nel villaggio vicino Cracovia. Sfortunatamente non ho trovato nessun segno di vita da parte loro".

Stefania e Jan erano infatti morti entrambi nel 1953 e sepolti in una tomba poi svuotata per far posto ad altri deceduti. Ma il regista non si è arreso: dopo infinite ricerche e indagini negli archivi, ha finalmente rintracciato un loro congiunto

E quindi è stato Stanislaw Buchala a ricevere il riconoscimento di Yad Vashem a nome dei parenti che hanno salvato un piccolo ragazzino ebreo diventato un grande regista

Roman Polanski con Stanislaw Buchala, nipote della coppia di contadini che salvarono la vita a lui, bambino


Polanski utilizzò i suoi ricordi di bambino nel suo film più commovente, Il Pianista, e recentemente è tornato in patria paterna realizzando, nel ruolo di protagonista e non dietro la macchina da presa, il documentario Polanski Horowitz Hometown. Nonostante i suoi 89 anni appena compiuti, lo scorso 18 agosto, il regista resta sempre attivo e questo documentario è stato premiato al Festival di Cracovia. 

Ma qual è la trama di questa opera? Accompagnato dal suo amico di sempre e sopravvissuto alla Shoah, uno degli ebrei salvati da Oskar Schindler, il celebre fotografo Ryszard Horowitz che conobbe, durante la guerra, nel Ghetto di Cracovia, Polanski si è confrontato con il suo doloroso passato

Come ha sottolineato Mateusz Kudla, regista e produttore del documentario, messo in atto assieme ad Anna Kokoszka Romer, il filmato si concentra “sulla memoria, sul destino e sul trauma. Attraverso questi due personaggi, che hanno avuto la fortuna di sopravvivere, – ha proseguito Kudla in un’intervista all’Agenzia di stampa francese France Press (AFP) – abbiamo voluto mostrare la tragedia di tutti gli abitanti del Ghetto che non ce l’hanno fatta”. 

Il documentario è forte ed emozionante in alcune scene. Infatti, in una delle sequenze, Polanski ricorda di aver visto un ufficiale nazista sparare a una donna anziana, con il sangue che schizzava dappertutto. “Terrorizzato, corsi attraverso il corridoio dietro di me e mi nascosi nelle scale” ha rievocato il regista nel filmato. Nonostante all’epoca avesse solo sette anni, quando la Seconda Guerra Mondiale cominciò, Roman ha trattenuto nella memoria ogni dettaglio. 

All’amico Horowitz, Polanski racconta che quell’episodio fu “il mio primo incontro con l’orrore”. 

Polanski a 18 anni con un amico

Un momento molto commovente della pellicola è l’incontro fra Polanski, visibilmente commosso, e i nipoti di Stefania e Jan Buchala, i contadini polacchi cattolici che lo nascosero dai nazisti.

Come ha puntualizzato il Times of Israel, il documentario Hometown si concentra sull’infanzia di Polanski, evitando qualsiasi riferimento agli scandali da lui vissuti, che l’hanno bandito da Hollywood e gli precludono il ritorno in America per “timore di essere arrestato”. Soddisfatti del lavoro svolto, i registi Mateusz Kudla e Anna Kokoszka Romer hanno dichiarato che “si tratta di qualcosa che rende Roman Polanski testimone della storia e utile a impedire che tutto questo possa accadere di nuovo in futuro”. Si sono poi augurati che presto il documentario possa essere distribuito e disponibile online o in streaming.

04/04/22

Perché la Shoah (l'Olocausto) è un "unicum" nella storia umana?


Specialmente in questi anni così confusi, di negazionismi sfrenati, benaltrismi, narcisismi piccoli e grandi che si esaltano nella confutazione spavalda dell'ovvio e del naturale, col pretestuoso e l'inaccettabile, vale la pena riportare qui la risposta forse più chiara ed esaustiva possibile alla domanda che spesso si sente ripetere, ovvero: per quali motivi la Shoah, l'Olocausto degli ebrei da parte dei nazisti, durante la Seconda Guerra mondiale è un "unicum" nella storia umana, e perché è sbagliato concettualmente e materialmente equipararlo ad altri tipi di genocidi terrificanti che sono stati compiuti nella storia. 

La risposta è piuttosto evidente e ciascuno di noi dovrebbe conoscerla, ma Lisa Palmieri-Billig dell'American Jewish Committee l'ha spiegato recentemente con poche parole essenziali che meritano di essere divulgate il più possibile: 

"La Shoah è stata pianificata a sangue freddo secondo precisi concetti di efficienza e tecnologia moderna. Fu eseguita da una civiltà altamente istruita, colta, avanzata, con l'uso di un diabolico, meticoloso piano di omicidio di massa mirato alla totale estinzione di tutti i membri di un certo popolo, una certa religione, una certa tradizione e cultura. Erano condannati per il loro Dna: uomini, donne, bambini, neonati, vecchi e infermi, tutto coloro a quella che era considerata una "razza inferiore". 

Più chiaro di così. 

Fabrizio Falconi - 2022

06/01/22

Libro del Giorno: "Gli scomparsi" di Daniel Mendelsohn

 



Jonathan Safran Foer, nello strillo in quarta di copertina, lo ha definito «Epico e intimo, libro meraviglioso».  

E in effetti il romanzo-saggio di Daniel Mendelsohn, ha ottenuto un meritato successo globale.  Mendelsohn, studioso di lettere classiche, critico, traduttore e docente di Letteratura al Bard College, collaboratore del «New Yorker», di «New York Review of Books» e del «New York Times», con gli scomparsi ha ottenuto il National Book Critics Circle Award 2006, il Prix Médicis 2007 e numerosi altri riconoscimenti, e dopo Un'Odissea (Einaudi 2018, finalista al Baillie Gifford Prize 2017) è autore del recente, già celebratissimo Tre anelli (Einaudi 2021). 

Ne Gli Scomparsi, il libro che lo ha portato al successo, Mendelsohn racconta, con ogni dovizia di particolari, la saga della sua famiglia di ebrei originari della vecchia Europa dell'Est e trapiantati negli Stati Uniti ai tempi delle persecuzioni naziste.

Daniel, da bambino restava seduto per ore ad ascoltare i racconti del nonno. Erano storie di un tempo lontano e quasi magico, di un piccolo villaggio della Polonia, Bolechow, in cui la vita scorreva felice. 

C’era però un punto in cui la voce del nonno si rompeva, oltre il quale non riusciva ad andare, come volesse nascondere un segreto troppo doloroso. 

Che ne era stato durante l’Olocausto del fratello Shmiel, della moglie e delle loro quattro bellissime figlie? Molti anni dopo Daniel scopre una serie di lettere disperate che il prozio Shmiel aveva indirizzato al nonno. 

Quelle lettere custodiscono frammenti del passato di una generazione perseguitata e cancellata per sempre, che in queste pagine ritorna lentamente a vivere davanti ai nostri occhi.

I particolari della vicenda che riguarda la sorte di Shmiel e della sua famiglia sono distillati con lentezza, la narrazione seguendo il ritmo della faticosa ricerca di Daniel, aiutato dai suoi fratelli, sulle tracce degli ultimi sopravvissuti testimoni di quell'epoca cancellata dalla Storia. 

Ciò che sembra stare più a cuore a Mendesohn, oltre la ricerca di quella verità familiare nascosta, comunque difficile da raggiungere in forma definitiva, è la comprensione di quel lascito dentro le dinamiche della sua famiglia di oggi, dentro le vite così diverse della contemporaneità. 

30/10/20

In regalo oggi con Il Corriere della Sera il testamento di Liliana Segre "Ho scelto la vita"



Oggi venerdi' 30 ottobre Corriere della Sera regala ai suoi lettori "Ho scelto la vita", il libro che raccoglie l'ultimo discorso pubblico di Liliana Segre, nella Cittadella della Pace di Rondine (Arezzo): il ricordo dell'esperienza ad Auschwitz che la senatrice a vita, sopravvissuta alla Shoah, ha scelto di condividere lo scorso 9 ottobre proprio nel borgo toscano, a conclusione di oltre trent'anni di testimonianza. 

Il volume di 64 pagine, con la prefazione di Ferruccio de Bortoli, sintetizza l'impegno di Liliana Segre, oggi novantenne, che instancabile ha raccontato a migliaia di giovani, future sentinelle delle memoria, cio' che e' stato, e l'orrore vissuto, affidando a loro il compito di vigilare perche' la storia non si ripeta. 

Nel libro inoltre un'intervista esclusiva rilasciata da Liliana Segre ad Alessia Rastelli, giornalista di Corriere della Sera e curatrice del libro: un bilancio sulla sua vita e sul significato dell'impegno profuso in questi decenni, corredata da una scheda biografica conclusiva

"Corriere della Sera con questo libro vuole celebrare la forza, l'impegno e il coraggio di una donna a cui l'Italia sara' sempre debitrice." - spiega il direttore Luciano Fontana - "E' un onore per noi raccogliere il testimone che generosamente ci lascia Liliana Segre. A queste parole e' consegnato infatti il senso profondo della militanza sociale e civile della Senatrice a vita, il suo messaggio per i ragazzi, per noi, per tutti".

Un messaggio intenso da conservare e rileggere perché la memoria di quegli orrori resti sempre viva, come antidoto all'indifferenza e al negazionismo, e consenta un futuro in cui nessuno dovra' piu' sentirsi "respinto"

04/11/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 44. "Schindler's List" di Steven Spielberg (1993)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 44. "Schindler's List" di Steven Spielberg (1993) 

Il capolavoro di Steve Spielberg (tra tanti grandi film da lui realizzati) è  ispirato al romanzo omonimo pubblicato nel 1982 da Thomas Keneally e descrive come Oskar Schindler, un industriale tedesco, riuscì durante la seconda guerra mondiale per salvare circa 1200 ebrei dalla condanna a morte nel campo di concentramento di Płaszów senza nascondere i difetti di un personaggio un po 'ambiguo che cerca di trarre un profitto materiale dalla situazione. 

Nel 2004, il film è stato selezionato dalla Library of Congress per la conservazione presso il National Film Registry per il suo "significato culturale, storico o estetico" .

La lista di Schindler è classificato nella Top 100 della American Film Institute in ottava posizione. 

Il film vinse 7 premi Oscar compreso l'Oscar per il miglio film e innumerevoli altri premi nel mondo.

Realizzato in un meraviglioso e gelido bianco e nero il film comincia a Cracovia, durante la seconda guerra mondiale. 

Oskar Schindler è un industriale tedesco, membro del partito nazista . All'inizio pensando solo al suo profitto, corrompe i membri della Wehrmacht e gli ufficiali delle SS per acquisire una fabbrica di metallo smaltato. 

Pertanto, per aiutarlo nella direzione dei suoi affari, assume un contabile ebreo, Itzhak Stern, un rappresentante locale della comunità ebraica che ha contatti nel mercato nero e la comunità imprenditoriale ebraica. 

Stern quindi aiuta Schindler a trovare finanziamenti per avviare la sua attività. Schindler intrattiene relazioni amichevoli con i nazisti, gode della sua fortuna, del suo status di "Herr Direktor" e di Stern come suo braccio destro. 

Impiega manodopera ebrea a buon mercato nella sua fabbrica. 

La liquidazione del ghetto di Cracovia, nel marzo 1943 è il soggetto di un terribile e magnifico (cinematograficamente) segmento di 15 minuti del film. 

Oskar Schindler è davvero consapevole dell'orrore e della follia del nazismo assistendo alla liquidazione del ghetto di Cracovia e soprattutto vedendo una bambina con un cappotto rosso persa nel massacro (questo è uno dei pochissimi elementi a colori del film, girato principalmente in bianco e nero). 

La ragazza si nasconde dai nazisti e, in seguito, il suo corpo (identificabile dal suo cappotto rosso) sarà recuperato in una fossa comune per essere trasportato su un tapis roulant per essere bruciato con le altre vittime della liquidazione del ghetto. 

Schindler mantiene la sua amicizia con Goeth e, attraverso tangenti e doni, continua a divertire le SS per ottenere il loro sostegno. 

Da parte sua, Goeth abusa brutalmente della sua domestica ebrea, Helen Hirsch, e si occupa personalmente dei massacri sparando ai detenuti dal balcone della sua villa che si affaccia sul campo. I prigionieri vivono nel terrore quotidiano.

Alla fine Schindler rinuncia al suo interesse finanziario: la sua priorità ora è salvare quante più vite possibile. 

Corrompe Goeth per ottenere il permesso di costruire il proprio campo per proteggere i suoi lavoratori, per proteggerli meglio. 

Con i tedeschi che iniziarono a perdere la guerra, a Goeth fu ordinato di inviare gli ultimi ebrei da Płaszów al campo di concentramento di Auschwitz . 

Schindler chiede a Goeth il permesso di spostare i suoi lavoratori in una nuova fabbrica di munizioni che intende costruire nella sua città natale di Zwittau-Brinnlitz. Goeth è d'accordo, ma in cambio di  un'enorme bustarella. 

Schindler e Stern creano quindi la "Lista Schindler", una lista di 1.100 persone che saranno trasferite a Brinnlitz e che saranno risparmiate dalla deportazione ad Auschwitz. Tuttavia, un treno femminile destinato alla sua fabbrica viene deviato ad Auschwitz. Sfuggono alla morte grazie a diamanti offerti a Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz. 

Liberati, arrivano sani e salvi nella fabbrica di Schindler. 

Schindler saboterà persino la propria merce in modo che non possa essere utilizzata militarmente durante i sette mesi di produzione della sua azienda. Perde quindi gran parte della sua ricchezza corrompendo le autorità naziste. 

Pochi mesi dopo, nel 1945, la guerra finì. 

Oskar Schindler e sua moglie, rovinati, lasciano il paese.

Schindler non può andarsene senza dire addio ai 1.100 ebrei che ha salvato che gli offrono un anello d'oro fatto di protesi fuse e che porta la massima dal Talmud : "Chi salva una vita salva tutta l'umanità" (Mishna, Sinedrio 4: 5) וכל המקיים נפש אחתישראל מעלה עליו הכתוב כאילו קיים עולם מלא "). Schindler è toccato dal gesto ma si vergogna di non aver fatto di più.

Il film termina ai giorni d'oggi, a colori, per mostrare lo Schindlerjuden al giorno d'oggi, sulla tomba di Schindler a Gerusalemme. 

Un film che resta come una pietra sulla coscienza. Nel cuore dello spettatore e nella sua mente. 




30/09/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 41. "Arrivederci, Ragazzi" (Au revoir les enfants) di Louis Malle (1987)




Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 41. "Arrivederci, Ragazzi" (Au revoir les enfants) di Louis Malle (1987) 

E' sublime il racconto autobiografico che diventa - con l'intervento decisivo dell'invenzione creativa - opera d'arte, come in Arrivederci ragazzi (Au revoir les enfants) il film che nel 1987 è valso a Louis Malle il Leone d'oro alla 44ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. 

Il maestro francese arrivò alla decisione di girare questo film - divenuto uno dei suoi più importanti - dopo diversi anni di riflessione e dopo aver scritto la prima bozza per una sceneggiatura in 14 giorni. basato sulla storia vera accaduta durante la sua infanzia nel 1944, quando, all'età di undici, entrò nel convitto Petit-Collège ad Avon vicino Fontainebleau. 

Tuttavia, Malle spiegò abbondantemente che il  film non ricalca fedelmente ciò che accadde, sovrapponendosi alla storia, elementi e aneddoti recuperati altrove o puramente immaginari. 

Il progetto era originariamente intitolato My little madeleine (riferimento alla Madeleine de Proust), prima di diventare con il titolo di Au revoir les enfants, un classico mondiale. 

Il film è dunque ambientato in Francia nel Collegio dei Carmelitani Scalzi di Fontainebleau nel gennaio del 1944, dove un ragazzo di nome Julien Quentin viene mandato insieme al fratello maggiore François, durante la Seconda guerra mondiale

Arrivato in quel collegio trova buona parte dei suoi compagni insopportabili ed egoisti e avverte fortemente la nostalgia della madre. 

La sua vita cambia radicalmente quando un coetaneo, Jean Bonnet, viene inserito nella classe. Julien inizialmente percepisce il ragazzo come un rivale, visto che ottiene buoni risultati a scuola e sa suonare bene il pianoforte. Ma con il tempo nota che è un ragazzo riservato e misterioso: non riceve mai posta, parla poco, non si mescola mai con i compagni. Frugando nel suo armadietto Julien scopre il suo segreto: Jean Bonnet è in realtà Jean Kippelstein, un ragazzo ebreo che ha trovato rifugio sotto falso nome nel collegio, per sfuggire alle persecuzioni razziali. 

L'ostilità di Julien si trasforma così in curiosità, poi in amicizia. 

Mentre scorrono i giorni del 1944, la vita nel collegio procede in tutta tranquillità, finché Joseph, un ragazzo povero e zoppo che lavora come inserviente dai preti, viene licenziato. Infatti è stato scoperto a compiere furti di oggetti presenti nel collegio (in particolare cibo) per poi barattarli con oggetti personali degli scolari. 

Il ragazzo, senza un posto dove vivere e consumato dalla rabbia, si fa spia presso l'esercito tedesco, rivelando la presenza di ebrei nel collegio. 

Malgrado i mille sotterfugi inventati dai preti, e i disperati tentativi di salvarli, Jean e altri due ebrei, insieme al direttore del collegio, vengono portati via per intraprendere un viaggio che si concluderà solo con la morte. 

Julien lo guarda allontanarsi e nonostante il sacerdote li saluti dicendo «Arrivederci ragazzi, a presto!», capisce che non lo rivedrà mai più. Alla conclusione del film, il narratore - lo stesso protagonista adulto - informa che sia i suoi compagni ebrei che il sacerdote moriranno successivamente in un campo di sterminio nazista: i ragazzi ad Auschwitz, mentre il prete a Gusen I (Mauthausen). 

L'equilibrio della narrazione raggiunto da Malle in questo film è quello della piena maturità: tutta la vicenda viene raccontata con partecipata intensità, senza la minima sbavatura, trasportando lo spettatore tra le mura di quel lontano collegio in cui si sperimenta l'assurdità inaudita del male e la sua presenza inalienabile.  

Allo stesso tempo, Au revoir les enfants è un vero e potente inno all'amicizia, alla com-passione, alla partecipazione emotiva, alla memoria, alla solidarietà. Quelle doti umane che proprio nei momenti più bui della storia, tornano a riemergere, promettendo agli uomini di poter risorgere, ancora una volta, dal loro abisso. 

Fabrizio Falconi





22/02/19

Spunta una crudissima lettera inedita di Primo Levi, scritta nel 1945, tornato da Auschwitz.

Primo Levi fotografato a Torino poco tempo prima di essere arrestato

"Ci radono i capelli, ci tatuano sul braccio un numero progressivo, ci denudano, ci rivestono di stracci immondi a rigoni: non siamo piu' uomini. Nessuno spera piu' di uscire". 

C'e' tutta la prosa di Primo Levi, la grandezza del narratore, l'asciuttezza che ne sara' lo stile e nello stesso tempo la capacita' di accendere lo sdegno con la forza di un resoconto scientifico reso drammaticamente eloquente dai numeri ("Il 22 febbraio '44 siamo partiti tutti, 650 disperati con bambini, donne, vecchi, 50 rinchiusi in ogni vagone merci, 4 giorni, 4 notti di viaggio senza dormire e senza bere.. siamo tornati in 15") nella lettera inedita che pubblica il quotidiano La Stampa in occasione dei 100 anni dalla nascita del grande scrittore torinese. 

Resa pubblica per concessione dei figli Lisa e Renzo, la lettera, due fogli battuti fitti fitti a macchina con inchiostro rosso, riporta la data del 26 novembre 1945. 

Levi aveva solo 26 anni, era rientrato a Torino da meno di un mese ed era gia' in cerca di un lavoro ("Sono ancora disoccupato, pero' ho imparato il tedesco e un po' di russo e di polacco, ed ho visto un bel pezzo di Europa che pochi stranieri hanno visto"). 

Ai parenti lontani non nasconde niente, racconta della decisione di salire in montagna con i partigiani per sfuggire alle leggi razziali, l'arresto con le amiche Vanda e Luciana, il campo di Fossoli, la deportazione, i suoi 11 mesi nel campo di Monowitz, satellite di Auschwitz, la fame disperata, le condizioni impossibili, le selezioni, la morte. 

Un reportage dall'inferno, lucidissimo e terribile, dove i sentimenti sembrano anestesizzati. 

C'e' il dramma incommensurabile e insieme un incredibile pudore, la totale assenza di vittimismo, forse chissà già il tarlo dello sgomento per essere lui tra i pochi che si sono salvati. 

"Quattro milioni di ebrei hanno varcato la soglia della camera a gas. Per tre anni il camino ha oscurato il cielo", scrive ai parenti. 

Prima di lanciarsi in un'altrettanto lucida e spietata analisi dell'Italia che ha ritrovato e anche dell'Europa ("Vecchia, maledetta e pazza") con parole che sembrano premonitrici e oggi più che mai attuali: "il fascismo ha dimostrato di avere radici profonde, cambia nome e stile e metodi, ma non e' morto, e soprattutto sussiste acuta la rovina materiale e morale in cui esso ha indotto il popolo"

08/03/18

Le vite incredibilmente intrecciate di Nelly Sachs e Paul Celan.


Ci sono vite che sono misteriosamente intrecciate, come quella di Nelly Sachs, nata a Berlino nel 1891, sopravvissuta alla Shoah e  quella di Paul Celan, anche lui ebreo, e uno dei massimi poeti del Novecento. 

Nelly (Leony) Sachs era riuscita a scampare ai nazisti grazie ad una lettera scritta quando aveva poco più di 15 anni a Selma Lagerlhof, grande scrittrice svedese prima donna insignita del Premio Nobel per letteratura nel 1909.  

Dopo la morte del padre di Nelly, fu proprio Selma ad aiutare Nelly e la madre, ormai cadute in miseria e con lo spettro incombente della deportazione. Selma Lagerlhof morì nel 1940, poco prima che le due donne arrivassero in Svezia, salve.  

Le condizioni di vita di Nelly a Stoccolma furono inizialmente molto precarie ma, anche lavorando come lavapiatti, le permisero di entrare nel circolo culturale svedese, come traduttrice in tedesco della grade poesia svedese. 

La fuga, promossa dalla Lagerlhof, consentì a Nelly di salvarsi, insieme alla madre, dal campo di concentramento, dove finì l'intero resto della loro famiglia. 

La sindrome del sopravvissuto colpì Nelly nei suoi decenni in Svezia, dopo la fine della guerra, esattamente come accadde a Paul Celan - il quale, di origini rumene, visse direttamente le deportazioni che condussero gli ebrei di tutta Europa all'Olocausto, riuscendo a sfuggire, pur spedito  in diversi campi di lavoro in Romania; al contrario dei genitori catturati dai nazisti e fucilati nel campo di concentramento di Michajlovka, in Ucraina.  

Per Nelly, come per Celan, la poesia divenne il luogo in cui sublimare una parabola di dolore infinito, con l'interrogazione incessante sul senso del destino tragico umano. 

Era forse inevitabile che i due prima o poi si incrociassero. 

Nel 1954 la Sachs infatti inizia una lunga corrispondenza epistolare con Celan. 

Lettere bellissime e accorate che testimoniano di un comune sentire e di una stessa profonda sensibilità, oltre che di una immensa stima reciproca. 

In una di queste lettere Celan scrive alla Sachs: Penso a te, Nelly, sempre, pensiamo sempre a te e ciò che vive grazie a te! Ricordi ancora quando abbiamo parlato di Dio per la seconda volta, a casa nostra, del tuo Dio, il Dio che ti attende, ricordi che c'era il riflesso dorato sulla tua parete ? Sei tu, è la tua vicinanza, che permette di vedere il riflesso, c'è bisogno dite, anche in nome di coloro ai quali tu sei e ti pensi tanto vicino, c'è bisogno della tua presenza qui e tra gli uomini, c'è bisogno di te ancora e a lungo, c'è chi cerca il tuo sguardo; mandalo, quello sguardo, mandalo ancora all'aperto, consegnagli le tue parole vere, le tue parole liberatrici, affidati a lui, affida a noi, tuoi compagni di vita, della tua vita, questo sguardo, fai in modo che noi, già liberi, diventiamo i più liberi in assoluto, facci stare ritti, con te, nella luce! 

Qualche anno dopo, nel 1966, Nelly Sachs veniva insignita del Premio Nobel per la Letteratura. 

Al termine di anni molto duri, con grandi sofferenze psichiatriche e crolli fisici e psichici, Nelly mori il 12 maggio 1970, lo stesso giorno esatto in cui a Parigi si stava celebrando il funerale di Paul Celan, suicidatosi pochi giorni prima, gettandosi nelle acque della Senna.


Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata

notizie tratte da: Elena Buia Rutt, La scrittura come unico appiglio, in Donne Chiesa Mondo, numero 66, marzo 2018, pag. 36 e seguenti. 

20/01/17

"Al di là della filosofia" di Emil M. Cioran (Recensione).




E' una storia intensa e struggente quella che si racconta in questo piccolo e prezioso libro: all’inizio degli anni ’40, nella Parigi occupata dalle milizie naziste, due intellettuali di origine rumena, Emil Cioran e Benjamin Fondane, entrambi influenzati dal filosofo russo Lev Šestov, stringono un rapporto di intensa amicizia.

Ma il sodalizio avrò breve durata: nel marzo del 1944, infatti, l’“ebreo errante” Fondane, arrestato dalla polizia del regime collaborazionista di Vichy, viene prima internato a Drancy, poi deportato ad Auschwitz (con il penultimo convoglio partito per quel campo), dove troverà la morte tra il 2 e il 3 ottobre dello stesso anno. 

Cioran inutilmente tenta dapprima di sottrarre l’amico all’arresto, e poi, una volta a Drancy riesce a ottenere una promessa di liberazione, ma soltanto per lui. La sorella dello scrittore dovrà comunque partire per i campi.  Fondane non accetta di separarsi dalla sorella, abbandonandola al suo destino. Preferisce rinunciare alla liberazione - e anche alla moglie che lo aspetta - e va incontro insieme alla sorella, al suo tragico destino. 

Cioran omaggia Fondane con un toccante ritratto, pubblicato sulla rivista Non Lieu (1978) e successivamente negli Exercices d’admiration (1986).

Le tre interviste raccolte in questo volume (in compagnia di Leonard Schwartz (1986), Ricardo Nirenberg (1988) e Arta Lucesco Boutcher (1992) ) , incentrate sul ricordo personale di Cioran della figura e dell’opera di Benjamin Fondane, restituiscono l’immagine di un uomo di grande integrità morale, visionario e pessimista, cultore del dubbio e in cerca di fede, autore di primissimo piano sulla scena culturale europea del primo Novecento. 


Per Cioran, Fondane è un uomo superiore che viveva la sua superiorità senza orgoglio alcuno, nella semplicità del tormento di esistere, senso di una vita dedita alla ricerca. “rassegnato alla fatalità” e allo stesso tempo “attratto dalla catastrofe”, un “credente senza religione”.  

Non faceva niente per passare inosservato tra le strade di Parigi, ricorda Cioran, rifiutandosi anche di portare l’obbligatoria stella di David.

Rispetto a Cioran - di cui nel libretto sono riportate le farneticanti parole scritte a ventidue che esaltavano Hitler e la dittatura in generale - una vera infatuazione per la retorica abietta delle camicie brune -  Fondane non perse mai la lucidità.   Seppure la sua ostentazione e il suo rifiuto di nascondersi, lo portasse dritto incontro ad una fine tragica. 

Ma forse è proprio questo che Fondane, ebbro di ricerca, ebbro di non concludere, cercava, nella sua drammatica esperienza di vita. 


Emil M Cioran
Al di là della Filosofia
a cura di Antonio Di Gennaro
Traduzione Irma Carannante
Mimesis Edizioni, Collana Minima Volti, Milano 2014  
pag. 112 

04/11/16

Una poesia scritta a mano da Anna Frank (e sconosciuta finora) va all'asta ad Amsterdam.




Una poesia scritta a mano da Anna Frank poco prima che si nascondesse con la famiglia ad Amsterdam, un pezzo "estremamente raro", sarà venduta all'asta a fine novembre a Haarlem, in Olanda

Lo ha annunciato  la casa d'aste olandese Bubb Kuyper. Il valore di questo testo scoperto in un album di ricordi scolastici di "Cricri" (Christiane) van Maarsen, sorella maggiore della sua migliore amica Jacqueline, si situa fra i 30 e i 50.000 euro, secondo Bubb Kuyper. Il testo reca la data del 28 marzo 1942, poco prima che Anna Frank e la famiglia si nascondessero nell'alloggio segreto per sfuggire ai nazisti dove vi resteranno fino all'agosto 1944, quando furono denunciati e deportati.

Secondo il quotidiano NRC.Next, è la quarta volta soltanto che un testo manoscritto da Anna Frank viene messo all'asta. Una serie di lettere di Anna e della sorella Margot a dei destinatari americani era stata aggiudicata nel 1988 per 165.000 dollari. Un libro di fiabe, con le firme di Anna e di Margot, è stato invece venduto a maggio a New York per 62.500 dollari, più del doppio del prezzo stimato. La poesia che sarà messa all'asta è firmata da queste parole: "in ricordo di Anna Frank". 

Le quattro prime righe sono state probabilmente ricopiate da una periodico del 1938, ma le quattro righe successive non sono state ritrovate fino a questo momento in altre fonti. 

La Casa di Anna Frank di Amsterdam, che non pensa di fare una offerta, sostiene che sia "assolutamente straordinario scoprire ancora, dopo tanti anni, un manoscritto sconosciuto", ha commentato una portavoce, citata da NRC.Next

fonte askanews e Afp

27/01/15

Giornata della memoria 2015. Hermann Goering a Norimberga.






Era seduto tra due estranei.  Fermi per convenzione, per obbligo, per divisa.  E forse pensava a qualcosa di inutile, a quel che aveva mangiato a colazione, forse a sua moglie o forse non pensava a niente. 

Come una furiosa cavalcata ebbra l'aveva portato fin lì. Con quegli uomini che - in una lingua straniera - gli chiedevano conto: lui un prigioniero, lui trattato come un miserabile, lui che in fondo non aveva fatto altro che il proprio dovere, lui che poi aveva anche capito prima di altri la follia del capo e aveva cercato anche di succedergli. 

Lui che messo ai margini dal capo - anche a causa della sua figura imbarazzante e del suo grasso superfluo (140 chili era arrivato a pesare) - s'era perfino preso la briga di compatire quei milioni che morivano nelle fosse e nei forni di Auschwitz.

Lui che ora era perfino magro, un altro uomo: con uno sguardo serio, fisso davanti a sé, appena un po' compiaciuto. 

Che domande gli sarebbero arrivate ora. Che altro gli avrebbero chiesto. Di cosa lo avrebbero accusato. Di essere un soldato, in fondo. Di aver fatto quello che bisognava

Forse sarà morto sognando la luna. Forse non avrà sognato nulla. Perché i vermi si erano impadroniti ormai anche dei suoi sogni. 

Fabrizio Falconi

Nella foto Hermann Goering al Processo di Norimberga nel 1946.  Processato dagli alleati, venne riconosciuto colpevole di «aver pianificato, iniziato e intrapreso guerre d'aggressione» e di aver commesso «crimini di guerra» e «crimini contro l'umanità». Udita la sentenza di morte per impiccagione, Göring chiese di essere fucilato; il tribunale respinse la richiesta. Poche ore prima che iniziassero le esecuzioni - attorno alla mezzanotte del 15 ottobre 1946 - si tolse la vita, inghiottendo una capsula di cianuro introdotta di nascosto nella sua cella, forse da un tenente dell'Esercito Americano, Jack "Tex" Wheelis, con il quale Goering intratteneva rapporti amichevoli.

22/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (4./)



Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (4./)

Cos’è che spinge una persona in questa condizione - nella condizione di vittima designata di un sistema folle che opera per distruggere e cancellare dalla faccia della terra una intera genia di innocenti -  a prendere le parti di Dio, a proporre addirittura di aiutarlo, anziché protestare contro di lui, inveire contro la Sua ingiustizia profonda, il suo silenzio complice, il suo assistere impassibile alla rovina e all’abominio che si consuma ?

Per spiegarlo dobbiamo capire il senso della teologia personale di Etty, il cui disegno coraggioso appare chiaro – pur con tutte le sofferenze e le lacerazioni  - nel dipanarsi febbrile delle pagine del diario e delle lettere  scritte negli ultimi mesi prima della sua morte.

L’atteggiamento della Hillesum di fronte agli spaventosi eventi della modernità è radicalmente diverso da quello della maggioranza delle intelligenze ebraiche che angosciosamente si interrogano sul silenzio di Dio. Pensiamo ad esempio ad esempio ad Elie Wiesel  per il quale questo silenzio rappresenta la fine della fede o almeno di quella fede tradizionale. Se l'Eterno ci sta mandando tutta questa manna senza poter far nulla – scrive Wiesel -  o questo Eterno è impotente o talmente sadico che nessun disegno Provvidenziale e Imperscrutabile potrà giustificarlo (agli occhi di un uomo e soprattutto di un uomo disperato che vive l'esperienza del campo) (11).

Di fronte a questo umanissimo pensiero, Etty offre invece una prospettiva del tutto rovesciata:  Sono pronta in ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella e piena di significato, e che non è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono così ora… dentro di me c’è una fiducia in Dio  che in un primo tempo quasi mi spaventava per la sua crescita veloce, ma che sempre più diventa parte di me..   

Questa fiducia, questo abbandono non sono, per la Hillesum gratuiti, non scaturiscono dal cuore in modo immotivato: sono piuttosto il prezzo di una presa di consapevolezza, di una umanità raggiunta al prezzo di un coraggio personale introspettivo che non cerca infingimenti o facili consolazioni e nemmeno mai cerca scorciatoie liquidatorieIl misticismo deve  fondarsi su una onestà cristallina, scrive,  quindi prima bisogna aver ridotto le cose alla loro nuda realtà, cioè come è stato fatto notare recentemente da una studiosa del pensiero di Etty, “ sempre dentro lo spessore del contraddittorio e difficile. Di lì si è rimandati all’Oltre, all’Inafferrabile vicino che sollecita aperture inattese, e crescite impensate, itinerari sconosciuti (12).”

Esempi di questa fede contraddittoria e difficile ma sempre vissuta fino in fondo, sempre vissuta senza sconti e visceralmente, nel senso che oggi si definirebbe più autentico, sono disseminati lungo il diario, nel racconto personale di Etty che si segue come lo svolgimento di un romanzo: l’esperienza dell’aborto, vissuta con determinazione lucida e dolorosa (ho giurato che nel mio grembo non nascerà mai un essere altrettanto infelice, scrive dopo aver assistito all’ennesima scenata del labile fratello Mischa, che viene portato in una casa di cura); quella del darsi a uomini diversi (solo dodici ore fa ero tra le braccia di un altro uomo e gli volevo e gli voglio bene)  quella della totale mancanza di autostima (Etty, mi disgusti, così egocentrica e meschina)  sono stazioni di una via crucis personale, che hanno come epilogo la partenza del vagone dalla stazione di Westerbork e l’annientamento nel campo polacco.


Eppure, in questo cammino  così controverso e difficile, Etty riesce a non perdere di vista l’essenziale.  Sa che Dio non le scapperà di mano, se lei non lo lascerà scappare.  Lo insegue, lo ricerca, lo ascolta, lo accoglie.  E una specie di grazia salvifica sembra scendere a proteggerla, a illuminarla, feconda di nuove scoperte:  ieri sera, scrive in una domenica mattina del 1941, subito prima di andare a letto, mi sono trovata improvvisamente in ginocchio nel bel mezzo di questa grande stanza, tra le sedie di acciaio sulla stuoia chiara. Un gesto spontaneo: spinta a terra da qualcosa più forte di me.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.   

      
11.     E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 169.
12. Così Elie Wiesel in quello che è considerato il suo capolavoro-autobiografia, il romanzo La notte, edito in Italia da La Giuntina, 1992.

21/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (3./)




Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (3./) 


Lo stesso percorso di vita di Etty parla il linguaggio della coerenza e del coraggio. L’adesione incondizionata, a prezzo della sofferenza personale, all’ideale della giustizia e del bello.    Dai tempi del ginnasio, che frequentò a Deventer, dove cominciò a frequentare un gruppo di giovani sionisti, imparando anche l’ebraico.  E poi, da studentessa universitaria, quando pur non facendo parte di alcun gruppo politico, mise in campo la sua passione personale nei rapporti con un’infinità di conoscenti, amici e colleghi universitari, fino al conseguimento della laurea in legge, e al fatale incontro con Julius Spier, lo psicologo e psicoanalista ebreo tedesco, allievo di Jung, che Etty conobbe casualmente il 3 febbraio del 1941 durante un concerto in ambito domestico e che praticava la psicochirologia, basata sulla lettura della mano.

Spier fu l’incontro determinante per Etty: divenne la segretaria e anche l’amante di un uomo carismatico e molto ambito, che la prese in terapia, le insegnò a dominare i suoi stati depressivi e caotici, la spinse ad iniziare la stesura di quel Diario che diventerà un testo capitale della spiritualità moderna, la protesse dall’angoscia opprimente del cerchio che la persecuzione nazista andava stringendo giorno dopo giorno intorno a lei e a quelli come lei.

Come ha scritto F. MichaelDavide: “la duplice esperienza di umanità – la relazione con Spier – e di disumanità – lo sterminio nazista – sono state la trama sulla quale si tesse la tela di questa vita che seppe trovare consistenza nell’ordito della presenza intima e discretissima del Dio dei padri: così vicino e così lontano. Senza la relazione con Spier, fatta di delicatissima e ardita umanità, Etty sarebbe stata senza dubbio sopraffatta dall’orrore e dal logoramento della persecuzione.  Senza queste ultime, non sarebbe stata sollecitata con tanta forza ad andare avanti nel cammino di interiorità fino a scegliere di essere consapevolmente sterile per essere feconda nella trasmissione di un amore più grande sempre pronto alla morte, come paradigma di incompiuta prontezza al dono di sé in ogni momento. (8)”

Le pagine del Diario raccontano di una relazione – quella con Spier – che nella sua profonda umanità, e anche con il corollario di una passione erotica a tratti travolgente (sto proprio rischiando di rovinare questa amicizia con l’erotismo, scrive Etty)  diventa la chiave per maturare e per crescere, e “attraversare la vita senza finzione ma nel coraggio di una verità su se stessi talora assai dura”. (9)


Julius Spier


Questo stesso metodo    che non concede sconti a sé stessa, sul piano del cammino personale, Etty applica, con la pazienza di un entomologo al suo “Discorso con Dio”, che procede di pari passo lungo le pagine del Diario stilato in quei due anni terribili per la storia dell’Europa e del mondo.

E’ soltanto la fedeltà a questo metodo che permette a Etty di non perdere mai totalmente La fiducia in Dio, nonostante l’orrore che vede ogni giorno, nonostante la sensazione di una ingiustizia così conclamata che vede diffondersi nel mondo, nel suo mondo, tra i suoi amici, tra i suoi più stretti famigliari, perseguitati per essere semplicemente appartenenti ad una razza sbagliata.  Il dramma del silenzio di Dio, in questi anni così orribili, Etty lo risolve a suo modo, con una professione di fedeltà interiore commovente, che giunge a spalancare nuovi orizzonti di comprensione spirituale. E’ una consapevolezza nuova – quella di essere il cuore pensante della baracca, come lei stessa si definisce – a permettere ad Etty Hillesum di poter scrivere una pagina come questa:

       Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano… Ti prometto una cosa Dio, soltanto una piccola cosa… Cercherò di aiutarti  affinché tu non venga distrutto in me, ma a priori non posso promettere nulla.  Una cosa però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo noi aiutiamo noi stessi.    L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. … Dicono: me non mi prenderanno.  Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia.  (10)

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.   


1.    Fr. MichaelDavide, Etty Hillesum: Dio Matura, edizioni La Meridiana (Pagine altre), Molfetta (BA) 2005, pag.16.
2.     F.MichaelDavide, Etty Hillesum… Op.cit, pag. 151
3.     E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 169.