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21/09/23

La Lettera su "Il Manifesto" che attaccò frontalmente - da sinistra - "La Storia", il grande romanzo di Elsa Morante


E' una delle pagine più imbarazzanti (e anche abbastanza vergognosa) della storia letteraria italiana del Novecento:

La lettera pubblicata su Il Manifesto del 15 luglio 1974 (che riporto nell'originale in calce all'articolo e si può integralmente leggere ingrandendo l'immagine) contro La Storia di Elsa Morante, e soprattutto contro il giornale, che aveva osato pubblicare qualche giorno prima una recensione elogiativa del romanzo - il quale nel frattempo stava vendendo centinaia di migliaia di copie in tutta Italia, pubblicato da Einaudi.
Ad attaccare in modo frontale la scrittrice al suo terzo romanzo è in Italia, incredibilmente, soprattutto la sinistra intellettuale. Dopo una recensione ammirata e entusiasta di Cesare Garboli, e una dichiarazione commossa di Natalia Ginzburg, scoppia la bagarre.
Sulle pagine del «Manifesto» arriva questa velenosa lettera a firma di Nanni Balestrini, Elisabetta Rasy, Letizia Paolozzi e Umberto Silva, la quale stigmatizza la recensione positiva di Liana Cellerino, che inizia con l'arroganza e il disprezzo tipici di quegli anni: "qualcuno di noi ha letto qualche riga, qualcuno qualche pagina...."
Seguiranno interventi di Rina Gagliardi, positivo, e per fortuna una tirata d’orecchie di Pintor ai firmatari, poi però altre recensioni negative e il finale tombale di Rossana Rossanda, decisamente contro.
Arriva così il fuoco ad alzo zero contro il romanzo: tutti schierati: la neoavanguardia, la sinistra extraparlamentare, capitanata da Asor Rosa (lo paragona a un Kolossal cinematografico: puro kitsch), Romano Luperini (ne critica l’impianto ideologico piccolo borghese) e Franco Fortini, che latita e si nasconde (la storia della sua mancata recensione è un saggio nel saggio); ma anche il gruppo romano intorno a Moravia, ex marito della Morante, che entra in campo con una secca stroncatura di Enzo Siciliano.
Così è.
A rileggere oggi questa lettera viene il prurito. Questi censori ideologici - che accusano la Morante di scrivere con un impianto piccolo borghese - vengono da famiglie e salotti borghesi e dai loro divani attaccano la Morante che - indiscutibilmente - viene davvero dal popolo, ha sofferto la fame vera, è stata sfollata, ha rischiato la vita anche per la sua origine mezza ebrea.
Una studiosa italiana, Angela Borghesi, ha recentemente ricostruito il caso "La Storia/Morante" in un corposo saggi uscito da Quodlibet.
La Borghesi mette in luce l’incomprensione che in un paese, dominato culturalmente da marxisti e cattolici, coglie la critica davanti a un’opera che spiazzava le ideologie dell’epoca con una visione del mondo che Garboli giustamente definisce «poetica», al di là delle convinzioni politiche e sociali.
Perché questa reazione? Ci sono almeno tre aspetti che Borghesi riassume nelle pagine finali, arrivando sino al nostro tempp oggi, dove in Italia, in mezzo a tanti "capolavori" dimenticati, La Storia vende 7-8.000 copie ogni anno.
Il primo lo spiega Garboli, il solo che si schiera con decisione e motivazioni a favore della Morante: invidia.
Gran parte degli articoli con un linguaggio politico-militare stigmatizzano l’aspetto commerciale, il best seller che diventa. Aveva successo, quindi non poteva essere un buon libro.
Borghesi ha strada facile nel segnalare come in gran parte delle critiche, con qualche eccezione, manchi l’analisi critica, l’approfondimento, e dire che narratologia e critica stilistica erano ben sviluppate all’epoca.
La seconda ragione, scrive l’autrice, è «il pregiudizio di genere», un tema oggi attuale, forse non così profondamente marcato all’epoca; di certo, in quanto romanziere donna, Morante ha sempre suscitato molte diffidenze.
La terza ragione è probabilmente la più profonda, e anche letterariamente più importante: il rifiuto del patetico. Italo Calvino, che pure stimava Elsa, e a cui il romanzo non piace fino in fondo, lo dice con molta evidenza: un narratore contemporaneo può far ridere o far paura al suo lettore, ma «farlo piangere no».
Quello che la critica marxista in particolare rifiuta è proprio il pathos narrativo de La Storia. Non si concede alla scrittrice di far piangere i suoi lettori, o che usi quella che Calvino chiama la «tecnica letteraria della commozione». All’ "uterina" scrittrice romana non è concesso utilizzare impunemente il registro patetico sentimentale.
L’autore del Marcovaldo si chiede: «Cosa fare allora? Guardarsi dell’essere "umani" nello scrivere?». Il punto probabilmente è qui: il patetico.
Morante non è kitsch, ci dice questo librone, perché quella che suscita non è «la seconda lacrima», per dirla con Milan Kundera, bensì la prima, quella vera.
Ma la sinistra italiana di quegli anni non può capirlo, accecata da un pregiudizio ideologico: in più, dice Borghesi, la sinistra italiana non ha mai fatto bene i conti con il kitsch, nonostante Gillo Dorfles e altri.
Quello che non colsero i critici, come scrisse ex post Marino Sinibaldi, è che una concezione tragica della storia e dei limiti della modificabilità del mondo, come quella del romanzo di Morante, era «utile alla definizione dei confini, dei limiti della politica».
Ma letta oggi questa lettera riassume il massimalismo cieco di certa critica di quegli anni: l'incapacità di riconoscere un capolavoro, la violenza di degradarlo (senza averlo letto) paragonandolo a De Amicis (!), la vergogna di non riconoscerne l'alto valore civile, oltre che letterario.
Negli anni '70 avevamo una Morante. E tutto il mondo, a quanto pare (visto che continua ad essere studiata e letta in tutto il mondo), l'aveva capito. E l'avevano capito anche gli italiani di allora, tutti tranne la critica militante che "ha sempre ragione".

Fabrizio Falconi - 2023

09/12/21

Quando Natalia Ginzburg, atea e ebrea disse: "Il crocefisso non genera nessuna discriminazione."


Oltre 30 anni fa Natalia Ginzburg, ebrea atea, scrisse per L’Unità un articolo sul crocefisso che merita, oggi - tempi in cui spopolano politically correct e cancel culture - di essere riletto.


Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. 
Tace. 
È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. 
La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo
Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo?
Sono quasi duemila anni che diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. 
O vogliamo smettere di dire così?
Il crocifisso è simbolo del dolore umano. 
La corona di spine, i chiodi evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. 
Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino.
Il crocifisso fa parte della storia del mondo.
Per i cattolici, Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. 
Chi è ateo cancella l’idea di Dio, ma conserva l’idea del prossimo.
Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine. 
È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. 
Come mai li rappresenta tutti? 
Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini.
Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. 
A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero. 
Alcune parole di Cristo le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente.
Ha detto “ama il prossimo come te stesso”. 
Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono diventate il fondamento della rivoluzione cristiana. 
Sono la chiave di tutto. 
Il crocifisso fa parte della storia del mondo.

Pubblicato sul quotidiano L’Unità del 22 marzo 1988

02/05/16

Da domani in libreria, "Un'assenza" di Natalia Ginzburg con i racconti brevi e tutti gli inediti.





Inediti come 'Tradimento' scritto nel 1934, undici racconti finora ignoti, una suite autobiografica e sorprendenti cronache dalle fabbriche di Torino o dalla desolazione di Matera

Arriva in libreria domani negli ETBiblioteca Einaudi 'Un'assenza' (pp 366, euro 18) che raccoglie 'Racconti, memorie, cronache 1933-1988' di Natalia Ginzburg, a cura di Domenico Scarpa con in copertina Raja di Felice Casorati

 Sono trentasette testi, per la maggior parte mai raccolti prima d'ora, apparsi in alcuni casi in riviste o antologie, che restituiscono, lungo piu' di mezzo secolo, gli itinerari di una tra le piu' belle voci del Novecento italiano

 Nella prima parte sono raccolti per la prima volta tutti i racconti brevi di Natalia Ginzburg: quindici testi dei quali undici mai radunati prima d'ora in volume

La seconda parte, 'Memorie e cronache', con 22 testi di cui 12 mai apparsi in volume, si apre con la poesia 'Memoria' dell'8 novembre 1944. E' dedicata a Leone Ginzburg, primo marito di Natalia, morto nellaprigione di Regina Coeli in seguito alle torture dei carcerierinazisti. 

Un testo conosciuto, da rileggere e custodire come il 'Discorso sulle donne'.

 Realizzato con mezzi che sembrano poverissimi, ogni racconto di Natalia Ginzburg è, come viene sottolineato nella quarta di copertina, "una rivelazione, una vicenda che scorre su piu' nastri, che imperturbabile va addizionando gesti, oggetti e battute di dialogo, che si toccano per vie segrete e non si dimenticano". 

 Nelle oltre 350 pagine si ritrova la voce ruvida, duttile, scontrosamente intonata, della Ginzburg, nata a Palermo nel 1916 e morta a Roma nel 1991, autrice di libri come 'Le piccole virtu", 'Lessico famigliare' e 'Mai devi domandarmi'. 'Un'assenza' e' la storia di questa voce nel suo lungo percorso in cui viene reso visibile il cammino di un autore che si sperimenta nella scrittura breve come primo genere di composizione. 

Nel volume anche Notizie sui testi con una grande quantità di documenti dove, nella maggioranza dei casi, e' ancora una volta l'autrice a testimoniare di se'.