Visualizzazione post con etichetta narrativa inglese. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta narrativa inglese. Mostra tutti i post

19/04/18

Il Libro del Giorno: "Mia cugina Rachele" di Daphne du Maurier




L'editore Neri Pozza ha recentemente ripubblicato un classico della narrativa del secondo novecento, Mia cugina Rachele (titolo originale: My Cousin Rachel), scritto nel 1951 da Daphne du Maurier e divenuto un grande successo internazionale continuamente ristampato in mezzo mondo. 

Dal romanzo fra l'altro è stato tratto un altrettanto celebre film l'anno seguente, diretto Henry Koster con Olivia de Havilland e Richard Burton, mentre proprio l'anno scorso - sugli schermi italiani adesso -  è stata realizzata una seconda trasposizione cinematografica dal titolo Rachel, interpretata da Sam Claflin nel ruolo di Philip e da Rachel Weisz (omonima del personaggio della protagonista che interpreta), per la regia di Roger Michell.

La nuova edizione, pur penalizzata da una traduzione incomprensibilmente trasandata e zeppa di vezzeggiativi, offre l'occasione per tornare su una scrittrice dalla lunga vita e dalla notevole produzione che è stata sempre snobbata dalla critica colta, forse anche a causa dello sterminato successo che ha arriso alla sua narrativa. 

La vicenda raccontata è nota: ai primi dell'Ottocento, Philip Ashley, orfano dei genitori, racconta in prima persona la sua storia: allevato dal cugino Ambrose Ashley - più grande di vent'anni -  è rimasto solo nella grande tenuta signorile in Cornovaglia che erediterà al compimento del suo 25mo compleanno. Il cugino Ambrose infatti, per ragioni di salute è partito per l'Italia, lasciando Philip a casa.  Giunto a Firenze Ambrose incontro la cugina italiana Rachele, che, vedova di un conte italiano, vince la diffidenza di Ambrose per le donne, al punto che questi decide di sposarla.  Ben presto però arrivano a Philip notizie preoccupanti: Ambrose è malato, e scrive strani e inquietanti messaggi.  Philip, d'accordo col suo padrino e tutore Nick Kendall, si mette in viaggio e giunto in Italia, scopre che Ambrose è morto e la cugina Rachele se ne è andata. 

L'odio per Rachele, per averle portato via l'adorato cugino, si trasforma in breve in ossessione quando lei si presenta in Inghilterra per spiegare la situazione e di come la malattia di Ambrose - un tumore al cervello - lo abbia ucciso, deviandone le capacità di intendere e di volere. 

Philip passa dalla aperta e totale ostilità all'amore incondizionato per Rachele, che nel frattempo è riuscita a farsi benvolere da tutti i coloni della zona. 

Il sospetto però presto si impadronisce di Philip, il quale comincia a pensare che Rachele stia ripetendo con lui lo stesso copione recitato con Ambrose, al fine di impossessarsi di tutti i suoi beni.

Un melodramma, insomma, adatto al gusto dell'epoca che però, riletto oggi, suggerisce diverse chiavi di letture, nessuna banale.  Se infatti è piuttosto facile leggere il romanzo in chiave misogina, questa non appare affatto la reale intenzione della Du Maurier. Tutt'altro: il finale completamente aperto e ambivalente lascia spazio all'interpretazione opposta, e Rachele lungi dall'essere una strega cinica e subdola, potrebbe rappresentare invece l'esempio di una donna libera ed emancipata, alle prese con uomini immaturi e infantili, coraggiosamente padrona del suo destino. 

Insomma, una storia ed un romanzo tutt'altro che ininteressante, pregevole come sempre nella cura di ogni snodo e del gusto pieno della narrazione. 

Fabrizio Falconi
riproduzione riservata - 2018

03/01/18

Il libro del giorno: "Darke" di Rick Gekoski.





Alla veneranda età di 73 anni, former member del dipartimento di Letteratura Inglese della Warwick University, cittadino inglese anche se americano di nascita, Rick Gekoski, ex membro della giuria del Booker Prize e dell'International Booker Prize, si è concesso un esordio letterario con un romanzo che già a partire dal nome - Darke è il nome del protagonista del romanzo - manifesta il suo intento, quello di scrivere un libro fieramente cupo. 

James Darke è infatti un ex insegnante, bibliofilo, che dopo la morte per cancro dell'amata moglie, decide di costruirsi un isolamento perfetto.   Si barrica nella sua casa di Londra, stacca i contatti sociali con tutti, si dà insomma per morto, affidando ad un unico amico la risposta alle mail del suo account che disattiverà, insieme al telefono e ad ogni contatto con l'esterno. Il cambio della serratura con cui si apre il romanzo è il gesto simbolico di questa guerra dichiarata al mondo.  

Darke non risponderà più a nessuno, nemmeno all'unica figlia, Lucy, che viene a bussare alla porta di casa, che gli manda disperati messaggi sulla mail che lui ormai non legge più, se non per la procura dell'amico. 

Anche un isolamento così ben organizzato però - Darke è un vero odiatore perfetto, odia tutti,  qualunque essere umano, perfino i cani dei vicini che avvelena con tecniche sofisticatissime, perfino la donna dell'est, unica superstite che ha il permesso di entrare in casa sua per svolgere le pulizie - è destinato a fallire. 

Ci sarà di mezzo la cocciutaggine della figlia e la salvezza di un bambino che lo costringeranno a uscire dal buio e piano piano ad abbandonarsi nuovamente e suo malgrado, alla vita.

Colmo di ghiotte citazioni - solo qualcuna esplicita, la maggior parte criptate e nascoste nel testo - Darke è un furbo romanzo sul mood dirompente del nichilismo e del cinismo a oltranza.  Che andrebbe anche bene se non ci fosse, tra le righe - anzi, ad ogni riga - un sentimento insopportabile di autocompiacimento che vellicola il narcisismo letterario di Gekoski e del suo alter-ego Darke

Il sarcasmo e la simpatia feroce che suscita a tratti Darke cerca infatti una complicità di tipo ricattatoria da parte del lettore.  Ti mostro quanto sono cinico, quanto potrò disprezzare questa vita che vivo e che vivi tu e che viviamo, al patto che mi riconosci di essere intelligente più di te, e di muovere i fili di questo gioco letterario. 

Darke non è credibile dall'inizio. La sua cattiveria feroce del post-isolamento contrasta con i racconti teneroni del pre-: la malattia della moglie Luzy, la vita molto borghese e convenzionale descritta nel pre-. E che tutto sommato Darke continua a fare nel suo elegante appartamento del quartiere londinese dove vive. 

Gekoski, oltre alle sue amarezze personali - il decadimento fisico, la vita che non ha senso, la morte,  la truffa e il ridicolo delle religioni, la malattia - che viene descritta con minuzia crudelissima e senza risparmio di particolari - ci mette anche dosi di sarcasmo a piene mani. 

Ma se la sostanza dark  - cioè nichilista - del libro fa impallidire perfino uno come Philip Roth, più volte citato nel testo e sicuramente riferimento letterario per Gekoski, il paragone letterario più vicino per questo romanzo è quello di Barney, cui Darke assomiglia molto.  Ma l'opera di Richler sta a quella di Gekoski come una sinfonia rispetto ad un mottetto. 

La capacità narrativa, oratoria, umoristica, definitiva di Richler apre infatti le porte a un vero e proprio mondo, dove il lettore è precipitato e coinvolto, fino alla fine, senza possibilità e volontà di potersi/volersi sottrarre.  Il libro di Gekoski è invece un esperimento a freddo, che freddo rimane. Che non concede e non dà nulla al lettore. E' un piccolo sfogo di un futuro morente, che prima di andarsene sente l'umano bisogno di confessare il suo personale astio contro l'inconveniente di essere nato. 

Una visione della vita - e anche della letteratura - deprimente, e che anche di questa depressione non riesce mai a fare arte.

Fabrizio Falconi



04/10/17

Libro del Giorno: "Il cuore di tutte le cose" di Elizabeth Gilbert.



Mi sono accostato a questo libro con perplessità e qualche pregiudizio dovuto al successo planetario che ha arriso a Elizabeth Gilbert per la versione cinematografica tratta dal precedente romanzo della scrittrice, Mangia, prega, ama

Per questo la sorpresa procuratami dalla lettura de Il cuore di tutte le cose, scritto nel 2013 e pubblicato in Italia da Rizzoli, è stata ancor più grande. 

C'è da dire subito che il titolo italiano rende un pessimo servizio al libro. Il titolo originale del romanzo è infatti The signature of all things, un preciso riferimento alle teorie del filosofo mistico  Jakob Böhme sulla analogia morfologica, che riprendono un concetto (La Signatura Rerum, la Firma delle Cose) caro a Egiziani, Cinesi, Indiani, alchimisti Medioevali, fino a Paracelso: la credenza cioè che tutti i tipi di vegetali (e più in generale delle cose viventi) seguono un modello che rispecchia gli organi del corpo umano. 

La trama allestita dalla Gilbert intorno a questo tema così impegnativo, è però di leggibilità e piacevolezza assoluta:  Nella Filadelfia di inizio Ottocento, una grande serra di piante e di idee,  infatti, seguiamo le vicende di Alma che nasce in seno a una delle famiglie più scandalosamente ricche del Nuovo Mondo. 

Il padre Henry è un botanico autodidatta e uno spregiudicato uomo d'affari che ha costruito la sua fortuna commerciando in chinino e altre piante medicinali. Sua madre Beatrix, un'austera studiosa olandese, alleva la figlia senza concessioni al sentimentalismo e alla frivolezza. Alma impara a leggere le ore osservando l'aprirsi e chiudersi delle corolle dei fiori, studia da vicino l'operosa natura che la circonda, cresce respirando scienza e cultura.

Brillante e curiosa, ben presto si mette in luce nell'ambiente internazionale della botanica. E mentre si addentra sempre più nei misteri dell'evoluzione, l'uomo di cui, nella piena maturità,  si innamora la trascina nella direzione opposta: verso il regno della spiritualità, del divino, della magia

Se Alma è una scienziata razionale e concreta, Ambrose è un giovane idealista votato all'arte e alla purezza. Ma li unisce il desiderio appassionato e struggente di comprendere i meccanismi segreti che regolano il mondo e danno origine e senso alla vita.

La complessa trama, che abbraccia l'intera esistenza di Alma, si snoda attraverso lutti e privazioni, prove psicologiche e istinti repressi, navigazioni in mare e scoperte entusiasmanti, rilevazioni scientifiche, descrizione di mondi sconosciuti. 

Alma diviene una grandissima studiosa del muschio (qualcosa a cui nessuno sembra essersi dedicata con pazienza prima di lei); dopo il fallimento del suo matrimonio e la morte del padre si trasferisce senza più nulla, nella lontanissima Tahiti, per ritrovare se stessa e il senso della sua vita e della sua ricerca; torna infine in Olanda, di dove è originaria la famiglia di sua madre, in tempo per assistere al trionfo della teoria di Darwin. 

La perfetta coerenza razionale/analitica di Alma resta immutata fino alla fine. Semmai, stonano nel lungo dispiegarsi del racconto, i toni mitici che avvolgono l'entrata in scena di Tomorrow Morning, l'indigeno che conosce il destino finale del marito di Alma.  Ma l'improbabilità di questo personaggio e dell'incontro, non rovinano il piacere di questa lettura. 

Un romanzo che si mantiene sempre straordinariamente in equilibrio tra il gusto per il racconto e il rispetto per la conoscenza (è un romanzo documentatissimo, veramente una miniera per chi è interessato all'argomento botanico e alla vita delle piante). 

Qualcosa che è piuttosto difficile trovare oggi nel panorama letterario italiano. 

19/12/15

David Garnett, "Aspetti dell'amore" (RECENSIONE).


David Garnett ha scritto questo romanzo nel 1955, e per me è abbastanza misterioso comprendere come mai, in Italia sia passato così inosservato. 

Narratore, critico e protagonista del circolo di Bloomsbury, Garnett ha immaginato questo romanzo ambientandolo, all'inizio, in Provenza, quando un giovane inglese, Alexis, coglie al volo l'occasione di una prima avventura amorosa: una giovane attrice di teatro, Rose, capricciosa e sensuale che conosce tramite lo zio poeta di Alexis, George. 

Con Rose Alexis vive una breve e intensa storia d'amore, interrotta da un escamotage con il quale la ragazza decide di tornare da Marcel, il capo compagnia, per un nuovo spettacolo da mettere in scena. 

Quando torna da due anni all'estero, come militare, Alexis scopre che Rose vive ora insieme a George e ha intenzione di sposarlo.  Ne nasce una scenata, e un ferimento della ragazza, che però non solo non cambia idea, ma decide anche di avere un figlio dal nobile George, molto più grande di lei. 

Da quel momento, tutte le possibili implicazioni amorose tra questi esseri vengono scandagliate in una storia che pur apparendo lieve e aerea, nasconde un fondo assai bruciante. 

E' proprio questo il maggior pregio di questo romanzo di Garnett: parlare con levità e assenza totale di moralismo, delle questioni d'amore, dei capricci, dei fraintendimenti, dei bisogni, della superiorità della fortezza d'animo, della liberalità, della felicità intravista e ricercata, di tutto ciò insomma di cui è fatta l'esperienza amorosa, culmine di ogni possibilità vitale. 

La prosa di Garnett è precisa, elegantissima e controllata.  I sentimenti e le passioni sono asservite a questo controllo magistrale della lingua. 

E' insomma un libro da non perdere, per chi ha voglia di scoprire la maestria di David Garnett.

05/07/12

Julian Barnes: "Il senso di una fine" - Recensione.





Ho letto il miglior romanzo degli ultimi cinque anni. 

E' Il senso di una fine di Julian Barnes, vincitore del Man Booker Prize 2012, appena pubblicato in Italia da Einaudi.

Non capita spesso di scoprire un così raro gioiello di sintesi e perfezione non solo formale. Il senso di una fine è uno di quei romanzi che provoca nel lettore una sorta di spiacevole languore mentre lo si sfoglia: dispiace veder passare le pagine, sapere che ci si sta avvicinando alla fine.

La fine è poi la vera protagonista di questo libro.  La fine nel senso di morte e di distacco. La fine di ogni esistenza che costringe inevitabilmente a fare ordine negli accadimenti della nostra vita a trovare un posto alle cose più ingombranti e anche a quelle apparentemente meno importanti. Ciascun frammento contribuisce a chiederci e a restituirci - se soltanto sappiamo interrogarci nel modo giusto e a comprendere (altro tema fondamentale del libro) - il senso dell'essere qui. 

Barnes costruisce una storia molto semplice.  E il romanzo è quasi brutalmente spezzato in due. 

E' nella seconda parte che Tony Webster , un uomo musilianamente senza qualità,  deve affrontare l'incombenza di una lettera con cui un avvocato gli annuncia il lascito di cinquecento sterline e di un diario proveniente dal passato. 

Tony scoprire perché è stato scelto proprio lui, e quale segreto rabbiosamente custodito quel diario potrebbe rivelare. 

La chiave per la risoluzione del mistero è nella prima parte del libro, nella giovinezza di Tony, nella sua educazione sentimentale e sessuale - nel pieno della liberazione degli anni '60 (che c'era però "non per tutti e non dappertutto" come non si stanca di sottolineare il protagonista), nelle vicende che lo hanno accostato al  geniale amico dei tempi del liceo, Adrian Finn: come ha potuto la ragazza di allora, Veronica Ford, preferirgli l'amico raffinato e brillante, Adrian? Ci sono solo Camus e Wittgenstein dietro l'estrema decisione di Adrian? Da che cosa ha voluto metterlo in guardia tanti anni prima la madre della ragazza? Perché a distanza di quarant'anni Veronica ritorna nella sua vita con un bagaglio di silenzi e il rifiuto di dargli ciò che è suo? 

Gli indizi conducono, dopo lunghe e ostinate reticenze a un prodigioso colpo di scena finale - sviluppato in appena mezza pagina - che lascia il lettore senza fiato, e con la necessità immediata di ri-leggere, alla luce di quanto ha scoperto insieme al protagonista, la storia precedente, reinterpretandone il senso. 

Il senso della fine è un romanzo che de-scrive il tempo, l'impossibilità di definirlo - nella nostra esistenza - come qualcosa di concluso, l'obbligo di considerarlo come puro elemento dinamico che continuamente ci allontana e ci avvicina a quella che noi abbiamo bisogno di considerare come verità

Barnes è riuscito nella impresa di costruire in sole 140 pagine una storia che svuota ogni pretesa di riconoscimento e di identità su cui si basa ogni fittizia costruzione della personalità umana.  Il dilemma interiore di Tony (ci) insegna che la consapevolezza di ciascuno cresce soltanto nell'attraversamento delle proprie zone oscure dimenticate o rimosse e nella attenzione - vera e concreta - alla vita degli altri nei quali, attraverso i quali - unicamente - passa la nostra identità. 

Fabrizio Falconi -2012