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27/09/21

L'incredibile, terribile, suicidio di Seneca


Il cosiddetto Pseudo Seneca, busto romano in bronzo risalente
al I sec. a.C. ritrovato a Ercolano nel Settecento e conservato al 
Museo Archeologico Nazionale di Napoli


L'occasione del fallimento della cosiddetta Congiura dei Pisoni, nell'aprile del 65 d.C. offrì a Nerone, ormai sempre più invasato e assetato di potere, di potersi liberare di Seneca, che era stato suo tutore e dal quale si era dopo cinque anni progressivamente e completamente emancipato, con gravi conseguenze per l'Impero. 

In realtà sembra che della famosa Congiura Seneca fosse solamente informato, e che non vi prese parte direttamente.

Nerone però fu inflessibile e il sessantunenne Seneca ricevette quindi l'ordine di togliersi la vita, o meglio gli venne fatto capire che se non lo avesse fatto, morendo "onorevolmente" secondo i principi del mos maiorum, cioè della tradizione romana, sarebbe stato giustiziato comunque

Non volendo sottrarsi, Seneca optò per il suicidio. 

I particolari di questa morte sono però particolarmente raccapriccianti. 

Seneca dapprima si rivolge agli allievi, poi alla moglie Pompea Paolina, che vorrebbe suicidarsi con lui: il filosofo la spinge a non farlo, ma lei insiste.

Per Seneca il suicidio era in perfetta armonia con i principi professati dallo stoicismo, di cui Seneca fu uno dei maggiori esponenti: il saggio deve giovare allo Stato, res publica minor, ma, piuttosto che compromettere la propria integrità morale, deve essere pronto all'extrema ratio del suicidio. 

E' Tacito, qualche decennio dopo, a raccontarne i particolari, elogiandone la coerenza di vita:

«Frenava, intanto, le lacrime dei presenti, ora col semplice ragionamento, ora parlando con maggiore energia e, richiamando gli amici alla fortezza dell'animo, chiedeva loro dove fossero i precetti della saggezza, e dove quelle meditazioni che la ragione aveva dettato per tanti anni contro le fatalità della sorte. A chi mai, infatti, era stata ignota la ferocia di Nerone? Non gli rimaneva ormai più, dopo aver ucciso madre e fratello, che aggiungere l'assassinio del suo educatore e maestro.»

(Annales, XV, 62)

Seneca affrontò l'ora fatale con la serena consapevolezza del filosofo: egli, come racconta Tacito, come ogni vero saggio deve raggiungere infatti l’apatheia, ovvero l'imperturbabilità che lo rende impassibile di fronte ai casi della sorte. 

Dopo il discorso ai discepoli, Seneca compie l'atto estremo:


«Dopo queste parole, tagliano le vene del braccio in un solo colpo. Seneca, poiché il suo corpo vecchio ed indebolito dal vitto frugale procurava una lenta fuoriuscita al sangue, si recise anche le vene delle gambe e delle ginocchia.»

(Annales, XV, 63)

Con l'aiuto del suo medico e dei servi, si tagliò quindi le vene, prima dei polsi, poi - poiché il sangue, lento per la vecchiaia e lo scarso cibo che assumeva, non defluiva - per accelerare la morte si tagliò anche le vene delle gambe e delle ginocchia, fece trasferire la moglie in un'altra stanza facendo ricorso anche ad una bevanda a base di cicuta, il  veleno usato anche da Socrate. Tuttavia nemmeno quello ebbe effetto: la lenta emorragia non permise al veleno di entrare rapidamente in circolo. Così, memore del suicidio di un amico, Seneca si immerse in una vasca d'acqua bollente per favorire la perdita di sangue «spruzzandone i servi più vicini e dicendo di fare con quel liquido libazioni a Giove». 

Ma alla fine raggiunse una morte lenta e straziante, che arrivò, secondo lo storico, per soffocamento causato dai vapori caldi, dopo che Seneca fu portato, quando fu entrato nella tinozza, in una stanza adibita a bagno e quindi molto calda, dove non poteva respirare (ed essendo lui sofferente da sempre di problemi respiratori). I soldati e i domestici invece impedirono a Paolina, priva ormai di sensi, di suicidarsi, proprio mentre Seneca stava assumendo il veleno:

«Nerone però, non avendo motivi di odio personale contro Paolina, e per non rendere ancora più impopolare la propria crudeltà, ordina di impedirne la morte. Così, sollecitati dai soldati, schiavi e liberti le legano le braccia e le tamponano il sangue; e, se ne avesse coscienza, è incerto. Non mancarono, infatti, perché il volgo inclina sempre alle versioni deteriori, persone convinte che Paolina abbia ricercato la gloria di morire insieme al marito, finché ebbe a temere l'implacabilità di Nerone, ma che poi, al dischiudersi di una speranza migliore, sia stata vinta dalla lusinga della vita. Dopo il marito, visse ancora pochi anni, conservandone memoria degnissima e con impressi sul volto bianco e nelle membra i segni di un pallore attestante che molto del suo spirito vitale se n'era andato con lui. Seneca intanto, protraendosi la vita in un lento avvicinarsi della morte, prega Anneo Stazio, da tempo suo amico provato e competente nell'arte medica, di somministrargli quel veleno, già pronto da molto, con cui si facevano morire ad Atene le persone condannate da sentenza popolare. Avutolo, lo bevve, ma senza effetto, per essere già fredde le membra e insensibile il corpo all'azione del veleno. Da ultimo, entrò in una vasca d'acqua calda, ne asperse gli schiavi più vicini e aggiunse che, con quel liquido, libava a Giove liberatore. Portato poi in un bagno caldissimo, spirò a causa del vapore e venne cremato senza cerimonia alcuna. Così aveva già indicato nel suo testamento, quando, nel pieno della ricchezza e del potere, volgeva il pensiero al momento della fine.»

(Annales, XV, 64)

Vista la lunga serie di metodi di suicidio messi in atto da Seneca (anziché un solo metodo diretto ed immediatamente efficace, come quelli scelti da Bruto o da Nerone stesso: ad esempio pugnalarsi alla gola o al cuore, dalla clavicola, mentre un servo o un amico reggeva la spada; questa era in effetti la consuetudine più diffusa tra i romani nobili e i militari) e la somiglianza evidente in certi particolari (il discorso, la cicuta, poi la libagione alla divinità) con la morte di Socrate, è stato anche ipotizzato che Tacito abbia costruito lui stesso il racconto ad imitazione del testo platonico della morte di Socrate, e che la morte del filosofo sia stata più rapida.


Fonte: Wikipedia 


20/02/18

Un luogo segreto nel cuore di Roma - L'Auditorium di Mecenate, all'Esquilino.



Quando le pale e i picconi delle maestranze savoiarde, al lavoro per la costruzione del nuovo quartiere Esquilino, perla della neo-nata capitale d'Italia, si imbatterono nella scoperta, quasi non si credette a tanta fortuna. 

Eppure anche stavolta Roma aveva meravigliato, restituendo dopo quasi duemila anni e praticamente intatto, nella struttura, un edificio costruito in età adrianea, che fu identificato come un Auditorium. 

Attraverso il nome identificato su una conduttura di piombo, del retore M. Cornelius Fronto, proprietario degli Horti Maecenatis che sorgevano anticamente proprio in questo luogo - l'attuale Largo Leopardi - fu possibile attribuire la costruzione dell'edificio proprio a Mecenate, il celebre  politico e statista collaboratore di Augusto. 

In realtà studi successivi hanno appurato non trattarsi di un vero Auditorium - anche se l'attributo è rimasto - ma piuttosto di un ninfeo o di un triclinio estivo del tipo di quelli rinvenuti a Pompei e a Stabia. 

Sicuramente il luogo era comunque frequentato da poeti e artisti, intellettuali dell'epoca visto il rinvenimento, negli affreschi superstiti, di versi di un epigramma del poeta greco Callimaco. 


Spettacolare è l'ampia abside a semicerchio occupata, per circa 4/7 dell'altezza da una scalinata costituita da sette gradini concentrici, che aveva fatto pensare per l'appunto, alla cavea di un auditorium. 

Sui lati lunghi della sala si aprono due serie di sei nicchie per parete, mentre altre cinque scandiscono quelle dell'abside. 

Rendono unico questo ambiente i mosaici, il pavimento in opus sectile, i marmi, la decorazione pittorica policroma ad affresco, sopra uno zoccolo marmoreo, che ricorda quella della Villa di Liva a Prima Porta, con splendide figure:  candelabri e pavoni, scene dionisiache e cavalleresche, da ricondursi ad epoche più recenti, tardoaugustee e neroniane. 

Il monumento è visitabile solo a gruppi accompagnati e su prenotazioni. Per informazioni cliccare QUI. 

Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata.

23/01/18

Tornano alla luce - e tutti visibili - per il Natale di Roma, 15 grandi monumenti romani grazie al Parco Archeologico del Colosseo promosso dal MIBACT.




La gloriosa Curia del Senato al Foro Romano, le Uccelliere Farnese sul colle dei Cesari, la Domus Transitoria, la prima casa di Nerone sul Palatino, chiusa al pubblico da 60 anni ed edificata tra il 60 e il 64 d.C.: sono alcuni degli straordinari monumenti che, grazie al lavoro del nuovo Parco Archeologico del Colosseo, diretto da Alfonsina Russo, al quale il MIBACT ha concesso autonomia gestionale, saranno restituiti prossimamente alla città, già a partire dal Natale di Roma, il 21 aprile prossimo. 

Si comincerà proprio dalla Curia del Senato, luogo nevralgico della  storia di Roma, che riaprirà nelle seconda metà di febbraio, divenendo anche sala polifunzionale, per mostre temporanee, conferenze e incontri a tema.

L'8 marzo toccherà invece alla Uccelliere Farnese, i due padiglioni gemelli incastonati tra le rovine, e al Ninfeo della Pioggia, anch'esso opera del genio dei Farnese, realizzati tra il XVI e XVII secolo.

Per il 21 aprile, poi, l'apertura di 11 luoghi segreti del Parco: nel giorno del Natale di Roma rivedranno finalmente la luce, oltre alla Curia, il Tempio di Romolo, Santa Maria Antiqua con l'Oratorio dei Quaranta Martiri e la Rampa Domizianea, il Criptoportico neroniano, il Museo Palatino, le case di Augusto e di Livia, l'Aula Isiaca e la Loggia Mattei. 

Inoltre tra maggio e giugno verrà aperta un camminata paesaggistica-archeologica lungo il versante sud-occidentale del Palatino, particolarmente spettacolare per l'affaccio sul Circo Massimo. 

Infine, in autunno, riaprirà anche la Domus Transitoria, nel ventre del Palatino, la prima casa di Nerone, forse ancora più leggendaria della Domus Aurea,  con il ninfeo-teatro, il padiglione con le colonne di porfido, e gli ambienti impreziositi da tarsie marmoree, e volte ricoperte da foglie d'oro, lapislazzuli e paste vitree.




01/02/17

Riapre la Domus Aurea con una meravigliosa esperienza visiva per i visitatori.





Entrare nella Domus Aurea e vivere un'esperienza immersiva, riviverla e riscoprirla come era un tempo e come forse non la vedeva neanche Nerone, "illuminata"

Dal 4 febbraio, ogni sabato e domenica, i visitatori, a piccoli gruppi di 25 persone, su prenotazione, potranno sperimentare il nuovo percorso con realtà virtuale

Un progetto unico per Roma, voluto dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l'area archeologica centrale di Roma con Electa, che grazie alla tecnologia mira a cancellare ciò che fece Traiano e a riportare la luce nel monumento che per anni rimase nell'oblio fino alla sua riscoperta nel 1400. 

Si potrà vedere la Domus Aurea senza le grotte traianee.

Il Soprintendente Francesco Prosperetti: "La visita diventa attrattiva al di là del breve percorso che si farà negli ambienti della Domus Aurea e sarà legata a questa possibilità di fruire in maniera immersiva di un'esperienza temporale e spaziale irripetibile". 

"Mi sono reso conto frequentandola che cogliere l'essenza di questo luogo non era possibile con la semplice visita dei luoghi, perché restituiscono una realtà falsata di quello che era questo luogo ai tempi della sua costruzione. Questo si poteva riguadagnare solo con un meccanismo virtuale che le tecnologie attuali ci consentono di apprezzare". 



Si inizia con la proiezione di un video-racconto con immagini ricostruttive in 3D degli ambienti originari. 

Poi, accompagnati da guide, attraverso il cantiere in corso per la salvaguardia del monumento, si arriva all'installazione tecnologica nella Sala della volta dorata, dove con visori stereoscopici si potrà vederla come era, muovendosi nello spazio a 360 gradi in un ambiente ricoperto di marmi colorati e affreschi. 

Sarà un viaggio nel tempo e nello spazio. "Il filmato virtuale riesce virtualmente a sfondare le pareti di terra che circondano l'ambiente della sala della volta dorata e a farci apprezzare questo luogo straordinario com'era ai tempi della costruzione". 

Prosperetti ha inoltre ricordato come vada avanti il progetto definitivo di risanamento grazie al finanziamento di 13 milioni di euro garantito per il triennio dal ministro dei Beni e delle Attività Culturali Dario Franceschini, e dopo aver risolto il problema della percolazione dell'acqua dai giardini sovrastanti, aver pensato all'impermeabilizzazione e al consolidamento degli affreschi, ci si occuperà della pulitura. Per anni la Domus Aurea sarà ancora soggetta a restauro. 




12/04/12

Gli obelischi di Roma - 3. Obelisco Vaticano




Torniamo dunque, ai nostri obelischi (qui le precedenti puntate). E oggi è di volta il terzo in ordine di erezione: l'obelisco vaticano, il più misterioso di tutti, proprio perché l'unico rimasto sempre in piedi.
Se è vero quello che viene riportato dai Vangeli apocrifi, e soprattutto negli Atti di Pietro, questo obelisco ha 'assistito' al massacro dei cristiani, ordinato da Nerone a seguito dell'incendio di Roma nel 64 d. C. per allontanare da sé l’accusa di averlo provocato.
Nerone incrimina di esso i Cristiani e ne mette a morte, secondo le fonti dell'epoca, una multitudo ingens, fra atroci sofferenze, negli horti Neroniani in Vaticano (Tacito, Annali XV, 44). 

Per capire bene lo svolgimento della scena, bisogna capire cosa era il Circo Neroniano, in realtà già di Caligola: era una grande arena (non paragonabile alle dimensioni del Circo Massimo, ma con nella spina centrale proprio il nostro Obelisco ). 

Gli Horti sono quella macchia di vegetazione al di sopra del Circo. Erano - e sono - le pendici del Colle Vaticano. In quell'epoca, lì esisteva una strada di collegamento che permetteva l'ingresso a chi arrivava dal Nord di Roma. 

La storia di questo obelisco ne fa uno degli oggetti più importanti nella storia dell'umanità. 

3. Obelisco Vaticano 

spostato nella destinazione attuale nel 1585 – 

altezza m.23,36.

L’unico sempre rimasto eretto. 

Secondo Plinio, fu originariamente eretto da Nencoreo (Nebkaure Amenemhet II) figlio di Sesotide (1992 – 1985 a.C.), a Eliopoli - oggi periferia de Il Cairo.

Rotto durante i lavori di allestimento romani del Forum Iulium ad Alessandria, compiuti da Cornelio Gallo, l'Obelisco aveva in origine dimensioni gigantesche: 52 m. e 50 cm di altezza !

Dopo la rottura, il fusto superiore alto m.25,36 (l’attuale obelisco) fu trasportato a Roma dalle navi romane per ordine di Caligola intorno al 30 a.C., ad ornamento del suo circo privato sul Colle Vaticano (con iscrizione dedicatoria, ancora visibile, a Cesare, Augusto e Tiberio ). 

Anepigrafo, cioè privo di geroglifici. 

Eretto originariamente sul lato sinistro della Basilica Vaticana (a fianco dell’attuale Sagrestia, dove una lapide sul pavimento ne ricorda ancora oggi l'originaria ubicazione). 



nella foto qui di fianco si legge: ('SITO DELL'OBELISCO VATICANO FINO ALL'ANNO 1586')


Fu spostato al centro della piazza San Pietro (appena 200 metri di 'cammino'), dove è posizionato oggi, sotto Sisto V , dopo incredibili lavori (che coinvolsero 400 carri trainati da quadrighe e migliaia di operai e facchini)  coordinati  dall’architetto Domenico Fontana in tredici mesi dal settembre 1585 al settembre 1586.



La storia di questo obelisco, dunque è lunga 4.000 anni !  E comincia due millenni prima di Cristo, in Egitto. 
Come abbiamo poi già detto, l'Obelisco Vaticano è l'unico risparmiato dall'ondata devastatrice dei Goti, comandati dal Re Totila, che quando entrano a Roma nel 546, mettendola a ferro e fuoco, abbattono tutti gli obelischi, in quanto simbolo della grandezza e della prepotenza di Roma. fermandosi soltanto di fronte a quello Vaticano. 

Di fronte all'Obelisco, infatti, era stata eretta la grande Basilica Costantiniana, in onore dell'Apostolo Pietro, sul luogo della sua sepoltura.  

Anche i Goti rispettarono dunque questa memoria, considerando che non erano ancora passati  500 anni dalla morte di Pietro.

Sull'enorme piedistallo dell'attuale Obelisco si leggono le iscrizioni dedicatorie: 

SIXTUS V PONTIFEX MAXIMUS OBELISCUM VATICANUM DIS GENTIUM IMPIO CULTU DICATUM AD APOSTOLORUM LIMINA OPEROSO LABORE TRANSTULIT ANNO MDLXXXVI PONT II
cioè (più o meno):


"Sisto V Pontefice Massimo fece porre con immenso sforzo l'obelisco vaticano di fronte all'ingresso. Esso era stato originariamento dedicato a divinità pagane attraverso cerimonie profane. Anno 1586, secondo anno del ponteficato".


Le iscrizioni sugli altri lati recitano: 
"CHRISTUS VINCIT CHRISTUS REGNAT CHRISTUS IMPERAT CHRISTUS AB OMNI MALO PLEBEM SUAM DEFENDAT"
e
"ECCE CRUX DOMINI FUGITE PARTES ADVERSAE VICIT LEO DE TRIBU JUDA"   



Fabrizio Falconi © riproduzione riservata.