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12/02/16

"La marea delle quadrature" di Dorothy Hewett (Recensione).



L'avventura editoriale di Giano è stata piuttosto sfortunata. Tra il 2004 e il 2005 la nuova casa editrice si era presentata con una serie di titoli molto interessanti e una veste editoriale raffinatissima. 


L'esperimento è durato poco, e appena qualche anno dopo, la casa editrice varesina, con i rispettivi titoli in catalogo è stata assorbita dalla Neri Pozza. 


Tra i primi titoli del catagolo di Giano, c'era anche questo romanzo di una scrittrice australiana, Dorothy Hewitt (1923-2002) presentato con il bellissimo titolo originale tradotto La marea delle quadrature (Neap Tide) e più tardi ristampato dalla stessa Neri Pozza con il titolo - assai più banale - de Il cottage sull'oceano

Si tratta di un notevole romanzo. Dorothy Hewitt, protofemminista del movimento australiana, membro del partito comunista locale, è un personaggio quasi leggendario, in Australia, con le sue scelte anticonformiste, la sua opera di poeta e romanziere, l'attività di accademica, svolta all'università di Perth, le battaglie ecologiste e di solidarietà alle rivendicazioni della popolazione aborigena. 

In Marea delle quadrature, la protagonista, Jessica Sorensen è una alter ego della scrittrice.  Una accademica in crisi - il primo marito si è suicidato, il secondo l'ha appena lasciata per una donna più giovane, la figlia di primo letto Beth, vive a Roma e non ha più rapporti con la madre - abbandona la città per trasferirsi a Zane, un piccolo villaggio, sulla costa meridionale dell'Australia.
Nel suo cottage di fronte all'Oceano, completamente immersa nella selvaggia natura del bush australiano, Jessica vive per un anno sospesa nel clima isolato di Zane, popolato da artisti e poeti in fuga dalla città, ecologisti, pescatori, diseredati vari, e figli di aborigeni. 

Inebriati dalla totale libertà del luogo, queste anime alla deriva, si incrociano, si scambiano i ruoli, si perdono definitivamente, cercano comunque un destino, anche uno qualunque, che dia significato alle loro vite. 

Jessica, che sta lavorando a uno studio sui poeti australiani dell'ultima generazione, si imbatte anche nel fantasma di uno di loro, Oliver Shine, che poco prima aveva occupato lo stesso cottage dove vive Jessica, e che è misteriosamente scomparso - forse annegato nell'oceano -  con Nettie e Mercy le due donne con cui viveva. 

A Zane c'è anche il fratello di Jessica, Tom, che vive lontano da tutti e ha da poco scoperto di aver contratto l'HIV. 

Sul grande affresco delle anime, continuamente irrequiete, continuamente in cerca, si staglia la minacciosa natura incontaminata e soprattutto l'immenso oceano, con le sue maree che - come i destini degli uomini - sono sempre in cambiamento. 

E' un romanzo pieno di dolore, dove il dolore anzi, diventa oltre che la cifra stilistica anche la chiave di interpretazione e di senso.   Jessica impara dal dolore il limite delle sue paure, in qualche modo dal dolore impara a decidere, impara dolorosamente a scegliere. 

Forse è proprio l'uscita da questa prolungata immaturità - e dalla irresponsabilità (sembra che per questi personaggi anche la creatività artistica sia in fono una semplice fuga dalle responsabilità) - che caratterizza Jessica insieme alle altre anime che popolano Zane, il punto nodale del racconto, quello verso cui tutto converge. 

La scrittura della Hewitt è sensuale e selvaggia, e non pretende di essere perfetta. Si aprono falle nel racconto e non tutte vengono colmate. Come se il racconto risentisse della stessa idiosincrasia dei personaggi, delle loro instabilità psichiche e spirituali. 

Un libro che riempie, comunque, e che lascia molte domande. Il che è tutto meno che un male. 

Fabrizio Falconi