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18/02/20

La buona vita non è non avere rimpianti, non avere rimorsi




Non il dire che si è vissuta una vita senza rimpianti o senza rimorsi, ma il contrario, è secondo me l'indice dell'aver vissuto una buona vita

Viviamo immersi dentro una retorica narcisistica che ci esalta sulla chimera dell'essere noi "padroni assoluti del nostro destino", insufflata da quell'altra finta epica esistenzialista delle canzoni - da My way a Je ne regrette rien - che decreta il trionfo assoluto delle scelte - giuste o sbagliate che siano non importa - come orgoglio di una vita degna di essere vissuta

Ma invece non la mancanza di rimpianti o rimorsi, ma il fatto di averli vissuti, elaborati e superati (quelli che possono esserlo) è motivo di gioia e di vanto, nella economia di una vita. 

Una vita senza rimpianti e senza rimorsi non è possibile, non è autentica e non è nemmeno una bella vita, perché non è umana

Essere umani vuol dire essere fragili, vuol dire anche cadere e sbagliare, vuol dire spesso giudicare male le persone che si hanno vicine, vuol dire non essere grati, non mostrare l'amore che serve, fare del male anche quando non si vorrebbe farlo

Non nutrire rimpianto o rimorso per questo è, questo sì, inumano. La vita non è NON AVERE RIMPIANTI. La vita- il senso vero della vita - è avere e avere avuto una vita consapevole, cioè autentica; anche nel rimorso, anche nel rimpianto.

Fabrizio Falconi
- febbraio 2020

29/11/19

"Solo l'amore può salvare il pianeta" - intervista a Peter Trawney da "L'Espresso"



SOLO L'AMORE PUO' SALVARE IL PIANETA - Intervista di Stefano Vastano a Peter Trawney, da L'Espresso

«L’inizio di un amore è l’esperienza più entusiasmante che si possa vivere e, per un filosofo, la più bella su cui riflettere». Risponde così Peter Trawny, accogliendoci nel suo appartamento a Düsseldorf, alla domanda su cosa l’abbia spinto a scrivere un libro dedicato alla “Filosofia dell’amore” (in uscita in Germania per le edizioni Fischer). Fondatore e direttore del prestigioso Martin-Heidegger-Institut all’ateneo di Wuppertal, Trawny ha dedicato la carriera allo studio di Heidegger, curando l’edizione dei tristemente famosi “Quaderni neri”, da cui è emerso il feroce antisemitismo del filosofo di “Essere e Tempo”. 

Perché, ora, nell’era dell’amore digitale e degli incubi ambientali, occuparsi di Eros?

«Perché è da una lettura di Eros che è iniziata la filosofia, con Platone», spiega il 54enne Trawny: «Oggi ci tocca ritornare lì, al primo amore. Cosa, del resto, ci colpisce più a fondo dell’inizio di quell’esperienza? La nascita di un figlio, il nostro primo incontro d’amore...Momenti indimenticabili, iniziatici. Tanto più che l’amore ha la forza di stupirci sino alla fine dei nostri giorni con nuovi, imprevedibili inizi. Ogni filosofia dell’amore parte dalla radicalità di Eros sin dall’inizio».

Platone coglieva in ogni amore il desiderio di crescere. E la speranza è che con Eros - si legge nel “Simposio” - ci vengano incontro il Bello e il Bene. 

«Platone vede questi aspetti nell’Eros perché la sua filosofia prova ad addomesticare nel Logos la tragicità con cui l’amore si presenta ad Euripide e Sofocle. Per i tragici Eros è un tiranno. Nei suoi testi Platone ricorre a tutti i mezzi, poetici e mitici, pur di instillare l’idea dell’“amore filosofico“, l’interscambiabilità fra l’amore e la virtù. È da questo scambio che inizia la storia della filosofia occidentale».

Oggi sono le soap opera, o le star di Hollywood, a dirci cos’è Amore. Non si sente smarrito in mezzo a tanto kitsch?

«Persino nelle sue forme più banali o commerciali si intuisce la carica esistenziale, e filosofica, dell’amore nella vita. Una love story al cinema commuove perché ci ricorda una passione reale. E ogni amore è uno shock, qualcosa che ci rapisce ed espone nudi a un altro. In tv o al cinema le storie d’amore saranno kitsch e a lieto fine, ma ci attraggono perché rimettono il dito in una profonda ferita».

In “Frammenti di un discorso amoroso” Roland Barthes definisce “mostruosa” la pretesa dei filosofi di spiegarci l’amore...

«E ha ragione: ogni “ars amatoria” renderebbe oggi ridicolo il suo autore. Io restituirei la parola ai poeti: nei versi di Rilke o nelle pagine di Tolstoj apprendiamo di più sull’amore. E questo perché nell’Eros il filosofo si confronta con l’assoluta contingenza di ogni amore. Persino nell’era globale e digitale, l’arrivo di Eros abbatte il nostro Io e ne straccia le difese narcisistiche. Questo ha poco a che fare con la chiarezza gnoseologica a cui la filosofia aspira».

Tutti i filosofi del postmoderno decretano, per citare Byung-Chul Han, “L’agonia dell’amore”, annegato in Internet e nella pornografia.

«Il 21° secolo ci affoga in un surplus di autonomia, di pretese abnormi della soggettività. Da Alain Badiou a Byung-Chul Han, i filosofi diagnosticano l’agonia di Eros per sovraesposizione mediatica. Nell’era neoliberale ci crediamo ultra-autonomi, soggetti ipermobili e superconnessi a reti digitali. E, al tempo di Tinder, si scambia l’amore con la “fuckability” dell’altro».

Cosa accade quando Eros ci afferra? Lei parla di perdita di autonomia e di libertà, i due pilastri su cui si basa la moderna soggettività, da Cartesio a Kant ed Hegel.

«È la schizofrenia della soggettività occidentale. In ognuno di noi, insieme ad autonomia e libertà opera l’impulso opposto, la forza del desiderio e la capacità di perdersi in un Altro. Mai come oggi questa schizofrenia esplode sulle piattaforme digitali che offrono in cambio dell’amore, impegno troppo grave, la volatilità di contatti on line».

Il Werther di Goethe è il kamikaze che si uccide per l’amata. La frase shock di ogni amore è quella rivolta a Lotte: «Ich kann nicht ohne dich leben», non posso vivere senza di te. 

«L’amante è pazzo d’amore. Eros è sempre un’offesa al nostro Io, una ferita e rischio mortale per la nostra autonomia. Ma è anche un Dio alato, capace di donarci il massimo dell’entusiasmo liberando energie represse. L’estasi amorosa è in questa dirompente ambiguità con cui Eros ci sconvolge».

Continua a leggere qui:

SOLO L'AMORE PUO' SALVARE IL PIANETA - Intervista di Stefano Vastano a Peter Trawney, da L'Espresso


23/06/19

L'amore malato - Intervista (immaginaria) al Visconte di Valmont



- Dottor Visconte, che piacere averla qui e come la trovo in forma, nonostante il trapasso ! Qual è il segreto di tanta freschezza?
- Valmont:  Ho chiesto suffragi al Conte di Saint-German, il quale come lei è sa, è Maestro di trasformazioni ectoplasmatiche. Lui mi ha insegnato a indossare i panni dello spirito che vaga.  Soltanto, non mi aveva avvertito della sofferenza di questa condizione.  

- Sofferenza ? Perché mai ? Non è bello essere un fantasma ?
- No.  Non si trova mai pace.  E per uno come me che pace non l'ha avuta nemmeno in terra, non è una bella cosa. Oltretutto, devo vedere ciò che succede ora, ai vostri tempi e non mi piace.

- Non le piace il mondo moderno ?
- Di tutte le cose del mondo moderno, mi interessa poco. Come sa, le mie competenze riguardano soltanto l'amore, la seduzione, il desiderio. E' questo il mio terreno, come le infezioni e la gotta lo sono per i dottori. 

- E cosa vede, dunque, che non le aggrada?
- Devo dire, tutto.  Il vostro amore è diventato così ordinario e così malato. 
- Malato ? Lei Visconte, non dovrebbe proprio dirlo. Insieme alla sua degna compare e complice, la Marchesa di Marteuil, siete praticamente gli inventori del sotterfugio e della crudeltà amorosa, praticata con metodo scientifico. 
- Lo contesto.  Il nostro amore - anche se perverso, eccessivo, debordante, era una forma d'arte.  Oggi la gente si ama quasi inconsapevolmente, come fanno gli animali, senza sapere nulla di cosa sia veramente l'amore. 

- E cosa è l'amore, dunque ?
- L'amore è spirito. L'amore è fatto di bella conversazione, di sentimento poetico (la prosa, gli impegni, gli appuntamenti, la cronaca, le faccende, le complicazioni, le contorsioni sono l'esatto contrario dell'amore), di desiderio senza ombre. E' uno spirito che si incarna e che vive soltanto attraverso gli amanti. Gli amanti sono il corpo dello spirito.  Sono loro che devono essere all'altezza dello spirito che si incarna in loro, che li sceglie.  L'amore è sublime, è la cosa più alta che sperimentiamo in vita.  Qui invece sembra che ci si ami soltanto per un vuoto, per riempire un desiderio.  Mentre si ama, o piuttosto mentre si crede di amare, si dicono cose folli, soltanto per ottenere ciò che si vuole in quel momento. 

- Per esempio ?
- Una donna che vuole raggiungere lo scopo di sentirsi al sicuro, di sentirsi protetta, di avere un futuro, di avere un uomo che la rassicuri, potrà dire a quell'uomo - che ha sessant'anni - che lei "ama i vecchi" e che i giovani non la interessano minimamente. Salvo, pochi mesi dopo manifestare l'esatto appassionato contrario.  Un uomo che vuole allontanare da lui una donna, che ha cinquant'anni e lui sessanta, dirà a quella donna che il sesso "è roba per giovani", e che corpi non più giovani dovrebbero astenersi dalle belle pratiche erotiche; salvo, pochi mesi dopo, quando la donna si è allontanata da lui, frequentare soltanto giovani e disinibite pulzelle, dai corpi freschi e giovanili. 

- L'amore non ha sempre utilizzato questi espedienti ? 
- Non l'amore, gli esseri umani. Gli esseri umani sono meschini, non sanno nemmeno cosa sia veramente l'amore.  Cercano soltanto, come in uno spazio vuoto, l'immagine di se stessi riflessa nell'altro. Non c'è amore, non c'è in realtà nessun vero interesse per l'altro, per la mente dell'altro, per il cuore o l'anima dell'altro, per la sua sofferenza, per la battaglia che lui o lei conduce quotidianamente. C'è solo il conto dei possibili vantaggi.  Uomini e donne si usano come "mezzi" per raggiungere qualcosa dentro il proprio sé: quella che è pensata e creduta come una evoluzione personale (e invece è soltanto una involuzione), una emancipazione, una "maggiore libertà". Da cosa poi ? La libertà di oggi fa ridere.  Ci si sente liberi se si possono fare le sei di mattina in un locale da ballo. La vera libertà si conquista soltanto scendendo nelle proprie profondità, affrontandole veramente, capendo quali sono le proprie dipendenze e le proprie distorsioni, le cose che ci allontanano costantemente dalla nostra autenticità. 
- Visconte non mi sta facendo troppo lo psicologo ? Lassù nel vostro regno di fantasmi siete così pesanti ?
- No, è solo che personalmente, avendo vissuto, si vorrebbe risparmiare a voi viventi qualche sofferenza di troppo. Ma in fondo ha ragione: anche le sofferenze, qui giù da voi, non sono autentiche.  L'autenticità in effetti è la cartina di tornasole dell'amore. E' così difficile essere autentici. E solo chi ama veramente lo è davvero.  Per il resto, si interpreta una parte.  Si gioca alla passione romantica, si crede alla potenza dell'amore per l'uomo o per la donna tormentati, perché soltanto così si ha l'alibi per non crescere mai, perché come si sa, nessun amante è mai riuscito a cambiare, a trasformare a redimere, un uomo o una donna realmente "tormentati" (ammesso e non concesso poi che quei tormenti, a loro volta, siano autentici). 

- Dunque non abbiamo speranza ? Dobbiamo continuare ad libitum il gioco delle eterne seduzioni, dei balletti per illuderci di riempire di senso le nostre vite ?
- L'intento mio e della Marchesa - questo nessuno lo ha capito - era proprio questo: smascherare tutte le bassezze dell'amore malato.  Far capire quanto sia facile con un piccolo inganno, con l'arte più semplice della seduzione, con la glorificazione dell'altro, con il farlo sentire al centro del tuo - e del suo mondo - con il fingersi "tormentati" (ah, io ero uno specialista in questo ! Quella povera Madame de Tourvel! Come ha abboccato, la poverina!)  - prendere possesso del cuore di qualcuno e del suo corpo, e farne quel che si vuole.  
Ma per mostrare che tutto questo NON è amore! 
- Quindi voi due, Visconte, lei e Marchesa, sareste due benefattori dell'umanità ?
- Non aspiro a tanto, certamente. Soltanto che il mio cuore non è nero, come si è sempre pensato. Soffrivo per le mie vittime, sa ? Soffrivo molto, per la loro completa dabbenaggine, per la loro inconsapevolezza, per la facilità con cui la loro parte infantile cadeva, desiderava con tutte le forze, cadere nella trappola della atroce sofferenza d'amore. 

- Dunque si pente ?
- No, non mi pento. Ho svolto un compito pedagogicoL'amore è davvero l'unica forza trasformativa della vita. Voi - come noi - l'abbiamo ridotta a un riempitivo, a un aperitivo, a un gioco di ruoli. 

Ma quindi anche lei ha spesso di credere all'amore ?
- Neanche per sogno. L'amore esiste. Ne è la prova il fatto che sia qui, ad espiare ciò che ho fatto, vedendo questo triste mondo delle relazioni - com'è che le chiamate adesso voi, "liquide" - che si svolge sotto i miei occhi. Che terribile babele ! Che legami, che cose senza senso! 

E a quale tipo di amore crede ?
- A quell'amore unico e raro che spetta solo ai rari.  Che non tradisce e non scolora. Che non può essere profanato, perché è sacro.  

- Sacro ?
- Sì, ha presente quando fu detto: "E dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine" ? L'amore è soltanto questo.


Fabrizio Falconi
2019


01/09/16

"Narcisismo - Tre riflessioni liquide" di Patrizia Manganaro (Recensione).




Un prezioso piccolo libro di Patrizia Manganaro, docente di storia della filosofia contemporanea e di filosofia del linguaggio presso la Pontificia Università Lateranense e grande studiosa del pensiero di Edith Stein. 

Uno studio dedicato al fenomeno post-moderno del Narcisismo, muovendo i passi dal mito di Narciso, narrato nel terzo libro delle Metamorfosi di Ovidio. 

Il mito di Narciso, scrive la Manganaro, rende edotti sull'epoca attuale, visto che il presente è soprattutto visione

Manganaro riporta qui una illuminate considerazione di Pierangelo Sequeri: "Nella postmodernità non è più Prometeo il primo santo del calendario irreligioso come voleva Marx. E nemmeno Dioniso, come voleva Nietzsche. E' Narciso."

Siamo cambiati dalle immagini  e l'immagine liquida di Narciso è ombra, fantasma, icona, illusione, idolo, simulacro, figura, allucinazione, spettro, scintilla, miraggio dei nostri tempi. 

Di qui il dramma dell'autocoscienza e dell'autoreferenza.

Ci aggrappiamo d'istante in istante in ciò che appare, narcotizzati, in non luoghi disumanizzati. 

Una vera cultura del narcisismo  che secondo Manganaro produce alienazione, disagio, crepuscolo. 

Di questi fenomeni sono specchio gli intellettuali Narcisi dell'epoca attuale, ai quali la Manganaro dedica un ultimo bruciante, crudissimo capitolo. 

A questo narcisismo, cioè all'egoismo, è possibile opporre un'autoreferenzialità buona: l'egocentricità, che vuol dire ripartire dalla intimità. Una forma di resistenza, di dissidenza, di protesta, per la costruzione - scrive Manganaro - di una polis e di una universitas più autentiche, al servizio dell'interumano: la pratica non ego-logica della ragione. Silenziosa, discreta, empatica: perché la felicità si dà per sottrazione.

Fabrizio Falconi




19/03/15

"Perché Narciso non vale l'amore" di Umberto Galimberti.

Caravaggio, Narciso alla fonte, 1597-1599. Olio su tela, cm 112 x 92 cm. Galleria Nazionale d'Arte Antica, Palazzo Barberini, Roma


“Perché Narciso non vale l’amore” - Umberto Galimberti 29 marzo 2014 

Secondo il mito, quando amiamo chi non sa amare, dobbiamo attenderci le punizioni di Eros. Nella realtà, vuol dire imparare a non credersi onnipotenti Sono una psicoterapeuta e insegno in una scuola di formazione in psicoterapia relazionale, dove le sue pagine sono un utile materiale di riflessione e di confronto per le discussioni con i miei allievi. Le scrivo a proposito del narcisismo, tema che più volte lei ha affrontato, e che secondo me oggi è di grande attualità. Vorrei interrogarmi e interrogarla circa la “relazione narcisistica”, ampliando lo sguardo sulla ninfa Eco che, nel mito, di Narciso è vittima – per intenderci – e tornare al “miracolo dell’amore” che Lei auspicava per il collega psicologo narcisista che in una lettera le sottoponeva i suoi tormenti.

Nella mia esperienza clinica vedo tante donne spesso belle, intelligenti e affascinanti, che fanno a pezzi la propria vita rincorrendo questo “miracolo d’amore”. Non smetto mai di sorprendermi per la quantità di energia che sono disposte a investire in questa relazione “disperante” che, proprio nell’accanimento onnipotente a diventare “qualcuno” per il partner (per il quale sono invece solo estensione narcisistica del sé) trova la sua marca patologica. 

Quando pare che, ridotte ormai come Eco nel mito, si decidano a mollare, ecco che si riattiva il gioco del partner che, proprio nella conquista di donne così importanti, alimenta il senso del suo sé (il cosiddetto “amore”). 

Poiché poi il narcisista è un magnifico incantatore, ci riesce e tutto ricomincia, anche il dolore che si cronicizza in sofferenza. Vorrei che nelle sue pagine, che sono un riferimento per tante donne, lo scrivesse, che il miracolo dell’amore non consiste nel cambiare l’altro, semmai nella possibilità che, attraverso l’altro, ci è data di cambiare noi stessi. Per esempio facendo quanto è possibile per ritrovare in noi stessi il senso del nostro vivere, senza delegarlo al valore che l’altro è disposto a riconoscergli. 

Maria Luisa 
Campobasso 


Narciso era un giovane bellissimo circondato dall’amore e dall’ammirazione di quanti lo incontravano, ma alle profferte d’amore, che pure lo gratificavano, restava indifferente. 

Un giorno, di Narciso si innamorò la ninfa Eco che, non ricambiata e respinta, si consumò di dolore fino a morirne. Di lei rimase solo il ritorno della sua voce, l’eco appunto. 

Questo è il destino che attende le donne che amano i narcisisti, spinte dalla persuasione, tutta femminile, di poter cambiare col tempo e con le loro premure gli uomini che amano.

Questa convinzione, che penso abbia le sue radici nello sfondo di onnipotenza presente in ogni donna – forse derivato dal fatto che, in quanto generatrice, la donna ha il potere di vita e di morte – è tipico non solo di colei che ama i narcisisti, sopportando ogni sorta di frustrazione e delusione, ma anche di chi ama i violenti, subendo ogni sorta di brutalità, maltrattamento, abuso, sopraffazione, come ogni giorno le cronache ci riferiscono.

E allora è bene che le donne ricordino che possono generare i bambini, ma non ri-generare gli adulti, ormai solidificati e direi anche pietrificati nella loro identità.

L’amore, è vero, è una potenza che può trasformare gli uomini. Ma non i narcisisti, che sono tali proprio perché, oltre a se stessi, non sanno amare nessun altro.

Lo stesso Freud riteneva che non ci fosse cura per loro, per il semplice fatto che, incapaci di una relazione con l’altro da sé, non sono in grado di instaurare una relazione emotiva neppure con il loro terapeuta.

Eppure incontrare un narcisista e innamorarsi di lui non è del tutto inutile, perché la sofferenza che si accumula in questa relazione può indurre la donna, se saggia, a ridurre il suo vissuto di onnipotenza ed evitare così l’autoinganno che le fa credere che, insistendo, possa cambiare le cose.

Capisco che l’idea di riuscire a cambiare le cose costituisce per la donna a sua volta una gratificazione narcisistica, ma siccome il tentativo non approda, è inutile sprecare la propria esistenza per gratificazioni narcisistiche che comunque non arrivano.

E allora la conclusione è quella indicata dalla psicoterapeuta che ha scritto questa lettera, ove si lascia intendere che amore non è solo conoscenza dell’altro, ma innanzitutto conoscenza di sé, nelle regioni, mai frequentate, dove veniamo a trovarci quando ci innamoriamo.

Nello scenario tutto nuovo che amore dischiude possiamo conoscere, oltre alle nostre virtù che prima ignoravamo, anche i nostri limiti che nessun desiderio, neanche il più spasmodico, può superare. E il primo limite che dobbiamo riconoscere è quello della onnipotenza che la follia d’amore alimenta in noi, lasciando il narcisista, che non sa amare, nella più assoluta indifferenza. 

di Maria Luisa Campobasso e Umberto Galimberti,

D Repubblica, 22 marzo 2014

22/06/14

"Ogni persona nasce dalla lode." Elias Canetti.




Sarebbe possibile dimostrare come una persona nasca dalla lode. 

Bisognerebbe annotare le parole di lode che penetrano in una persona sin dai suoi primi anni, e lasciar perdere tutto il resto. Ne verrebbe fuori quel terribile corpo, fatto di lodi, che in definitiva è la persona stessa.

Certe parole di lode diventano indispensabili come l'aria e il cibo. Che cosa non fa un uomo per riaverle quando la fonte abituale è inaridita, quando da essa non viene più nulla. Scoprire una forma di pazzia che ha la sua radice soltanto nella lode. Un metodo con cui annullare gli effetti della lode neutralizzandoli lì per lì con un antidoto.

Una persona che non è mai stata lodata una volta: che aspetto ha ? Come cammina ? Come vive ?

Una persona che è bravissima a vomitare lodi.
Uno che fa il bagno in pozze di lodi e ne esce sporco.
Uno che come un criceto accumula lodi nelle borse mascellari.
Uno che con le lodi avvelena ogni cosa intorno a sè.
Uno che è sensibile soltanto alle lodi collettive e non recepisce nulla di ciò che dicono i singoli.
Uno specialista nella conservazione delle lodi.
Uno che le lodi le digerisce.
Uno specialista nella trasformazione delle lodi: tutto quello che gli viene all'orecchio si trasforma in un'unica parola che lui continua a udire finché gli scoppia il timpano; da quel momento riesce ancora a sentire soltanto con la pelle e il naso.
Una brigata di gaudenti che si scambiano lodi.
Uno che, vergognandosi delle lodi, deperisce e muore.
Uno che è convinto della falsità in ogni lode e non ne aspetta più una autentica. Ma non sa decidersi e non prestare orecchio.
Uno che si trasforma di volta in volta secondo la lode: ora è questo, ora è quello, e senza una parola di lode è niente.
Uno che per lodarsi indossa il suo vestito migliore.
Uno che non fa niente perché non vuole lasciarsi sfuggire una sola parola di lode. Alla fine non osa più aprire bocca, temendo di perdere una lode, e muore di fame.
Lui, ormai, si limita a dire ciò che è stato detto di lui. Da quando la memoria gli si è affievolita, non parla a braccio: legge.
Uno che classifica i suoi amici secondo l'intensità con cui lo lodano.
Uno che cita in giudizio quelli che lodano anche altri.
Uno che accetta solo lodi telefoniche affinché nulla possa distrarlo.
Uno che ruba agli altri telegrammi di lode.
Uno che vuole soltanto lodi che spetterebbero ad altri.
Uno che si aumenta di peso in proporzione alle lodi.
Uno che crede alla lodi solamente se significano soldi.
Uno che detesta le lodi a tal punto che chi vuole qualcosa da lui gli si accosta con parole di biasimo.
Uno che sfregia tutte le fotografie che lo ritraggono.
Una che riesce a lodare solo mentre fa l'amore.
Uno che crede in Dio solo mentre lo lodano.
Uno che odia furiosamente le lodi poiché altri vengono lodati.
Basta con le lodi, e ancora non basta: continuare.

Elias Canetti, La rapidità dello spirito, Adelphi 1994, traduzione di Gilberto Forti, pag. 157.