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01/11/22

La Poesia di Ognissanti: "Er Mortorio" di Aldo Fabrizi







Er mortorio 
Aldo Fabrizi 

Appresso ar mio num vojo visi affritti,
e pe’ fa’ ride pure a ‘ st’occasione
farò un mortorio con consumazione… 
in modo che chi venga n’approfitti. 

Pe’ incenso, vojo odore de soffritti, 
‘gni cannela dev’esse un cannellone, 
li nastri –sfoje all’ovo e le corone 
fatte de fiori de cocuzza fritti. 

Li cuscini timballi de lasagne, 
da offrì ar momento de la sepportura 
a tutti quelli che “sapranno” piagne. 

E su la tomba mia, tutta la gente 
ce leggerà ‘sta sola dicitura: 
Tolto da questo mondo troppo al dente”.


31/10/22

L'incredibile storia della "Colonnina telefonica" sulla Tomba di Roberto Rossellini al cimitero del Verano a Roma

La colonnina della T.E.T.I al Verano (foto Stefania Giudice) 

Una delle curiosità più particolari - e commoventi - del Cimitero Monumentale del Verano, dove riposa il meglio della cultura e dello spettacolo italiano degli ultimi 150 anni, è la cosiddetta "Colonnina della Teti, recentemente restaurata", che si trova proprio al fianco della tomba di famiglia dove è sepolto il grande Roberto Rossellini insieme ai suoi più stretti familiari.

La colonnina della Teti o meglio della T.E.T.I. (l'allora compagnia telefonica nazionale), come si legge nella targa apposta sotto il mandato del sindaco Marino, ricorda quanto accaduto nel 1946 quando "fu installata per consentire al regista Roberto Rossellini di seguire la lavorazione del film 'Germania anno zero' mentre con la moglie Marcella de Marchis vegliava sulla tomba del primogenito romano, morto all'età di 9 anni"

La tomba della famiglia Rossellini al Verano (foto Stefania Giudice) 

La vicenda della colonnina telefonica è iniziata nel 1946. Era l'anno di '"Paisa" e Roberto Rossellini si accingeva a girare "Germania anno zero" quando una banale appendicite si portò via il figlio, Romano, di 9 anni. 

Una tragedia che ha stravolse Rossellini e la moglie Marcella de Marchis e gli fece mettere le radici su quella piccola tomba, da dove non riusciva a staccarsi

Perchè l'esigenza vitale fu, per Roberto e Marcella, vivere fino in fondo e condividere il dolore vegliando sul figlio perduto. Ma c'era il film da portare avanti e gli obblighi, che la nuova pellicola imponeva, da onorare. Per potere comunicare con il produttore e gli sceneggiatori del nuovo film, Rossellini si fece allora installare una linea telefonica della teti di fronte alla tomba di famiglia

Il telefono non esiste più, ma quella colonnina in ghisa è ancora lì, al cimitero monumentale del Verano.

Dopo 68 anni, la colonnina fu restaurata e in quella occasione il figlio di Roberto, Renzo, disse: "Le opere di mio padre le divido in quelle prima della morte di romano e in quelle successive, dove c'è una spiritualità non presente in quelle precedenti. 'Germania anno zero' mio padre l'ha organizzato da qui. Dopo i bombardamenti di San Lorenzo qui molte tombe erano aperte e io passavo ore e ore a giocare con le ossa, creavo trombette, sono stato allevato nel lutto e nel dolore dei miei genitori. Negli anni passati ho fotografato la colonnina e la tomba e l'ho mandate a tutti i sindaci di Roma, ma solo grazie alla sensibilità di Marino questo oggetto è entrato nella storia" 

Una storia che Roma fa bene a non dimenticare. 




19/04/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 13. "Ladri di Biciclette" di Vittorio De Sica (1948)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 13. "Ladri di Biciclette" di Vittorio De Sica (1948)

André Bazin definì questo film l'espressione più pura del Neorealismo, e anche se oggi sembra difficile poter ri-guardare questo film estraniandolo dal suo contesto storico, bastano semplicemente venti minuti per dimenticare critiche, studi universitari, e dispute, per ritrovare subito la freschezza universale di questa opera miracolosa, che è riuscita e riesca a parlare direttamente al cuore e alla testa di ogni spettatore, di ogni latitudine censo o etnia. 

Ladri di Biciclette nacque come è noto dalla collaborazione tra Cesare Zavattini e lo stesso De Sica, riadattando un romanzo di Luigi Bartolini ed estremizzandone in contenuti in un poderoso affresco sulla povertà, sul lavoro e sulla dignità umana, grazie a quella forma "poetica del pedinamento" nella quale credeva Zavattini, consistente nel rimanere attaccato alla prospettiva dei protagonisti, nel seguire ogni loro istante, espressione del viso, mutamento caratteriale con un utilizzo di campi medi e lunghi e le figure di attori non professionisti sempre al centro della scena, quasi in tempo reale anche quando le quinte sono quelle ricostruite in studio.

La vicenda raccontata è di una semplicità assoluta: ad Antonio Ricci, il protagonista, rubano la bicicletta nel primo giorno di lavoro, che per lui, attacchino di manifesti in strada, è essenziale.  Inizia così la disperata rincorsa di Antonio, accompagnato dal figlio Bruno, alla ricerca del ladro, in una delirante peregrinazione nei diversi quartieri della città.

Quando ormai tutto è perduto, Antonio cede alla tentazione di rubarne una, ma viene subito fermato e aggredito sotto gli occhi del figlio. E saranno proprio le lacrime disperate del figlio Bruno a evitargli il carcere e a restituirlo alla libertà, in una ultima memorabile scena in cui i due fanno ritorno a casa tenendosi per mano mentre su Roma scende la sera.

Un film monumento su cosa significa (e comporta l') essere umani.


Ladri di Biciclette
di Vittorio De Sica
con Lamberto Maggiorani, Enzo Staiola
Italia, 1948
durata: 93 minuti


18/05/18

Libro del Giorno: "Moccoletti Romani" di Mario Verdone.




Mario Verdone non era romano.  Era nato infatti ad Alessandria il 27 luglio del 1917 e nonostante i modesti mezzi familiari, riuscì a completare gli studi laureandosi a Siena in Giurisprudenza con Norberto Bobbio e una tesi in Filosofia del diritto.

Ma fu il 1941 l'anno della svolta della sua vita, quando si trasferì a Roma, città in cui negli anni della guerra cominciò a collaborare con le principali testate cinematografiche dell'epoca (da Cinema a Bianco e Nero) diventando poi docente di Storia e Critica del Cinema con corsi liberi di filmologia in diverse Università, fino alla collaborazione col Centro Sperimentale di Cinematografia. 

Divenuto quindi figura centrale in Italia degli studi sul Cinema, Verdone fu così assorbito dalla città, da divenire più che un romano di adozione. 

Questa riedizione dei suoi Moccoletti romani - voluta dai figli Silvia, Luca e Carlo, in occasione del centenario della nascita dello studioso, testimonia infatti di una passione totale per la storia e le tradizioni cittadine in tutte le sue forme. 

Verdone, in questi scritti sparsi che vanno dal 1948 fino agli anni ottanta e oltre, ripropone gli studi sugli spettacoli e le feste romane, su scrittori e pittori, sui viaggiatori, sulla gente di teatro e di cinema di ieri e di oggi, sui futuristi, insomma su tutto il mondo popolare e popolaresco, e artistico o erudito che ha fatto da sfondo alla vita della Capitale nel trascorrere di secoli e decenni, con una parte sostanziosa, evidentemente, dedicata al cinema, con pagine dedicate alla gloriosa storia degli stabilimenti Cines, al Neorealismo, a Cinecittà, a Orson Welles e alla sua ossessione per Piranesi.

Naturalmente si parla molto anche del Belli, di Trilussa, del Carnevale Romano, di cui i Moccoletti del Martedì Grasso (che danno il titolo al volume) erano un grande e scenografico epilogo. 

Verdone, che probabilmente ha trasmesso questa sua inclinazione al figlio Carlo - celebrato regista e attore -  ha coltivato sempre nella ricerca storica, il gusto per il particolare e l'inconsueto, ispirandosi al detto di Prosper Merimée: "nella storia io amo soprattutto l'aneddoto". 

C'è infatti in queste pagine una cura del dettaglio, una ricerca quasi maniacale dell'aspetto dimenticato, oscurato dagli anni, come nelle bellissime pagine dedicate a Federigo Tozzi, visto che a Verdone, poco dopo il suo arrivo a Roma, nel 1945, capitò di andare a vivere proprio nello stesso palazzo - in Via del Gesù, 62 - dove aveva abitato lo scrittore senese; o come nelle pagine che descrivono il difficile e idiosincratico rapporto di James Joyce con la Città Eterna. 

Un libro godevole, pieno di prezioso materiale per gli appassionati di cinema, di letteratura e naturalmente.. di Roma. 


Carlo e Mario Verdone