E' un'opera che tutti, specialmente oggi, dovrebbero vedere.
17/10/23
"Il Complotto contro l'America" - perché è una serie da vedere oggi
E' un'opera che tutti, specialmente oggi, dovrebbero vedere.
05/07/23
Un romanzo dimenticato e molto bello: "La Rossa" di Alfred Andersch
Se oggi andate a cercare su Amazon o altre librerie on line (non parliamo di quelle tradizionali/cartacee) il nome di Alfred Andersch, non troverete nulla di nulla pubblicato in Italia, negli ultimi 40 anni.
17/04/23
André Breton, Chagall, Max Ernst, Hannah Arendt, Walter Benjamin: protagonisti di una bellissima serie Tv su Netflix, "Transatlantic"
André Breton, Chagall, Max Ernst, Hannah Arendt, Walter Benjamin, sono loro qui i protagonisti.
23/10/22
Muore a 98 anni, Zilli Schmidt, sopravvissuta ad Auschwitz, portavoce del riconoscimento del genocidio nazista di Sinti e Rom
05/10/22
Libri: Arriva in Italia "Hitler, la manipolazione, il consenso, il potere"
29/08/22
Le incredibili circostanze che consentirono a Roman Polanski di salvarsi dall'Olocausto quando aveva 10 anni. L'emozionante incontro con i nipoti dei suoi salvatori
06/05/22
E' vero che Mussolini si fece costruire un Bunker sul Monte Soratte?
06/04/22
Libro del Giorno: "Stefan Zweig, L'anno in cui tutto cambiò" di Raoul Precht
E' di grande interesse, e anche di grande attualità, l'uscita in queste settimane del nuovo libro di Raoul Precht, edito da Bottega Errante, che si concentra sulla vicenda personale, umana e letteraria di Stefan Zweig, inquadrata in un anno cruciale della sua vita, il 1935.
Precht, studioso attento della letteratura europea e tedesca in particolare (lingua quest'ultima che egli conosce come la madre lingua italiana), dopo Kafka (Kafka e il digiunatore, Nutrimenti, 2014) e Sternheim (Carl Sternheim, Schulin, La Camera verde, 2015), si rivolge alla figura di Stefan Zweig, prolificissimo scrittore ebreo, nato a Vienna nel 1881, vissuto a cavallo tra i due secoli, profondo pacifista e umanista, travolto dagli eventi drammatici del Novecento, il quale abbandonò definitivamente il suo paese dopo l'Anschluss nazista, finì i suoi giorni nel lontano Sud America, suicidandosi, nel 1942, insieme alla sua seconda moglie Lotte.
Dal suo primo racconto pubblicato a 19 anni, Primavera al Prater, Zweig fu instancabile, pubblicando una mole incredibile di romanzi e racconti, poesie e testi teatrali, memorie e lettere, saggi e articoli, raccolte e antologie, e numerosissime biografie che vanno da Tolstoj a Fouché, da Maria Stuarda a Toscanini, da Magellano a Montaigne e tantissimi altri.
Il libro di Raoul Precht incrocia la vita di Zweig nel suo anno cruciale, da gennaio del 1935 al gennaio successivo, lo scrittore si trova ad attraversare le sliding doors che ne decideranno il destino: è l'anno in cui la moglie Friderike (che Zweig aveva sposato prendendo con sé anche le due figlie avute dalla donna dal suo precedente matrimonio) scopre la sua relazione con Lotte Altmann, la sua segretaria, alla quale lo scrittore si legherà definitivamente in seguito, sposandola, e condividendo con lei il gesto estremo del suicidio.
Ma è anche l'anno in cui, a seguito di un primo scontro con la polizia locale, Zweig decide di lasciare Salisburgo e l'Austria e di stabilirsi in Gran Bretagna. Il suo paese infatti, come la Germania, è irretito dalle sirene naziste e il clima per gli ebrei comincia a farsi irrespirabile.
Zweig inizia un inquieto pellegrinaggio che lo porta in dodici mesi a spostarsi tra Nizza e New York e poi Vienna, Zurigo e le alpi svizzere, Marienbad, Parigi, Londra e infine nuovamente Nizza.
In questo errare lo scrittore incontra, in giro per l'Europa, scrittori e artisti con i quali è in rapporti di amicizia, da Thomas Mann a Joseph Roth, da Sigmund Freud a Arturo Toscanini.
Precht sceglie la cifra stilistica di un romanzo biografico: né una vera biografia, né un vero romanzo. La ricostruzione accuratissima degli spostamenti, degli incontri, dei particolari anche apparentemente trascurabili, contribuiscono a ricostruire il clima di un tempo difficile, che lo spirito inquieto di Zweig attraversa come sotto effetto di una febbre cerebrale.
Si stringe la morsa intorno a lui e intorno ai suoi amici: si impone di abbandonare le scelte di una vita comoda, facile, colma - nel caso di Zweig - anche di riconoscimenti e onori. Si impone di predisporsi ad abbandonare ciò che è più caro e salpare verso l'ignoto.
Non solo: la vita di quei mesi obbliga anche a scegliere quale atteggiamento opporre di fronte all'avanzare dell'orrore, della discriminazione, dell'odio, incarnata dal tiranno Hitler, pronto a spaccare il mondo in due e a metterlo a ferro e fuoco.
Zweig, anche rischiando l'incomprensione o la censura dei suoi amici più cari - magari ebrei come lui, come è il caso di Roth - sceglie un atteggiamento riservato, di non aperta denuncia: non si schiera, non fa appelli, non dà la caccia al mostro.
Altri gli dicono che è ora, invece, di rompere gli indugi e chiamare il demonio con il suo nome. Ma Zweig temporeggia: la sua indole, il suo credo profondamente pacifista, gli impongono prudenza e desiderio di distacco. E' la natura umana a deluderlo, la triste evoluzione di un destino collettivo - e quindi anche personale - che distrugge il sogno della vita bella, della vita dedicata alla conoscenza, al sapere, alla consapevolezza.
Zweig si avvicina alla fine della sua vita, sentendo che le forze gli vengono meno, dopo anni di vagabondaggio e sa che il porto del ritorno per lui è precluso per sempre. Cerca rifugio dunque, nell'unica cosa che può dargli piacere e in fondo salvezza: il lavoro, il lavoro intellettuale.
Verrà un tempo - e verrà presto, di lì a sette anni - in cui anche questo non basterà più e Stefan abbraccerà il suo desiderio di dissoluzione in compagnia della donna che ha deciso di condividere con lui il suo destino.
Il libro di Raoul Precht, letto in questi tempi in cui i tamburi di guerra hanno ricominciato a rullare così forte - e proprio nel cuore della vecchia Europa - si impone come una lettura non solo qualitativa, ma necessaria.
Stefan Zweig, L'anno in cui tutto cambiò
Fabrizio Falconi - aprile 2022
04/04/22
Perché la Shoah (l'Olocausto) è un "unicum" nella storia umana?
Specialmente in questi anni così confusi, di negazionismi sfrenati, benaltrismi, narcisismi piccoli e grandi che si esaltano nella confutazione spavalda dell'ovvio e del naturale, col pretestuoso e l'inaccettabile, vale la pena riportare qui la risposta forse più chiara ed esaustiva possibile alla domanda che spesso si sente ripetere, ovvero: per quali motivi la Shoah, l'Olocausto degli ebrei da parte dei nazisti, durante la Seconda Guerra mondiale è un "unicum" nella storia umana, e perché è sbagliato concettualmente e materialmente equipararlo ad altri tipi di genocidi terrificanti che sono stati compiuti nella storia.
04/03/22
Come nacque il meraviglioso discorso di Chaplin nel "Grande Dittatore" ?
Specialmente in questi tempi di ansia e di guerra, torna alla mente il monologo finale del Grande Dittatore, uno dei più famosi monologhi cinematografici di sempre, nel capolavoro scritto, diretto, prodotto e interpretato da Charlie Chaplin.
12/02/22
Quando i Neonazi manifestavano liberi nel 1962 a Londra, a Trafalgar Square
Una bella miniserie prodotta da BBC, "Ridley Road", in 4 puntate di 1 ora ciascuna, ancora in attesa di trovare un distributore in Italia, ha riportato alla memoria l'incredibile vicenda di un gruppo neonazista che in Gran Bretagna, ispirandosi direttamente ad Adolf Hitler, nel dopoguerra, riuscì a manifestare liberamente per le strade di Londra, come conferma questa foto storica scattata a Trafalgar Square, nel 1962.
Il gruppo era capitanato dal politico Colin Jordan, e dalla moglie francese, Francoise Dior, che oltre ad essere la dama nera del movimento inglese, era anche la nipote (figlia del fratello) di Christian Dior.
Ero piuttosto curioso, dopo aver visto la serie, di scoprire quanto nella fiction ci fosse di vero. E sembra proprio che la ricostruzione sia molto fedele ai fatti.
Nell'Inghilterra del dopoguerra Colin Jordan, figlio di un impiegato postale scozzese, cavalcò la frustrazione di un popolo che molto aveva sofferto durante la Seconda Guerra Mondiale, con un inaudito numero di perdite umane; lanciando lo slogan che tutto questo era stato fatto "per salvare gli ebrei" e quindi, tutto sommato, per colpa loro.
Cominciò così una campagna dai toni sempre più aggressivi nei confronti degli ebrei inglesi, fino a quando Jordan non fu arrestato con l'accusa - e le prove - di aver organizzato una forza paramilitare sul modello delle SA naziste.
Ridley Road ripercorre con tocco lieve ma efficace, la storia di due infiltrati - ebrei - che riuscirono a sabotare l'organizzazione di Jordan, fornendo a Scotland Yard, le prove della loro attività criminale.
Come sempre, quando si tratta di serie inglesi, la ricostruzione è perfetta negli ambienti, nel clima, e nei personaggi.
Tra tutti i (bravi) attori, menzione particolare per Rory Kinnear, attore shakespeariano che incarna magistralmente il nevrotico represso Jordan.
Fabrizio Falconi - 2022
21/01/22
Quando Gregory Peck interpretò (con sue grandi perplessità) il ruolo del criminale nazista Josef Mengele, "l'angelo della morte"
Nel 1976 uscì un romanzo, "I ragazzi venuti dal Brasile", dello scrittore americano (ebreo) Ira Levin che ebbe un successo strepitoso, raccontando l'immaginaria seconda vita del criminale nazista Josef Mengele, autore di atroci pratiche nei lager nazisti e sfuggito alla cattura dopo la fine della seconda guerra mondiale. Levin, appunto, lo immagina fuggito in Brasile sotto falsa identità e dedito, nella sua fazenda immersa nella foresta, alla realizzazione di un folle esperimento per creare dei cloni attraverso il sangue e i tessuti di Hitler, prelevati dallo stesso Mengele.
Nell'agosto 1976, visto il grande successo del romanzo, fu annunciato che il gruppo di produttori formato da Robert Fryer, Martin Richards, Mary Lee Johnson e James Cresson, aveva opzionato i diritti cinematografici. Il film, inizialmente offerto al regista Robert Mulligan fu poi assegnato a Franklin Schaffner, incaricato di dirigerlo. Nel maggio 1977 fu annunciata la notizia che il grande Laurence Olivier avrebbe recitato nel film.
A Olivier però, già malato (stava accettando tutti i lavori cinematografici ben retribuiti che poteva, ottenere per provvedere a sua moglie e ai suoi figli dopo la sua morte) che aveva appena interpretato la parte di un sadico medico nazista nel bellissimo The Marathon Man (Il maratoneta) di John Schlesinger (1976), non andava a genio l'idea di calarsi nuovamente nella parte di un criminale nazista come Mengele.
A questo punto, i produttori chiesero a Gregory Peck, che si era unito al film a luglio, di interpretarlo. Peck, che al cinema aveva quasi sempre interpretato ruoli virtuosi, era assai riluttante per questioni personali, ma alla fine accettò di interpretare Mengele solo perché in questo modo avrebbe avuto l'opportunità di lavorare con Sir Laurence Olivier, che stimava da sempre.
Anche Lilli Palmer, nel cast, accettò un piccolo ruolo solo per lavorare con Olivier.
Olivier ebbe così il ruolo dell'altro protagonista del film, l'immaginario Ezra Lieberman, che si ispirava direttamente al "cacciatore di nazisti" SimonWiesenthal
Il film fu girato quasi interamente in Portogallo.
Ne scaturì un film di grande qualità, soprattutto per la stellare levatura dei suoi interpreti, con diverse scene che vedono il confronto tra Peck e Olivier, tra cui quella del violento litigio tra Lieberman e Mengele che, raccontano le cronache, richiese circa tre o quattro giorni di riprese a causa della salute cagionevole di Olivier in quel momento.
Peck, più tardi, ricordò che lui e Olivier "erano sdraiati sul pavimento" ridendo dell'assurdità di dover filmare una scena di combattimento del genere alla loro età avanzata. Non solo due grandi attori, ma due vere pietre miliari nella storia del cinema.
14/09/20
"Never Gone - Mai Andati Via" , un corto rievoca il tragico eccidio nazista del 28 dicembre 1943 a Cardito Vallerotonda
28 dic.1943
29/07/20
Quando i nazisti bruciarono le Navi di Caligola a Nemi
03/04/19
L'incredibile storia di Luigi e Mokryna.
Tornati nel proprio paese d’origine, entrambi si sono sposati e hanno avuto figli ma non hanno mai dimenticato il loro vero e unico amore.
Luigi non ha mai smesso di cercare la sua Maria e l’ha ritrovata solamente dopo sessant’anni grazie a un programma televisivo, nel 2004. In quel momento Luigi, il più emotivo dei due, ha potuto finalmente riabbracciare Mokryna, e da allora i due innamorati non si sono più separati.
La scultura rappresenta l’amore tra Luigi e Mokryna, ormai anziani, stretti in un immortale abbraccio.
Una copia esatta della scultura è stata inaugurata nella città natale di Pedutto, a Castel San Lorenzo, il 30 aprile 2017. L’opera è diventata simbolo di amore eterno tra due innamorati che la guerra ha riunito e poi separato.
La versione italiana, chiamata la Fratellanza Universale, rappresenta metaforicamente un abbraccio tra due popoli, l’Italia e l’Ucraina, che hanno entrambi sofferto per i tragici eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale.
01/04/19
100 film da salvare alla fine del mondo: 8. Mephisto di István Szabó (1981)
Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti.
Non ha avuto forse abbastanza considerazione il maestro ungherese Istvàn Szàbo, di origini ebraiche (classe 1938), nonostante alcuni suoi film siano arrivati anche al grande pubblico internazionale.
Come è stato il caso di Mephisto, uscito nel 1981, che fu candidato alla Palma d'Oro al Festival di Cannes di quell'anno (vincendo il Premio per la migliore sceneggiatura) e vinse l'Oscar per il miglior film straniero l'anno seguente (1982).
Il film è notoriamente ispirato all'omonimo romanzo di Klaus Mann (figlio del grande Thomas e morto suicida nel 1949), scritto fra il '35 e il '36 dopo che la sua famiglia aveva lasciato la Germania subito dopo l'avvento del nazismo.
Il romanzo - e il film - raccontano l'irresistibile ascesa del protagonista, l'eclettico attore Henrik H - sotto i panni del quale Mann aveva celato quelli del celebre attore Gustav Gründgens (marito, fra l'altro, di sua sorella Erika), suo ex amico carissimo, talento straordinario ma anche straordinariamente ambizioso, o meglio arrivista: determinato cioè a qualunque compromesso pur di arrivare al successo.
Il film mostra con una impeccabile sceneggiatura - e la prova monumentale di un grandissimo attore austriaco, Klaus Maria Brandauer - i turbamenti personali di Höfgen dopo l'ascesa di Hitler al potere, nel 1933.
Höfgen, nel pieno della sua scalata al successo, teme che tutto svanisca. Deve oltretutto nascondere la relazione con Juliette, una ragazza mulatta, che ama e con la quale si esercita nella danza. In breve però, si decide a lasciarsi ogni responsabilità alle spalle, e assetato di successo, scende a patti con i nazisti, diventando presto anzi un favorito di Göering e un esponente di primo piano del teatro di regime.
Il film non si dimentica per la carica trascinante di Brandauer (irresistibile) nel tracciare il suo percorso faustiano: quello che molti intellettuali tedeschi decisero di intraprendere vendendo l'anima, sfruttando i gangli e la macchina di propaganda del regime nazista.
Ma Mephisto è anche una potente meditazione sul ruolo tra creatività e potere. Tra ambizione personale e arte. Gusto estetico e responsabilità morale.
Un dilemma morale che Klaus Mann visse in prima persona, assistendo alla mutazione genetica del cognato, convertitosi al nazismo, contro cui si vendicò scrivendo questo romanzo; e che Szàbo deve aver sentito molto attuale anche nei decenni di Cortina di Ferro, oltre la quale scrisse e diresse questo film, nella Ungheria dei primi anni '80.
Fabrizio Falconi
Mephisto
di István Szabó
Ungheria, 1981
durata: 144 minuti